Il Cuore Polmonare Cronico PDF

Title Il Cuore Polmonare Cronico
Course Fisiopatologia 1
Institution Università degli Studi di Siena
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Il Cuore Polmonare Cronico...


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Il Cuore Polmonare Cronico DEFINIZIONE Si definisce “cuore polmonare” la dilatazione e/o l’ipertrofia del ventricolo destro per aumento del postcarico dovuto a malattie dei polmoni, della parete toracica, dei vasi polmonari o dei centri del controllo della ventilazione. Sono escluse dalla definizione di cuore polmonare le patologie del cuore destro dovute a cardiopatie congenite o a malattie del cuore sinistro. FISIOLOGIA DEL CIRCOLO POLMONARE La circolazione polmonare è interposta tra il ritorno venoso sistemico e l’atrio sinistro; oltre a rivestire un ruolo chiave negli scambi dei gas, il circolo polmonare concorre alla regolazione biochimica, termica ed umorale del sangue. In condizioni normali, la forza che guida il sangue attraverso il polmone dipende in ugual misura dal ventricolo destro e dalla respirazione. La funzione di pompa del ventricolo destro, tuttavia, diviene rilevante solo in condizioni patologiche. In alcune procedure cardiochirurgiche (ad esempio l’intervento di Fontan), infatti, si esegue un by-pass del ventricolo destro, mettendo in comunicazione diretta l’atrio destro con l’arteria polmonare, senza che il ritorno venoso al cuore sinistro venga compromesso; ciò dimostra come la circolazione polmonare possa avvenire normalmente anche senza il contributo del ventricolo destro. La caratteristica principale del circolo polmonare è che le pressioni sono basse. Per generare ed aumentare il flusso del sangue occorre superare la pressione di apertura dei vasi, reclutare progressivamente nuovi vasi e dilatare quelli già aperti. La relazione tra la pressione guida (differenza tra pressione arteriosa polmonare media e pressione atriale sinistra) e il flusso, perciò, è curvilinea e non origina dallo zero degli assi cartesiani . La resistenza vascolare è la relazione tra pressione e flusso. Nel circolo polmonare si misura la resistenza vascolare arteriolare, con la formula seguente: e la resistenza vascolare totale, la cui formula è: In entrambi i casi si assume una relazione pressione/flusso lineare, assunto del tutto erroneo. Per calcolare veramente la resistenza vascolare polmonare, perciò, occorre costruire la relazione misurando almeno 3 punti identificati da pressione e flusso. Questo può essere fatto modificando la portata cardiaca con variazioni della postura o con l’esercizio fisico. La distribuzione del flusso di sangue nel polmone è funzione del rapporto tra pressione arteriosa polmonare, pressione venosa polmonare e pressione alveolare. Le camere del cuore destro sono cavità ad alta compliance, che possono accettare grandi volumi di sangue con piccole variazioni di pressione. Il sistema va “in crisi” in presenza di ipertensione polmonare, che si definisce presente se la pressione polmonare media è, a riposo e a livello del mare, > 20 mm Hg. FISIOPATOLOGIA DEL CUORE POLMONARE CRONICO Il ventricolo destro assume un ruolo molto importante in presenza di malattie del polmone o del circolo polmonare. In un cuore normale, la portata cardiaca comincia a ridursi quando la pressione polmonare sistolica è 30-40 mm Hg. Il ventricolo destro non è in grado di tollerare pressioni di 60-80 mm Hg, ma se il sovraccarico di pressione si instaura gradualmente, il ventricolo si ipertrofizza e si dilata, riuscendo a mantenenere pressioni molto più alte, in alcuni casi addirittura superiori a quelle del ventricolo sinistro. Ci può essere ipertensione polmonare in caso di: a) malattie cardiache congenite, b) malattie a carico del cuore sinistro (atrio, valvola mitrale, ventricolo, valvola aortica), c) malattie respiratorie, e d) malattie che interessano il circolo polmonare. Per definizione solo le condizioni c e d possono essere causa di cuorepolmonare. Vasocostrizione ipossica In presenza di ipossia alveolare, i vasi che portano sangue agli alveoli