(Introduzione), L\'Unesco e il campanile- Palumbo PDF

Title (Introduzione), L\'Unesco e il campanile- Palumbo
Author Erika Erikae
Course Storia Delle Tradizioni Popolari A
Institution Università degli Studi di Siena
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Berardino Palumbo, L'Unesco e il campanile, Roma, Meltemi, 2004, Riassunto dell'introduzione
...


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'UNESCO E IL CAMPANILE, Berardino Palumbo Introduzione Il testo si fonda da una parte come un processo etnografico di una città della Sicilia sud-orientale i cui abitanti fanno del passato motivo di prestigio culturale e politico e di come tale attitudine sia in grado di creare conflitti politico- intellettuali. Vengono analizzati i processi di istituzionalizzazione e di oggettivazione della cultura e per fare ciò lo sguardo dell'etnografo dovrà porre l'accento su quei monumenti, riti, falsi che secondo chi abita l'area identificano le qualità intrinseche degli uomini e delle donne autoctone. Parla quindi dei modi di costruitr un sentimento di appartenenza comunitaria. Dalla prima metà degli anni 80 le scienze umane hanno messo in atto un radicale rinovamento dei quadri concettuali e numerose etnografie hanno ondagato che il senso di identità e appartenenza sono da mettere in relazione con il contesto politico e sociale nel quale sono maturate; la credenza del diavolo nei braccianti colombiani, per esempio, è da mettere in relazione alla mercificazione di oggetti e persone ai quali erano stati sottoposti? Nel testo Palumbo fa uno studio etnografico tra le credenze religiose, politiche e intellettuali, mettendo in luce come siano quelle in campo religioso a essere più radicalizzate. Nel porsi tali problemi però deve prendere le distanze dalle numeriose voci che fanno della rivendicazione a localismi integralisti e naturalizzati un punto cardine di politiche della cultura e dell’identità. Non basta dire che tradizioni e identità, sentimenti nazionali e immaginari regionalisti sono invenizoni quando poi queste sono vissute da noi come emotivamente coinvolgenti e vere. Dovrà interpretare pratiche connesse tanto a un immaginario mediatico e quindi a un uso spregiudicato di giornali e media, quanto a gesti rituali e idee religiose sull’immagine i cui significati si sono stratificati localmente.non siamo interessati ai comportamenti tradizionali ma alle retorche politiche di produzione della tradizionalità, non dai fatti ma delle poetiche di costruzione e rivendicazione della fattualità. “identità”, “culture”, “tradizioni”, gli oggetti classici dell’antropologia ci appaiono presi all’iterno di meccanismi di oggettivazione e di rivendicazione, di dichiarazione ideologica e riflessiva che strutturandosi nei rapporti tra poteri, istituzioni e autori delle diverse scene politiche ne connotano lo status e li trasformano in commodities, in beni giocati all’interno del mercato delle differenze. La tendenza critica dello sguardo etnografico attuale porta alcuni richi, da un lato porta ad interrogarsi sul valore politico della conoscenza antropologica all’interno della crisi della modernità e a sottolineare gli spazi di manovra a disposizione degli attori sociali anche all’interno della globalizzazione. Dall’altro però significa dover indagare da vicino lo spazio politico di produzione, costruzione e rivendicazione delle identità. Implica un’analisi attenta dei meccanismi fi manipolazione della memoria, lo studio delle procedura di essenzializzazione, di irrigidimento delle somiglianze e delle diffrerenze. Significa entrare dentro il meccanismo della produzione di cose culturali e guardarei meccanismi del potere che lo muovono. Luoghi/Patrimoni In questo scenario giocano un ruolo importante quelli che sono definiti "beni culturali", che tendiamo ad indicare come “patrimonio”,simili oggetti non tendono forse a fissare i livelli di