Libro di Kells - riassunto da \"storia di dodici manoscritti\" PDF

Title Libro di Kells - riassunto da \"storia di dodici manoscritti\"
Author Alessia Picardo
Course Filologia germanica
Institution Università degli Studi di Verona
Pages 4
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Summary

riassunto da "storia di dodici manoscritti"...


Description

Il libro di Kells Fine VIII sec., Trinity College Dublino, MS 58

Fu rubato due volte: la seconda nel 1874. Venne rintracciato nel giro di una settimana e a rubarlo fu lo stesso bibliotecario del Trinity College, J.A Malet che lo porto al British Museum per una consulenza su un’eventuale nuova legatura, che fu sconsigliata. Il furto precedente risaliva al 1007 e quest’episodio è attestato da una sola fonte con alcuni dettagli che rimangono ambigui. Il resoconto compare nei cosiddetti “Annali dell’Ulster”, una cronaca continuamente aggiornata, scritta in parte in irlandese antico. Venne recuperato dopo 2 mesi e 20 giorni, privato del suo oro. Il movente del furto fu appunto la ricca ornamentazione della sua legatura o della cassa su misura in cui era conservato: i Vangeli irlandesi erano in genere custoditi all’interno di reliquari portatili. Evidentemente il cumdach di Kells era d’oro e ornato di immagini antropomorfe, che forse raffiguravano gli evangelisti. Ai ladri comunque interessava solo il valore del metallo prezioso, e possibilmente erano vichinghi. Oggi, il libro, è un monumento nazionale dell’Irlanda al massimo livello. È probabilmente il più famoso dei libri medievali, di qualsiasi genere, e forse quello più carico dal punto di vista emotivo. È simbolo iconico della cultura irlandese e l’UNESCO l’ha inserito nel suo Registro della Memoria del Mondo. L’originale è esposto all’interno di una speciale teca dai vetri oscurali oggi denominata il Tesoro (Treasury), nell’ala est del Trinity College di Dublino. Il Libro di Kells, il cui nome deriva dalla città a cui un tempo apparteneva, è un manoscritto dei quattro Vangeli nella traduzione latina di Girolamo, con alcune varianti integrati da una serie di tradizionali testi di prefazione che precedono l’inizio del Vangelo di Matteo. Nel 1953 ricevette una nuova legatura da Roger Powell, il più famoso artigiano legatore britannico della sua generazione. Powell lo suddivise in quattro volumi, in parte per potere esporre contemporaneamente Vangeli diversi e in parte per poterli presentare a turno. I piatti sono due assi disadorne di rovere tagliato di quarto, oggi piuttosto consunte. Il dorso è avvolto in pelle bianca allumata, fissata alle assi da viti di acciaio sia all’interno che all’esterno. I fogli che lo richiudevano furono rammendati con filo bianco assai visibile, in base al principio che il cucito, anche se il filo è appariscente, è un arte onesta e tradizionale. Per i fogli di guardia e i rammendi principali fu usata pergamena bianca e linda. Il problema maggiore, per Roger Powell, consistette nella presenza di circa 140 fogli sciolti o che necessitavano urgentemente di rinforzi sulle piegature interne. Per risolverlo, dovette fissarvi nuove brachette di pergamena moderna, con la conseguenza che lo spessore di quei fogli, lungo il bordo interno risultò raddoppiato, così come raddoppiò lo spessore del libro lungo il dorso rispetto a quello lungo il taglio anteriore. La soluzione adottata da Powell fu quella di inserire tra i fascicoli nuove pagine di pergamena bianche, assottigliate al massimo lungo i bordi interni e molto spesse altrove. In questo modo i volumi sono tornati ad avere una forma regolare. Nel bene o nel male, il Libro di Kells ha oggi un aspetto molto ordinato e pulito, che nel Medioevo non aveva certamente. La prima pagina è un po' deludente. Sfacciatamente cucito a una cornice di linda pergamena moderna c’è un rettangolo verticale marrone pieno di graffi dai bordi irregolari. È suddiviso verticalmente in due colonne tra cornici decorate. Il testo inizia in una grafia ampia e arrotondata. Si tratta dell’ultima colonna di un elenco andato perduto, che era presumibilmente il testo di apertura del manoscritto. È strano comunque che un catalogo del genere fosse ritenuto utile in un superbo manoscritto come il Libro di Kells, destinato ad essere esposto e non certo ad essere consultato. Il primo nome citato è “Sadoc” che significa giustificato (non è mai citato nei Vangeli ma è un sacerdote dei libri dei Re e delle Cronache, citato l’ultima volta, nella Bibbia, in Ezechiele). Il nome successivo è quello di un luogo cioè “Sidone” interpretato come “cacciatrice”: la città di Sidone è effettivamente citata nei Vangeli. Il terzo nome è quello dell’apostolo Tommaso (abisso) e l’elenco si chiude con Zaccheo, l’esattore delle tasse di Luca 19. La seconda colonna di questa prima pagina resta l’incontro con delle immagini; esse però sono talmente scure e graffiate che è difficile decifrarle. Inoltre sono girate di lato, come se si dovesse guardarle da destra.

