La Paura Dello Straniero, di carmelo Dambone e Ludovica Monteleone PDF

Title La Paura Dello Straniero, di carmelo Dambone e Ludovica Monteleone
Author Gaia Aldeghi
Course Comunicazione Media e Pubblicità
Institution Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM
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Summary

riassunto del libro del corso di mass media e crimine diviso per capitoli...


Description

LA PAURA DELLO STRANIERO La percezione del fenomeno migratorio tra pregiudizi e stereotipi INTRODUZIONE "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza". La "paura dello straniero", detta "xenofobia", e gli atteggiamenti di rifiuto verso coloro che hanno caratteristiche differenti dalle proprie, per cultura, modalità di comportamento, connotati fisici, ecc., sono e sono stati presenti in ogni società e in ogni epoca e momento storico. In questo scenario di paura verso il "diverso", si mira per certi versi a creare solidarietà tra gruppi appartenenti alla stessa "categoria" sociale e, quindi, uniti nella "lotta" contro lo straniero. Il diverso dal "noi", dal "volto'", diviene qualcosa da cui mantenerci lontani. il "diverso” riattiva in noi un processo di "insicurezza", Le paure e le insicurezze ci proiettano su un comportamento difensivo e, al contempo, di rabbia. Ecco nascere i pregiudizi e l'odio, che si possono manifestare sotto forma di gesti razzisti. Non basta invocare uguaglianza, poiché l'incontro/scontro con lo straniero, l'immigrato, è uno scontro di paure. La paura va concettualizzata e incontrata, vissuta, e non rimossa. CAPITOLO 1 LA PERCEZIONE DEL RISCHIO In quest'epoca, che pure vietava l'alterità e l'incontro con l'altro, il Paese riconosceva e innalzava, alla stregua dei propri caratteri più nobili, un tratto essenziale della sua storia: la migrazione. Fin dalla preistoria l'uomo ha sentito l'esigenza di muoversi e questo richiamo all'esplorazione e alla mobilità ha garantito la conquista di nuovi territori e l'apprendimento di nuove conoscenze. Nella cornice dell'Europa pre-industriale, gli spostamenti seguirono tre orientamenti principali: 1. sempre più persone provenienti da aree rurali o città di minore importanza si spostarono verso centri urbani 2. le guerre e le persecuzioni, a danno delle minoranze religiose, innescarono una lunga serie di diaspore. 3. Le migrazioni transoceaniche, che, nel quadro delle politiche coloniali delle grandi potenze europee, portarono alle ben note conseguenze catastrofiche sulle popolazioni indigene americane, africane e asiatiche. ridotte in schiavitù e private delle loro proprietà dai conquistatori del Vecchio Mondo Si può individuare nella rivoluzione industriale uno spartiacque nella storia delle migrazioni, che ha permesso di distinguere quella che viene denominata "old migration" dalla più vicina "new migration". Le differenze che intercorrono tra queste due fasi sono da considerarsi tanto di tipo quantitativo quanto di tipo qualitativo. Dal punto di vista quantitativo si fa riferimento a periodi cronologicamente distanti, mentre dal punto di vista qualitativo è bene considerare i cambiamenti demografici, economici e sociali che determinarono lo scoppiare delle grandi migrazioni di massa dell'Ottocento.

