Introduzione Alla Criminologia Psicosociale PDF

Title Introduzione Alla Criminologia Psicosociale
Course Criminologia
Institution Università degli Studi di Genova
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Riassunto Introduzione alla Criminologia psicosociale...


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INTRODUZIONE ALA CRIMINOLOGIA PSICOSOCIALE INTRODUZIONE Il contributo della psicoanalisi alla criminologia può essere diviso in tre fasi temporali: 1. Fase pionieristica: a partire dal lavoro di Freud (1916) sul delinquente per senso di colpa. Deve essere ricordata anche la prima e ampia trattazione di Alexander e Staub che prende in considerazione alcune questioni fondamentali, proponendo una classificazione dei delinquenti su base psicoanalitica e abbozzando una gradazione nella partecipazione dell’Io del delinquente all’azione criminosa. Come si nota, già in questi primi lavori emerge il valore della psicoanalisi come strumento conoscitivo/teorico per la teorizzazione della personalità criminale, mentre non emerge la possibilità di utilizzare il metodo psicoanalitico per il trattamento della delinquenza. 2. Fase egemonica: a partire dagli anni Trenta la psicoanalisi approda negli Stati Uniti e conquista il campo della psichiatria e quello delle psicologie accademiche. Questo periodo è caratterizzato da un tentativo diretto di utilizzare la psicoanalisi nel trattamento dei delinquenti, anche se con scarso successo se applicata senza modificazioni (cioè parametri). La psicoanalisi entra quindi in carcere e nelle istituzioni per minori con disturbi del comportamento, utilizzando le terapie di gruppo. 3. Fase della crisi apparente: dagli anni Novanta è il periodo della sua messa in discussione. La psicoanalisi continua a costituire comunque un importante strumento di conoscenza clinica per spiegare il perché degli agiti antisociali. CAPITOLO 1: PERCHE’ UNA CRIMINOLOGIA PSICOSOCIALE? Qualsiasi delitto anche quello più “bizzarro” è normale e può essere compreso in base agli stessi processi psicosociali che riguardano tutti quanti noi; proprio come Freud vedeva le malattie mentali: siamo tutti più o meno nevrotici e la vita può rendere psicotico ciascuno di noi. Questo non elimina la necessità di capire, ma richiede che cerchiammo di farlo tenendo in considerazione sia la vita psichica che il mondo sociale in modo da poter comprendere ogni tipo di scelta individuale, da quelle del pacifista religioso a quello dell’omicida seriale. Tutto ciò conduce ad umanizzare il criminale, per quanto terribili siano stati i suoi atti, ed a salvarlo dai discorsi che tendono a promuovere pratiche di esclusione. CHE COS’È UN SOGGETTO PSICOSOCIALE?

nel caso della criminologia, tale terminologia viene usata per descrivere la combinazione ateoretica di fattori psicologici e sociali, intesi come “variabili” e “fattori di rischio”. Stephen Frosh lo definisce come un “insieme di studi psicosociali che si basa su un atteggiamento critico verso la psicologia nel suo complesso, ma che tuttavia persiste nel teorizzare il concetto di “soggetto psicologico””. In un passaggio Frosh descrive lo psicosociale come “un’entità senza soluzione di continuità... uno spazio in cui nozioni che vengono convenzionalmente distinte vengono invece pensate insieme, come intimamente connesse o forse anche come la stessa cosa. Altrove, lo studioso Frosh spiega tutto ciò in modo più dettagliato, definendo il soggetto sia come un centro di imputazione “agency” e di azione (l’utilizzatore di un linguaggio per esempio), sia il soggetto di forze che operano provenendo da “altri luoghi”. L’aspetto importante di questa concettualizzazione è che mantiene sia il livello dello psichico che quello del sociale, senza far estinguere l’uno nell’altro. Prendere sul serio il mondo sociale significa riflettere sulle problematiche connesse con una struttura sociale, il sistema di potere e i discorsi dominanti in modo tale che il soggetto socialmente costruito possa essere teorizzato come qualcosa di più della vittima, in più delle condizioni sociali che danno luogo ad esso. Un aspetto fondamentale che permette di connettere il soggetto psicoanalitico con il campo sociale del potere e del discorso è il concetto psicoanalitico di “fantasia”. PERCHE’ LO STUDIO DI CASI SINGOLI?

