Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche PDF

Title Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche
Author Martie J.
Course Linguistica e persuasione
Institution Università degli Studi Roma Tre
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Summary

Perché "sei un pozzo di scienza" ma "non riesci a cavare un ragno dal buco"? Per scoprire cosa c'è dietro queste curiose espressioni, in che cosa consista il parlar figurato, questo libro è un'ottima guida....


Description

Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche I. Le figure del discorso Le figure del discorso sono schemi secondo i quali si può modellare l’espressione del pensiero. Il latino figura corrisponde al vocabolo greco schema, col significato di “configurazione”. La classificazione degli elementi e delle procedure che costituiscono il parlar figurato apparteneva all’ambito della elocutio, “elocuzione”, “espressione”: l’atto di dare forma linguistica alle idee. Nei secoli si impose la concezione delle figure come ornamenti. In seguito, furono chiamate anche “fiori” o “colori”. Nell’insieme delle figure retoriche furono distinti i tropi, il cui significato del termine è “svolta”. I diversi procedimenti attraverso i quali si generano i significati caratterizzano le singole figure, dette traslati. Sono nomi diversi per lo stesso fatto retorico: deviazione e trasposizione di significato. Un tropo è “un’irregolarità di contenuto messa in rilievo”. Un tropo coinciderebbe con una rottura delle attese alle quali il contesto ci indirizza. Negli anni Settanta si sono affermate le proposte degli studiosi appartenenti al gruppo di Liegi. Le figure, denominate metabole, sono state ordinate secondo le procedure che le generano: “grammaticali” e “logiche”. II. Come creare significati complessi Con il termine catacresi ci servivamo per dire che un senso figurato è diventato abituale, e quindi “proprio” di una determinata parola o locuzione. Un tropo si trasforma in una catacresi diventando abituale. Ciò che contribuisce a determinare una catacresi è la “necessità”, dovuta a una mancanza o insufficienza nel lessico di una lingua. La catacresi ha un ruolo importante nella formazione del lessico di una lingua. È un fattore di polisemia, cioè di pluralità di significati per una stessa parola. Ha dunque la funzione di riempire un vuoto nel lessico. La metafora è la più facile da riconoscere e la più difficile da definire. La metafora è la sostituzione di una parola con un’altra il cui senso letterale ha una qualche somiglianza col senso letterale della parola sostituita. Il procedimento generatore di una metafora sarebbe la contrazione di un paragone: un’entità viene a identificarsi con quella con cui è confrontata. Di qui la definizione di “similitudine abbreviata”. Distinguiamo le “metafore d’uso” dalle “metafore d’invenzione”. Le prime sono catacresi di metafore, a cui aggiungiamo stereotipi che non hanno cessato di essere percepiti come traslati. Sono dette metafore di denominazione perché servono a “dare il nome” ad entità che non ne hanno un altro. Le metafore d’invenzione pullulano in ogni tipo di discorso. Ci sono metafore che manifestano delle somiglianze, ma molte, anziché registrare similarità preesistenti, sembrano piuttosto crearle. Certe metafore ci fanno vedere aspetti della realtà che esse stesse hanno aiutato a costruire. Tali sono le metafore della scienza: le “ onde sonore”, la “catena del DNA”, i “buchi neri”, ecc. La metafora non è un semplice “ornamento”, ma esprime un modo di vedere la realtà. METAFORA: da metaphérō «io trasporto». La sinestesia è quel tipo di metafora che consiste nel trasferimento di un significato all’uno all’altro dominio percettivo. es. È andato tutto liscio. SINESTESIA: «percezione simultanea».

