Riassunto del libro La storia culturale nell\'età globale di Hunt PDF

Title Riassunto del libro La storia culturale nell\'età globale di Hunt
Course Storia culturale
Institution Università di Pisa
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Riassunto del testo La storia culturale nell'età globale di Lynn Avery Hunt...


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La storia culturale nell’età globale Lynn Hunt La storia culturale è una disciplina pervasa da un confronto accademico internazionale. Gli storici culturali infatti, nonostante non usino gli stessi metodi né analizzino gli stessi argomenti, affrontano dilemmi comuni, dilemmi che sempre più nascono nel momento in cui si vanno ad immaginare le dinamiche che in futuro interesseranno la loro materia. Obiettivo dichiarato dell’autrice è quello di stimolare ulteriormente questo dialogo portando l’attenzione sui problemi e le prospettive che un fenomeno, molto analizzato e molto vicino a noi anche nella quotidianità, crea in chi scrive di storia culturale: la globalizzazione. Ella stessa scrive chiaramente che non è un’esperta della globalizzazione, ma allo stesso tempo, secondo me onestamente, afferma che è indubbia l’influenza che questo fenomeno (che può anche essere descritto negativamente, come effettivamente l’autrice fa in alcuni passaggi del testo) esercita sui nostri studi. Ella si chiede se la globalizzazione non potrebbe essere vista come un processo dalle molte facce, discontinuo, in cui mutamenti sociali e culturali ridisegnano le nostre aspettative di vita, compreso il modo di scrivere la storia.1 Gli storici non possono permettersi di ignorare questa marea montante d’interesse che la globalizzazione e il suo ascendente sulla storia culturale racchiude. Per questo scrive un testo sull’influenza che la globalizzazione ha avuti sugli studi storici e di storia culturale in particola modo. Gli obiettivi dichiarati di questo libro, breve ma denso di ragionamenti, sono dati da alcune sollecitazioni riassunte in poche domande: perché oggi così tanta parte del dibattito si concentra sulla globalizzazione? La globalizzazione rappresenta un nuovo paradigma per la ricerca storica? Come possono gli storici culturali trarre beneficio da questo nuovo interesse mentre, al contempo, assumono su di essa un punto di vista critico? Quello della Hunt, come ella stessa scrive, è un piccolo libro su grandi domande.

Cap.1 1 E non solo un insieme di sviluppi fondamentalmente economici e finanziari da cui conseguono cambiamenti politici e culturali.

Ascesa e crollo della storia culturale. Dal momento in cui gli esseri umani hanno iniziato a scrivere la storia, si sono preoccupati di come farlo meglio. La storia ha assunto molte forme nel corso dei secoli, forme dibattute, criticate, approvate. La storia culturale, fin dagli anno ’70, ha fatto parte di queste forme, e l’autrice ne ripercorre l’ascesa e le probabili direzioni future. Partendo dall’esempio di una pittura rupestre l’autrice ci ricorda che la storia non dovrebbe identificarsi esclusivamente con la scrittura. I popoli analfabeti, i preistorici, avevano anch’essi una propria storia culturale, e agli esordi della storia scritta Erodoto, uno dei padri di questa disciplina, vi incluse anche le descrizioni dei costumi e della cultura di Persiani, Egizi. 2Sima Qian fece lo stesso con le tribù mongole. Con gli anni ’70 la storia culturale subisce una svolta: c’è chi parla di nuova storia culturale, chi parla di svolta linguistica, di svolta culturale, e lo fanno con lo scopo di differenziarla dalla storia culturale definita come serie di temi. Si porta così l’attenzione anche su argomenti che venivano guardati dall’alto in basso, mettendo così in discussione i paradigmi dominanti nelle scienze sociali. L’autrice ne ricorda quattro: il marxismo, la modernizzazione, la scuola delle Annales, la politica identitaria (l’idea che la funzione della storia sia quella di puntellare l’identità dei gruppi sociali oppressi). L’autrice ricorda Kuhn e la sua Struttura delle rivoluzioni scientifiche, in cui il termine paradigma è presente moltissime volte con definizioni diverse. Lynn Hunt non si esime dal dare una sua definizione di paradigma: Per paradigma intendo una meta narrazione o una grande narrazione dello sviluppo storico che include:

2 Questo a dimostrare che di storia culturale si parla fin dagli esordi della storia scritta.

una gerarchia di fattori che determinano il significato, e che la gerarchia stabilisce a sua volta, un’agenda della ricerca: un paradigma deve cioè informare la scelta dei problemi ritenuti meritevoli di essere studiati come pure gli approcci adeguati a portare a termine tali studi. L’autrice prova a dimostrare (riuscendoci!!) che questi quattro paradigmi rientrando nella sua definizione, non sono soltanto creazioni retoriche della nuova storia culturale, anche se non tutti gli storici che hanno analizzato il XX sec. possono essere incasellati completamente in uno di essi. La svolta linguistica o culturale, ha minato la credibilità di ognuno di questi paradigmi ribaltando l’assunto di base per cui le relazioni economiche e sociali forniscono i fondamenti per le espressioni culturali e politiche. Per i sostenitori della nuova storia culturale la cultura non è la sovrastruttura costruita su una struttura più basilare costituita dal modo di produzione o dalle relazioni sociali di produzioni (come voleva il paradigma marxista), né il sottoprodotto inevitabile dei cambiamenti tecnologici o nelle comunicazioni (come prevedeva la teoria della modernizzazione), né la schiuma di un mare le cui correnti erano generate dalla lenta spinta dell’ambiente e della demografia (come nella scuola degli Annales), né infine l’identità virtualmente automatica determinata da una certa posizione sociale (di genere, razza o orientamento sessuale, come per le politiche identitarie). Chartier (definito dall’autrice uno dei padri della nuova storia culturale) ha spiegato la natura di questa critica, scrivendo che sono le rappresentazioni stesse del mondo sociale ad essere i costituenti della realtà sociale. Per la nuova storia culturale non si potevano immaginare i fattori sociali come ciò che plasma la coscienza, la cultura e il linguaggio. Le categorie sociali stesse potevano giungere ad esistere soltanto attraverso le loro rappresentazioni linguistiche e culturali: le rappresentazioni culturali e linguistiche non precedevano le categorie sociali; si intrecciavano con esse. Gerrtz infatti scrive che la cultura è un contesto entro cui eventi sociali, comportamenti, istituzioni e processi possono essere descritti in maniera intelligibile. Per questo la Rivoluzione francese non poteva più essere letta come la vittoria di un modo di produzione (quello capitalista) su un altro (quello feudale) come invece voleva la storiografia marxista. Essa divenne una rivoluzione nella cultura politica, in cui linguaggio, rituali e simboli avevano giocato un ruolo trasformativo. Era la cultura a dare forma a classe e politica, anziché il contrario.

