Riassunto introduzione del libro Mandragola di Machiavelli PDF

Title Riassunto introduzione del libro Mandragola di Machiavelli
Course Letteratura Italiana
Institution Università degli Studi della Tuscia
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Riassunto dettagliato e completo dell’introduzione del libro la Mandragola di Machiavelli, utile per il superamento di interrogazioni scolastiche e vari esami universitari....


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MANDRAGOLA (Stoppelli)

INTRODUZIONE Machiavelli scrive la Mandragola nel secondo decennio del XVI secolo, all’incrocio di due grandi culture al loro culmine: l’umanistica e quella volgare fiorentina. Machiavelli era stato costretto a smettere i panni del politico quando, il 7 novembre del 1512, caduta la Repubblica, i Medici lo rimossero da tutti gli incarichi, azzerando il suo status personale ed economico. Dapprima condannato ad un anno di confino, poi accusato ingiustamente di aver congiurato contro i Medici, fu addirittura imprigionato e torturato. Riconosciuto innocente, grazie ad un’amnistia torna in libertà. Si trasferì con la famiglia nel suo podere di Sant’Andrea in Percussina, presso San Casciano. Nella lettera del 10 dicembre 1513 all’amico Francesco Vettori, Machiavelli dà notizia dell’avvenuta composizione del Principe. Machiavelli e Vettori erano stati compagni in un’ambasceria all’imperatore Massimiliano nella prima metà del 1508. La famiglia Vettori apparteneva alla cerchia degli ottimati; i Machiavelli erano invece di estrazione popolana. Nel 1513 Francesco Vettori è ambasciatore fiorentino a Roma, ma durante il papato mediceo questo incarico ha solo un valore di facciata. A regolare i rapporti tra Roma e Firenze pensano direttamente i Medici: Giuliano duca di Nemours e il cardinale Giulio, il futuro Clemente VII. Nell’epistolario machiavelliano il carteggio degli anni 1513 e 1514 con il Vettori costituisce la sezione di maggior interesse culturale e umano. I due discutono della politica italiana ed europea, ma raccontano anche le proprie giornate. Vettori, in una lettera del 18 gennaio 1514, aveva raccontato all’amico di una donna vedova di buona famiglia che aveva una figlia di vent’anni. Ad una cena a casa dell’ambasciatore, dove tra i commensali c’erano la vedova, un fratello, la figlia Costanza e un figlio, due ospiti fiorentini fecero una corte serrata a Costanza: Filippo Casavecchia e Giuliano Brancacci. La madre vuole che la figlia condiscenda piuttosto all’ambasciatore, che già ne era attratto. Questo racconto stimola la fantasia di Machiavelli che si immagina la scena come comica. Il Vettori torna sull’argomento il 9 febbraio, dopo aver consumato con Costanza. Comincia ad elencare i motivi per cui avrebbe dovuto astenersi: l’età di quarant’anni, l’esser sposato, l’aver figlie maritate e da marito, non avere roba da buttare, non aver fastidi. Il 25 febbraio Machiavelli risponde raccontando una storia che vede Giuliano Brancacci andare in giro per Firenze di notte a caccia di ragazzi. Venendo poi alla questione di Costanza, Machiavelli consiglia l’amico con le parole del Boccaccio: è meglio fare et pentirsi, che non fare et pentirsi. Molto del frasario delle lettere scambiate tra il 1513 e il 1514 fra Machiavelli e Vettori lo ritroviamo trasposto nelle battute della Mandragola. Ne consegue che proprio tra