Il mito dei viaggi oltreoceano e il sogno di un continente in particolare, quello americano, dove poter ricominciare all'insegna dell'ambizione e del coraggio. La Prima guerra mondiale inaugurò un'epoca di profondi cambiamenti nello scenario delle migrazioni internazionali. Nei Paesi di grande immigrazione si diffusero atteggiamenti xenofobi che diedero vita a interventi proibitivi e politiche restrizioniste. Nel secondo dopoguerra, il nazifascismo, giunto al capolinea, lasciò l'Italia e la Germania nell'incertezza. Le brutali persecuzioni che avevano segnato gli anni precedenti spronarono i "grandi" a occuparsi di chi era riuscito a salvarsi e cercava una nuova casa nel mondo. Nel 1951, le Nazioni Unite elaborarono a Ginevra il trattato internazionale sullo status dei rifugiati, noto anche come "Convenzione di Ginevra", che ancora oggi è il principale strumento legale che regolamenta l'azione degli Stati nei confronti dei rifugiati°. "chiunque nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dal suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.” Tra tutti i Paesi europei, l'Italia, proprio in ragione della sua geografia, diventò una delle mete più ambite da chi, già in quegli anni, la considerava soltanto una strada di passaggio e da chi, invece, la destinazione finale di un lungo e avventuroso viaggio. Il crollo del muro di Berlino nel 1989 sancì simbolicamente la fine di quell'era e aprì le porte dell'Italia ai Paesi dell'Est Europa. Tra il 1990 e il 1991 l'Italia meridionale ebbe a che fare per la prima volta con ondate di profughi albanesi sbarcati sulle coste pugliesi irregolarmente. La stampa e la politica consideravano questi eventi una "minaccia" dalla quale l'Italia doveva essere salvaguardata. La "Legge Turco-Napolitano", con lo scopo di contrastare gli ingressi clandestini e combattere la criminalità; garantire l'integrazione degli immigrati nella società d'arrivo e gestire al meglio gli ingressi regolari. venne modificata e sostituita dalla "Legge Bossi-Fini", entrata in vigore nel 2002 e che ancora oggi regola le politiche migratorie in Italia'. Essa ha introdotto l'obbligo della stipula di un contratto di lavoro alla quale viene subordinata la concessione del permesso di soggiorno per motivi di lavoro; e prevede l'espulsione con accompagnamento alla frontiera qualora lo straniero si trattenga nel territorio dello Stato a seguito della scadenza del permesso di soggiorno o rientri in Italia. Dal 2011 l'Italia è recettrice di nuovi importanti flussi migratori innescati dall'ondata di proteste e rivoluzioni che hanno attraversato l'Africa e il Medio Oriente, note come le "primavere arabe" Le guerre civili contro il potere in carica in Tunisia, Libia, Egitto e Siria, guidate da giovani ribelli e fomentate per mezzo della propaganda sui social network, hanno fatto registrare nel bel Paese un picco nel numero degli arrivi dall'Estero. Il sistema di accoglienza italiano si serve di quattro strumenti:



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gli "hotspot", situati a Lampedusa, Taranto, Pozzallo e Trapani, ovvero i centri destinati alle primissime operazioni di accoglienza e identificazione (screening sanitario e foto-segnalamento) dei migranti prima del trasferimento nei veri e propri centri di accoglienza; gli "hub", centri di prima accoglienza regionale dove i cittadini stranieri possono presentare richiesta di protezione internazionale; i "cas", centri di accoglienza straordinaria deputati a farsi carico di chi, per eccesso di presenze, non riesce a entrare negli hub. lo "sprar", sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, al quale sono accompagnati i migranti idonei alla protezione internazionale, che prevede servizi di orientamento sociale e legale, insieme a percorsi di inserimento socio-economico e integrazione.

