Joan Fontcuberta; la furia delle immagini PDF

Title Joan Fontcuberta; la furia delle immagini
Author Maira Cisana
Course Estetica
Institution Università degli Studi di Bergamo
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Summary

La furia delle immagini; testo di Joan Fontcuberta che analizza l'onnipresenza dell'immagine ai nostri giorni attraverso manifestazioni artistiche peculiari che ne analizzano il fenomeno....


Description

Joan Fontcuberta; La furia delle immagini (Note sulla postfotografia) 1.Motivazioni Nella società contemporanea appare evidente che siamo soggetti a un’inflazione di immagini senza precedenti, sintomo di una società ipertecnologica e di una patologia culturale e politica nella quale irrompe il fenomeno post-fotografico. Abitiamo l’immagine e l’immagine ci abita. Siamo sommersi dal capitalismo delle immagini e dai suoi eccessi. Le immagini circolano in rete ad una velocità vertiginosa: hanno lasciato da parte il loro ruolo passivo, diventando attive, furiose e pericolose → tragedia di Charlie Hebdo a Parigi: quello che è successo ci mostra che attualmente si uccide e si viene uccisi per le immagini. Un altro esempio è la fotografia del bimbo curdo affogato sulle coste della Turchia capace di sbloccare accordi internazionali sui rifugiati e l’immigrazione. Autori come Boehm in Europa e Mithcell negli Stati Uniti hanno indagato sulla natura delle immagini nei loro saggi, ponendo le basi per lo studio delle immagini al ritmo del Pictorial Turn → svolta in atto nel nostro secolo, caratterizzata da un ritorno imponente alle immagini a sfavore del paradigma linguistico. L’ordine visuale che va a delinearsi appare marcato su tre fattori: 1- L’immaterialità e la trasmissibilità delle immagini; 2- La loro moltiplicazione e disponibilità; 3- Il loro apporto nel rendere enciclopedici il sapere e la comunicazione. Lo studio di Fontcuberta è caratterizzato da appunti frutto di osservazioni raccolte in varie occasioni, tra cui: - Il convegno dal titolo “Gli androidi sogneranno macchine fotografiche?”, a cui ha partecipato nel 2008; - Il libro “Attraverso lo specchio, un resoconto sui selfie”, pubblicato dall’autore nel 2010; - L’esposizione “From here on”, che ha co-curato nel 2011 - L’esposizione “Fotografia 2.0” del 2014, di cui si è occupato; - Il tema “La condizione postfotografica”, proposto alla Biennale dell’immagine contemporanea di Montréal. -L’autore racconta poi di una brutta figura che ha fatto verso la metà degli Anni 90. In qualità di esperto fu contattato dal principale operatore di telefonia mobile in Spagna, che gli pose il seguente quesito: “Che cosa pensa della possibilità che i cellulari abbiano una macchina fotografica incorporata?”La sua risposta fu che sarebbe stata una tremenda scemenza che non avrebbe riscosso alcun successo, ironizzando sulla serie televisiva comica Superagente 86 e il cartone animato L’ispettore Gadget. Conclude aggiungendo che fortunatamente in quella sede non gli diedero retta: infatti nel 2000 la Sharp lanciava per il mercato giapponese il primo cellulare dotato di macchina fotografica. Riflette quindi sul suo errore: crede che sia derivato dal fatto di non aver tenuto conto dell’imprevedibile arrivo di internet e della sua vertiginosa ascesa nelle comunicazioni. 2.Prolegomeni postfotografici 1960: il satellite meteorologico Tiron-I ottenne la prima immagine completa del globo terrestre. Negli anni successivi gli astronauti del programma Apollo riuscirono a migliorare la visuale del nostro paese nota come “The Blue Marble” (“La biglia azzurra”), denominata da Luigi Ghirri “La madre di tutte le immagini”. Nel 2009 Sean Snyder ha attualizzato questa icona. 1971: l’ingegnere informatico Ray Tomlinson ha effettuato il primo invio di una e-mail. Tra i suoi meriti il fatto che la chiocciola si sia fatta spazio nelle tastiere dei nostri computer. Il padre dell’e-mail nel 2009 fu insignito del premio Pricipe de Asturias per la ricerca scientifica e tecnica. 1997: l’imprenditore Philippe Kahn accompagnò sua moglie in ospedale per dare alla luce la figlia. Come faceva sempre, portò con sé la sua macchina digitale, il suo computer portatile e il suo cellulare. Durante l’attesa la ricezione di una chiamata telefonica stimolò la sua inventiva:

cominciò a pensare alla possibilità di scattare fotografie e trasmetterle immediatamente schiacciando un bottone, come istantanea è la comunicazione telefonica. Fu così che quel giorno nacque la comunicazione istantanea. Di lì a poco Kahn fondò l’impresa che spinse la Sharp a lanciare il primo telefono mobile con macchina fotografica integrata. 3.Tempo di vacche grasse Pensatori come Augé, Lipovetsky e Aubert definiscono la nostra epoca “ipermoderna”, caratterizzata dall’eccesso e da un nuovo legame spazio-tempo offerto da internet e dai mezzi di comunicazione globale, nella quale l’individuo si vede collocato in un presente in continuo divenire che comporta la fugacità del passato e l’inimmaginabilità del futuro. La società affronta nuovi problemi, con ripercussioni come la recessione economica, l’immigrazione o le preoccupazioni ecologiche. Lipovetsky parla di “seconda rivoluzione individualista”, facendo riferimento all’individualismo in cui si rifugiano i cittadini. Si vive sommersi in un iperconsumo eccessivo, circondati da novità sempre più effimere. In questo tipo di modernità l’urgenza e la quantità diventano la qualità. La pubblicità della seconda stagione di “Black Mirror”, miniserie britannica creata da Charlie Brooker, fornisce una radiografia della modernità. Inizia mostrandoci persone che sorridono, che scattano fotografie e le condividono. Ma a poco a poco s’intromettono come lampi immagini dei tributi che la società deve pagare → povertà, sfruttamento, terrorismo...fino a quando il nostro schermo si frantuma, e si ascoltano le parole “il futuro è andato in pezzi”. Prima dell’apocalisse, però, il testo ci fornisce una serie di parole d’ordine che ci dovrebbero portare alla felicità promessa, tra cui: Vivi di più. Connettiti di più. Condividi di più. Consuma di più. Ci sono altre due accezioni che precedono quella di Brooker dello “specchio nero”: - Una fa riferimento allo specchio di Claude, utilizzato dagli artisti per astrarre porzioni del paesaggio, riflessi con gradazioni di luci e toni; - L’altra si riferisce agli specchi di ossidiana lucidata che portavano al petto gli dèi Tezcatlipocas, nel cui riflesso si vedevano tutte le azioni e i pensieri dell’umanità, secondo la mitologia precolombiana. Siamo comunque dipendenti dalla tecnologia, dai social network, portati ad esprimere opinioni su qualsiasi cosa o ad insultare nell’anonimato, diventati voyeur di vite altrui, di cui finiamo per sentirci co-protagonisti. In ogni luogo da noi frequentato c’è uno schermo piatto, una connessione internet o uno smartphone. L’onnipotenza di fotocamere, schermi e immagini cresce ad un ritmo martellante, finchè provoca un’esplosione, che potrebbe essere letta come una sorta di metastasi. L’installazione del 2011 di Erik Kessels rappresenta molto bene questa metastasi: consisteva nel riversare a terra circa un milione e mezzo di foto e spargerle nelle varie sale di un edificio. (la quantità corrisponderebbe alle immagini archiviate sul portale Flickr in 24 ore). Alla vista dell’opera il pubblico provava sgomento, misto ad una sensazione di annegamento. Ma esiste anche il problema inverso: occorre infatti riflettere sulle immagini che mancano o che non sono più a nostra disposizione. Il critico cinematografico Serge Daney è rimasto colpito dalle trasmissioni effettuate dalle telecamere delle “bombe intelligenti” durante la Guerra del Golfo. Vi veniva mostrata l’intera traiettoria fini all’impatto finale, ma risparmiava allo spettatore l’orrore delle devastazioni e la sofferenza delle vittime. Ad esempio non abbiamo visto nemmeno il cadavere di Bin Laden. 4. La condizione postfotografica. Bye-bye fotografia Occorre chiedersi che cosa effettivamente si celi dietro il termine “postfotografia”. Il termine “post” indica infatti l’abbandono, l’allontanamento. Il termine è il riflesso di un fallimento, un atteggiamento nostalgico. A differenza di ciò che accadde tra la fotografia e la pittura (in cui la prima ha determinato un cambio di rotta della seconda), la postfotografia ha letteralmente fagocitato la fotografia, che diventa solo la facciata di un edificio la cui struttura interna si è profondamente rimodellata.

