LA Peste DI NOJA - Riassunto del libro PDF

Title LA Peste DI NOJA - Riassunto del libro
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Foggia
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Riassunto del libro...


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L’ultima peste: Noja 1815-16 1. Una malattia antica in una società moderna (Spagnoletti). La peste di Noja sviluppatasi tra la fine del 1815 fino alla metà dell’anno successivo, fu un episodio locale perché le autorità borboniche misero in atto severe misure che impedirono la diffusione del morbo aldilà del cordone di Noja. La peste fu poi raccontata da testimoni come VITANGELO MOREA. Ci furono vari eventi che si susseguirono nel 1815: - 1° marzo ci fu lo sbarco di Napoleone; - 2 e 3 maggio battaglia di Talentino; - 20 maggio è stipulato il trattato di Casalanza che sancisce la fine del decennio napoleonico; - 18 giugno battaglia di Waterloo; - 15 luglio Napoleone si consegna agli inglesi; - 8 ottobre Murat sbarca in Calabra per riconquistare il Regno ma viene catturato; - 13 ottobre viene fucilato a Pizzo; - 23 novembre scoppia la peste ufficialmente e termina il 1 giugno 1816. La peste era iniziata con la restaurazione del Regno sotto Ferdinando di Borbone. Cesare della Valle racconta che il Regno aveva goduto di appena sei mesi dopo 10 anni di guerra; a questo si accompagna la scarsa penuria alimentare (carestia); infatti in tutto il regno si registrò un forte rialzo dei prezzi di cereali, il governo cercò di rispondere favorendo l’immissione di grani e contrastando gli usurai. L’intendente acquistò grandi quantità di grano dalla Basilicata e spinse alcuni proprietari terrieri a vendere il grano ad alto prezzo. Tutta l’Italia patì gli effetti della crisi agraria ma NOJA FU COLPITA DALLA PESTE. La notizia della peste arrivò tardi: il 23 novembre ci fu la prima vittima e il 2 giugno si provvide a isolare la città con un cordone sanitario. Nel frattempo erano usciti uomini da Noja e fu un caso che non si diffuse in tutto il Regno. Questa peste proveniva dall’Impero Turco: Egitto→ Albania→ Corfù→ litorale pugliese. La peste a Noja si diffuse a causa del contrabbando che risultava essere necessario dove mancavano i generi; dove i dazi sono pesanti perchè Noja viveva di commercio e la “colpa” della peste fu degli abitanti stessi. Inizialmente si pensava che che fosse una malattia che colpiva solo le classi più basse e i più ricchi fuggirono nei paesi circostanti. Il regno era diviso in 14 province, divise in distretti. A un gradino inferiore c’erano i circondari dove risedevano un giudice di pace e il sindaco. C’era un comune amministrato da un governo locale: sindaco, due eletti e dei decurioni. Ci sono istituzioni ecclesiastiche e ci sono due conventi: quello dei carmelitani e quello dei cappuccini → cittadina composta dall’arcivescovo Mormile che impose la chiusura delle chiese. Consigliò ai fedeli di restare a casa e di fare la recita domestica del rosario. Vitangelo Morea elogiò l’operato dell’intendente per aver individuato la natura del morbo, aver informato il governo senza perdere tempo in discussioni e aver fatto stabilire attorno a Noja il cordone militare che “salvò la provincia e il Regno”.

La peste si concluse dopo sei mesi e ventidue giorni, nel 1816.