Stando alle stime dell'UNHCR, tra il primo gennaio 2017 e il trentuno dicembre 2017, circa 119.247 persone sono arrivate in Italia attraversando il Mar Mediterraneo. Nel caos delle attività di salvataggio in mare, che si sono susseguite con frequenza sempre più serrata negli ultimi mesi del 2016, è stata posta all'attenzione internazionale una teoria secondo la quale alcune ONG, operanti nel Mediterraneo, avessero legami diretti con i trafficanti in partenza dalla Libia e fungessero così da collegamento tra le coste africane e quelle italiane, diventando anche un fattore di attrazione che incoraggiava i migranti a lasciare il loro Paese e ad avventurarsi nelle acque internazionali. La commissione Difesa del Senato secondo la quale non sussisteva "nessuna collusione tra ONG e organizzazioni di trafficanti e il soccorso in mare dei migranti è doveroso e ineludibile"'. Una dichiarazione che, comunque, non ha posto fine a una polemica, soprattutto mediatica. la conversione in Legge del "Decreto Minniti" sull'immigrazione, il cui obiettivo è velocizzare i procedimenti in materia di richieste d'asilo e perfezionare le azioni di contrasto all'immigrazione illegale. La nuova Legge prevede, infatti, l'abolizione del secondo grado di giudizio in seguito a un rigetto della richiesta d'asilo e la trasformazione dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) in Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) per un totale di venti centri (uno per regione) dove i migranti irregolari" sono ospitati fino al completamento delle procedure di rimpatrio. Come detto sopra, i minori rappresentano una fetta importante del numero complessivo di arrivi sul territorio nazionale. Nell'analisi delle dinamiche di questo processo è importante rivolgere particolare attenzione al caso dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) ovvero "minorenni privi di assistenza da parte di genitori o di altri adulti per loro responsabili. La loro condizione è stata, in questi anni, oggetto di studio del Governo. L'articolo 17 della nuova Legge n. 47/2017, infatti, prevede che sia garantita particolare tutela "nei confronti dei minori stranieri non accompagnati, predisponendo un programma specifico di assistenza che assicuri adeguate condizioni di accoglienza e di assistenza psico-sociale, sanitaria e legale, prevedendo soluzioni di lungo periodo, anche oltre il compimento della maggiore età". Detta Legge disciplina inoltre l'accesso ai servizi del sistema di protezione. l'assolvimento dell'obbligo scolastico e permette il rimpatrio assistito solo previo accertamento che questo si verifichi nell'interesse del minore. Tuttavia, non sempre queste misure si rivelano valide in una prospettiva di lungo periodo e spesso e volentieri gli immigrati si ritrovano a vivere in

condizioni di forte precarietà che mettono a dura prova la loro resistenza e la stessa possibilità di integrarsi e sentirsi accolti nella società. Realtà come quella romana, ma anche calabrese e siciliana, in cui mancano le strutture, gli spazi e i fondi necessari a trovare soluzioni sostenibili non fanno altro che aumentare le differenze fra cittadini e nuovi arrivati, alimentando sentimenti di diffidenza nei confronti di chi è "straniero". il Paese risulta diviso fra chi promuove l'accoglienza, ispirato dai valori di solidarietà e rispetto della vita e chi, invece, considera gli ingenti flussi in arrivo un pericolo non indifferente per un Paese che già di per sé ha bisogno di essere aiutato e non può permettersi di spendere ulteriori risorse preziose. E in questa disputa i mezzi di comunicazione di massa, in primis il web, giocano un ruolo fondamentale veicolando notizie più o meno aderenti alla realtà, con il risultato di far passare un'immagine spesso distorta della percezione del fenomeno e priva di fondamento. Da qui la paura diffusa dell'invasione" degli stranieri portatori di malattie e autori dei crimini più efferati. 1.2 costruire un senso di insicurezza Quando si parla di percezione dell'insicurezza non si fa riferimento a concrete minacce di pericolo per l'individuo ma, piuttosto, a sentimenti di insicurezza legati alla precarietà che caratterizza la condizione del soggetto e il rapporto con il sistema sociale in cui è inserito. Nella relazione tra degrado urbano e insicurezza è doveroso considerare alcuni fattori che predispongono a una certa considerazione del rischio. Il degrado urbano è il prodotto dell'inciviltà sociale e dell'inciviltà ambientale; quando questi due tipi di inciviltà persistono finiscono per generare il disagio e paura. L'inciviltà è contraddistinta dal carattere della visibilità, ovvero è qualcosa di evidente che influenza il comportamento dell'uomo in un dato territorio.  L'inciviltà sociale si manifesta con i comportamenti antisociali e il mancato rispetto delle norme di convivenza; l'inciviltà ambientale ha, a che fare con la violazione degli standard di cura e mantenimento del territorio. I mass media ricoprono un ruolo fondamentale nella costruzione della percezione dell'insicurezza. Per dinamiche interne come scelte politiche aziendali, palinsesti, dinamiche giornalistiche o redazionali e dinamiche esterne quali l'inserimento del tema nell'agenda politica, essi tendono verso certe modalità di narrazione e scelgono a quali notizie dedicare maggiore attenzione ed enfasi. Il risultato di questa condotta è una rappresentazione mediatica della criminalità non coerente con i dati ufficiali che dà origine a immagini e stereotipi sul comportamento criminale fino a influenzare il modo in cui il pubblico percepisce la presenza del crimine nella società. La tendenza attuale, è quella di raccontare crimini violenti come stupri e omicidi o crimini più comuni ma in modo seriale, e se questi avvengono in contesti vicini al lettore la notizia diventa ancora più eclatante. cattivante. I nuovi format televisivi permettono una copertura dei fatti prolungata nel tempo anche in assenza di vere notizie, le storie vengono drammatizzate e serializzate attraverso il linguaggio della "fiction", accanto alla narrazione degli eventi vengono riportate informazioni prive di interesse ai fini del "report" sull'accaduto. I1 "criminality show" ha una struttura tipica che si ritrova 