la fine del 1513 e i primi mesi del 1514 Machiavelli componesse la commedia, adattando alla stesura in corso il fraseggio delle lettere scambiate con Vettori. La prima notizia che si ha della commedia è più tarda: del 1519-20. Avvicinarne la concezione e la prima stesura al Principe piuttosto che all’Arte della guerra è un recupero cronologico oltremodo significativo sul piano critico. Il tenore degli argomenti delle lettere scambiate con Vettori fra il ’13 e il ’14 è quanto mai congruente con lo spirito della Mandragola. Una parentesi di gaiezza per addolcire gli ozi forzosi a cui il cambio di regime lo aveva costretto. L’interesse di Machiavelli per la commedia data lontano, quasi certamente agli anni della sua formazione culturale, quando trascrisse il De rerum natura di Lucrezio e l’Eunuchus di Terenzio (attuale ms. Rossiano 884 della Biblioteca Vaticana). L’esperienza più significativa è il volgarizzamento dell’Andria di Terenzio, ascritto tradizionalmente al 1517, ma che deve essere retrodatato intorno al 1495. Sono sopravvissute due redazioni autografe: nel ms. Banco Rari 29 e nel Banco Rari 240, entrambi della Biblioteca Nazionale di Firenze. Dell’interesse di Machiavelli verso il teatro negli anni della Seconda Cancelleria abbiamo notizia indiretta dal nipote Giuliano de’ Ricci. Potrebbe ricondursi ai primi anni del Cinquecento la commedia a imitazione dell’Aulularia, le cui carte frammentarie sarebbero state saccheggiate da Gelli nella Sporta. Al 1504 rinvierebbe una commedia dal titolo Le Maschere, a imitazione delle Nuvole di Aristofane. Giuliano stava mettendo ordine nelle carte dell’avo in vista di un’edizione purgata delle sue opere, mai realizzata. La vicenda della Mandragola si immagina accaduta proprio nel 1504. Siamo ancora qualche anno prima della nascita della commedia regolare, cioè della commedia in prosa in cinque atti, rispettosa dell’unità di tempo e di luogo, con personaggi e trame che replicano quelli di Plauto e Terenzio. Nel 1508 con la Cassaria di Ariosto nasce la “Commedia del Cinquecento”: è un’opera originale, anche se la storia e i personaggi sono di riporto. Non manca qualche riferimento moderno, ma per avere una commedia di ambientazione locale, nella fattispecie ferrarese, bisogna aspettare i Suppositi del 1509. Ariosto rispose con due commedie originali, ma perfettamente in linea con i modelli latini, alla richiesta di spettacoli teatrali che veniva dalla corte estense di Ferrara. Alla corte di Francesco Maria della Rovere, ad Urbino, abbiamo un’opera fondamentale per l’evoluzione del genere: la Calandra di Bernardo Dovizi, il futuro cardinal Bibbiena, messa in scena nel 1513. Era ambientata a Roma e si ispirava ai Menaechmi di Plauto e agli Adelphoe di Terenzio, ma recuperava in abbondanza materiali dal Decameron di Boccaccio. La Mandragola non solo riprende elementi decameroniani, ma mette in forma di commedia una beffa finalizzata a una conquista amorosa, dunque una storia tipica boccacciana, non plautina né terenziana, trasponendola in un genere che aveva altre radici e rispondeva a tecniche compositive di modalità del tutto diverse. L’equilibrio non sarebbe stato raggiungibile senza le caratteristiche particolari della cultura letteraria fiorentina di primo Cinquecento, orientata per un verso a Boccaccio, Sacchetti, burchiello e Pulci, per un altro a Ficino e Poliziano.