2. Gli antichi e la peste: molte lacrime o nessuna (Solaro) Già nella letteratura greca fu trattato il tema della peste → peste avvenuta a Tebe aveva colpito animali e donne che non riuscivano a partorire. Seneca scrive che le lacrime a Tebe erano finite poiché il lutto era tale da aver prosciugato gli occhi. Inoltre, racconta il disordine che provocò l’epidemia: genitori che mandavano al rogo i figli; terra insufficiente per le sepolture; morte dei medici. Tucidide aveva manifestato grande stupore per la brutalità della peste → tratta la peste di Atene, i medici non furono in grado di fare nulla, furono i primi a morire. Il morbo si era sviluppato dalle regioni africane. Tucidide lo descrive con estrema accuratezza. La morte sopraggiungeva al settimo o nono giorno. Nel tentativo di soccorrersi l’un l’altro morivano tutti come pecore. Lucrezio → tratta la peste di Atene prende spunto da Tucidide. Ma si notano alcune differenze poiché lui parla di un male al petto poiché, oltre a descrivere i sintomi, voleva rendere la descrizione della peste ancora più efficace sottolineando l’impotenza della religione e della medicina. Paolo Diacono parla della peste che Costantinopoli →peste di Giustiniano. Definisce tale epidemia maxima scrivendo che si diffuse soprattutto in provincia Ligurae: già dapprima comparivano macchie sul corpo, poi febbre intollerabile; i malati morivano dopo tre giorni. Se riuscivano a superare questo lasso di tempo, si aveva qualche speranza di sopravvivenza. Tutti cercano di fuggire per allontanarsi dal contagio e dall’orrore: case abbandonate, greggi abbandonati, figli che fuggivano senza dare una sepoltura ai genitori… ovunque c’era SILENZIO → c’era solo il rumore dei combattimenti e alcuna traccia di viandanti, solo cadaveri.

3. La peste di Noja e le altre. Alcuni aspetti della catastrofe del 1815-16 (Bergdolt) Alcuni intellettuali avrebbero potuto definire la peste un “flagello umano” oppure “destino”. La peste di Noja si poneva al termine di una lunga tradizioni di epidemie infettive che aveva accompagnato la storia Europea. La peste è una minaccia continua per le società e per le economie. La “morte improvvisa” era ritenuta disgrazia massima. Ci sono state varie epidemie: - epidemia medievale (1347-351) → causò conseguenze demografiche “morte nera” (pulci) ma non impedì l’ascesa di un nuovo sistema economico; - epidemia di Venezia (1576) - epidemia di Napoli (1656) - epidemia di Roma (1656) - epidemia di Vienna (1679) → organizzazione attenta alla salute pubblica - epidemia di Marsiglia (1720) → morirono quasi 30.000 persone “epidemia mortale” - epidemia di Noja (1815-1816) → ultima peste nell’Europa occidentale.

Si registrarono perdite terribili. La peste era una sfida all’economia, alla politica, alla morale, alla Chiesa… ammiriamo l’impegno delle famiglie, delle infermiere, dei notai, dei preti, degli ospedali. Il comportamento dei medici: non potevano uscire dall’ospedale, non potevano parlare con persone fuori. Tutto raggiungeva l’ospedale grazie a lunghi bastoni. Si realizzarono pratiche antichissime anche nella peste di Noja: - reclutamento forzato di condannati a morte - bruciare oggetti sospetti di diffusone di peste - cordone sanitario intorno alla città - alloggio degli appestati era nel conventi dei carmelitani e quello degli ex-appestati era in quello dei cappuccini - strade bloccate - alcune case bruciate - medici si proteggevano con abiti lunghi, guanti, maschere e cappotti giganti - caccia agli untori → coloro che erano sospettati di contrabbando (preti, mercanti..) - chiusura di chiese a Noja (differenza con Firenze e Venezia) - autorità volevano negare il pericolo, minimizzando i rischi. Alcuni oggetti, che il governo chiese che fossero bruciati, vennero recuperati da alcuni monaci → per nostra fortuna!

4. Immagini della peste, immagini contro la peste (Bianco). La peste ha avuto grandi conseguenze sul tessuto sociale, economico, sulla vita intera delle comunità e anche sulla produzione artistica. A causa del fatto che le epidemie hanno provocato la morte di artisti. L’epidemia del 1348 segnò un cambiamento nell’iconografia e determinò la nascita e la diffusione di temi come la danza macabra → immagini legate alla morte per esorcizzare la paura e prendere confidenza con il momento finale. La fine della peste ha favorito grandi commissioni artistiche. La Bianco nella prima parte parla delle raffigurazioni della peste attraverso le allegorie, le immagini delle epidemie e delle sue conseguenze sul popolo; invece, nella seconda parte, parla delle immagini della Vergine e dei santi contro la peste.

