Il discorso associativo e il dialogo in absentia nel Male Oscuro di Giuseppe Berto PDF

Title Il discorso associativo e il dialogo in absentia nel Male Oscuro di Giuseppe Berto
Author Saverio Vita
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ISSN 1124-9080 2 2014 vol. 16, n. 41 Mucchi Editore Rivista di Letteratura vol. 16, n. 41 (2 2014) Mucchi Editore I singoli contributi vengono sottoposti a procedura di peer-review Comitato di direzione: Andrea Battistini (Università di Bologna); Marco An- tonio Bazzocchi (Università di Bologna); Gi...


Description

ISSN 1124-9080

2 2014 vol. 16, n. 41

Mucchi Editore

Rivista di Letteratura vol. 16, n. 41 (2 2014)

Mucchi Editore

I singoli contributi vengono sottoposti a procedura di peer-review Comitato di direzione: Andrea Battistini (Università di Bologna); Marco Antonio Bazzocchi (Università di Bologna); Giuliana Benvenuti (Università di Bologna); Aurora Conde Muñoz (Universidad Complutense, Madrid); Fausto Curi (Università di Bologna; coordinatore); Francesco Erspamer (Harvard University, Cambridge MASS); Carlo Gentili (Università di Bologna); Niva Lorenzini (Università di Bologna); Piero Pieri (Università di Bologna); Luca Somigli (University of Toronto); Luigi Weber (Università di Bologna). Redazione: Daniela Baroncini, Francesco Carbognin, Bruno Capaci, Stefano Colangelo, Filippo Milani (coordinatore) Antonio Schiavulli. Dipartimento di ilologia classica e italianistica - FICLIT, via Zamboni 32 - 40126 Bologna Editore: STEM Mucchi Editore, Modena Abbonamenti e amministrazione: STEM Mucchi Editore S.r.l., via Emilia est, 1741 - 41122 - Modena, Tel. 059.37.40.94, Fax 059.28.26.28, c/c postale 11051414, e-mail: [email protected] Responsabile: Marco Mucchi Autorizzazione del Tribunale di Modena n. 350 dell’11 luglio 1958 Prezzo abbonamento annuo (2 numeri): Italia € 60,00; Estero € 79,00; Digitale € 50,00 Cartaceo + Digitale (Italia) € 77,00; Cartaceo + Digitale (Estero) € 93,00 Fascicolo cartaceo: € 32,00; digitale: € 20,00 Graica e impaginazione STEM Mucchi Editore (MO), stampa Editograica (BO)

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Saverio vita Il discorso associativo e il dialogo in absentia nel Male Oscuro di Giuseppe Berto

L

a narrazione del Male oscuro si fonda su una struttura piuttosto complessa. Berto propone una sorta di enumerazione caotica di rappresentazioni, di episodi posti in successione secondo i collegamenti tipici delle associazioni libere psicanalitiche. Il lettore è chiamato, per goderne, a riproporre a se stesso un proprio ordine mentale di essi, a concepire in prima persona un sistema in cui gli episodi costruiscano il loro senso interagendo tra di loro. Ciò può essere fatto anche mediante un processo di immedesimazione capace di giungere alla forza di uno sfogo catartico, potenziato rispetto alla catarsi estetica pura intesa nei termini aristotelici, poiché chi legge è spinto a ripercorrere le medesime associazioni con il vantaggio della distanza dagli eventi narrati e, dunque, con un coinvolgimento psicologico che non implica il pericolo dell’angoscia e che quindi può avvenire senza mediazioni. Chi volesse ricercare i nodi fondamentali di questo complesso sistema di rappresentazioni, ne troverebbe la chiave di lettura in tre punti: l’importanza dei sogni narrati dal protagonista (sui quali mi sono soffermato in altra sede)1; la performatività dello stile adottato, ovvero il discorso associativo; l’essenza dei dialoghi in absentia del protagonista. 1 S. vita, Rimozione freudiana e riemersione letteraria nel Male Oscuro di Giuseppe Berto. Il sogno della libreria Rossetti, «Studi Novecenteschi», Pisa-Roma, Serra, n. 84, luglio-dicembre 2012.