Con il recente interesse per gli studi psicosociali, sembra essersi sviluppato anche un crescente interesse per gli aspetti metodologici dello studio dei casi singoli. Tale metodologia consiste nella raccolta di molte informazioni su pochi “casi che si verificano naturalmente”, e a volte su uno soltanto, di solito analizzati dal punto di vista qualitativo. Alcuni studiosi sembrano d’accordo con tale metodologia d’approccio. Stake sostiene tale approccio come mezzo per acquisire una conoscenza completa ed approfondita del particolare, la quale può fornire le basi della cosiddetta “generalizzazione naturalistica” (“termine con cui si definisce la possibilità che, armato di una

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tale conoscenza, il lettore possa essere messo in grado di fare generalizzazioni sulla base delle proprie esperienze”). L’esperienza del singolo, tuttavia, può ingannare oltre che produrre conoscenza. In altre parole, l’esperienza non è mai trasparente, ma è sempre soggetta ad un lavoro interpretativo. Quindi l’idea di Stake, che lo scopo del metodo di studio di un singolo caso sia quello di facilitare la generalizzazione naturalistica è insufficiente. Gli studiosi Lincoln e Guba (2000) sostengono che le generalizzazioni siano intrinsecamente riduttive. Quindi essi preferirebbero “l’ipotesi del lavoro” rispetto all’idea della generalizzazione. Che cosa possiamo imparare da uno studio del singolo caso? Il nocciolo della risposta è che i casi aiutano nella costruzione della teoria. Anzi, sono essenziali. Tutte le teorie devono essere testate per verificare come possano spiegare i casi particolari. Quando viene applicata ad un nuovo caso, la teoria può essere confermata, o confermata solo parzialmente. Mitchell afferma a riguardo che fare una domanda simile rispetto ad uno studio di casi significa confondere due diversi processi inferenziali: quello statistico, che ha lo scopo di rispondere alla domanda su quanto sia rappresentativo o tipico il fenomeno studiato; e quello molto diverso di natura teorica, che mira a scoprire collegamenti logici o causali. Da ciò ne deriva che i casi atipici sono utili come tutti gli altri casi; in secondo luogo, il fatto che la finalità dello studio di casi singoli sia assertiva all’asseverazione di una teoria influirà sull’interpretazione, il che implica inevitabilmente una certa perdita di complessità del caso. Quindi, possiamo essere più precisi sul nostro atteggiamento verso tale nozione. In sostanza, consideriamo la varietà particolareggiata dei casi singoli, da noi intesi come dettagliati resoconti descrittivi di eventi particolari, come il nostro punto di partenza. Così per esempio, utilizziamo spesso resoconti giornalistici relativi a delitti particolari, ognuno a sua maniera costituiscono la manifestazione del “principio teorico generale e astratto” (nel nostro caso della soggettività psicosociale). COS’È ACCADUTO AL SOGGETTO CRIMINALE?

Una risposta implicita a questa domanda si trova nella storia dei progetti “governativi” e “lombrosiani” di criminologia. PROGETTO GOVERNATIVO→ lunga serie di indagini empiriche che, dal diciottesimo secolo, hanno cercato di accresce l’efficienza e l’equità dell’amministrazione della giustizia, redigendo grafici sulle caratteristiche della criminalità e osservando le prassi dell’attività di polizia e il funzionamento delle carceri. PROGETTO LOMBROSIANO→ fa riferimento ad un tipo di indagine che mira a sviluppare una scienza eziologica ed esplicativa, basata sulla premessa che i criminali possono esse in qualche maniera scientificamente distinti dai non-criminali.