Ogni categoria sociale, politica ed economica fu messa in discussione e in breve tempo la storia delle donne venne soppiantata dalla storia di genere, ecc. ciò che contava non era più la categoria sociale bensì i mezzi culturali attraverso i quali la categoria stessa era costruita ( il genere ad esempio; ovvero il sistema culturale di distinguere donne e uomini). Dal ribaltamento della gerarchia di fattori che determinavano il significato conseguì una trasformazione dell’agenda della ricerca. Lo studio della classe dominante spianò la strada all’analisi dei discorsi e dei rituali del potere. Lo studio delle organizzazioni della classe operaia fu sostituito dall’analisi del linguaggio del lavoro. Gli storici culturali si concentrarono sul linguaggio, celebrazioni, simboli e casi individuali di grande effetto che coinvolgevano persone ordinarie e che potevano essere analizzati per i propri significati culturali. Il rinascimento, la riforma, la rivoluzione scientifica (gli eventi periodizzanti della storia europea) iniziarono ad impallidire a fianco del mugnaio di Ginzburg. Negli ultimi anni la storia culturale è diventata un fenomeno globale eterogeneo ma allo stesso tempo accusato di essere eurocentrico. Una sfida all’eurocentrismo, anche rivendicato in alcuni casi, è giunta dagli storici indiani della scuola degli studi subalterni. E va anche ricordato che dal ventunesimo secolo gli storici occidentali hanno iniziato a leggere storie e storici non occidentali trovando nuovi materiali e nuovi approcci, e lo fanno, secondo l’autrice, perché consapevoli del fatto che i loro oggetti di studio, apparentemente europei, sono presi tra le maglie di un contesto globale. E’ diventato chiaro che la storia europea non può più essere concepita come una storia che riguarda solo l’Europa. L’Europa è stata coinvolta per secoli in scambi di merci, idee e popolazioni con il Medio Oriente, l’Africa, l’Asia e le Americhe. La globalizzazione è stata in incubazione molto a lungo. La svolta linguistica, scrive l’autrice, è stata presa di mira prima che si concretizzasse. 3 . E così si è scritto che non esiste un oggetto ontologico detto cultura, che gli storici culturali non erano riusciti a mettersi d’accordo su un unico significato di cultura. Gli storici economici e sociali che non hanno preso parte alla svolta della storia culturale, hanno guardato all’ascesa di quest’ultima con una certa costernazione e hanno replicato. Si è anche scritto che la storia culturale propone soluzioni grandiose basate su dati approssimativi. Si è detto che gli storici culturali dedicano troppa 3 L’esperienza veniva ridotta ai significati che le davano forma. Hybris dei fabbricanti di parole che pretendevano di essere fabbricanti di realtà. Toews con queste parole intendeva criticare l’eccessivo peso che la svolta linguistica dava alle parole.

attenzione a persone marginali e documenti eccentrici, mentre non ne dedicano abbastanza al funzionamento normale o al meccanismo principale di una società. Haber ha scritto che gli storici culturali non sono ancora riusciti a creare un serio programma di ricerca (1999). Se tutto è culturale la cultura perde il suo potere esplicativo. Quindi proprio mentre gli studi di storia culturale si sono diffusi in lungo e in largo, mentre si sono globalizzati, sono divenuti bersaglio di attacchi crescenti. Secondo l’autrice è stato il collasso dei paradigmi dominanti ad aprire le porte al proliferare di studi culturali definiti in modo vago nei quali quasi tutto è in qualche modo culturale, e la cultura ha impatti su tutto, e quindi la freccia causale può puntare in qualsiasi direzione contemporaneamente. Negli studi culturali, la spiegazione causale prende posto in fondo rispetto alla demistificazione e alla decostruzione del potere. Se tutto è cultura la cultura diventa, inevitabilmente, una categoria vacua e ciò che era nato come una critica incisiva dei paradigmi dominanti nelle scienze sociali ha finito per somigliare ad uno scroscio d’acqua. La nuova passione degli storici per il piccolo, l’elementare, il costruito culturalmente appare condividere una certa logica con i processi di deregulation e di sempre crescente flessibilità economica tipiche del capitalismo contemporaneo. Viene quindi sollecitata, dall’interno della categoria degli storici sociali, un recupero di alcune virtù della storia sociale: l’uso dei metodi quantitativi l’interesse per l’esperienza delle persone ordinarie (poveri ed oppressi) una rinnovata attenzione per le strutture e i processi socio economici. L’autrice scrive che gli storici culturali non hanno da respingere tutti gli sforzi volti a sviluppare nuovi paradigmi. Scrivere la storia è intrinsecamente provvisorio, facciamo del nostro meglio con le prove che riusciamo a scoprire sapendo al contempo che a nostra disposizione non abbiamo che tracce del passato. Una storia culturale senza paradigmi si trova dinanzi a due rischi mortali: una dispersione sempre più vasta, tra mille recessi remoti il cui significato nel quadro complessivo è oscuro o forse irrintracciabile