Poetiche, vol. 16, n. 41 (2 2014), pp. 415-446

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Il discorso associativo è uno stile di natura fortemente performativa, una “mimesi diegetica” in quanto il discorso è diretto e agito, eppure perfettamente inserito nel contesto della diegesi. Questo utilizzo dei termini aristotelici ci aiuta a comprendere che la narrazione del Male oscuro, nel suo intreccio, sarebbe impossibile da veicolare se non attraverso il discorso associativo, e che lo stile ha un ruolo sostanziale anche nella fase compositiva. Nel Male oscuro il legame tra stile e intreccio partecipa della stessa natura del segno linguistico: un signiicante (il discorso associativo) e un signiicato (l’intreccio) come componenti inscindibili. Se Berto avesse adottato una scrittura più convenzionale, il suo testo sarebbe diventato un caso clinico più che un romanzo, poiché questa è la natura della sua fabula: il diario di una nevrosi. Data quindi l’importanza di questi punti, è impossibile parlare compiutamente del discorso associativo senza tener conto in modo particolare della voce, della categoria di tempo e della tecnica di rappresentazione del ricordo così per come sono inseriti nella narrazione in sé. Con narrazione in sé indico un testo dificilmente analizzabile attraverso un metodo che voglia sciogliere i legami tra l’intreccio e le funzioni narrative che lo strutturano; un testo in cui la sintassi, la grammatica, la logica dell’esposizione e il contenuto di essa vanno realmente di pari passo per essere vicendevolmente comprese, esattamente come accade nel segno linguistico. Per riconoscere il dialogo in absentia come dispositivo narrativo fondamentale agli esiti del romanzo, sarà quindi necessario soffermarsi su questi elementi, poiché è attraverso di essi che il dialogo con un interlocutore assente permette alla narrazione in sé di “esplodere” deinitivamente nella propria autenticità.

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Il discorso associativo Il discorso associativo altro non è che l’applicazione a ini narrativi del metodo psicanalitico delle associazioni libere. Operazione inedita, in cui l’autore sembra quasi che ponga la struttura del proprio inconscio in una dimensione mimetica, dentro l’opera d’arte. Cosa che ovviamente non avviene, dato che il punto di tutta la parabola autoriale di Berto sta nella narrazione di eventi che possano assurgere al grado di universalità, da Il cielo è rosso in poi. Flusso di coscienza, monologo interiore e soliloquio sono le deinizioni di stilistica che, nella narrazione, indicano la preminenza dell’inconscio, dell’autoanalisi o della confessione a un destinatario2. Alla luce di questa tripartizione, ci sembra opportuna l’intenzione da parte dell’autore di distinguere la propria scrittura dandole lui stesso il nome di discorso associativo, dato che il testo del Male oscuro segue ognuna delle tre tendenze attraverso la continua metamorfosi della teleologia del discorso. Le caratteristiche più evidenti del discorso associativo – che nasce dall’esperienza medica e culturale vissuta dall’autore con il proprio l’analista, Nicola Perrotti3 – sono quindi la velocità di esecuzione, la mancanza di punteggiatura e il rispetto dell’ordo verborum classico.4 2 a. MarcheSe, Dizionario di retorica e stilistica, Milano, Mondadori 1979. 3 «Io ebbi la fortuna di trovare un uomo straordinariamente buono, intelligente, comprensivo, attento, amoroso. Egli mi aiutò a uscire senza eccessivo sconforto dalle crisi più brutte del male, mi condusse gradatamente a guardare dentro me stesso senza paura o vergogna di ciò che vi avrei potuto trovare perché qualunque cosa vi avessi trovato sarebbe stato sempre qualcosa di attinente all’uomo». Giuseppe Berto, Appendice, in G. Berto, Il male oscuro, Milano, Rizzoli 2010, p. 416. 4 Per una trattazione delle singole caratteristiche tecniche del discorso associativo, cfr. P. Dottore, La forma della coscienza.