Il progetto lombrosiano trovò consonanza con una medicina psicologica o psichiatrica, focalizzata sulle spiegazioni bio-psicologiche della follia e sul lavoro in contesti carcerari penali o psichiatrico-forensi. Negli anni Venti e trenta, gli studi psichiatrici impostati in senso clinico, costituivano la corrente criminologica principale in Gran Bretagna. Paradigmatico di questo approccio è il contributo di W. Norwood East che sosteneva che l’80% degli autori di reato fosse psicologicamente normale e pertanto richiedeva una comune punizione di routine, e non un trattamento psicologico. Tuttavia, nonostante alcuni importanti sviluppi istituzionali derivati da questo interesse per la psicoanalisi, essa restò solo un contributo importante, piuttosto che la componente principale della teorizzazione criminologica inglese. A poco a poco l’analisi statistica di una grande quantità di dati come esempio da seguire, prese il posto degli studi psichiatrici basati su dati clinici, e divenne il tipo privilegiato di ricerca sponsorizzata dal governo (in particolare dopo la Seconda guerra mondiale). Questa prima fase della criminologia francese (1890-1945) costituisce il periodo in cui la psicologia assume una posizione dominante nello sviluppo della conoscenza criminologica. L’attenzione era basata sui singoli soggetti delinquenti e sul loro trattamento, e il lavoro sociologico era parecchio trascurato (parliamo dei lavori di Durkheim o della scuola di Chicago). Anzi, la dimensione sociale del delitto veniva concepita come un fattore tra i tanti che operano sul singolo. Nell’ultima parte del XX secolo, il soggetto criminologico scompare e questo può essere fatto risalire al dominio del progetto governativo.

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Esso è stato dominante fin quasi al monopolio, e la scienza criminologica lombrosiana è stata utilizzata solo nella misura in cui potesse dimostrare di essere concretamente utile. Il dominio del progetto governativo fece ombra su tutti gli sviluppi successivi nella nuova disciplina. PERCHÉ LA CRIMINOLOGIA CRITICA NON È STATA IN GRADO DI CONCETTUALIZZARE IL SOGGETTO CRIMINOLOGICO?

Solo quando la sociologia venne a stabilirsi saldamente come disciplina accademica (nel secondo dopoguerra) che si sviluppò una nuova generazione di criminologi. Così per un po’ due criminologie, quella amministrativa (vecchia) e quella critica (nuova) vissero fianco a fianco. L’attenzione si spostò dalla dimensione micro a quella macro, dagli studi etnografici basati sulle ricerche empiriche ad analisi politiche teoricamente ispirate, che ritenevano più importanti gli aspetti strutturali o storici che l’interesse per le biografie degli individui; si passava così dalla sociologia della devianza allo studio delle relazioni tra la criminalità, il diritto e lo Stato. La ragione dell’assenza di un serio interesse per il soggetto criminale negli anni Sessanta e settanta sta nella carenza di adeguati strumenti teorici all’interno della psicologia. CAPITOLO 2: LA PSICOLOGIA E IL SOGGETTO CRIMINOLOGICO Nel primo capitolo si è sostenuta la necessità di un approccio psicosociale allo studio della criminalità e del controllo sociale ed esplorato i motivi del disinteresse della criminologia per i problemi eziologici. Fondamentale per questa analisi è stata l’opinione di Garland in base alla quale la “scienza delle cause” che si esprimeva nel progetto lombrosiano era “profondamente fallace”. I PRIMI APPROCCI PSICOANALITICI: SMITH, GLOVER E BOWLBY