invariata in quasi tutte le reti televisive e prevede la presenza di un conduttore che presenta il caso, le testimonianze delle persone coinvolte, il collegamento con la scena del crimine e un dibattito per l'individuazione del colpevole. La spettacolarizzazione degli eventi criminali e il registro dei media incline a emozionare e appassionare fanno credere che il male sia presente quotidianamente nella vita di tutti, percezione che nella maggior parte dei casi non trova corrispondenza nella realtà e contribuisce a innescare nel pubblico preoccupazione per pericoli che sono in verità più inconsueti di quanto si creda. Inoltre, spesso accade che la cronaca nera si limiti al racconto delle prime fasi processuali tralasciando gli esiti del procedimento penale, per cui la persona che era stata identificata come colpevole potrebbe continuare a essere ritenuta tale anche dopo la sua proclamata innocenza. Le ragioni dell'aumento del sentimento di insicurezza rispetto al fenomeno migratorio sono anche in parte da ricercare nella copertura mediatica di cui esso gode non solo nell'industria dell'informazione italiana, ma anche in quella europea, la quale tende ad adottare punti di vista che "evocano la paura, costruendo delle associazioni tra gli arrivi di profughi e migranti e la minaccia terroristica" o creano un rapporto tra la permanenza sul territorio degli immigrati e l'incompatibilità del loro stile di vita con quello degli autoctoni. Gli immigrati divengono "folk devils", ovvero capri espiatori, ai quali vengono associati episodi di criminalità e nei cui confronti si originano spesso forme di panico morale. Alcune ricerche" hanno evidenziato come negli ultimi anni l'immigrazione sia stata raccontata principalmente attraverso tre "frame": 1. securitario, le notizie sull'immigrazione vengono presentate come parte del problema della sicurezza 2. umanitario, gli immigrati diventano invece delle vittime, soggetti passivi che necessitano di aiuto e assistenza 3. riscatto, essi assumono un ruolo totalmente attivo: sono descritti come persone indipendenti che non presentano criticità grazie all'impegno e al talento individuali. La cronaca ha assunto toni allarmistici anche nel resoconto delle operazioni di ricerca e soccorso in mare, soprattutto in seguito alle denunce sporte contro le ONG, ribaltando la reputazione delle "navi salvavita", la popolazione ha perso completamente la fiducia nelle attività di volontariato. l'Unione europea ha imposto regole rigide alle attività delle ONG per garantire la massima correttezza del loro operato. L 'insistenza sulla nazionalità di chi (presumibilmente) è colpevole di un reato contribuisce a legittimare "pregiudizi e stereotipi verso le comunità presenti sul territorio e un sentimento di insicurezza attribuito alla categoria sociale dello straniero”. Accanto alla figura dello straniero clandestino e criminale si erge, così, quella del parassita che vive più che dignitosamente a spese dello Stato e dei cittadini: stupratori e assassini tutelati da un Governo. Appare com’è determinante il ruolo svolto dall'informazione nella costruzione dell'immagine dello straniero agli occhi del pubblico. 1.3 forme di controllo nel contesto sociale Il termine "devianza" è stato impiegato per la prima volta nel 1940 allo scopo di definire i problemi sociali tradizionali quali la tossicodipendenza, la