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Il frequente code switching, rilevabile nella costruzione della frase, è un incentivo a una resa psicologicamente realistica del dettato, la qual cosa è rintracciabile in modo evidente nei passi in cui Berto narra dell’infanzia del protagonista del romanzo facendo uso di parole e innocenze da infante. Riprendere possesso di quelle che erano nel passato le proprie costruzioni verbali inconsce, suggerisce ulteriormente al critico il carattere innovativo di questo tipo di scrittura: una trascrizione di associazioni non deinitivamente libere, perché condotte da una forza superiore – da identiicare nella igura dell’analista – verso il raggiungimento di uno scopo ben preciso: il rinvenimento delle cause della nevrosi d’angoscia e la guarigione dal “male oscuro”. Lo scopo medicinale dello stile e l’uso delle associazioni libere sono il margine di differenza tra il discorso associativo e lo stream of consciousness. Il raggiungimento della profondità interiore è il ine ultimo, motivo prima di tutto clinico ed etico e solo in seconda battuta estetico. Dato che si è accennato al fatto che lo stesso Berto ha coniato un termine tecnico per indicare la propria prosa, in cosa consiste per lui il discorso associativo? L’autore si sofferma su questo tema tra le colonne del «Resto del Carlino», in un articolo-manifesto: «[Il linguaggio psicanalitico] Consiste, io credo, nella tecnica delle libere associazioni adottata come sistema narrativo. Il discorso tradizionale è caratterizzato dalla logica, quello psicoanalitico dalla libertà. Dato un pensiero iniziale o un fatto qualsiasi che serva da punto di partenza, vi si collegano in una disposizione diciamo così lineare e in piena liberà altri fatti o rilessioni che devono sgorgare il Il male oscuro di Giuseppe Berto, Biblioteca dei Leoni, Castelfranco Veneto (Treviso), 2014, pp. 27-87. Per un ulteriore confronto sul tema del discorso associativo, a. vettori, Giuseppe Berto: la passione della scrittura, Venezia, Marsilio 2013, pp. 75-82.

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più automaticamente possibile dalle profondità dell’essere, senza alcuna obbligatoria dipendenza coi concetti e le immagini che seguiranno, ma in assoluta corrispondenza con quanto afiora dall’inconscio […]. La libertà riguarda tanto gli argomenti, quanto le parole, quanto l’ordine dell’esposizione. Naturalmente questo non è mai possibile in senso assoluto […]. Ed è chiaro che in queste cose entra anche il carattere: c’è chi si abbandona più e chi meno alla libera esposizione dei pensieri, chi è più e chi meno sincero, chi si preoccupa dell’ordine e della forma e chi non se ne preoccupa affatto […]. Per quanto riguarda la trasposizione della tecnica delle libere associazioni alla letteratura, invece, è l’autore stesso che dev’essere contemporaneamente analizzando e analista, ossia, almeno nella fase di revisione del testo, non bisogna mai dimenticare che un risultato artistico apprezzabile si ottiene soltanto con una rappresentazione organica di fatti, pensieri e stati d’animo, ed è quanto mai improbabile che questo risultato venga raggiunto automaticamente»5.

Queste parole mostrano due istanze che qui collaborano tra di loro, ma che si contrastano per natura: la libertà strutturale del pensiero e il controllo dell’esposizione. Inizialmente Berto parla dell’estrema libertà del linguaggio psicanalitico, ma immediatamente dopo, nel momento in cui porta la teoria su un piano più pratico, afferma che tale libertà non può essere totale. Apre quindi all’idea di un sotteso controllo che riporti a un regime di razionalità ciò che la libertà dell’esposizione ha generato caoticamente in prima stesura. Questa forma di controllo trova luce in due occasioni: prima di tutto nel momento stesso dell’esposizione, che muove da un presupposto di libertà ma approda inine a un ordine quantomeno sintattico, e in secondo luogo nel momento della revisione, fondamentale afinché il testo possa esprimere appieno le proprie qualità estetiche. 5 G. Berto (a cura di Luigi Fontanella), Soprappensieri. Tutti gli articoli (1962-1971), Torino, Aragno 2010, pp. 195-196.