Secondo la tradizione retorica, si ha una metonimia quando si designa “un’entità qualsiasi mediante il nome di un’altra entità che sta alla prima come la causa sta all’effetto e viceversa, oppure che le corrisponde per legami di reciproca dipendenza”. I principali tipi metonimici rispondono ad alcune domande relative ai “luoghi comuni”: per opera di chi? Perché? Dove? In che modo? METONIMIA: in greco metonymía «scambio di nome». La sineddoche consiste nell’esprimere una nozione con una parola che denota un’altra nozione, e questa ha con la prima un rapporto quantitativo: come quando si nomina la parte per il tutto o il tutto per la parte. È stata anche definita come una “metonimia di relazione quantitativa”. SINEDDOCHE: «insieme, con». Metalessi è un’etichetta di comodo per indicare l’accumularsi o il fondersi di più figure in una. Si trovano metalessi in detti popolari come: “guadagnarsi il pane col sudore della fronte” (sudore → fatica → lavoro). Non si deve assimilare la metalessi alla metonimia. Per Fontanier la metalessi consiste nel “fare intendere una cosa per mezzo di un’altra, che la precede, la segue, l’accompagna, ne è un’aggiunta”. Essa appare come una combinazione di figure. Potremmo anche pensare alla metalessi come a un contenitore, o meglio, come a un dispositivo che funziona se messo in moto da altre figure. METALESSI: «partecipazione» e «scambio, sostituzione». L’antonomasia è la sostituzione di un nome con un epiteto o una perifrasi atti a esprimere una caratteristica considerata distintiva dell’individuo, oggetto, fatto di cui si è sostituito il nome: l’Onnipotente, la capitale del cinema (Hollywood). È una perifrasi ed è anche una variante della sineddoche. ANTONOMASIA: in greco antonomasía «al posto di, invece di». La perifrasi è un “giro di parole” che sostituisce un unico termine con una definizione o con una parafrasi. Può essere considerata come un “sinonimo a più termini”. PERIFRASI: in greco períphrasis, di cui è calco il latino circumloquium «l’andare attorno». Iperbole è “l’andare oltre” il vero, l’esagerazione nell’amplificare o nel ridurre la rappresentazione dei connotati di ciò che si comunica, mantenendo tuttavia col vero una qualche lontana somiglianza. Frasi come “Non ha un briciolo di cervello” e “Le grida salivano alle stelle” sono iperboli d’uso, modi di dire incredibili che presentano le cose molto al di sopra o molto al di sotto di ciò che sono. È il contesto a determinare l’interpretazione. IPERBOLE: «eccesso, esagerazione». L’enfasi è usata come “aumento di espressione in generale”. L’allusione viene definita come un “velato accenno a chi o a ciò che non si vuole nominare apertamente”. Non si nomina l’oggetto del discorso ma gli si fanno riferimenti indiretti, puntando su tratti capaci di caratterizzarlo. I modi allusivi trionfano nelle pubblicità, “Spremute di agrumi. La buona azione quotidiana” e nei titoli giornalistici, legandosi a citazioni, “ Guerra e pace. «Il forte di Bard da baluardo militare a simbolo turistico»”. L’allusione è una delle figure che più hanno bisogno del contesto (linguistico e culturale) per essere riconosciute. Non ha infatti alcuna particolarità di struttura, ma si fonda su un rapporto con qualche cosa che si dà per scontato. Essa è immagine e specchio della letterarietà: convoglia la densità semantica e contemporaneamente la vaghezza, l’apertura a interpretazioni diverse, la polisemia, che sono costituzionali