interessati dalla ipossia si costringono. Se localizzato, questo è un meccanismo di difesa utile perché riduce la perfusione di alveoli poco efficienti, favorendo la perfusione di alveoli normossici. Se il fenomeno è generalizzato, o comunque interessa una grossa parte del polmone, si sviluppa ipertensione polmonare ipossica. Questa permette di reclutare nuovi vasi polmonari ma, se la portata si mantiene, fa aumentare il lavoro del ventricolo destro. L’ipossia alveolare può essere acuta (apnee del sonno), subacuta (ARDS, edema polmonare da alta quota) o cronica (patologia polmonare, della parete toracica o del controllo della ventilazione). In presenza di ipossia cronica, le arterie polmonari sviluppano uno strato muscolare che aumenta progressivamente, in rapporto alla durata ed all’entità dell’ipossia alveolare. Esistono fattori che aumentano la risposta ipertensiva all’ipossia alveolare, quali l’aumento della PaCO2, l’aumento dell’ematocrito che incrementa la viscosità del sangue, l’aumento o la riduzione importante del volume polmonare ed, infine, la riduzione anatomica o funzionale del letto vascolare polmonare. Bisogna ricordare che la resistenza vascolare polmonare dipende dal volume polmonare: per i vasi alveolari aumenta con l’aumento del volume polmonare, mentre per i vasi extra-alveolari si riduce con l’aumento del volume polmonare. La somma dà la effettiva resistenza vascolare alla capacità funzionale residua. Episodi di ipossia alveolare, come quelli associati alle apnee notturne, possono causare o concorrere a causare cuore polmonare. Un esempio classico di questo è il cuore polmonare della sindrome di Pickwick (obesità, sonnolenza, policitemia) o quello dei “russatori” per alcool, bronchite cronica, obesità. L’ipossia alveolare cronica si sviluppa in corso di ipoventilazione alveolare e si associa ad ipercapnia. Le cause includono enfisema, fibrosi polmonare, patologia polmonare restrittiva e bronchite cronica. Restringimento meccanico dei vasi Le modificazioni dei volumi polmonari hanno un ruolo importante nella genesi dell’ ipertensione polmonare. In presenza di malattia polmonare ostruttiva, il volume del polmone aumenta. Inoltre si può sviluppare il

fenomeno del “air-trapping” per l’insufficiente flusso espiratorio. Se la ventilazione aumenta, questo fenomeno diviene sempre più rilevante con zone di polmone che per l’insufficiente espirazione sono ad alta pressione e comprimono i vasi. In questo caso, per mantenere il flusso deve esserci un ulteriore aumento della pressione vascolare. Anche la riduzione del volume polmonare si associa ad aumento della resistenza vascolare polmonare. Sovraccarico pressorio attorno al cuore destro Il cuore è circondato in gran parte dal polmone. Nel cuore polmonare la rigidità del polmone è significativamente aumentata, e ciò aumenta il lavoro esterno, quello soprattutto del ventricolo destro, le cui pareti sono sottili e meno potenti di quelle del ventricolo sinistro. Il movimento del cuore in sistole e diastole è a maggiore costo energetico in presenza di polmone rigido. Aumento della portata cardiaca L’ ipossia alveolare riduce il contenuto arterioso di ossigeno. Questa riduzione è compensata da un aumento dell’emoglobina e dall’aumento della portata cardiaca. Quest’ultima è un ulteriore elemento di sovraccarico per il cuore destro. QUADRO CLINICO Non ci sono sintomi specifici di dilatazione e/o ipertrofia del ventricolo destro, ma il quadro clinico è dominato dalla malattia che causa il sovraccarico ventricolare. In presenza di scompenso del cuore destro si ha un aumento della pressione venosa sistemica, da cui dipendono edemi declivi, turgore giugulare, epatomegalia ed ascite. Le sindromi che possono essere alla base del cuore polmonare cronico sono: a) malattia polmonare ostruttiva, b) malattia polmonare restrittiva, c) malattia polmonare mista (ostruttiva e restrittiva) e d) malattie vascolari polmonari. Malattia polmonare ostruttiva Il quadro clinico è quello del fumatore, con frequenti episodi di bronchite soprattutto nei mesi invernali. Il paziente