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Il lettore potrebbe portare come obiezione alla genuinità del dettato il fatto che l’ordo verborum classico venga sempre mantenuto. Ma questa forma di perfezionismo fa parte proprio della nevrosi dello scrittore. È possibile riscontrarlo in due passi in cui è ancora Berto a prendere la parola: nel suo stesso romanzo e nella risposta a una domanda postagli da Corrado Piancastelli. Nelle pagine del Male oscuro, infatti, il protagonista descrive il proprio comportamento linguistico nel momento in cui parla con l’analista: è esplicitata in questo luogo la “chiave di scrittura” dell’intero romanzo. Il protagonista si trova disteso sul lettino freudiano con l’impegno di: «Dare ordine logico ai pensieri che esprimo, il che è molto sbagliato a quanto si dice poiché per l’analisi è necessario presentarsi il più possibile liberi da sovrastrutture intellettuali o altri convenzionalismi, però siccome a me strano a dirsi riesce più naturale essere così innaturale che non naturale nel senso comunemente inteso ecco che in un certo modo sono a posto. […] il paziente dovrebbe dire in assoluta libertà tutto ciò che gli passa per la mente senza mediazione o intervento di facoltà critiche, ma qui io temo proprio di non esserci e infatti la prima resistenza che il vecchietto tenta di vincere in me è la resistenza diciamo così espositiva. […] Ma io gli rispondo subito che questo non posso proprio farlo perché non so se per decoro borghese o altro malanno ereditato direi bene dal padre sia pure limitatamente alla parte lessicale e sintattica adatto sempre il discorso alla persona alla quale lo rivolgo […] e così con lui io mi sento impegnato ad una lucida e corretta esposizione di pensieri»6 (corsivo mio).

Un passo metaletterario, utilissimo per capire che anche l’ordine sintattico può nascondere una libertà di fondo. Lo stesso concetto è riproposto nell’intervista rilasciata a Piancastelli.

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G. Berto, Il male oscuro, Milano, Rizzoli 1964, p. 293.

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«I miei sforzi, ricordo, erano per abbandonarmi del tutto al casuale (casuale per modo di dire: in psicoanalisi non esiste nulla di casuale) nascere dei pensieri e delle immagini e forse ci riuscivo abbastanza bene, ma nell’esprimere i pensieri e nel descrivere le immagini non riuscivo certo a liberarmi da quello sviscerato amore per l’ordine, per i congiuntivi ben collocati, ch’è un aspetto, temo, del mio perfezionismo, il quale a sua volta è un elemento piuttosto persistente della mia nevrosi. Cioè neppure in analisi riuscivo a dimenticare la mia propensione ad esprimermi con la maggiore chiarezza e la maggiore precisione a me possibili[…]»7.

Da questa risposta meglio s’intuisce che il controllo sintattico non avviene nel momento della formazione del pensiero, ma in quello dell’esposizione verbale dei pensieri. Il colloquio con Piancastelli continua con il racconto degli eventi del 1963: Berto decise di scrivere Il male oscuro facendo uso degli strumenti culturali forniti dall’analisi, cioè abolendo quanto più possibile «la connessione ragionata tra un pensiero e l’altro […] ma mantenendo […] la tendenza a costruire ogni frase secondo la sintassi classica»8. Come già detto non è solo l’esposizione il momento dell’ordine raziocinante, in quanto alla prima stesura succedette una revisione in cui l’autore lavorò sul testo «mettendo un po’ d’ordine in quelle associazioni che m’erano venute fuori magari troppo libere […]. Ma l’impianto narrativo rimase sostanzialmente quello che era […]»9. Berto era cosciente che tutto ciò è sconosciuto al lettore medio, che il proprio risultato formale poteva essere accolto più per le somiglianze con quello di Joyce che non per le innovazioni portate avanti. È sullo slancio di que7 c. PiancaStelli, Giuseppe Berto, Firenze, La Nuova Italia 1972, p. 8. 8 Ibidem, pp. 8-9. 9 Ibidem, p. 9.