Nei primi decenni del secolo si registra a Firenze una schiera nutrita di commediografi: Iacopo Nardi, Lorenzo di Filippo Strozzi, Eufrosino Bonini, Francesco Leoni, Donato Giannotti con la giovanile Milesia. Ruotano quasi tutti intorno all’ambiente degli Orti Oricellari, il circolo intellettuale che si riuniva nei giardini del palazzo di Bernardo Rucellai e che raccoglieva gli eredi della grande stagione umanistica del secondo Quattrocento. Pietro Crinito, custode a Firenze della memoria di Poliziano, fu tra gli ospiti di Rucellai fin dalla prima stagione degli orti. Nel suo De honesta disciplina, opera in cui raccoglie appunti e considerazioni su autori latini, alcuni capitoli sono dedicati al teatro. Iacopo Nardi, sempre della cerchia, aveva occupato ruoli significativi nell’amministrazione della Firenze soderiniana e avrà parte attiva nella seconda repubblica, tanto da scontare con l’esilio la restaurazione medicea del 1530. Lorenzo di Filippo Strozzi è autore di tre commedie: Commedia in versi, La Pisana, La Violante. Della prima esiste una copia di mano del Machiavelli nel ms. Banco Rari 29. Allo Strozzi dedicherà l’Arte della guerra. Nel corso del suo soggiorno fiorentino del 1513-14, anche Giorgio Trissino parteciperà agli Orti, scrivendo appena trasferitosi a Roma la Sofonisba (1514-15), prima tragedia in lingua volgare. Giovanni Rucellai, figlio di Bernardo, nello stesso 1515 sarà autore della tragedia Rosmunda. Il Nardi, prima dei Due felici rivali, aveva scritto la commedia L’Amicizia, dedicata a Lorenzo di Filippo Strozzi. Iacopo Nardi sarà tra i primi a leggere e apprezzare la machiavelliana Vita di Castruccio Castracani. La cronologia delle commedie fiorentine di primo Cinquecento è incerta. Tutte hanno un’impronta umanistica, ma, a parte la differenza enorme di qualità artistica rispetto alla commedia di Machiavelli, nessuna riesce a liberarsi dall’ipoteca del verso, che le ancora al teatro delle sacre rappresentazioni. Machiavelli è, tra i commediografi fiorentini dei primi due decenni del secolo, l’unico che sceglie la prosa (come aveva tradotto anche l’Andria). Dalla Clizia, seconda e ultima commedia di Machiavelli, apprendiamo che effettivamente i protagonisti della Mandragola ebbero un figlio e il frate era entrato in fama di santità per aver operato con le sue preghiere il miracolo di far restare incinta una donna sterile. L’insieme di antico e moderno, la doppia valenza che i fatti della Mandragola hanno sia sul piano delle convenzioni teatrali sia su quello della verisimiglianza storica e cronachistica risulta in maniera emblematica dall’onomastica dei personaggi. I nomi plautini dimostrano una fantasia inventiva molto fervida, mentre il maggior naturalismo della poetica terenziana fa che il personaggio possa rendersi riconoscibile attraverso l’uso di eponimi. Machiavelli non è un autore seriale di commedie, dunque non è paragonabile per questo verso a Plauto e Terenzio, ma non per questo la sua disposizione onomaturgica è meno interessante. I nomi dei due personaggi minori della Mandragola, Siro (servo di Callimaco) e Sostrata (madre di Lucrezia), sono un evidente omaggio di Machiavelli all’onomastica di Terenzio. Sostrata è la madre di famiglia nell’Heautontimorumenos, nell’Hecyra e negli Adelphoe: nella Mandragola è un po’ madre di famiglia, un po’ ruffiana. Siro è il nome del servo nell’Heautontimorumenos e negli Adelphoe. Callimaco Guadagni e Ncia Calfucci sono nomi metà grecizzanti e metà veracemente fiorentini. Callimaco è il guerriero dalle belle battaglie, il combattente valoroso e vittorioso: e il protagonista della Mandragola è effettivamente un vincitore, riuscendo a realizzare le sue