appartenenza di un dato gruppo? prima di affrontare tale argomento sarà bene definire cosa sia un’antropologia del patrimonio partendo dal testo di Lia Bertoldi Le Noci; l'autrice parte dalla constatazione che dopo il concordato da Santa Sede e Repubblica Italiana nel 1984 i beni culturali ecclesiastici sono parte del patrimonio nazionale. Il successivo patto tra Veltroni, Min. beni culturali e ambientali, e il Card. Ruini nel 1996 avrebbe fissato le pratiche di procedura tra i due enti. Una simile definizione sottintende però la visione che ne ha lo stato, la chiesa e i gestori degli oggetti. Bertoldi sostiene che nella situazione pugliese la maggior parte degli addetti ai gestori dei patrimoni ecclesiastici siano persone incompetenti vivono le chiese non come pinacoteche ma come semplici luoghi di culto nelle quali intervengono in maniera negativa. Descrive la sostituzione degli altari balocchi con nuovi altari di marmo che sono poi adornati in occasione delle feste dei santi patroni con addobbi di dubbio gusto; aggiunge anche l'esempio degli archivi ecclesiastici che dopo essere stati sistemati

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dalla sovrintendenza vengono chiusi per mancanza dell’archivista ma vengono gstiti per hobby dall’addetto che smembra i volumi e sono nuovamente "ordinati", male. Le parole dell'autrice rispecchiano le preoccupazioni dei mass media, studiosi sempre più preoccupati per il degrado dei nostri beni culturali. Tali beni culturali non creano solo senso di identità e appartenenza formali ma coinvolgono piani emotivi e chiamano in causa la nostra idea di storia. La difficoltà non sta nel criticare l'atteggiamento di chi si fa parte di questo senso di appartenenza ma cercare di decostruirlo; sarebbe più facile se per un attimo potessimo essere etnografi Manus ossessionati dal non lasciare tracce come se derivassero il loro valore dalla possibilità di essere distrutti. Ciascun studioso, sia esso antropologo, storico, etnologo, a secondo del contesto etnografico e politico, che va espresso, si trova a essere critico o partecipe. Nazional patrimonialismo Per riflettere sui processi di patimonializzazione occorre interrogarsi sulle politiche dello spazio/tempo e dunque sulle poetiche della memorie e dellidentità, e sulle forme di immaginazione storiografica che le pratiche legate all’istituzionalizzazione dei beni culturali oermettono di mettere in atto nei diversi contesti socio.politici. e bisogna intraprendere un’analisi critica dei rapporti tra simili modi di costruire identità e memoria, le procedure e i meccanismi che portano alla costruzione e all’istituzionalizzazione degli oggetti culturali. Richard Handler nei suoi studi sul Quebec ha messo il luce le relazioni tra patrimonio, ideologia e nazionalismo; e ha tentato una decostruzione di nazionalismo partendo dalla sua relazione con identità e possesso. Secondo il suo ragionamento il nazionalismo é in grado di produrre individui collettivi dotati di continuità nello spazio e nel tempo e definiti dal possesso di beni. Una simile definizione pone un quesito: " come si formano le etnie collettive?" Si parte dal concetto di individuo inteso come possessore di beni, per lo meno possessore di se stesso (Handler lo definisce individualismo possessivo); permettendo così la formazione di nuove identità collettive basate anch'esse sul possesso. I beni culturali sono oggetti collettivamente posseduti il cui controllo fonda l’identità dello stato nazione e quindi il senso di appartenenza dei singoli individui che ne fanno parte. L’oggettivazione culturale é un meccanismo di fissazione di processi socio-culturali dei quali la nazione ha bisogno per attuare il loro controllo e dare una visione distica di beni identificanti. Un esempio di ciò è il disegno di legge della regione Veneto per gli interventi regionali per la tutela dell’identità culturale e