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sta presa di coscienza che decide di indossare i panni del critico per deinire la propria differenza dall’autore dell’Ulisse: «Tra Joyce e me ci sono tali e tante differenze anche nella tecnica narrativa […] che insistetti nel credere in un mio piccolo margine d’originalità e osai deinire la mia tecnica narrativa con la denominazione di “discorso associativo” appunto per sottolineare ch’essa era nata non da un’esperienza letteraria, ma da un’esperienza di vita che […] era anche una grande, fondamentale esperienza culturale. Questa combinazione nevrosi-psicoanalisi è alla base della mia eventuale originalità […]. Credo di essere stato il primo, almeno in Italia, a servirmi di un mezzo psicoanalitico come di un mezzo espressivo e da qui ricavo anche la legittimità della denominazione “discorso associativo”» 10.

Voce e Tempo: occultamento dell’onniscienza Il romanzo di Berto è scritto in prima persona e, trattandosi di un romanzo largamente autobiograico, il tempo della storia corrisponde in certa misura al tempo biograico dell’autore, rivisti entrambi sotto la lente percettiva del tempo psicologico che lo status di nevrotico impone sia al protagonista che dice io nell’autonominarsi, sia e soprattutto a Berto. Le crisi nervose di io sono quindi desunte dalle crisi reali dell’autore o, meglio, godono certamente di una certa “aria di famiglia” comune con esse. La inzione ha sempre, in questi luoghi del testo, l’odore della realtà. Il momento della scrittura è operato in seno alla soggettività di chi scrive, che non agisce in un presente imperituro, ma in una contemporaneità mutevole; e un uomo, a maggior ragione se nevrotico, può cambiare repentinamente la propria concezione dello spazio, del tempo e della 10

Ibidem, p. 7.

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qualità essenziale degli eventi. Quindi il tempo che corre tra l’inizio e la ine di una crisi di nervi, nella storia reale/inzionale può avere una durata, ma nella narrazione può averne un’altra, e il tempo della narrazione è inluenzato da due tipi di tempo psicologico: quello che opera sul Berto autore biograico – prendendo possesso delle sue capacità di percezione del fenomeno crisi – e quello che opera sul Berto narratore, che si accinge a rivivere la crisi mettendo nero su bianco la sua rappresentazione. Proprio per questo motivo la voce non è totalmente onnisciente in tutti i momenti del libro, in quanto la conoscenza della vicenda da parte del narratore è continuamente messa in crisi da un’operazione mimetica che ascrive i suoi motivi all’interno di una regola non detta ma imposta dalla tecnica del discorso associativo: vi sono momenti in cui, raccontando un episodio della propria vita, il protagonista dimostra di conoscerne il inale, e ciò si veriica quando il testo è guidato da un preciso tempo verbale, l’imperfetto narrativo. Ma in altri passi, riverberando sulla pagina il pathos della malattia per diminuire il distanziamento, Berto utilizza il presente indicativo, come se il protagonista stesse vivendo ancora una volta il ricordo che si accinge a narrare, mostrandosi però, in questo contesto, apparentemente ignaro di come l’evento narrato andrà a concludersi. Un’operazione funzionale di questo tipo fa dedurre che alcuni ricordi, tradotti in opera d’arte, possono esercitare sulla personalità dell’autore una carica psicologica superiore, ravvisabile nell’intenzione catartica di riviverli attraverso la scrittura come parola che si fa rivelazione e strumento medicinale. Non si può però non ravvisare che il protagonista del Male oscuro, sin dall’inizio del testo, ha piena coscienza che il proprio destino sarà

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quello di rifugiarsi a Capo Vaticano, in Calabria. Il male oscuro avrà infatti i...


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