5. Dalla peste del carnevale al carnevale della peste (Sisto). Era il tempo della peste e gli uomini si abbandonavano al carnevale della loro immaginazione. Ci sono parecchi fenomeni che uniscono la peste e il carnevale: 1. la “peste del carnevale” → ricordiamo che per il cardinale Carlo Borromeo il contagio fisico era conseguenza del contagio morale trasmesso dai riti carnevaleschi. Secondo Carlo Borromeo le maschere dovevano essere allontanate, dovevano essere bandite dalla città a causa del fatto che causavano una sorta di pazzia e gli uomini dimenticavano di essere creati a somiglianza di Dio e si trasformavano in bestie. 2. “il carnevale della peste” → riguarda l’epidemia tragica come quella di Federico Borromeo che parla di spettacoli impossibili e di una irrefrenabile follia collettiva. Ci sono opere che insistono sulla “logica” del rovesciamento, su una realtà come quella contagiosa nella quale vengono meno le norme e i principi.

3. la peste e il carnevale → come eventi che possono offrire l’occasione propizia (es. la brigata) collegare il racconto di varie novelle. 4. atteggiamento di autorità sanitarie → possono decidere il divieto o il rinvio dei festeggiamenti carnevaleschi, altri li tollerano o addirittura li favoriscono. Spesso non erano disposti a rinunciare ai festeggiamenti e furono capaci di varcare “le porte del lazzaretto” e di trascorrere diverse notti tra balli, canti, tra “infetti, sospetti e quarantenati” e qualche “donnina allegra”. 5. malattia come evento che evoca → persino in una realtà dolorosa e atroce come il lazzaretto ha immagini allusive della maschera potuto evocare immagini e simboli cavallereschi. Anche perché ricordiamoci che gli abiti dei medici avevano gli occhi di cristallo e il lungo naso riempito di profumi. Questa diventerà una delle maschere più rappresentative del carnevale veneziano. Festa in casa di Pietro Contessa. Un episodio presente nella peste di Noja, che sottolinea la sovrapposizione fra tempo della peste e il tempo della festa, viene decritto da Vitangelo Morea, accadde che agli abitanti del rione Pagano fu permesso, non solo di festeggiare il Carnevale ma anche di ballare nella casa di un tale Pietro Contessa, provocando così la morte di decine di persone. Questo episodio evoca alla mente anche l’opera “la maschera della morte rossa” di E. Allan Poe: un principe ambienta un ballo in maschera nel suo castello, nonostante fossero in un periodo di isolamento. La festa prosegue fino alla mezzanotte; poi avanza tra la folla un estraneo avvolto in un sudario con una maschera sul volto che raffigura un cadavere ovvero la Morte Rossa. Il principe capisce che il potere assoluto non è il suo ma quello del Male. La peste ha fatto la sua ultima devastazione a Noja ma la sua immagine letteraria è sopravvissuta ben oltre e continua ad essere un topos.

6. Il ritratto della catastrofe (Alfano) La catastrofe nel 1656 a Napoli, raccontata da Nicolò Pasquale, provocò: - una ricaduta economica; - una mobilità sociale; - fu difficile stabilire la diffusione, la durata e la morbilità dell’epidemia; - fu difficile valutare il numero dei morti. Tutto questo perché la peste si presentò ad Aprile; si raggiunse l’apice nei mesi estivi; ci fu la prima recessione nelle piogge agostane. I provvedimenti furono presi solo a metà Maggio. Ci fu anche una messa solenne a Santa Maria di Costantinopoli che contribuì alla diffusione dell’epidemia. → messe e affollati pellegrinaggi. Chi poteva abbandonava la città, la media giornaliera dei decessi superò le mille unità e lo stato di calamità fu dichiarato solo a Dicembre > spesso succedeva che godevano della morte di altri parenti per poter ereditare ricchi patrimoni. Ci furono problemi di affollamento urbano che si verificarono anche nel 1630 quando il Vesuvio eruttò. ← catastrofe diversa dalla peste. La montagna di fuoco minacciava Napoli. Solo nel 1631 divenne l’immagine tipica dell’immaginario napoletano.