riferisce a volte sintomi correlati all’incremento della CO2, quali confusione mentale e disorientamento. I segni più frequenti sono quelli legati all’aumento della pressione venosa (turgore giugulare, epatomegalia, edemi declivi) e quelli dipendenti dall’ipossia, come la cianosi labiale e delle estremità; è quasi sempre presente tachicardia sinusale e non di rado fibrillazione atriale. La radiografia del torace dimostra un cuore ingrandito, salienza del secondo arco di sinistra per dilatazione dell’arteria polmonare ed aspetto ad albero potato della vascolatura polmonare in periferia. I test di funzione respiratoria dimostrano riduzione di FEV1, FEV1/FVC e capacità vitale, ed aumento consistente del volume residuo. La diffusione alveolo-capillare è ridotta. L’emogasanalisi dimostra ipossiemia e ipercapnia. La somministrazione incongrua di ossigeno può peggiorare il quadro emogasanalitico. L’ecocardiogramma rivela l’ipertrofia e la dilatazione del ventricolo destro, ed anche l’ipertensione polmonare, valutata con metodica Doppler. La terapia è la sospensione del fumo, la riduzione del rischio di recidiva delle infezioni delle vie aeree e dei polmoni, la riabilitazione respiratoria, l’uso di broncodilatatori e mucolitici, l’impiego congruo di ossigeno . La terapia farmacologia dell’ipertensione polmonare secondaria non ha successo. Malattia polmonare restrittiva Le malattie restrittive che portano al cuore polmonare cronico hanno prognosi infausta. Si possono riconoscere due gruppi di malattie restrittive: il primo comprende le alveoliti fribrotizzanti, le pneumoconiosi, le malattie della gabbia toracica e del suo apparato neuro-muscolare. Tutte queste malattie portano ad insufficienza ventilatoria con iperventilazione. Il secondo gruppo di malattie restrittive che portano a cuore polmonare è caratterizzato fin dall’ inizio da ipoventilazione. La terapia delle fasi più avanzate è solo il supporto ventilatorio. Malattia polmonare mista (ostruttiva e restrittiva) I due quadri possono essere presenti: l’ aspetto clinico più tipico è quello del fumatore obeso. Malattie vascolari polmonari L’ostruzione o la distruzione del letto vascolare polmonare può causare ipertensione polmonare che, a sua volta, porta a cuore polmonare. In questo caso la pressione polmonare può essere molto elevata, più che nelle forme ipossiche. L’ipertensione polmonare può essere post-embolica, di solito successiva a molti episodi embolici più o meno sintomatici e spesso clinicamente non riconosciuti, oppure causata da vasculopatia per ipertensione polmonare primitiva o associata a varie vasculiti. L’incidenza dell’ipertensione polmonare post-embolica è minore di quanto ci si potrebbe aspettare dal numero di embolie ritrovate all’autopsia: ciò dipende verosimilmente dall’estensione del letto vascolare polmonare e dai potenti meccanismi trombolitici dell’endotelio polmonare. L’Embolia Polmonare, Giuseppe Mercuro, Francesco Peliccia DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA L’embolia polmonare (EP) è l’occlusione acuta del tronco o di un ramo dell’arteria polmonare, che determina un ostacolo allo svuotamento del ventricolo destro e un’interruzione del flusso ematico nel distretto polmonare a valle dell’occlusione. Il grado di compromissione emodinamica e respiratoria dipende dalla dimensione

dell’embolo, che può interessare la biforcazione dell’arteria polmonare (embolo a sella) o un suo ramo. L’incidenza dell’EP è dello 0.5-1‰, con un rapido incremento dopo i 60 anni di età. La mortalità per EP è >15% nei primi 3 mesi dalla diagnosi. EZIOLOGIA All’origine di un’EP sta, nella quasi totalità dei casi, la mobilizzazione di un trombo venoso dalla sua sede di formazione periferica, usualmente le vene degli arti inferiori: il trombo percorre il circolo venoso refluo, l’atrio ed il ventricolo destro ed embolizza la circolazione arteriosa polmonare. Circa la metà dei pazienti con trombosi venosa profonda (TVP) pelvica o prossimale delle gambe subiscono un’EP, che rimane assai spesso asintomatica. Emboli a partenza dalle vene del polpaccio