al testo letterario. Proprietà sostanziale dell’allusione è l’intimo contrasto del mostrare occultando, del rendere manifesta una cosa senza dirla o dicendone un’altra al suo posto. ENFASI: in greco émphasis «esibizione», «dare a intendere». ALLUSIONE: in greco synémphasis «il richiamare»; hypónoia «supposizione, insinuazione». ENIGMA: «dico copertamente, accenno alludendo». Quando per affermare nego il contrario, uso delle litoti. L’effetto è ironico. La litote è stata definita “ironia di dissimulazione”. Il parlare quotidiano abbonda di litoti: “Non è mica scemo”, “Non si può negare che…”. Sono il tono e le circostanze del discorso che ci fanno capire se la forma negativa ha la forza di una litote. L’eufemismo è il modo di sostituire l’espressione diretta di idee ritenute sgradevoli, o censurate, con espressioni velate che designino per vie indirette ciò che non si vuole chiamare col suo nome. Si tende a non chiamare col loro nome fatti ed eventi sgradevoli, infausti, dolorosi. La censura verbale si esercita eliminando le parole da non dire. Nello scritto queste sono sostituite da puntini (tre, generalmente). Si adoperano puntini, oppure uno o più asterischi, al posto di nomi di persona e di luogo che non si vogliono rivelare. La dissimulazione e la simulazione sono atteggiamenti tra loro contrari e complementari. Forme della dissimulazione sono il parlar coperto, in cifra, il sostituire con un’espressione neutrale un modo di dire più colorito ma urtante, pericoloso. Il dissimulare implica anche il simulare.si usa il “plurale di modestia” o l’impersonale come occultamento della persona di chi parla o scrive o si espone in terza persona le proprie idee. LITOTE: «semplicità, diminuzione». L’antifrasi è una forma di ironia, la più “aggressiva ed esplicita”, che si ha quando un’espressione viene usata per dire l’opposto di ciò che essa significa. Come nella frase “ Bella giornata, oggi” per dire “brutta, pessima”. ANTIFRASI: «cambiamento di senso, rovesciamento». L’ironia può apparire come uno “sgonfiamento” dell’enfasi, del prendersi sul serio, e indurci a ridimensionare il mondo e noi stessi, con battute superficiali e futili, o con riflessioni amare, satiriche, o con “umorismo demenziale”. Nella sua essenza, è mescolanza di riso e pianto. L’ironia è “distanziamento”: si parla di qualcosa invitando implicitamente a non prestarvi fede. IRONIA: «finzione». L’ossimoro si forma quando uno dei due componenti esprime una predicazione contraria o contraddittoria rispetto al senso dell’altro, al quale è unito da uno dei seguenti rapporti sintattici: a) Soggetto/predicato: “La loro vita è morte d’immortali / E d’immortali vita, il morire.” b) Nome/attributo: “[…] con l’altra che tu hai scelto, insensato senso.” c) Verbo/avverbio: “Mi avvicino guardingo e ferisco / senza ferire…” OSSIMORO: «intelligente stoltezza». L’allegoria è una “metafora prolungata”. È sistematica e convenzionale. Si realizza con precise regole testuali che sono ancorate alla cultura delle diverse epoche.

ALLEGORIA: in greco allēgoría, da állēi «altrimenti» e agoréuō «parlo». In latino allegoria e inversio «scambio». Personificare vuol dire raffigurare. Si possono personificare, cioè “umanizzare” esseri viventi e cose inanimate. Prosopopea è l’altra etichetta di personificazione. III. Effetti speciali della sinonimia Sinonimi: parole diverse con significato equivalente. Si attenua o si rende più colorita o precisa un’espressione; si eliminano ripetizioni non necessarie; si evitano rime fastidiose in prosa o cacofonie, dove per cacofonia si intende il “cattivo suono”. SINONIMIA: «comunanza di nome». Metalessi significa insieme “partecipazione” e “trasposizione”. Fu adibito anche per fenomeni di sinonimia da cui risultano equivoci di senso. Trattando come sinonimi i nomi propri si dà luogo a un’improprietà. Un nome proprio, in quanto “nome individuale”, non ha sinonimi. Esistono però pseudonimi alla cui origine sta una metalessi. Nella lingua comune si usa il termine climax quando si vuole esprimere una progressione, un’intensificazione graduale di effetti. Questa figura corrisponde a un’amplificazione o a un’attenuazione progressiva delle idee comunicate. Si tratta di un’intensificazione graduale. IV. Trovare le somiglianze Analogia è sinonimo di somiglianza, cioè di caratteri tra due entità che vengono confrontate l’una con l’altra. Un’analogia riuscita può arrivare a dare forma stabile a concetti nuovi. La similitudine è considerata una delle due specie del paragone, frutti del ragionamento analogico. Si confrontano esseri animati e inanimati, atteggiamenti, azioni, processi, avvenimenti, in uno dei quali si colgono caratteri somiglianti e paragonabili a quelli dell’altro. Nella sua forma esemplare, la similitudine si presenta come sviluppo di un nucleo descrittivo o narrativo. La comparazione consiste in un paragone reversibile. I due termini della comparazione possono scambiarsi il ruolo: il primo può diventare il secondo e viceversa, producendo un enunciato equivalente al primo nel significato. A differenza di quest’ultima, la similitudine non è reversibile. Scambiando di posto i termini si ottiene, infatti, almeno un raddoppio del carico figurale. es. “Questo rimorso pesa come un macigno” → “Questo macigno pesa come un rimorso” SIMILITUDINE: «paragone, confronto». V. Giocare con le parole Il termine metaplasmo è giunto all’italiano dal latino mataplasmus, adattamento del greco metaplasmós «trasformazione». Metaplasmo è dunque la trasformazione, il cambiamento, che si impone alla forma di una parola sopprimendo, aggiungendo o scambiandone elementi. Sono metaplasmi l’elisione, il troncamento, la sincope e altri. Le parole-macedonia sono tipi di abbreviazioni ottenute mettendo insieme pezzi di parole, come Confindustria «CONFederazione dell’INDUSTRIA» e Cobas «COmitati di BASe». In inglese si usa l’espressione portmanteau word “parola valigia”. Un famoso esempio è smog, formata da smoke “fumo” e fog “nebbia”. Questo procedimento si chiama acrònimo. La formazione di parole-macedonia usa liberamente il meccanismo della crasi, che in greco è la contrazione della vocale o del dittongo terminale di una parola con la vocale o il dittongo iniziale della parola successiva.