lunguistica veneta. Le parole dei politici veneti mettono in evidenza il campo d’interazione che unisce un discorso di taglio nazionaklista, la costruzione di un soggetto collettivo connotato dalla condivisione di diritti di proprietà su beni culturali (individualismo possessivo), la produzione di oggetti patrimoniali immaginati come sostanziali ma anche idealizzati come icone di storia nazionale (oggettivizzazione culturale). Dall’altro lato esprimono i legai tra u tale apparato ideologico, i conceti teorici delle sccienze sociali e l’azione di specialisri della politica, intellettuali e sicenziati sociali. A costruire e definire il patrimonio sono convocati intellettuali e studiosi che divengono essi stessi costrurrori diretti di una cultura e di uan tradizione, attraverso l’adoperare di concettti di “natura antropologica”. Sciamani yakut, comunisti divini e madonne coronate In un suo recente lavoro Lowenthal tracciando la diffusione dell'attenzione per la cultural heritage tenda di criticare un simile concetto. Per farlo costruisce un'opposizione tra history e heritage History: é una ricerca critico-scientifica della verità, indagando tramite modalità scientifiche e consultabili pubblicamente, si lega alla volontà di demistificare degli “imbrogli” identitari e patrimoniali; Heritage: Cerca verità assolute senza interessarsi alla realtà storica,si lega al bisogno di inventare identità immaginarie.

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Limiti: crea delle dicotomie opposte e rigide (histori-heritage, scienza-politica, modernità-tradizione, verofalso,autentico-inautentico) senza considerare il processo storico, sottintendendo che esistono in quanto definite oggettivate dalle scienze sociali; a sostegno delle sue argomentazioni porta come esempio lo sciamanesimo yakut: per chiedere l'indipendenza dalla Russia gli yakut hanno portato lo sciamanesimo a una vera e propria fede, l’errore dell'autore sta nel vedere nel passaggio inconsapevole a consapevole come lo sciamanesimo fosse nel passato realmente esistito. Altro esempio è Emily Chao che ha osservato il tentativo di ua sciamana di agiungere al pantheon di suoi spiriti possessori anche quello di Mao e Ho Chi Minh, il tentativo fallì, ma sapevano che altrove quelli avevano funzionato, quindi qual è la linea tra modernità e tradizione? Quale sarebbe il volto vero e falso esibito dalle pratiche osservate? Iperluogo La ricerca etnografica di questo testo si è svolta nella cittadina siciliana di Catalfaro tra il 1994 e il 2001. Il centro abitato sembra avere un crattere bifacciale nord/sud, esterno/interno, moderno/antico. È da decenni in una fase di declino, forte calo demografico, crisi economica e disoccupazione giovanile. Gli unici che restano in paese é perché hanno un lavoro sicuro nel settore terziario dell’amministrazione comunale, gli altri lavorano nelle fabbriche intorno alla città; molto diffusa è anche la vendita di arance anche se solo per pochi rappresenta una fonte di guadagno, nella maggior parte dei casi rappresenta un surplus a un'altra attività. A questo forte declino per tutto il 900 sono legate l’instabilità e l’esiguità dell’élite ad eccezione di alcuni professionisti le famiglie le cui posizione economica è caratterizzata da solidità e antichità hanno costruito le proprie fortune non più tardi degli anni 40, talvolta amministrando terreni di famiglie aristocratiche o partecipando al mercato nero. I membri di tali famiglie però nn hanno avuto molto spesso ruoli politici egemonici e quelli che lo hanno fatto sono sempre stati affiancati da personale politico di ceto più basso i cui figli per ricambio generazionale tra il 1975 e il 1980 li avrebero estromessi dalla gestione della cosa pubblica. Sono questi ormai distaccati dall’effimera elite a controllare la vicenda politic locale tra il 1980 eil 1992 e saranno poi loro con le famiglie che costituiscono