È il primo caso di molte piccole immagini che, nel manoscritto, sembrano orientate nella direzione sbagliata. Le immagini sbiadite riproducono i simboli dei quattro evangelisti. Le tavole canoniche indicano le concordanze dei passi nelle narrazioni dei quattro Vangeli. In molti antichi manoscritti greci e latini queste tavole si trovano fra colonne collegate in cima da aggraziati archi a tutto sesto che, formando una doppia apertura, simulano il porticato di un chiostro. Il lettore dovrebbe scorrere la pagina con il dito, associando i numeri dei capitoli in orizzontale tra le colonne. Nel Libro di Kells l’originaria derivazione architettonica delle tavole è pressocchè perduta, sommersa da ornamentazioni in stile irlandese. I pilastri appaiono infatti fitti di intrecci e figure aggrovigliate. Lungo i margini inferiori dell’ultima di queste pagine e in tutti i fogli un tempo vuoti che le seguivano si trovano le trascrizioni di vari contratti in irlandese medievale. Ce ne sono altri sparsi nel manoscritto. Riguardano tutti le terre circostanti il monastero di Kells tra la fine del XI secolo e il 1161, e presumibilmente furono inseriti nel libro in quel periodo o poco dopo. È assai probabile che gli accordi fossero stati stipulati giurando appunto sul Vangelo, e che in seguito fossero stati inseriti laddove la sacralità del contesto ne avrebbe garantito la perpetuità e il rispetto. La prima illustrazione è a pagina piena. Si trova sul foglio 7v. Mostra la Madonna col Bambino attorniati da quattro angeli. È una delle immagini più riconoscibili dell’arte irlandese. L’immagine è di una bruttezza agghiacciante: la testa di Maria è sproporzionatamente grande rispetto al corpo, e mostra enormi occhi sgranati contornati di rosso, un lungo naso che sembra gocciolare e una bocca minuscola. Il neonato, di profilo, ha un aspetto grottesco: capelli rossi scompigliati simili ad alghe, mento e naso prominenti rivolti all’insù e un’inquietante riga rossa che va dal naso all’orecchio. L’immagine del manoscritto allude ovviamente alla Natività di Cristo, perché è collocata a fronte dell’inizio dei sommari dei capitoli del Vangelo di Matteo, che si apre appunto con la natività. La pagina è caratterizzata da righe di capilettera ornamentali così fitte da risultare praticamente illeggibili. Girando ancora la pagina, incontriamo finalmente la scrittura ampia e aggraziata chiamata minuscola insulare o semionciale per la quale il Libro di Kells è famosa. Il testo effettivo del Vangelo, però non inizia per altri 21 fogli. I testi dei Vangeli che compongono il manoscritto non sono suddivisi per capitoli, per cui, in questo caso, le tavole canoniche e sommari dei capitoli sono più o meno inutilizzabili. I testi extra proseguono con la tradizionale prefazione a Matteo, contraddistinta da un enorme capolettera da dietro al quale fa capolino un uomo dall’espressione sbigottita; vengono poi i sommari dei capitoli e la prefazione di Marco, e le prefazioni di Luca e Giovanni; dopodichè il manoscritto fa come un salto all’indietro e riporta i sommari dei capitoli di Luca e Giovanni. Segue il ciclo prefatorio di illustrazioni a Matteo. Siamo arrivati al folio 28v. Finalmente, al folio 29r, dopo quasi un quarto di quello che oggi è il primo volume, inizia il Vangelo di Matteo, ma la sua prima pagina è praticamente illegibile. È un ammasso di ghirigori e figure geometriche come cerchi e rettangoli, fitto di ornamentazioni della più raffinata squisitezza. In cima fa capolino un omino che si assume sia san Matteo poiché porta l’aureola e regge un libro. Anche per i Vangeli successivi vi sono ampie miniature a tutta pagina: ogni Vangelo è preceduto da simboli dei quattro evangelisti e inizia con pagine così complesse ed elaborate che il testo dovrebbe essere indecifrabile per chi non lo conosceva a memoria. Per alcuni le immagini che interrompono il testo sono difficili da apprezzare. Esse rivestono un’importanza straordinaria nella storia dell’arte e il loro valore commerciale è pressochè inestimabile, ma confondono e sono difficili da decifrare. Le pagine del testo del Libro di Kells sono comunque molto belle e squisite. La grafia, in ampie maiuscole insulari, è impeccabile per regolarità e assoluto controllo. La scrittura è calligrafica e precisa, e al contempo fluttua e si modella nello spazio che ha a disposizione. A tratti si gonfia e pare prendere fiato alla fine delle righe. Ogni frase si apre con un complesso capolettera calligrafico riempito dando prova di grande talento per la policromia: ognuno sembra un gioiello incastonato di smalti. Nei manuali sull’arte insulare viene frequentemente citata una descrizione di epoca medievale di un manoscritto che assomiglia al Libro di Kells. Giraldo del Galles, un viaggiatore e cronica vide a Kildare nel 1185 un manoscritto che probabilmente non era il Libro di Kells, ma che comunque doveva essere qualcosa