mire di conquista, ma il fatto che le sue battaglie avvengano nel letto di Lucrezia rende nello stesso tempo pertinente e antifrastico quel nome. Nicia racchiude in sé la níke, la vittoria: Nicia è un vincitore, avendo guadagnato con la certezza di un erede il trofeo che più di tutto ambiva; a quale costo ci avvenga lo sanno tutti, tranne lui. Timoteo, con etimologia greca colui che onora Dio, ha un culto tutto esteriore; la sua moralità non è rigida ed egli è più del lecito tentato dal denaro. Ligurio deriva dal verbo latino ligurrire, spiluccare, smangiucchiare, quanto mai pertinente a un parassita di commedia. La Lucrezia della Mandragola è una chiara parodia della Lucrezia romana di cui racconta Tito Livio nelle Storie: li, una donna che difende con il suicidio l’onore violato; qui, una che proprio dall’onore violato trae occasione di una vita erotica finalmente soddisfacente. Esso ha anche un valore strutturante per l’intreccio della commedia, a cominciare dall’antefatto (l’esaltazione della bellezza e dell’onestà della propria moglie fatta imprudentemente da Collatino fra i giovani ufficiali dell’esercito romano all’assedio di Ardea, che è all’origine dell’incapricciamento di Sesto Tarquinio e dei fatti tragici che seguono) fino alla minaccia del disonore con cui Sesto Tarquinio vince la resistenza di Lucrezia. Anche la vicenda della Mandragola prende avvio da un discorso fra giovani sulla bellezza delle donne; cos ì l’argomento decisivo che Ligurio fa balenare a Callimaco per renderlo certo della conquista di Lucrezia consiste nella minaccia del disonore. Machiavelli ancora cronologicamente i fatti della Mandragola al 1494, anno della discesa in Italia di Carlo VIII. Callimaco è nato nel 1474; a dici anni (1484), morti entrambi i genitori, è mandato a Parigi; a venti (1494) avrebbe dovuto far ritorno a Firenze, ma la calta di re Carlo e le guerre d’Italia glielo impediscono; nel 1504, a trent’anni, fa ritorno a Firenze spinto dall’innamoramento a distanza per Lucrezia. Il 1494 è anche l’anno da cui prende avvio il Decennale primo e quello in cui si concludono le Istorie fiorentine. Anche i Discorsi fanno più volte rimando al 1494 come a una data cruciale. Machiavelli intende attribuire alla commedia un valore esemplare rispetto ai nuovi tempi che i fatti del 1494 avevano tristemente inaugurato. Anche la Clizia è ancorata nel 1494. La Mandragola è fabula, non historia, eppure tutto è straordinariamente realistico. La gestione del tempo è condotta con cura scrupolosa. Nella Mandragola non ci sono pezzi di bravura, non entra mai in gioco il caso o la fortuna, tutto avviene per la capacità di iniziativa dei personaggi (la virtù). Non ci sono agnizioni, né gemelli, né altri equivoci. La topografia fiorentina dell’ambientazione è tutt’altro che convenzionale: tutto trova riscontro nella mappa della Firenze cinquecentesca. Timoteo legge e cita veri testi religiosi. Callimaco parla come un medico vero, sciorinando pezzi di autentica scienza medica. La caratterizzazione linguistica dei personaggi, soprattutto nelle battute di Nicia, salda la commedia alla più schietta fiorentinità. Le proprietà magiche della mandragola, sia afrodisiache che fecondative, erano decantate fin dall’antichità: nei manuali di medicina di Michele Savonarola, riferimento della scienza medica quattrocinquecentesca, si leggeva che un decotto vinoso di radici di mandragola giovava a far ingravidare le donne sterili. È proprio un decotto di vino e miele il placebo che Callimaco invia a Lucrezia come pozione. L’idea dello svelenimento di Lucrezia si fonda sulla credenza che colui che cavava la radice della pianta ne venisse irrimediabilmente avvelenato.