Postfotograficità Il termine “postfotografia” nasce nel mondo accademico all’inizio degli anni 90. Alcuni teorici ne limitarono il significato a quelle pratiche fotografiche legati a testi ed antologie, altri invece lo circoscrissero agli effetti della tecnologia digitale. Di fatto l’era postfotografica si è consolidata nel decennio successivo, in cui è avvenuta la rivoluzione digitale: il mondo si è trasformato in uno spazio dominato dall’istantaneità, dalla globalizzazione e dalla smaterializzazione. Un’esplosione di immagini, la proliferazione di immagini non nasce però solo dai mezzi di comunicazione e del mercato, ma anche sotto la spinta di organi ufficiali ed aziendali. Basti pensare alle telecamere di sorveglianza o ai dispositivi di riconoscimento facciale. Ci siamo quindi evoluti verso una specie che si potrebbe denominare Homo photographicus, che risponde ad un ambiente in cui si moltiplicano macchine fotografiche tascabili e cellulari facili da usare. Siamo quindi sia produttori che consumatori di immagini, caratterizzate da “ciò che non ritorna”, poiché le immagini da noi scattate mancano di durevolezza. Ci troviamo nel cuore della rivoluzione, anche se non ne siamo pienamente consapevoli. 5.Per un manifesto postfotografico; 5.1.La sindrome di Hong Kong Un fatto particolare è accaduto ad Hong Kong nel 2010: uno dei principali giornali ha licenziato i suoi otto fotografi dipendenti, fornendo macchine digitali ad un gruppo di corrieri che consegnavano pizze a domicilio. I motivi di tale scelta risiedevano nel fatto che fosse più facile insegnare a scattare fotografie a degli agili fattorini, che fare in modo che esperti fotografi arrivassero in tempo per la notizia, tra gli ingorghi della città. Valeva dunque di più un’immagine incerta scattata da un amatore, di una perfetta, ma inesistente. Da questo esperimento appare chiaro il cambio di canone del fotogiornalismo: la rapidità prevale sulla raffinatezza. Anche in Francia l’agenzia France Press si era già precedentemente disfatta dei suoi fotoreporter perché nessuno di loro parlava arabo, preferendo fornire di macchine fotografiche giovani del posto, che avevano accesso ai luoghi vietati agli occidentali e maggiore familiarità con certi ambienti. Anche il National Geografic in passato si serviva di numerosissimi collaboratori, e delle numerose fotografie solo le migliori arrivavano alla pubblicazione. Ma questi tempi ormai sono finiti: si potrebbe paragonare il fenomeno alla caduta di un meteorite sulla Terra, che ha provocato l’estinzione di massa dei dinosauri. Così, anche in ambito fotografico, si aprono le porte ad una nuova specie. Dalla sindrome di Hong Kong si evince che l’urgenza prevale sulla qualità dell’immagine: questo porta ad un inquinamento iconico senza precedenti, incentivato dai nuovi dispositivi di cattura visiva. Tutti noi oggi produciamo immagini spontaneamente, come una forma di relazione con gli altri: la postfotografia si pone di questi tempi come linguaggio visivo universale. 5.2.Periferie dell’immagine Nei centri di tecnologia avanzata (CNS di Kyoto) di questi tempi si studia come monitorare l’attività mentale al fine di estrarre semplici immagini direttamente dal cervello per poi proiettarle su uno schermo. Tutto ciò fino a pochissimo tempo fa poteva sembrare pura fantasia, invece ora questi studi potrebbero aprire un ventaglio di possibilità future finora viste solo nei film di fantascienza: filmare con i nostri occhi o, addirittura, registrare i nostri sogni per poterli rivedere con calma il mattino seguente. A questo punto la fotografia si smaterializzerebbe, convertendosi in bit d’informazione, con modalità e velocità di trasmissione vertiginosa: Google, Yahoo, Wikipedia, YouTube, Flickr, Instagram, Facebook, Skype hanno cambiato le nostre vite: la postfotografia è diventata una fotografia adattata alla nostra vita online. 5.3.Decalogo postfotografico Come opera la produzione postfotografica? Su dieci punti chiave: • Sul ruolo dell’artista: non si tratta di produrre opere, ma di creare situazioni che prescrivano un senso; • Sulle attività dell’artista: l’artista si fonde con il docente, lo storico, il teorico...ecc...; • Sulla responsabilità dell’artista: la saturazione sarà sostituita con un riciclo d’immagini;

