Interpretazione E Oltreuomo (Nietzsche) PDF

Title Interpretazione E Oltreuomo (Nietzsche)
Author Assunta DAlessio
Course Storia della filosofia contemporanea
Institution Università degli Studi di Perugia
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Summary

riassunto dettagliato del libro interpretazione e oltreuomo di nietzsche con saggio introduttivo scritto dalla prof furia valori....


Description

Interpretazione e oltreuomo Saggio introduttivo di Furia Valori I.

L’interpretazione rivelante

L’interpretazione riveste un ruolo fondamentale nel pensiero di Nietzsche, anche se esponenti dell’ermeneutica non ne hanno riconosciuto pienamente l’apporto. Gadamer solo dopo la pubblicazione di Verità e metodo, ne sottolinea l’importanza; Ricoeur si riferisce a lui come a uno “dei maestri del sospetto”. Le molte figure dell’interpretare si risolverebbero in un gioco all’infinito di rimandi di senso se non si ancorassero all’aspetto rivelante, che Nietzsche delinea in più luoghi. Infatti, un criticare, un decostruire e un ricostruire genealogico, che non fossero mossi da un criterio si risolverebbero in un mero distruggere; esso non si manifesta con la veste del metodo, ma corre incontro con la sovrabbondanza di un nuovo ideale di umanità che si impone con la tragicità del destino. Nietzsche delinea in Ecce homo, la dinamica dell’interpretazione rivelante. Nel capitolo dedicato all’auto-presentazione emergono alcune caratteristiche fondamentali dell’interpretazione rivelante: la sua positività, l’affermatività del contenuto, il costituire la pars construens del pensare. Il presupposto “fu una rinascita nell’arte dell’ascoltare”. L’altro presupposto Nietzsche lo individua in un cambiamento improvviso, profondo e ineludibile del gusto musicale. Non a caso precisa che tutto il Così parlò Zarathustra può essere considerato musica, di quella musica che ne La nascita della tragedia costituisce il modo di esprimersi eletto della forza dionisiaca capace di squarciare il velo di Maya rassicurante, dominato schopenhauerianamente dal principium individuationis. Insomma, ciò testimonia, la disposizione ad accogliere un cambiamento profondo, totale, radicale. Accade qualcosa che in fondo non è esatto chiamare intuizione; il filosofo è preso da quel pensiero, l’oggetto di conseguenza diventa soggetto. E certo il soggetto ricercante, manipolante, dominante, che si dispiega e pensa di realizzarsi temporalmente è messo tra parentesi. In un’annotazione del 1881 Nietzsche riporta l’intuizione dell’eterno ritorno e su come sia da intendere: non come gioco dominato dall’uomo. Nelle circostanze più sfavorevoli, nasce l’opera. Anche per il tipo dello Zarathustra, che è figura dell’oltreuomo, si presenta la medesima struttura rivelante, indipendentemente da Nietzsche. Anche questa rivelazione presuppone un cambiamento, a livello fisiologico, dove l’espressione di fisiologico ha per lui una portata globale che illustra in Ecce homo rimandando alla fine dl quinto libro de la gaia scienza. Il tipo dello Zarathustra risponde al bisogno di un nuovo bene e di un nuovo fine. Nel 3 capitolo di Ecce homo Nietzsche ritorna sulla sua fenomenologia della rivelazione, identificandola all’ispirazione dei poeti delle epoche forti. Per chi ha ancora un residuo di superstizione, di fatto sarà difficile rifiutare la rappresentazione di essere sotto la dinamica di poteri per i quali il soggetto ispirato è solo un mezzo. Ma subito stigmatizzata questa lettura superstiziosa della rivelazione, presentandola con l’evidenza dell’esperienza. Dopo aver trattato delle caratteristiche della rivelazione, conclude che l’ispirazione-rivelazione sono due aspetti di un medesimo evento, è un esperienza, non una credenza superstiziosa. La sottolineatura della fattualità e dell’evidenza sembra assumere da parte di Nietzsche dei criteri cardine della scienza positivistica a lui contemporanea, una sorta di accreditamento presso i contemporanei per una esperienza eccezionale. Nietzsche descrive la propria esperienza come un fatto straordinario, che sconvolge l’esperienza quotidiana: qualcosa accade improvvisamente, non prodotto o prevedibile secondo le consuete connessioni causali. Il non scegliere, la necessità di cui parla Nietzsche si coniugano con il massimo operare, con la libertà. L’esperienza rivelativa è caratterizzata dall’esser rapito, dall’esser fuori di sé, dalla lacerazione del principium individuationis, per esprimersi non a caso in termini schopenhaueriani, del resto usati dallo stesso Nietzsche ne La nascita della tragedia ad indicare lo stato