prostituzione, la delinquenza. Esso identificava, il "complesso delle violazioni delle norme, ovvero degli scarti rispetto alle aspettative sociali. Due orientamenti principali: l'uno medico-psichiatrico, l'altro sociologico. L'orientamento medico-psichiatrico, spiega Lemert, attribuisce a cause ereditarie l'insorgenza di comportamenti devianti nel soggetto. Tutti fattori legati alla persona, alla sua storia e al suo quadro clinico-sanitario. L'orientamento sociologico, invece, fa derivare la devianza dalle tendenze e dalle dinamiche che si configurano nella società. In questa specifica circostanza, ci si riferisce a una vita passata accanto a genitori patogeni, all'aver vissuto esperienze inadeguate, all'essere stati vittima di carenze di vario genere, o, infine, all'assenza di opportunità per il soggetto. Lemert si allontana da questi approcci, ormai ampiamente noti e consolidati, per indagare degli aspetti inediti che, essenzialmente, legano la devianza alla presenza o assenza di controllo sociale. La devianza a considerarla l'effetto delle norme di controllo sociale e istituzionale. Non si può giudicare "deviante" un comportamento, sostiene lo studioso, senza considerarlo in riferimento alle norme che lo classificano come negativo. In particolare, egli fa una differenza sostanziale tra ciò che definisce "deviazione primaria" e "deviazione secondaria". Nel primo caso, l'individuo e la sua deviazione rimangono nell'ombra e non vengono stigmatizzati pubblicamente. L'atteggiamento assunto dal soggetto, quindi, non ha implicazioni per il suo status o la sua struttura psichica. Nel secondo caso, invece, il comportamento deviante è il mezzo di difesa, di attacco o di adattamento nei confronti dei problemi creati dalla reazione della società. Si tratta di un processo psicologico causato dal comportamento critico e colpevolizzante della società. "teoria del rischio", secondo la quale le persone scelgono, in libertà, di attuare certi comportamenti per raggiungere i loro scopi. A seconda delle circostanze, questi comportamenti possono o meno diventare devianti. Lemert distingue tra due forme di controllo sociale: "controllo sociale attivo" e "controllo sociale passivo". Con il primo intende indicare il processo, frutto dell'età moderna, impiegato per realizzare degli scopi, dei valori e delle forme di integrazione. Il secondo, al contrario, invita a essere conformi alle norme tradizionali attraverso la morale, le leggi e le norme istituzionali. I tre principali mezzi di controllo da lui individuati sono le agenzie di pena, le agenzie di assistenza e le agenzie di correzione. Nelle agenzie di pena, come il carcere, le regole interne dettate dall'agenzia stessa e da chi è incaricato della sorveglianza del detenuto si aggiungono alle norme sociali e istituzionali del Paese. Le condizioni di detenzione spesso lesive della dignità della persona portano allo sviluppo di danni somatico-psichici in chi non ne era portatore prima della detenzione e a un aggravarsi del disagio in chi già lo manifestava prima della reclusione. Anche i dipendenti vivono situazioni altamente frustranti che causano condizioni di "burnout", ovvero di stress eccessivo con ripercussioni sullo stato psicofisico ed emotivo del soggetto. Per tutte queste ragioni, si potrebbero considerare delle alternative altrettanto costruttive al carcere quali, per esempio, le comunità di accoglienza con équipe multidisciplinari composte da psichiatri, psicologi.

Per "diritti fondamentali" si intendono il diritto alle cure, il diritto a mantenere i rapporti familiari e il diritto alla libertà di professare la propria fede religiosa. tutt...


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