• Sulla funzione delle immagini: la loro circolazione prevale sul contenuto; • Sulla filosofia dell’arte: i discorsi sull’originalità sono delegittimati; • Nella dialettica del soggetto: l’autore si mimetizza in una nuvola condivisa. Nascono creazioni collaborative e lavori senza una paternità specifica; • Sulla dialettica sociale: c’ è il superamento delle tensioni tra pubblico e privato; • Sull’orizzonte dell’arte: si darà più spazio agli aspetti ludici; • 9- Sull’esperienza dell’arte: si tenderà a rinunciare alla proprietà. Condividere è meglio che possedere; • Sulla politica dell’arte: non arrendersi né al glamour né alle logiche commericiali, Per smuovere le coscienze. Il decalogo ci porta verso l’estetica dell’accesso. Il flusso di immagine diviene accessibile a tutti. Il critico Clement Chéroux paragona il fenomeno con l’arrivo dell’acqua corrente nelle case. L’opera di Penelope Umbrico esemplifica perfettamente l’estetica dell’accesso. Un giorno decise di fotografare un tramonto. Le è venuto allora in mente di controllare quante fotografie corrispondessero al tag sunset su Flickr: ha così scoperto di avere a disposizione più di 500. 000 fotografie di tramonti, che aumentavano vertiginosamente di mese in mese. Decise allora di non farne una in più e di scaricare da Flickr diecimila tramonti che ricicla combinandoli in un murale con cui tappezza i muri di un museo. L’assurdo risiede nel fatto che ora, cercando sunset su Flickr, finiamo per trovare anche i suoi montaggi o le foto dei visitatori alle sue mostre. 5.4. Atlanti e serendipità Nel 2005 Google ha lanciato il suo servizio di cartografia online conosciuto come Google Maps. Il sistema permette azioni di scorrimento e zoom. Successivamente il servizio è stato implementato con Google Earth e Google Street View, che ci permette di esplorare visivamente qualsiasi luogo come se ci passassimo in macchina. La cattura delle immagini si realizza da un’automobile in movimento dotata di nove fotocamere per riprese a 360°, collocate a tre metri di altezza. E’ dotato inoltre di un’unità di posizionamento gps e di tre scanner al laser: le registrazioni così ottenute danno un’illusione ottica di continuità molto realistica. In maniera casuale, inoltre, i nove occhi di Google Street View si muovono ogni tanto per le vie della città captando tutto ciò che succede. L’artista Jon Rafman, senza staccarsi dallo schermo del computer è partito alla ricerca dei riflessi di realtà che di solito rimangono nascosti, come la presenza di prostitute per strada, a cui ha dedicato una serie specifica. Anche Txema Salvans ha documentato per anni i paesaggi in cui avviene la prostituzione in Spagna: il risultato ne è stato la pubblicazione di The Waiting game (2013), cronaca lacerante della disperazione del sesso mercenario. Altro lavoro degno di nota è quello di Michael Wolf, che, nella cornice di Google Street View, cattura episodi come l’arresto di un malvivente o persone che si sentono male per strada. Joachim Schmid, invece, si diverte a cercare su Google Earth campi da calcio; qualcun altro invece ricerca porzioni censurate o vietate alla pubblica visione. 5.5. Identità “à la carte” Con la postfotografia per la prima volta siamo in grado di gestire il nostro aspetto secondo le nostre convenienze. I ritratti si moltiplicano in rete, esprimendo l’impulso narcisista ed esibizionista che è in noi. Christopher Baker, nella videoinstallazione “Hello world” del 2008, compone un fitto mosaico fatto di migliaia di riproduzioni di teleconferenze, suggerendo l’idea di un ritratto collettivo. Si tratta di video diari estratti dalla rete, di cui Baker ha scelto il primopubblicato da ogni blogger. Il video diario è un monologo mezzobusto diretto verso una potenziale platea di massa, al fine di soddisfare le proprie aspirazioni ed ottenere empatia. La serie di Laia Abril, intitolata Thinspiration, denuncia la questione di adolescenti anoressiche che si fanno autoritratti condividendoli su internet, vantandosi dei loro corpi ossuti. Anche il fenomeno dei selfie nel nostro contesto rappresenta il trionfo dell’ego sull’eros. Farsi fotografare e postare le immagini è parte di un gioco di seduzione e dei rituali di comunicazione. Non sono