Acrostico è l’artificio che consiste nel formare parole o frasi con iniziali di parole o di versi, strofe, canti o capitoli. Se cambiamo di posto gli elementi di una parola in modo da ottenerne un’altra, abbiamo un anagramma. Esso venne alla luce nel III secolo a. C. Ci sono vocaboli e sequenze che si possono leggere indifferentemente da sinistra a destra e viceversa. Sono i palindromi. Le lingue abbondano di parole polisemiche e di omonimi. Gli omonimi sono parole uguali nella forma, ma diverse per significato e origine. Sono omofoni quando si pronunciano nello stesso modo e omografi quando si scrivono nello stesso modo. Il loro uso può generare equivoci. La paronomasia è la combinazione di parole che hanno fra loro variazioni minime di suoni, ma notevoli differenze di significato. È una deformazione della parola, come nella frase “L’ inverno è lastricato di buone intenzioni”. PARONOMASIA: «alterazione di un nome». Al principio dell’Ottocento, fu coniato il termine malapropismo per indicare gli errori nati da somiglianze di forma delle parole. I malapropismi sono paronomasie involontarie. Di fronte a termini inconsueti il parlante ricorre a parole note che somiglino nella forma alle ignote, le confonde e talvolta le fonde insieme. VI. Parlare in breve “Parlare in breve”, usando solamente le parole necessarie, è il senso del grecismo brachilogia. Gli è sinonimo concisione. Il discorso conciso è quello a cui non si può togliere nulla senza renderlo oscuro. I mezzi della brachilogia sono figure “in togliere”. Si ottengono sopprimendo qualcosa, ma in modo che ciò che viene cancellato possa essere intuito oppure dedotto da ciò che rimane. Di qui il termine laconismo che significa ridurre un discorso all’essenziale. Parlar laconico significava dare ordini. La concisione si identificava perciò con la imperatoria brevitas «espressione concisa di comando», tipica del linguaggio militare, ma trasferita, per estensione, anche agli altri tipi di discorso, in particolare a motti, aforismi, apprezzata per l’efficacia incisiva. Percursio è parola latina che si connette a percurrere «attraversare correndo». È un racconto che “corre” veloce: una scorsa, appunto, su argomenti che vengono solo indicati o trattati per sommi capi. La percursio corrisponde alla facoltà della mente di “pensare molte cose in un tempo breve”. È un racconto ridotto all’essenziale, una sintesi brillante e incisiva. Con ellissi si pensa a qualcosa che viene “omesso” e “sottinteso”. Dal punto di vista stilistico, è un espediente per “snellire” il discorso eliminando ripetizioni. Quando ciò di cui si parla non viene mai nominato si tratta di ellissi “totali” del tema, sedi privilegiate i testi poetici. ELLISSI: «mancanza». La preterizione è la rinuncia dichiarata a soffermarsi su argomenti che si indicano appena, che possono servire ad abbreviare un racconto. PRETERIZIONE: «tralascio, ometto, vado oltre». Aposiopesi o reticenza è l’interruzione improvvisa di un discorso quando già un tema è stato annunciato o avviato. La reticenza comprende anche forme di autocensura, di rinuncia a nominare esplicitamente qualcuno o qualcosa. APOSIOPESI: «mi interrompo, taccio». RETICENZA: «il tacere». VII. Il silenzio