l’essere eclissati dalla luna crescente del nuovo paradigma delle scienze sociali e degli studi umanistici: la globalizzazione. L’autrice riconosce quello che di positivo indubbiamente c’è nella svolta, perché questa indubbiamente porta a scoprire nuovi importanti territori e offre alla ricerca orizzonti nuovi e stimolanti. Tali svolte hanno aiutato a riconfigurare il paesaggio storico e hanno portato l’attenzione ogni volta su nuovi tipi di prove e nuovi approcci. Ma il termine svolta vuol dire anche piega, torsione non mappa stradale, cioè un’immagine di come andare da dove ci troviamo a dove vogliamo arrivare, o quello che l’autrice chiama paradigma della ricerca. Inoltre gli storici culturali che respingono le meta - narrazioni offrono un modo a quest’ultime di reintrodursi furtivamente. Il poststrutturalismo o il post modernismo hanno le proprie meta narrazioni implicite sul fallimento della modernità, che l’uso del prefisso post rende evidenti: senza una narrativa della modernità non esiterebbe una critica postmoderna. Foucault, il poststrutturalista di maggior successo, contrastava la meta narrazione emancipatoria del marxismo e della modernizzazione offendo una sua contro-narrazione dell’ascesa della società della disciplina. La storia moderna infatti, nelle opere come Sorvegliare e punire e la Volontà di sapere, non era guidata dal trionfo del capitalismo, della liberazione sessuale, della democrazia e dei diritti umani; piuttosto aveva significato l’emergere di una società carceraria in cui scuole, fabbriche, eserciti e prigioni normalizzavano gli individui creando individualità nell’atto di disciplinare gli individui. La sfida della globalizzazione La globalizzazione è una narrazione talmente dominate da funzionare come paradigma nello stabilire gli interrogativi della ricerca.

Molti storici hanno scoperto la globalizzazione solo recentemente nonostante questo sia un fenomeno tutt’altro che nuovo, visto che certe forme di globalizzazione hanno accompagnato la storia umana fin dall’inizio. E’ stata ignorata perché nella storiografia ha predominato una tendenza nazionale (nell’introduzione scrive: benché molti di noi studino e scrivano ancora la storia di uno stato nazione, il dibattito sui metodi della storia si è internazionalizzato sempre più. La storia come disciplina è cresciuta in una relazione simbiotica con il nazionalismo (XIX-XX sec) fornendo alle nuove nazioni una eredità nazionale precedentemente

soppressa o ignorata, e puntellava l’identità nazionale anche negli stati nazione più antichi, come l’Inghilterra o la Francia. A differenza degli USA (dove i insegna storia globale, con intenti non troppo diversi) in Europa ci si impegna a costruire una identità europea (a metà tra lo stato nazione e il mondo). Una storia maggiormente orientata in direzione globale potrebbe ben incoraggiare un senso di cittadinanza internazionale, di appartenenza al mondo e non solo alla propria comunità nazionale. Dagli anni ’90 va detto che gli storici che si occupano di stati nazione cercano di inquadrare le loro storie in un contesto globale. Ciò dipende dalla globalizzazione? Può la globalizzazione fornire il nuovo paradigma che finora è mancato alla svolta culturale(o è un cavallo di troia che minaccia di riportare i vecchi paradigmi)? Che cos’è la globalizzazione? Essa è un’interconnessione crescente tra le parti del mondo. Può essere definita in termini economici, tecnologici, sociali, politici e culturali. Un processo a lungo termine che percorre tutta la storia umana, studiato soltanto nei suoi ultimi 20 trent’anni di vita. Da questa prospettiva di breve periodo la globalizzazione economica appare come la compenetrazione su scala mondiale delle istituzioni finanziarie , delle reti commerciali e dei circuiti industriali. La globalizzazione tecnologica riduce il tempo e lo spazio degli spostamenti. La globalizzazione sociale è lo sviluppo dell’immigrazione da un paese all’altro, o dalle campagne alla città. La globalizzazione politica è rappresentata da un lato dai tentativi di stabilire l’egemonia planetaria mediante l’uso delle armi e la crescente influenza di unità politiche più grandi (unione europea, WTO, ONU), dall’altro dalla dimensione globale di argomenti politici come i diritti umani. La globalizzazione culturale è lo sviluppo di forme globali di identità e attività quotidiane: le identità ibride o diasporiche diventano sempre più importanti , e anime, videogiochi, caffè, cocacola e sale d’aspetto degli aereoporti sono più o meno gli stessi ovunque. Per come stanno adesso le cose la globalizzazione può diventare il paradigma dominante solo incorporando e omogeneizzando gli elementi chiave dei quattro paradigmi precedentemente criticati dagli storici culturali: la modernizzazione, il marxismo, la scuola delle Annales e le politiche dell’identità. Cultura, relazioni sociali e politica saranno nuovamente ridotti ad una posizione subalterna. Essa come paradigma della ricerca storica incorporerà elementi sia della modernizzazione e i marxismi necessariamente la criticheranno in quanto ultimo stadio di sviluppo del