di assai simile. Il prezioso manoscritto che gli era stato mostrato era tutto pieno di immagini e ornamentazioni, così ricco da sembrare eccessivo. La possibilità che Giraldo del Galles avesse esaminato un manoscritto simile oggi perduto ci ricorda che probabilmente il Libro di Kells non era un tempo unico. Dire che esso è uno di diversi Vangeli irlandesi può fare pensare che di manoscritti di questo tipo ne esistano oggi parecchi. Non è così. Sono invece tra le opere d’arte medievali più rare e pregiate di tutte. Ciononostante, il Libro di Kells è così famoso che è facile dimenticare che il Trinity College di Dublino possiede non meno di altri 5 Vangeli irlandesi antichi, persino più antichi di quello di Kells. I neofiti dei manoscritti domandano a volte che cosa libri del genere possono dirci sulle società che li hanno prodotti. A un primo livello, questi Vangeli non descrivono nulla: non sono cronache locali, bensì traduzioni latine standard di testi religiosi provenienti da molto lontano. Al contempo, già questo è molto rilevatore per l’Irlanda. Non si sa in che modo l’alfabetismo e il cristianesimo siano approdati in Irlanda, ma comunque trovarono una civiltà che ormai sapeva leggere il latino, nonostante non fosse mai stata occupata dai romani. Sebbene il Libro di Kells sia quanto più tipicamente irlandese si possa immaginare, è un testo mediterraneo, e tra i pigmenti usati per realizzarlo c’è l’orpimento, un giallo ricavato dal solfuro di arsenico, esportato dall’Italia. Esistevano evidentemente rotte commerciali e di comunicazioni a noi ignote. Dopo il Libro di Kells, in Irlanda non si salvò quasi nessun altro manoscritto importante. Mentre il resto d’Europa iniziava a scoprire l’arte della miniatura dei manoscritti, l’Irlanda usciva di scena. Quando il Libro di Kells iniziò a essere noto al grande pubblico all’inizio dell’800, si credeva ancora che risalisse al VI secolo. Inizialmente si sperò che esso tramandasse una versione dei Vangeli più antica e pertanto più autentica di quelle che si potevano trovare in qualunque altro luogo. Il libro di Kells segue la traduzione Vulgata standard di San Girolamo, che fu completata nel 384. Risulta a tratti contaminata da lezioni della più antica e fallace Vetus Latina, solo che in questo caso si tratta di varianti non volontarie. Nel libro si trovano molte parole inserite con tutta probabilità inconsapevolmente, per la familiarità che si aveva sin dall’infanzia con quella versione. Possiamo dire che esso appartiene ad un filone irlandese della Vulgata, cui si sovrappongono tante piccole stranezze frutto di ricordi o distrazioni. In verità esso è un testimone ben misero e corrotto del testo evangelico, spesso incoerente e a tratti anche poco comprensibile. Come i testi che li precedono, anche quelli dei Vangeli non erano presumibilmente destinati ad essere letti ai fini di studio o di analisi critica. Infatti i Vangeli insulari erano opere d’arte. Erano oggetti sacri che servivano a santificare una chiesa, ad essere portati in processione. La mera lettura era un aspetto secondario. Il manoscritto non è completo. Inizia alla fine di un elenco di nomi ebraici e le ultime pagine sono molto sbiadite e piene di rammendi e l’ultima è praticamente illeggibile. Le immagini a piena pagina sono tutte su fogli singoli, mentre i grandi capilettera a tutta pagina, come negli incipit di Matteo, Marco e Giovanni compaiono in genere su fogli solidali con pagine di testo. In qualche misura, quindi, la produzione delle immagini dovette essere un’attività a sé stante. La seconda osservazione è che tra i vari fascicoli si riscontra frequentemente un cambio di scriba infatti è in genere attribuito a 4 copisti, a ognuno dei quali furono affidati più turni di lavoro, quasi sempre suddivisi in base ai vari quaderni. Perse vari fogli in varie fasi della sua storia. Sul margine superiore del folio 337r, c’è un appunto del XVII secolo che dice “qui manca un foglio, cioè all’inizio del XVI capitolo di San Giovanni”. Un’altra mano aggiunge che il foglio fu ritrovato nel 1741. Il manoscritto fu esaminato a Kells anche da James Ussher. Anche lui scrisse nel Libro di Kells, riportandovi il suo conteggio dei fogli del 1621. Inoltre fece realizzare una copia dei documenti inclusi nel manoscritto in irlandese, anch’essa conservata oggi al Trinity College, nel quale è utilizzata per la prima volta “book of Kelles”. L’ascesa del manoscritto alla fama a livello internazionale iniziò ai primi del XIX secolo, e fu dovuta in particolar modo a motivi politici. L’incomparabile e peculiare qualità artistica del Libro di Kells conquistò l’immaginario del Rinascimento celtico.