dell’artista animato da spirito dionisiaco nel momento dell’intuizione artistica. In Ecce homo Nietzsche si descrive sollevato su un orizzonte superiore in cui vive in un abisso di felicità. Qui Nietzsche è lontano da Schopenhauer e dalla sua soteriologia come liberazione dal dolore: e su questo tema fondamentale lo è sempre stato, anche quando la rottura non era avvenuta esplicitamente. L’esser fuori di sé non approda a un infinito negativo caratterizzato dal nulla delle determinazioni che si definisce e si pone nella negazione del molteplice, ma da esso perciò dipende; l’esser fuori di sé nitzscheano approda ad un livello che è al di là delle opposizioni di libertà e necessità, felicità e dolore, volontario e involontario. Perciò l’involontario è oltre la negazione della volontà come mancanza, bisognosità, che continuamente e inesaustamente chiede di essere soddisfatta. L’esser fuori di sé di Nietzsche richiama piuttosto l’elevarsi da parte del genio artistico alla contemplazione dell’idea, dove nella contemplazione estetica sono rotti i legami e i limiti del principium individuationis. Ma il culmine del cammino ascetico nello Schopenhauer maturo si coniuga con la negazione dell’ego e del dolore, mentre in Nietzsche l’esser fuori di sé si coniuga con il massimo della potenza, con l’incondizionatezza, la libertà, la redenzione dello stesso dolore , non fuggito, o negato, ma voluto, provocato. È l’esperienza, rara in sé, della volontà di potenza, quale principio metafisico di derivazione schopenhaueriana. Qui in Ecce homo Nietzsche non lo afferma, ma per lui la volontà di potenza non si identifica con la conservazione e con l’accrescimento, qui con la sovrabbondanza che dona.

II.

Il darsi del simbolo e dell’atto creativo

La concettualità consueta, ritenuta naturale, improvvisamente si rivela inadeguata ad esprimere il novum intuito. La parola di cui parla Nietzsche non è lo strumento in funzione del pensare, ma è lo stesso gioiello in cui si da il testo dell’essere. È il linguaggio poetico, poietico, pro-ducente, dischiudente, sul quale ritornerà Heidegger. Nell’interpretazione che scaturisce da una esperienza rivelativa le cose danno il proprio simbolo adeguato. L’interpretazione rivelante è caratterizzata quindi da una capacità simbolizzatrice originaria, creatrice, incondizionata, ma condizione di tutti gli altri aspetti dell’interpretare. I simboli non sono prodotti dall’interprete, Nietzsche evidenzia la tensione dell’essere al dire, al manifestarsi, alludendo ad un piano ultimativo, incondizionato, rispetto al quale i determinati orizzonti sono prospettive simbolico-valoriali. In questo contesto Nietzsche definisce fatto creativo: “Ogni atto che muove da ciò che in noi è più profondo, più intimo, più riposto”. Il fatto creativo costituisce la manifestazione, l’estrinsecazione di un interno, di una forza che si esprime al massimo grado. Il grado di cui parla Nietzsche non è l’arbitrario imporsi del soggetto, ma l’esser fuori di sé, a cui si accede da ciò che è più intimo, profondo o, se si vuole, più elevato. Il creare è rivelazione in cui il fare si identifica con un sapere e un sentire in cui le cose si offrono nelle immagini e nei simboli più adeguati. Nietzsche presenta in Ecce homo la propria concezione delle verità derivate da un’esperienza rivelante, anzi la riconosce operante nel farsi innanzi del pensiero abissale dell’eterno ritorno e nel darsi del tipo dello Zarathustra. Il ritorno dell’esser fuori di sé crea uno scarto fra due modi di essere spirituali, poi c’è il silenzio terrificante che si sente intorno a sé.