capitalismo. Gli adepti di entrambe dissentono solo nel giudizio che danno, negativo o positivo, degli effetti di questo processo sulla vita della gente comune. L’interesse verso la globalizzazione segue dall’assunto secondo cui il genere umano non ha disposizione alternative al capitalismo. I marxisti hanno spostato la propria attenzione verso una critica dell’ordine capitalistico dall’interno, anziché sollecitare un’alternativa dall’esterno. Un comunismo raggrinzito facilita pertanto l’incorporazione della modernizzazione e insieme del marxismo in un paradigma della globalizzazione. I sostenitori della modernizzazione di solito sono a favore della globalizzazione neoliberista. Braudel ha scritto abbondantemente riguardo all’invenzione e la successiva diffusione del capitalismo dall’Europa al resto del mondo. Egli ha istituito un modello regionale di storia e ha scritto di un processo globale (il capitalismo). La maggior parte dei suoi “colleghi” ha continuato a concentrarsi su certi stati nazione, in particolare la Francia. Per quanto possano differire tutte e tre i modelli danno priorità ai fattori economici e i resoconti contemporanei della globalizzazione hanno posto l’enfasi prima di tutto sui fattori economici (la crescente importanza della finanza e, a monte di ciò l’ascesa delle multinazionali). Cultura, relazioni sociali e politica saranno nuovamente ridotti ad una posizione subalterna. L’impatto della globalizzazione sullo studio delle identità è stato più immediato. Il movimento globale delle persone protagonista della creazione di identità nuove e prima inimmaginate. I sociologi oggi analizzano le politiche dell’identità transnazionale, uno degli effetti che si producono quando la globalizzazione ibrida, particolarizza e post modernizza la cultura e la politica. L’influenza della globalizzazione sulla pratica della storia Il concentrarsi incessantemente sulla globalizzazione potrebbe cancellare in futuro i progressi degli ultimi due decenni di riflessione storica. Ci potrebbe essere uno spostamento dell’attenzione verso la macrostoria e il determinismo economico e sociale. Tutti aspetti contestati dagli studi culturali che prediligono la microstoria criticano il determinismo economico e sociale. La storia globale sarà spezzata via dalla marea montante dell’interesse per la globalizzazione? Il globale sembra andare mano nella mano con il macro storico, cioè con il concentrarsi su una storia che ha come obiettivo quello di cingere il mondo intero o di confrontare il modo in cui si sono sviluppate aree molto distanti tra loro (feudalesimo francese, …) Questo anelito a un punto di vista macroscopico può

essere fatto risalire a varie fonti: la convinzione che la globalizzazione sia in corso di svolgimento e quindi dovrebbe avere una storia; l’insoddisfazione creata dalla storia culturale e, più in generale, dalla svolta culturale; e non ultimo, il bisogno dei politici, soprattutto negli USA in Europa, di fissare un punto di vista globale su problemi che potrebbe dover affrontare militarmente o economicamente . gli eventi odierni (la guerra al terrorismo e la crisi globale) hanno incoraggiato un punto di vista globale proprio quando l’insoddisfazione per la svolta culturale e linguistica spingeva gli storici a guardare verso nuove direzioni. Abbandonando il terreno causale, la storia culturale ha creato dei problemi per essere troppo particolaristica, troppo interessata a...


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