Nel 1914 Sir Edward Sullivan, figlio del Lord Cancelliere d’Irlanda, pubblicò un libro illustrato destinato a grande popolarità, The Book of Kells, con 24 tavole applicate a colori. La cosa curiosa è che cinque di esse erano fotografie, non del manoscritto ma delle copie di Helen D’Olier. Il libro di Kells è un’opera d’arte di altissimo livello, ma è impossibile che sia mai stato un testo da leggere come narrazione. È troppo ricco, troppo carico e si porta dietro troppo. Le parole sono intrecciate fra loro in modo bizzarro. Politica e senso d’identità nazionale hanno finito per fare parte integrante del Libro di Kells al punto che anche il più esperto dei medievisti ha imparato a muoversi con estrema cautela. Nessuno accetta davvero che l’ipotesi che il manoscritto sia effettivamente opera di San Columba, sebbene tale tradizione, che lo accompagna fin da quando venne citato per la prima volta nel 1007, conti moltissimo. Che il libro di Kells sia stato prodotto in parte o integralmente a Iona, o sia stato realizzato o completato a Kells in Irlanda, dipende esclusivamente dalla data che gli si attribuisce. Al riguardo i paleografi hanno avanzato diverse ipotesi, che spaziano tra la fine del VII e la metà del IX secolo. Tutto considerato, l’opinione prevalente oggi è che risalga agli ultimissimi anni del VIII secolo. Che il manoscritto sia stato prodotto a Iona non inficia il suo carattere squisitamente irlandese: la comunità arrivata su quell’isola era composta interamente da irlandesi ed era facilmente raggiungibile e non era ancora stata attribuita un’appartenenza basata sugli attuali confini politici....


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