III.

L’uno originario e l’individuazione

Il cammino compiuto da Nietzsche nella maturazione dei concetti vertice è lungo: ma sin dall’inizio del percorso essi sono presenti in nuce in figure e riflessioni. Così La nascita della tragedia(1872) non intende presentarsi solo come ricostruzione della struttura e del senso della tragedia nel tutto della produzione spirituale greca secondo i dettami tradizionali del circolo ermeneutico; bensì si manifesta come un’opera in cui per Nietzsche la stessa filologia è in funzione della decostruzione e della rigenerazione della cultura occidentale. Infatti la messa in discussione dell’interpretazione tradizionale e dominante della grecità è condotta all’interno del più vasto

disegno di denuncia della decadence che attanaglia la civiltà occidentale. La decostruzione è guidata dall’intuizione di una sintesi che si è data nell’antica Grecia e che perciò si potrà realizzare di nuovo. Nel periodo eclatante della tragedia attica antica, la visione tragica dell’esistenza è caratterizzata da una concezione che annulla l’individuo, perciò fondamentalmente mistica dell’esistenza. In quest’opera Nietzsche ripensa in maniera originale Il mondo come volontà e rappresentazione. Il discorso nietzscheano, sulla base di una profonda e ampia base filologico-classica, perviene alla formulazione di una metafisica estetica: qui il discorso filologico si fa ermeneutico-ontologico: in ogni caso già innattuale con la sua interpretazione della grecità, della filologia, della stessa storia occidentale profonda. La filologia nietzscheana non intende essere mera ricostruzione, ma andare al di là del testo, come dirà in seguito in Al di là del bene e del male, e il testo si allarga al gran libro della storia; in questo Nietzsche è erede ad un tempo dell’estetica romantica e contemporaneo dello storicismo. Il suo scopo è quello di mostrare come l’elaborazione culturale, l’attività spirituale umana, compreso il rapporto soggettooggetto si siano sviluppate progressivamente occultando l’essenza tragica dell’esistenza, ciò che veramente è: allora la decostruzione si fa smascheramento e genealogia, in funzione di una rinascita estetica della splendida sintesi di dionisiaco e apollineo. Che non sia soltanto una ricostruzione filologia ed ermeneutico-esegetica della grecità, ma anche fondamentalmente riflessione filosofica, emerge subito dall’intendere da parte di Nietzsche sia il dionisiaco, sia l’apollineo come forze artistiche che emergono dalla natura, come i suoi impulsi artistici. Rispetto a queste forze l’artista è o imitatore e quindi artista apollineo del sogno, o artistica dionisiaco dall’ebbrezza, oppure è ad un tempo entrambi. Troviamo qui abbozzata l’esperienza della rivelazione artistica così come delineerà in Ecce homo: ne La nascita della tragedia emerge tutta la profondità del momento dionisiaco dell’ebbrezza caratterizzato dall’alienazione mistica di sé, che rompe quel principium individuationis in cui invece massimamente si esalta l’impulso apollineo. Questo elemento mistico è presente in Nietzsche e si esprime nell’ascesa o nel profondarsi nell’essenza del mondo. Ne La nascita della tragedia si ha il ritorno al principium individuationis mediante l’influsso dell’apollineo: lo stato di intima unità con l’essenza del mondo si rivela in immagini di sogno simboliche. Non a caso il fine specifico dell’opera è rivolto “alla conoscenza del genio dionisaco-apollineo e della sua opera d’arte, o almeno alla comprensione divinatrice del mistero di quell’unificazione. L’eredità schopenhaueriana emerge quando affronta il problema di come il lirico, che tradizionalmente è coniugato con la soggettività, possa essere artista. Non a caso nell’antichità l’identità del lirico si è coniugata con quella del musicista. Mentre la musica costituisce la prima interpretazione, una sorta di riflesso senza immagine e senza concetto mediante l’immagine, costituisce il secondo rispecchiamento come liberazione nell’illusione. Il musicista dionisiaco è totalmente il dolore originario stesso e la sua eco. Invece il genio lirico avverte il darsi delle immagini e dei simboli dallo stato mistico di alienazione di sé e di unità, mondo di immagini che si muovono secondo una connessione diversa da quella delineata dallo scultore o dall’epico. L’accentuazione dell’io nel lirico non è caratterizzata dal principium individuationis. Proprio nell’interpretazione dell’artista lirico Nietzsche si spinge in un affondo a Schopenhauer che è disvelante tanto della sua dipendenza affondo significativo del movimento che è in atto rispetto al suo maestro ideale. La lirica delineata da Schopenhauer appare a Nietzsche come un ‘arte imperfetta essenzialmente caratterizzata da una sorta di con fusione fra soggettivo e oggettivo, volere e contemplazione. Nietzsche sostiene che l’individuo con i suoi scopi non può che essere avversario e non origine dell’arte: per essere artista il soggetto è già liberato dalla volontà individuale ed è diventato un medium. L’unico vero artista è quell’io originario, rispetto al quale i soggetti sono immagini e proiezioni artistiche, giacché solo come fenomeni estetici l’esistenza e il mondo sono eternamente giustificati. Nietzsche compie una sorta di reductio ad anum: l’essere è l’unico creatore e spettatore, soggetto e oggetto contemporaneamente. L’abbandono della distinzione delle arti in oggettive e soggettive, e la radicalizzazione della capacità della musica di accedere all’uno originario di contro alla illusorietà simbolica delle altre arti, sono