l’ancor più effimera elite del decennio. Nel 1993 con il crollo di questo sistema di potere nel quadro economico si apre un vuoto di rappresentanza che nel 1994 fa accedere un nuovo strato fatto di trentenni privi di esperienza amministrativa e di ancora più basso strato sociale. Questi deranno forma dal 1994 al 1998 allo spezio amministrativo istituzional-formale nella quale fa ricerca l’autore. Queste fragilità di ricambio ed elite caratterizzano le vicende siciliane negli ultimi 150 anni ed erano aspetti che coinvolgevano anche le famiglie dell’aristocrazia 7-800entesca, nate sfruttando la fase di ricostruzione dopo il terremoto del 1693 sia l’allentarsi della pressione feudale sulla società. Per questi 150 anni un numero ristretto di famiglie accede alle cariche pubbliche e religiose controllando anche le gabelle, tramite queste accumularono rapidamente denaro da investire in attività di prestito, in terra e in titoli nobiliari. Da queste emersero anche molti intellettuali. A partire dall’unità d’Italia a queste elite si affiancano famiglie nuove con membri di elevara istruzione e lehati ai gruppi di carbonari e liberali che si lanciarono nella gestione del nuovo scenario politico istituzionale doe prestano attenzione al processo di alienazione dei beni ecclesiastici e alla politiche di pianificazione edilizia. Nel corso dei primi decenni del XX le elite hanno abbandonato Ctalfaro per spostarsi in altre zone pur non recidendo mai i legami con il paese d’origine spesso bacino di voti per la politica nazionale. Con il costituirsi della Repubblica anche quelli rimasti a contendersi l’elite come avvocati, medici e notai abbanconano l’universo locale. A questo ricambio continuo si contrappone una certa continuità dei codici che definiscono l’appartenenza all’elite che si basano su: 1. esistenza di uno specifico genius loci legato alla bellezza dl patrimonio artistico locale che consente agli intellettuali di costruire un’immagine pubblica del paese, attraverso questo assumono un ruolo decisivo nell’oggettivazione della storia e delle tradizioni. 2. Discorso localistico centrato sul tema del campanilismo e del fazionalismo, ossia guerra dei santi tra nicolese e marianesi.

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Cronistoria di uno sdegno Dalla seconda metà del XVI secolo le due chiese parrocchiali di San Nicola e Santa Maria con rispettivi cleri e fedeli competono tra di loro per questioni giurisdizionali. Non c'è mai stato accordo su quale fosse la chiesa madre e su quale sia il santo patrono. All'interno di questa disputa possiamo identificare, per comodità, diverse fasi cadenzate da altrettanti concordati. Tale disputa già ravvisabile negli anni del '500 rimase nell'ambito religioso per tutto il '600. Dopo il terremoto che nel 1693 distrugge vai di noto le cose si inaspriscono radicalmente in seguito ai problemi economici dati dalla ricostruzione. Nel 1788 lo scontro ebbe un esito inatteso con la chiusura della chiesa di Santa Maria che perde i titoli parrocchiali e vede il suo nome cambiato in Santa Maria della Concezione, la chiesa di San Nicola è riconosciuta come chiesa madre ma vede il suo nome cambiato in San Nicola- SS Salvatore ed è nominato patrono della città. Inizierà così’ una lunga contesa giuridica che terminerà nel 1795 con la conferma delle precedenti disposizioni. Lungo tutto l'800 la festa della Madonna della stella, pur essendo proibita, continuò ad essere celebrata; nel 1874 grazie a una fazione politica favorevole la parrocchia di Santa Maria riacquista le proprie funzioni fino al concordato del 1875 nel quale sono definiti confini giurisdizionali. Nelle diverse fasi storiche le due parrocchie sono in realtà stato il perno di due diverse fazioni: i nicolesi e i marianesi composti da gruppi elitari, che controllavano i vertici, e persone comuni che rappresentavano la base, sono stati insieme ai