però ricordi da conservare, ma messaggi da inviare e scambiare. Molti sono i personaggi famosi finiti nella “rete” dei selfie: Anthony Wiener, candidato sindaco di New York, ha visto la sua carriera stroncarsi a causa di selfie seminudi che inviava a diverse donne in un atto di sexting (invio di messaggi a contenuto erotico attraverso il cellulare o internet). Scarlett Johansson e Rihanna, invece, hanno denunciato di essere state vittime degli hacker, introdotti illegalmente nei loro telefoni per rubare foto private, tra cui selfie erotici. 6. L’artista come prescrittore (= inteso come artista che dota di significato oggetti creati da lui). Nell’era dell’Homo photographicus tutti siamo allora produttori e consumatori di immagini. Le fotocamere “intelligenti” sono infatti state progettate per essere usate da qualsiasi “stupido” utente. Il merito della creazione si sposta allora nella capacità di dotare l’immagine di uno scopo o di un senso ben preciso, cioè di avere qualcosa di interessante da dire e di essere in grado di diffonderlo attraverso la fotografia. Non ci sarebbero a questo punto foto “buone” o “cattive”, ma usi “buoni” o “cattivi”. La stessa immagine può essere inadeguata ad un contesto o, al contrario, in grado di scuotere lo spirito dell’osservatore. La cosa importante è quindi l’assegnazione (o prescrizione) di senso all’immagine. 6.2. Immagini adottate Negli ultimi tempi si sono avuti dibattiti molto accesi sulla questione dei diritti d’autore. La diatriba vedeva contrapporsi avvocati (difensori della legge e della proprietà intellettuale) e artisti (che pensano che le regole in merito vadano cambiate). Il retroscena della faccenda è filosofico e politico: preferiamo una società fondata sul possesso o sulla condivisione? Il concetto di appropriazione nasce negli Anni 80, quando la mostra “Pictures” di Douglas Crimp ha dato origine ad un nuovo vocabolario che includeva i termini copia, citazione, plagio, parodia, revival. Le radici bisogna cercarle nei movimenti proposti da cubisti e dadaisti, che inserivano nelle loro opere frammenti del mondo reale invece di rappresentarli. La Pop Art utilizza come base di lavoro materiali visivi selezionati dai mezzi di comunicazione di massa. Nacque il concetto di détournement (=prelievo di immagini dalle culture dominanti per confezionare dei contro-messaggi). Oggi invece l’ecosistema iconico ci spinge al riciclo, che diventa un’operazione spontanea. A conti fatti si tratta di un’appropriazione intesa come un furto. Cambiando però il termine appropriazione con il termine adozione cambia il senso dell’utilizzo che si fa di un’immagine. L‘adozione infatti significa “adesione ad un’immagine” (utilizzando una spilletta di Che Guevara si adotta l’idea di spirito ribelle). Se l’appropriazione è privata, l’adozione diventa una dichiarazione pubblica, un “dichiarare di avere scelto”. Adottare è un atteggiamento postfotografico: non si reclama la paternità biologica di un’immagine, ma si adotta la sua prescrizione di senso. 7. La postfotografia spiegata alle scimmie 7.1. L’occhio dell’animale Nell’estate 2014 Fontcuberta racconta di essere stato colpito da uno slogan pubblicitario all’interno di un vagone della metropolitana di Londra: ritraeva una scimmia accompagnata dal testo Questa scimmia ci ha rubato la macchina fotografica. L’inserzionista era una compagnia di assicurazioni. L’autore, ispirato da questo ricordo, fa una riflessione in merito all’intelligenza. Ricorda che Piaget definisce l’intelligenza come la capacità di adattarsi all’ambiente: se si considera quest’accezione, tutti gli animali sono intelligenti. Ma se per intelligenza si intende la capacità di interagire con la realtà in termini astratti il problema diventa più complesso. Alcuni primatologi fanno riferimento alla “teoria degli scimpanzè”, secondo cui i maschi alfa monopolizzano con la forza le fem...


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