condotti da Nietzsche sulla base della riduzione della struttura ontologica triadica, delineata da Schopenhauer nella sua maturità, in una struttura dualistica, basata sulla distinzione/opposizione fra conoscenza empirica e miglior coscienza. Solo la musica per Schopenhauer del mondo è temporanea intuizione dell’in sé. Invece Nietzsche compie un importante capovolgimento. Nietzsche va più avanti di Schopenhauer e lo rigorizza laddove distingue nettamente l’apparenza dall’essenza della musica. La volontà con il suo bramare, con il suo tendere è piuttosto lo specchio della finitezza, del limite, di quella esistenza che deve togliersi. Rispetto alla sfera dell’uno originario il linguaggio, come organo e simbolo delle apparenze. Il coro tragico va più a fondo, si muove in quel simbolismo musicale caratterizzato dalla illimitatezza, dalla universalità e dall’assoluta validità, qualitativamente differenti dal linguaggio. Il satiro barbuto è l’immagine originaria dell’uomo vero che cancella l’illusione della civiltà. Nella tragedia non è rappresentata la liberazione apollinea nell’illusione, ma al contrario lo spezzarsi dell’individuo e il suo unificarsi con l’essere originario. In questo senso fra Omero e Sofocle per Nietzsche c’è un abisso come fra l’illusione del sogno e l’ebbrezza della riunificazione con l’uno. Il protagonista della tragedia è Dionisio che costituisce una sorta di idealità. Dionisio è il Dio che soffre i dolori dell’individuazione che costituisce la fonte e la causa prima di ogni sofferenza, come qualcosa in sé detestabile. La concezione della fondamentale unità di tutto ciò che esiste, l’arte come lieta speranza affinché il dominio dell’individuazione possa essere spezzato per ripristinare la fondamentale unità, con questo Nietzsche ha delineato le caratteristiche della concezione dell’essere. Il filosofo di Danzica dapprima concepisce la volontà come l’in sé, e poi, lo fenomenizza, lo rende apparenza, dischiudendo misticamente verso un’indicibile ulteriorità. Nietzsche penetra quell’ulteriorità e delinea le dinamiche manifestivo/interpretative. Al contempo rielabora la problematica schopenhaueriana: egli riprende l’immagine del puro occhio. In Schopenhauer essa allude all’elevazione al puro soggetto intuente, sciolto dai legami spazio-temporali. Invece l’uno originario di cui parla Nietzsche è caratterizzato dalla coincidenza di soggetto e oggetto; ma altre volte ne parla come dell’io universale. Nel cammino soteriologico che Nietzsche aveva delineato è l’unica interpretazione. Lo stesso genio diventa un mezzo dell’unico artista. La prima definizione eredita la concezione schopenhaueriana dell’in sé come volontà infinita che è caratterizzata dalla contraddizione di un colore mai soddisfatto da alcun oggetto. Invece nell’unità originaria come soggetto-oggetto l’artista è solo un medium: ne deriva che l’esistenza e il mondo sono giustificati come fenomeni estetici. Il Nietzsche maturo giustificherà il divenire, ma per questo dovrà pensare a fondo l’apparenza, la rappresentazione; dovrà superare la dura leggenda del Sileno che esprime ne La nascita della tragedia tutta l’intuizione tragica dell’esistenza. Dovrà superare la scissione fra noumeno e rappresentazione apollinea, per approdare ad un dionisismo che non sarà più accettazione tragica dell’esistenza nel suo necessario togliersi, ma sarà un sì eternante. Il divenire spazio-temporale sarà giustificato e quindi redento nell’eterno ritorno.