partiti politici i protagonisti dalla vita politica del paese fino al 1994. se analizziamo le vicende politiche e le feste religiose ci rendiamo conto della compenetrazione delle due sfere. Tra i primi anni del 19 secolo e gli anni risorgimentali le vicende tra marianesi e nicolesi assumo un connotato ideologico: Santa Maria assume un connotato carbonaro e antiborbonico, al contrario la chiesa di san Nicola è filo-borbonica centrata sul potere dei baroni dell’Ambelia. L’8 settembre 1948, in piena rivoluzione, i marianesi scendono in piazza, nominano un nuovo parroco issando il tricolore sulla campana della chiesa. Dopo la fine della rivoluzione e la restaurazione Borbonica la chiesa di Santa Maria fu chiusa, il partito nicolese si insedia al potere e la festa del SS. Salvatore si diffonde tra i ceti dei medi e piccoli proprietari. Durante gli anni della conquista Garibaldina i conflitti rimasero in una situazione di stallo e i nicolesi riuscirono a rimanere al potere; nel 1868 le elezioni amministrative furono vinte dai marianesi e filo-borbonici nel 1869 la festa torna ad avere un ruolo di rivendicazione politica, durante i festeggiamenti perde la vita il figlioccio del capo fazione dei marianesi, fu accusato Salvatore Arnaldi dell’Ambelia. Il 1869 segna la fine della carriera degli Arnaldi di Ambelia e segna l'ascesa al potere di Salvatore Arnaldi Taormina non è un caso che la chiesa di Santa Maria sia riaperta nel 1875 quando Taormina è in procinto di diventare Ministro. Nel 1910 un nuovo evento però turba l'esistenza civile e religiosa della comunità: il vescovo di Ossina è aggredito dai fedeli del SS. Salvatore e salvato da morte certa solo grazie all'intervento dei carabinieri. L'episodio si colloca in un forte contesto conflittuale: nel 1905 il vescovo aveva nominato primo parroco quello di Santa Maria aggiungendo anche la nomina di responsabile delle carte della curia vicariale ( carte importanti per la gestione di San Nicola dovevano passare per gli archivi di Santa Maria). Il dualismo religioso e politico si mantiene inalterato anche durante il ventennio fascista nel quale i nicolesi tornano nuovamente a dominare la scena. Nel 1948, durante le elezioni, sono ancora i nicolesi a mantenere il potere, stavolta monarchico ma sempre vicini a un Arnaldi dell'Ambelia; i marianesi invece si avvicinano al partito del DC, del quale Ossina era un forte centro sostenitore. (1952 i nicolesi in segno di protesta decidono di non festeggiare San Nicola, il sindaco in carica, marianese, decide comunque di fare la festa e fa portare il santo in processione da marianesi_> sfida). A metà degli anni '60 il potere della DC inizia a essere più stabile e i nicolesi sono costretti, dopo il declino di Benedetto Arnaldi, ad accettare il potere democratico-mariano. La tensione sala nuovamente negli anni 70: la parte sinistra del partito marianese riesce a prendere il sopravvento sia all'interno del gruppo che all'interno della scena amministrativa, di riflesso esplodono tensioni anche all'Interno del partito nicolese. Con i primi anni '80 la DC ottiene la maggioranza relativa e la chiesa di Santa Maria acquista un potere quasi

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totale che dura fino al 1993. Lo scenario politico grazie all'azione del parroco che fa creare una componente conservatrice nicolese all'interno della DC, vede la scena politica equamente divisa tra le due fazioni. (Tra il 1980-1992 grandi lavori infrastrutturali). Seconda metà degli anni '80 arriva a Catalfaro un parroco di formazione filosofica, Padre Mariano, che contrasta i due partiti sia sul piano cerimoniale che politico religioso, poi richiamato a Roma dal vescovo durante le celebrazioni pasquali 1994 in seguito ai tumulti causati dalla mancata celebrazione dell'ECCE HOMO. Sei mesi dopo l'autore arriva a Catalfaro.

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