sono più raramente causa di EP, ma rappresentano la sorgente più probabile di emboli paradossi, che possono raggiungere la circolazione arteriosa sistemica attraverso un forame ovale pervio o un difetto del setto interatriale. L’origine di un trombo dagli arti superiori è possibile a causa dell’utilizzo crescente di cateteri venosi a permanenza per alimentazione parenterale o chemioterapia, nonché di elettrocateteri di pacemaker e defibrillatori cardiaci. Gli stati di ipercoagulabilità che possono causare un’EP, i fattori di rischio e le condizioni cliniche associate che possono favorirla sono gli stessi coinvolti nel determinismo della TVP. Una predisposizione congenita deve essere considerata nei rari casi in cui l’EP colpisce soggetti 99%. Apparecchi di ultima generazione sono destinati a soppiantare l’angiografia polmonare come gold standard per la diagnosi dell’EP, consentendo l’acquisizione in pochi secondi dell’intero torace con una risoluzione inferiore a 1 mm. D’altra parte, la TC fornisce informazioni dettagliate sulle dimensioni e la funzione del ventricolo destro. La scintigrafia polmonare rappresenta oggi un’indagine di seconda scelta in caso di sospetta EP, mentre è riservata a pazienti in gravidanza, oppure con insufficienza renale o allergia al contrasto. La risonanza magnetica (RM) angiografica utilizza un mezzo di contrasto non nefrotossico e pressoché esente

da reazioni allergiche. Sensibilità e specificità diagnostiche sono paragonabili a quelle della TC di prima generazione, consentendo l'identificazione di EP segmentarie. La RM è in grado di valutare anche la funzione del ventricolo destro.

ECG. 50 - Embolia Polmonare Nell’ECG 50-A si osserva tachicardia sinusale 120/m’ e blocco incompleto della branca destra, testimoniato dai complessi rSr’ in V1 e dalle onde s terminali piuttosto larghe in I, II e V6. Nelle derivazioni da V1 a V3 il tratto ST è sopraslivellato a convessità superiore, mentre l’onda T è negativa, ampia ed a branche tendenzialmente simmetriche da V1 a V4. Nell’ECG 50-B, registrato il giorno precedente, si rileva l’assenza di onda s in I derivazione; non vi è, inoltre, onda r’ in V1, e la morfologia del complesso in III è rs, non qs come nell’ECG 50-A. Il tratto ST nelle precordiali destre è normale, e le onde T sono positive da V2 a V6 e in III derivazione. Il carattere repentino delle modificazioni, unitamente ai segni rilevati nel tracciato della Figura A, depongono per un’embolia polmonare. In particolare, l’associazione di: 1) tachicardia sinusale, 2) blocco di branca destra di recente insorgenza, 3) tratto ST sopraslivellato nelle precordiali destre, 4) inversione pressoché generalizzata delle onde T nelle derivazioni precordiali e in III, 5) scomparsa dell’onda r in III derivazione, con trasformazione di un rs in un qs, assume alta sensibilità diagnostica nei confronti dell’embolia polmonare. Tecniche invasive L’angiografia polmonare è idonea a riconoscere emboli di 1–2 mm quali difetti di riempimento vasale intraluminale. Segni secondari di EP sono la netta interruzione di un vaso, l’oligoemia segmentale o una totale mancanza di circolo ed una fase arteriosa prolungata. L’angiografia è riservata ai pazienti con TC non diagnostica o che devono essere sottoposti ad embolectomia transcatetere o trombolisi mirata. Nella pratica clinica, è auspicabile un approccio diagnostico integrato. Esso prevede a. l’anamnesi indirizzata al profilo di rischio tromboembolico, l’esame fisico e il calcolo dell’indice di Wells; b. un ECG ed una radiografia del torace; c. il dosaggio del D-dimero che, se negativo, esclude l’EP in soggetti con indice di Wells =4; d. la TC o la scintigrafia polmonare, nonché l’ecografia venosa degli arti. In sintesi, l’EP può essere esclusa in pazienti con bassa probabilità clinica e D-dimero negativo, così come in quelli a rischio elevato, ma con TC negativa. Purtroppo, per quanto il test del D-dimero per l’esclusione dell’EP e quello della TC per la sua visualizzazione abbiano nettamente perfezionato la sensibilità diagnostica, l’EP rimane ancora ardua da