IV.

L’uomo teoretico e la rinascita

La tragedia greca antica muore suicida. Essa sopravvive nella forma degenerata d’arte posteriore della commedia attica nuova e della tragedia attica nuova. Nella forma degenerata della tragedia emerge sulla scena lo spettatore, contemporaneamente viene eliminato dalla tragedia l’elemento dionisiaco originario e onnipotente. Socrate, l’eroe dialettico, ricorda l’eroe euripideo che de4ve sostenere le sue azioni con ragioni e contro ragioni e perciò non suscita più la compassioni tragica. Al pessimismo tragico si sostituisce in tal modo l’ottimismo dialettico. L’uomo teoretico impone il suo dominio logico, se con Socrate viene al mondo l’idea illusoria che il pensiero possa giungere mediante il filo conduttore della casualità non solo nelle profondità dell’essere ma addirittura anche di correggerlo, tuttavia proprio questa illusione conduce la scienza ai suoi limiti dove deve convertirsi in arte. Già con il Socrate morente si impone l’ideale di un uomo sottratto dal sapere alla paura della

morte e Nietzsche giunge ad auspicare, anzi a mostrare la necessità di nuove configurazioni del genio; si sente di garantire una sorta di rinascita dalla tragedia. Nella filosofia di Kant e Schopenhauer Nietzsche vede già innanzi una forza irriducibile allo spirito socratico, forza in grado di opporsi e di imporsi alla scienza. Anche l’uomo teoretico si sente insoddisfatto di fronte ad una scienza che si rivela solo interpretazione della realtà, per cui l’uomo moderno avverte il destino di essere l’eterno affamato. Per Nietzsche si ha bisogno ora che si sta vivendo la rinascita della tragedia; ma ora si corre anche il rischio di non cogliere il da dove e il verso dove si sta andando. Kant avrebbe posto in discussione il soddisfatto piacere di esistere del socratismo scientifico mostrando i limiti del conoscere scientifico e quindi del suo potere. Con le sue riflessioni Kant avrebbe aperto la strada ad una considerazione infinitamente più profonda sia dell’etica, sia dell’arte. E significativamente Nietzsche definisce come sapienza dionisiaca espressa in concetti tale riflessione che squarcia il velo dell’ottimismo socratico. Insomma, Kant e poi Schopenhauer sarebbero riusciti a dimostrare l’illusione di cogliere l’intima essenza delle cose sulla base dello spazio che in realtà servono soltanto a rendere l’apparenza, il velo di Maya, come suprema realtà. Lo scopo della nascita della tragedia non è ricostruttivo del passato, ma di rinascita del presente, di uscita dalla décadence della società e della cultura a lui contemporanee. Questo richiede la messa in chiaro delle origini e del percorso mediante una riflessione decostruttiva e al contempo genealogica che va al testo sotto al testo, oltre l’apparenza, riflessione che va al testo sotto al testo, oltre l’apparenza, riflessione che fa emergere le forze poderose che agiscono sotterraneamente, i problemi e le risposte, reali e apparenti. Nietzsche inizia a far emergere le inadeguatezze a livello metodologico, epistemologico e teleologico, non solo della filologia classica ma delle scienze dello spirito e delle scienze della natura.

V.

Il vero storico

Nietzsche si confronta anche con quell’ipertrofico senso storico di cui la sua epoca va fiera. In un’epoca di pieno dominio del positivismo Nietzsche conduce una serrata critica nei confronti dell’oggettivismo scientifico e della sua pretesa neutralità, anticipando argomentazioni ...


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