Tutto ciò è interessante per tre ragioni: 1. è l’immagine che rappresenterà la città reale 2. conferma il carattere urbano della cultura barocca e il ruolo peculiare che assume la presenza della massa. 3. politicità di questa cultura che misura gli eventi in termini di denominazione collettiva. Jury Lotman osservò che nella storia della cultura c’erano due modelli opposti: - avere un atteggiamento chiuso → separato da ciò che lo circonda; - aprirsi ai contatti culturali. Pensa Napoli come una “città eccentrica” poiché situata al ridosso del vulcano. → città costruita contro natura. Ulteriore catastrofe fu quella del “la rivolta di Masaniello”. Si passa dall’eruzione del Vesuvio (1631) alla rivolta capeggiata da Masaniello (1648) e poi alla peste (1656). Per Nicolò Pasquale l’eruzione era stata un’anticipazione della sciagurata serie di catastrofi che si è protratta per tutto il secolo. Cesare de Seta ha osservato che a partire dalla ”metà del Cinquecento”, il “ritratto di città” è un modello di rappresentazione che si presenta “come un vero e proprio manifesto” e vede l’espressione più evidente del modello politico vigente e l’efficacia del suo dominio. Nicolò Pasquale offre ai posteri, con il suo racconto della Peste di Napoli, l’immagine di una città devastata dallo scatenamento di forze contrapposte.

7. La peste di Noja nel racconto di un contemporaneo (Pompilio) Vitangelo Morea, nella Storia della peste di Noja (1817), fa una produzione scientifica-letteraria, fa riferimento ai documenti ufficiali ← criterio rigorosamente cronologico. Egli è convinto che sin dalle epoche più remote la peste abbia provocato effetti devastanti soprattutto a causa del terrore che ha sempre suscitato nelle popolazioni colpite. Morea precisa che la sua opera sarà utile ai posteri: per informare, illuminare e dirigere le scelte. All’inizio nel libro troviamo una descrizione di Noja: inquadra la fisionomia del paese; modesto borgo diviso in una parte vecchia e una nuova; case per lo più mal costruite; abitata da famiglie di operai addetti a piccoli mestieri e all’agricoltura e da famiglie di proprietari. Il primo caso di peste si verificò il 21 novembre 1815. Il primo contagiato sarebbe stato Liborio Didonna, un agricoltore benestante. Egli si ammalò e morì. Pochi giorni dopo anche la moglie lo seguì. I mobili vennero divisi tra i nipoti e quai tutti rimasero contagiati. (1° volta) Vennero inviati a Noja due medici per capire la natura del male.

In un primo rapporto si assicurava che le voci allarmanti fossero prive di fondamento. ← no peste. (2° volta) i medici vennero chiamati il 27 dicembre insieme al chirurgo quest’ultimi parlarono di “morbo dominante” → dissero agli abitanti che si trattava di febbre maligna contagiosa, prodotta dalla miseria. Venne eseguito il trasferimento dei malati nel convento del Carmine → “spedale pestifero” mentre i casi sospetti furono messi nel convento dei Cappuccini → “casa di osservazione”. Successivamente fu inviato il rapporto dai due medici → avevano dubbi che si trattasse di peste ma non era ufficiale. (3° volta) si diffuse l’allarme e fu chiesto ai medici di pronunciarsi definitivamente → “dopo una seria discussione” si concluse che si trattava di febbre pestilenziale. Fu subito deciso di fissare un cordone sanitario intorno a Noja e si adotto la misura di mettere la provincia nello “stato di guerra”→ VIETATO USCIRE DAL PAESE. A Noja fu istituito un comitato sanitario comunale composto da medici e chirurghi Novità: i medici dovevano tenere un diario con l’andamento della malattia→ cartella clinica e dovevano riunirsi giornalmente e informare due volte al giorno il comitato sanitario provincial. Reazione della gente: molti si ostinavano a non credere → incredulità. A causa della loro indifferenza, il male trovò terreno fertile e continuò a propagarsi. Parenti, amici,.. assistevano malati senza le dovute precauzioni. Durante i controlli sanitari, spesso succedeva che la gente si faceva trovare del letto per ricevere l’elemosina ma quando capirono che sarebbero stati portati al lazzaretto, si alzavano e dimostravano di essere in buona salute. Il 27 febbraio, ultimo giorno di carnevale, ci fu la strage del rione Pagano a Carnevale molte persone si recarono a ballare in casa di Pietro Contessa→ furono infettati e morirono in molti. Ci furono furti nelle case → contagi a causa del fatto che gli oggetti erano infetti. C’era una miseria diffusa → si andava alla ricerca di cibo, nei rifiuti gettati per strada “Noja periva per la peste, la provincia per la fame” a peggiorare la situazione fu la stagione invernale (il freddo). > furono anche minacciati della distruzione di Noja. Ai nojani era impedito il lavoro della terra → dovevano restare a casa. La peste fu causata dalla pratica di contrabbando. Dalmazia→ Croazia→ Spalato→ Corfù→ Puglia. SINTOMI: La malattia si annunciava con malessere e spossatezza, lividi, sete, volto pallido, pupille dilatate, occhi scintillanti, vomito →prima c’era dolore inguinale o ascellare dopo 2/3 giorni compariva il bubbone > la morte arriva Il malato sentiva la respirazione alterata con aumento febbrile e vomito con il delirio ma la suppurazione del bubbone era un segno positivo. Le terapie erano poco efficaci. Si prescrivevano eccitanti: muschio, decotto di china, l’infuso di serpentaria, castorio.. la speranza di guarigione era fondata sulla capacità di reazione dell’ammalato e sulle sue forze. Si pensava che fossero gli odori a causare la peste. Dal 1 gennaio 1816 fu allestito lo “spedale pestifero” situato nel convento del Carmine. Era diviso in quattro sale e due camere: - 1 sala per il ricovero dei nuovi entrati;