Pubblicato la prima volta nel 1922 e ripubblicato nel 1933, The psychology of the criminal di Smith è un testo fedele nel riferirsi all’approccio psicoanalitico, definito come un nuovo sviluppo della psicologia. Egli aveva ripreso da Freud l’idea per cui, i conflitti emotivi sono stati gestiti attraverso la rimozione, essi danno luogo a “complessi” inconsci di “infinita varietà”, alcuni dei quali costituirebbero le cause del comportamento delinquente. Nelle poche occasioni in cui Smith produsse prove a sostegno delle sue affermazioni, si trattava di sintesi di casi fin troppo brevi. In sintesi, l’approccio dello studioso al delitto non era soltanto ed esclusivamente intra-psichico, ma era anche inadeguato dal punto di vista empirico, con diagnosi troppo sicure. Un approccio maggiormente sociologico fu quello di Edward Glover. Egli sostiene la necessità di formare un’equipe di ricerca in criminologia. Con ciò intende dire che i sociologi e psichiatri dovrebbero condurre le loro indagini criminologiche al fianco degli psicoanalisti. Glover criticava il riduzionismo biologico della psichiatria e non gli piaceva l’uso di termini dispregiativi per descrivere coloro che manifestano comportamenti anti-sociali. Egli analizzò la prostituzione ed era in disaccordo con coloro che spiegavano il commercio del sesso esclusivamente in termini economici. Il moralismo rigido era un fattore eziologico di alcuni tipi di prostituzione, in quanto sia le prostitute che i loro clienti erano connessi in maniera intersoggettiva da una reciproca ed inconscia svalutazione della sessualità normale e/o del genere sessuale opposto. Glover diversamente da quanto aveva fatto Smith sosteneva che gli atteggiamenti punitivi nei confronti della devianza sessuale e della criminalità in genere esprimano maggiormente la necessità di avere dei delitti da punire invece che punire in modo giusto o riabilitare gli autori di reato. Il contributo di John Bowlby si basa sulla ricchezza del materiale clinico. Egli ha dato origine ad approcci molto più intersoggettivi rispetto a quelli di Glover e Smith, anche perché la sua lettura di Freud è più revisionata dal momento che attinge alle idee della Klein. Lo studioso ha avanzato l’ipotesi che esista un nesso tra la separazione prolungata dalla figura materna durante l’infanzia e il tipo di problematiche che portano i ragazzi alla delinquenza in adolescenza. Egli raccolse e confrontò le storie cliniche di 44 ragazzi condannati per furto con quelle di altri bambini inviati ai servizi psichiatrici. 3

Il lavoro di Bowlby ha costituito un primo significativo passo verso una concezione della criminologia realmente psicosociale, dal momento che sottolinea alcuni dei nessi più rilevanti tra le dimensioni dello psichico e quella del sociale. GLI PSICOLOGI CRIMINOLOGI: EYSENCK, TOCH E FARRINGTON

Secondo Eysenck la personalità è fortemente determinata da fattori genetici e adottò un modello della soggettività umana di stretta fede comportamentista. Hans Eysenck sviluppò una teoria della personalità molto convincente in quanto incentrata su situazioni concrete, facilmente individuabili nella realtà quotidiana di ogni individuo. Sosteneva che ogni individuo eredita un sistema nervoso che influisce sulla sua capacità di apprendimento e di adattamento all’ambiente circostante. Ciononostante, le sue teorie furono ampiamente criticate in quanto secondo alcuni, Eysenck avrebbe suggerito che fattori biologici o genetici possono influenzare la personalità di un individuo e la sua propensione a essere coinvolto in attività criminali. Utilizzando un’analisi fattoriale per lo sviluppo della sua teoria, Hans Eysenck individuò tre tratti costitutivi della personalità: psicoticismo, estroversione e Nevroticismo (PEN). Ognuno di questi tratti è caratterizzato da una potenziale bipolarità, vale a dire che a ognuno si contrappone un tratto opposto:  Estroversione vs Introversione: Le persone che presentano un alto livello di estroversione sono più propense a prendere parte ad attività sociali. Tendono a essere più socievoli e sono perfettamente a loro agio quando si trovano in gruppo. In generale, alle persone estroverse piace stare al centro dell’attenzione e molto spesso si circondano di amici e conoscenti. Il metro di misura dell’estroversione va da un livello molto alto (persone estroverse) a molto basso (persone introverse). Le persone introverse, invece, tendono a essere più silenziose, stanno alla larga dalle occasioni di aggregazione sociale e si sentono facilmente a disagio quando devono rapportarsi con persone estranee. Di solito hanno una cerchia di amici ben circoscritta e amano le attività contemplative.  Nevroticismo vs Stabilità emotiva: Hans Heysenck propose anche l’esistenza di una seconda dimensione, quella della stabilità emotiva, a cui si contrappone l’instabilità emotiva (anche detta nevroticismo). Le persone che manifestano un alto livello di nevroticismo tendono a soffrire di più lo stress e gli stati d’ansia. La tendenza a concentrarsi sugli aspetti negativi di una situazione piuttosto che su quelli positivi può portare allo sviluppo di un punto di vista troppo pessimista. Le persone che guardano la vita da una prospettiva negativa tendono a maturare sentimenti di gelosia e invidia verso le altre persone, che secondo loro vivono una situazione privilegiata. Altra caratteristica delle persone nevrotiche è la tendenza al perfezionismo e la costante insoddisfazione. Al contrario, le persone che presentano un basso livello di nevroticismo generalmente godono di una maggiore stabilità emotiva. In linea generale, si tratta di individui che si sentono capaci di affrontare gli eventi stressanti e che tendono a porsi obiettivi adeguati alle proprie capacità. Le persone poco nevrotiche sono solitamente più tolleranti agli errori altrui e riescono a mantenere la calma anche in situazioni delicate  Psicoticismo vs Autocontrollo (aggiunto al modello nel 1996): Le persone che presentano alti livelli di psicoticismo sono spesso sconsiderate e hanno maggiori probabilità di ritrovarsi ad assumere comportamenti irresponsabili. Altra caratteristica è la tendenza a violare le norme sociali e a compiere azioni in nome di una gratificazione immediata, indipendentemente dalle conseguenze a lungo termine. A detta di Eysenck, tali persone sono più propense a commettere azioni criminali, nella misura in cui cercano di favorire i propri interessi violando le norme di comportamento a cui si attengono gli altri. Questa associazione ha portato alcuni studiosi a criticare duramente la sua teoria, ritenuta frutto di una visione determinista del comportamento umano. Eysenck riteneva che dietro allo sviluppo di determinati tratti della personalità a discapito di altri si nascondessero fattori biologici, tra cui l’eccitazione corticale e i livelli ormonali, sommati a fattori ambientali come i comportamenti appresi attraverso diverse forme di condizionamento. Tuttavia, appare opportuno specificare che Eysenck attribuiva un significato particolare alla parola “psicoticismo”. Non fa riferimento a uno stato di infermità mentale, bensì a una serie di comportamenti asociali.