La reticenza e l’ellissi sono considerate “figure del silenzio”. Segnalano il venir meno della comunicazione, troncandola o eliminandone elementi. Esistono tante specie di silenzio quanti sono i nostri atteggiamenti di fronte alla realtà. Pensiamo ai punti di sospensione, che sono un’arma a doppio taglio, oppure il prolungamento di effetti sonori o un rallentamento del ritmo. La forza comunicativa del silenzio è grandissima. Il silenzio come risposta può manifestare umiliazione, imbarazzo, commozione, partecipazione al dolore o alla gioia altrui da non poter essere tradotta in parole. Può insinuare sospetti, produrre malintesi. Ogni cultura infatti ha stabilito le regole non solo del parlare, ma anche del tacere. VIII. Il parlare sentenzioso La parola sentenza, oltre a significare “giudizio”, ha il senso da cui si ricava l’aggettivo sentenzioso nell’espressione parlare sentenzioso. Lausberg l’ha definita «locus communis», cioè “luogo comune”. Sentenza è un termine generico per più varietà: la massima a cui si attribuisce una validità generale; il motto da qualificare secondo le diverse specie: memorabile, proverbiale, arguto. Le sentenze hanno origine letteraria. Sono la forma più diffusa di citazione. SENTENZA: in latino sententia «opinione». L’epifonema è una sentenza posta a conclusione di un discorso. È una “riflessione vivace e breve” che si distacca nettamente dal contesto. EPIFONEMA: «voce aggiunta». L’aforisma è una sentenza dotata di capacità definitoria. Concentra in una sola proposizione o in una composizione brevissima giudizi e riflessioni morali, resoconti di esperienze, asserzioni riguardanti un sapere specifico (filosofico, politico e militare, medico, artistico). IX. Mettere davanti agli occhi I Greci chiamarono phantasía e i latini visio la facoltà immaginativa: la capacità di rappresentarsi davanti agli occhi oggetti mentali. X. Indugiare, rifinire, spiegare Si chiamò commoratio l’indugio ripetitivo sulle idee comunicative. Il termine deriva da morari «indugiare». L’expolitio, traducibile col termine ritocco, è un ritornare sullo stesso tema o sul suo nucleo, aggiungendo informazioni complementari e variando l’espressione. Altra forma di “indugio” è la parafrasi interpretativa, che consiste nell’accostare a un enunciato un altro equivalente, col risultato di chiarire e arricchire il pensiero già espresso. Essa è simile alla definizione. Definire significa delimitare un concetto, dichiarare con precisione “ciò che si intende con…”. Una definizione, se usata al posto del termine, è una perifrasi sostitutiva. Se si presenta invece come spiegazione del significato originario di una parola è una etimologia. XI. Forme dell’accumulazione In un discorso si possono aggiungere e togliere elementi. Si ha accumulazione quando si aggiungono gli uni agli altri, mediante coordinazione o subordinazione, membri di frase che non siano ripetuti. Un esempio è la climax o gradazione. Quando

consiste nel “crescendo graduale degli effetti” è una figura dell’accumulazione. Quando consiste nella concatenazione è una figura della ripetizione. ACCUMULAZIONE: «raccolta, agglomerato». L’enumerazione è un procedimento comune a ogni tipo di discorso e di testo. Endiadi è termine giunto dal latino che vuol dire “una cosa per mezzo di due”. Consiste nell’usare due espressioni coordinate al posto di un’espressione composta da due membri di cui l’uno sia subordinato all’altro. L’epiteto è un aggettivo, un nome o una locuzione “aggiunti” a un altro nome per qualificarlo. Si usa infatti anche come sinonimo di aggettivo. XII. Parentesi e digressioni Con il termine parentesi si designano sia i segni grafici sia le parti di testo fra questi racchiuse. Nell’orale le parentetiche, le incidentali e gli incisi sono segnalati da cambiamenti nell’intonazione: nello scritto, da parentesi tonde, lineette e virgole. Al cambiamento del tono di voce nella letteratura corrisponde uno sdoppiamento nel discorso: due discorsi in uno, paralleli e contemporanei. Racconto e commento. XIII. Drammatizzare il discorso Drammatizzare, ossia “mettere in forma di dramma”, non vuol dire soltanto trasformare una narrazione in un dialogo di più personaggi, cioè un testo drammatic...


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