- 2 sala per gli appestati con bubboni non ancora suppurati - 3 sala per i soggetti con bubboni sappurati - 4 sala per coloro ai quali non era chiaro il loro contagio - le due camere servivano per isolare i soggetti deliranti e i cancrenati. La “casa di osservazione” era usata per i parenti degli appestati, situata nel convento dei Cappuccini Morea critica i frati poiché rifiutano di abbandonare il convento. Coloro che riuscivano a superare il contagio (liberi da febbre e sintomi di peste) passavano nella sala “valetudinaria” ← allestita nell’ospedale pestifero (per 25 giorni) →> poi andavano in una “casa di convalescenza” (per 40 giorni). Nella “pulizia medica” il più efficace metodo era dare alle fiamme a tutti gli oggetti, ma anche ai muri (fumigazioni muriatiche) che sono stati in contatti con gli appestati. MEDICI e CHIRURGHI indossavano giornalmente vesti incerate con cappucci e stivali; adoperavano l’olio per ungere il volto, capelli, collo e mani; tuffavano i piedi in una vasca di aceto. L’efficacia dell’olio era l’unica certezza poiché grazie ad esso i medici non furono mai infetti. Nelle abitazioni prima distruggevano con il fuoco gli oggetti infetti e poi facevano dei suffumigi muratici. Le abitazioni venivano chiuse con divieto di farvi rientro fino allo spurgo. I cadaveri: - inizialmente venivano sepolti nelle varie chiese del paese; - poi i cadaveri furono disposti nudi su un cataletto; - infine vennero scavate fosse e venivano sepolti dai becchini e ricoperti con cemento.

8. La notizia della peste di Noja fa un certo scalpore (Somma). I raccolti di quell’epoca furono estremamente scarsi e furono distrutti da pesanti piogge e gelide nevicate. → 1816 fu “l’anno della fame” o “anno della disperazione”. Già dalla descrizione di Ripamonti sulla peste di Milano 1630 → carestia e scarsa igiene erano elementi fondamentali perché si sviluppi la peste. I medici fino al XIX secolo pensavano che il morbo dipendesse dalla corruzione dell’aria: miasmi diffusi, congiunzioni astrali, unguenti, polveri diaboliche. Si ignorava come e perché si propagasse il male. OGGI: sappiamo che la peste è un’infezione zoonotica, vincolata a condizioni climatiche, che può colpire sia per trasmissione di animali sia interumana lungo le vie commerciali con grave impatto socio-economico e demografico, con periodiche manifestazioni. Gli unici rimedi proposti tradizionalmente per limitare i danni erano: - sfuggire dai luoghi colpiti dalla peste e sovraffollati - bruciare legni aromatici - fare fumigazioni per depurare l’aria e gli oggetti - usare disinfettanti come aceto e acqua di rose - isolare gli infetti in un luogo appartato (lazzaretto).

La difficoltà nel trattamento della peste consisteva nel riconoscerla e differenziarla dalle altre epidemie. Poiché si riproponeva periodicamente su vasti ambiti territoriali. Cosa successe a Noja? Ci fu il primo caso il 23 novembre 1815 → Liborio Didonna aveva acquistato sul litorale a fatto trasportare in paese “cuojo in contrabbando” che avevano facilitato il tra...


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