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Prima di sviluppare il modello PEN, Eysenck distingueva solamente due dimensioni della personalità: estroversione-introversione e nevroticismo-stabilità emotiva. Le differenze genetiche nel funzionamento corticale e del sistema nervoso autonomo (biologia) sono alla base delle differenze individuale fra i tipi di personalità, e i tipi di personalità diversi rispondo in modo diverso al condizionamento ambientale (o sociale). Ad esempio, gli estroversi sono caratterizzati da una scarsa eccitabilità corticale e quindi si dedicano ad azioni impulsive, rischiose ed eccitanti allo scopo di aumentare la stimolazione corticale. Gli introversi, invece, cercano di evitare la stimolazione eccessiva e si mantengono tranquilli e riservati.

Lo studioso Toch auspica che gli psicologi cerchino in primo luogo di comprendere gli autori di reato “in quanto individui”, e successivamente li collochino all’interno di un gruppo. Egli sostiene che gli aspetti legati alla violenza potessero essere colti meglio da ex-detenuti piuttosto che da studiosi provenienti da ambiti accademici, e conseguentemente formò tali soggetti e fece loro condurre una ricerca. Toch spiega perché alcune persone ricorrono abitualmente all’opzione violenta: alcuni soggetti ritengono che l’utilizzo efficace della forza da parte loro costituisca prova del fatto che la violenza serve, anche se spesso servono fare i conti con i sentimenti di colpa; mentre coloro che non ottengono risultati mettendo in opera azioni violente possono ricorrere a esse ripetutamente nel tentativo inutile di riscattare se stessi. Il Cambridge Study in Delinquent Development dello studioso Farrington è iniziato nel 1961, per studiare il comportamento antisociale e delinquenziale di un gruppo di 441 ragazzi della zona sud di Londra, nati tutti nel 1953. Questi ragazzi sono stati seguiti dall’età di 8 anni fino ai 46 anni. Il cuore di questo studio era: 1. l’osservazione della continuità e discontinuità nello sviluppo comportamentale, 2. gli effetti che gli eventi della vita hanno avuto sullo sviluppo 3. la predizione del comportamento ...


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