diagnosticare e quadri di EP sub-massiva o moderata rimangono non riconosciuti in non meno del 50% dei pazienti. TERAPIA Una rapida stratificazione della gravità dell’EP è fondamentale per il corretto inquadramento clinico del paziente e per la scelta della terapia più appropriata. A questo scopo può essere utilizzato l’indice a punti di Ginevra che si basa su parametri anamnestici, clinici e strumentali facilmente ottenibili (Tabella III). Il trattamento dei pazienti con EP può essere farmacologico, interventistico o chirurgico. La scelta tra queste tre strategie dipende sia dalla loro disponibilità sia, soprattutto, dal grado di compromissione clinica e funzionale determinato dall’EP. Supporti terapeutici immediati sono la somministrazione di 0 2 e la sedazione del dolore toracico con antinfiammatori non-steroidei. In soggetti a basso rischio, con pressione sistemica normale e senza evidenza di disfunzione ventricolare destra, il trattamento è mirato alla prevenzione di ricorrenti EP e/o TVP e si basa sulla sola anticoagulazione. Caposaldo di tale trattamento è l’eparina non frazionata (ENF), la cui somministrazione previene l’ulteriore formazione di trombi e consente alla fibrinolisi endogena di dissolvere il trombo già formato. Una valida alternativa all’ENF è oggi rappresentata dalle eparine a basso peso molecolare, frammenti di eparina con migliore biodisponibilità e più lunga emivita dell’ENF e che, a differenza di questa, non richiedono un monitoraggio della terapia con determinazione del PTT. Insieme all’eparina occorre iniziare la somministrazione di un anticoagulante orale (AO), warfarin o acenocumarolo, il cui pieno effetto si manifesta in genere dopo 5 giorni. L’eparina garantisce l’effetto anticoagulante finché l’AO non abbia prodotto valori di INR superiori a 2 per almeno 2 giorni consecutivi. In seguito, la dose di AO va scelta con l’obiettivo di mantenere l’INR tra 2 e 3. In caso di emorragia in atto, di controindicazione all’uso degli anticoagulanti ovvero di EP ricorrente nonostante l’AO. è possibile ricorrere al posizionamento di un filtro nella vena cava inferiore. Pazienti con EP massiva e shock cardiogeno o portatori di vasta trombosi ileo-femorale, sono candidati alla trombolisi, al fine di ridurre la mortalità e prevenire la ricorrenza di EP. Ciò avviene attraverso la dissoluzione sia del trombo occludente l’arteria polmonare, con rapido miglioramento dello scompenso cardiaco destro, sia dei trombi emboligeni presenti nella periferia del sistema venoso. Quando un’EP massiva determina una grave compromissione delle funzioni cardiorespiratorie, imponendo la ventilazione assistita e il supporto cardiocircolatorio, oppure quando la trombolisi non abbia avuto successo o sia controindicata, è appropriata l’embolectomia, con rimozione meccanica del materiale trombotico dall’arteria polmonare. Questa tecnica è stata eseguita per molti anni solo chirurgicamente, a torace aperto, in arresto di circolo o a cuore battente, costituendo un intervento efficace, ma gravato da una significativa mortalità. Attualmente, è invece possibile l’embolectomia per via percutanea in sala di emodinamica. La procedura non necessita di anestesia generale, richiede solo un accesso venoso, in genere a livello femorale e si esegue con

speciali cateteri che frammentano e aspirano il trombo occlusivo. In considerazione della difficoltà di diagnosticare l’EP e di contenere il danno clinico che essa produce, è fondamentale attuare un’efficace prevenzione del tromboembolismo venoso. Occorre diffondere l’opinione che virtualmente tutti i soggetti ospedalizzati sono a rischio di EP e, se del caso, debbono ricevere misure preventive appropriate. Per i pazienti a rischio più elevato la terapia anticoagulante (eparine a basso peso molecolare o AO) ed i presidi meccanici (calze elastiche o compressione pneumatica intermittente) che incrementano il flusso venoso e stimolano la fibrinolisi endogena, rappresentano una profilassi con un rapporto costo/beneficio assai vantaggioso....


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