Dietro la vicenda si legge il motivo del congiungimento con la fanciulla avvelenata e avvelenatrice, presente già nelle narrazioni popolari medievali. La materia è disposta in quattro parti: prologo, protasi, epitasi e catastrofe, secondo lo schema del teatro comico latino. Nei primi decenni del Cinquecento, quando era ancora da venire la precettistica rinascimentale fondata sulla poetica d’Aristotele, che avrà solo nel 1543 con Giovan Battista Giraldi Cinzio la sua formalizzazione, le regole della commedia potevano essere desunte da alcuni trattati tardo antichi come il De fabula attribuito a Evanzio, dal commento di Donato a Terenzio, dall’attività esegetica sulle commedie latine prodotta dagli umanisti e dagli stessi testi dei due commediografi latini. Il De fabula era solitamente riportato unitamente al De comoedia, attribuito a Donato: ANDAVANO A COSTITUIRE UNA SORTA DI APPARATO INTRODUTTIVO ALLE EDIZIONI DI TERENZIO PUBBLICATE CON IL COMMENTO DI DONATO. Evanzio fu un grammatico vissuto a Costantinopoli nel IV secolo. Per il De fabula, i modelli di riferimento per comporre commedie sono quelli della commedia nuova, i cui autori sono Menandro in lingua greca e Terenzio in latino. Da Terenzio si desumono le tipologie del prologo; la congruenza dei personaggi con l’età, l’abito, la funzione che svolgono; la mancanza di particolari che per essere compresi necessitano di informazioni extratestuali; l’assenza di scambi di parti fra gli autori; la preferenza per non più di quattro personaggi per scena. Machiavelli, che conosceva il trattato di Evanzio, si fa nella Mandragola discepolo più di Terenzio che di Plauto, a differenza delle altre commedie rinascimentali. Le citazioni dall’Andria e da altre opere terenziane costituiscono la filigrana della Mandragola. La capacità di Machiavelli di coniugare il modello antico con le esigenze della rappresentazione moderna si coglie nella scena terza dell’atto terzo, quella del frate e della vedova. Il personaggio della vedova è estraneo all’intreccio, senza nome, pronuncia solo cinque battute per poi scomparire nel nulla da cui era affiorato. Il dialogo tra lei e il frate è la parte finale di un colloquio iniziato fuori scena, che sembra ver toccato argomenti che avrebbero potuto concludersi in una formale confessione. Ma la donna non ha tempo e le basta essersi sfogata un poco così, ritta ritta. Dà al frate l’obolo di un fiorino perché dica delle messe per l’anima del marito, un omaccio che anche da morto, sebbene la sollecitasse con pratiche non lecite, continua a stuzzicarne gli appetiti. Al ricordo del fare indiscreto del marito, la donna associa la consuetudine dell’impalare dei Turchi, la cui venuta in Italia teme. La vedova porta il discorso su un terreno scivoloso, ma Timoteo non abbocca: per apparentamenti letterari è piuttosto masucciano che non boccacciano. A lui quel côté interessa poco: è il fiorino a cui mira. Questa scena e i suoi protagonisti sono quanto di più estraneo alla commedia antica. Il personaggio del religioso non esisteva nel teatro latino, ma era acclimatato nel teatro medievale e umanistico. Ci si chiede se fra Timoteo non possa essere visto come una sorta di moderno lenone: non ha il possesso materiale delle donne ma ne controlla la coscienza in modi che producono risultati non dissimuli dall’antica schiavitù. La scena della vedova rappresenta la dipendenza, la sottomissione della donna al frate ed è anticipazione della scena del convincimento di Lucrezia. Callimaco non ottiene Lucrezia dal marito babbeo, la compra dal frate. Se questa ipotesi fosse giusta, la supposta componente novellistica della Mandragola altro non sarebbe che la sua impronta realistica, il suo essere verosimile nei particolari, la sua capacità di adattare al presente le regole, le convenzioni, i personaggi di un genere innervato negli usi e costumi di un’epoca storicamente lontana. Machiavelli dissemina nel testo indizi che permettono di riconosce il frate quale priore della chiesa domenicana di S. Maria Novella. La vedova è strutturalmente un personaggio protatico sui generis: il personaggio protatico è detto cos ì perché compare nella protasis della commedia, nella parte introduttiva, e fa da spalla all’interlocutore principale per permettergli di esporre gli antefatti dell’azione. Caratteristica del personaggio protatico è che, dopo aver assolto questo compito, scompare. Siro svolge funzioni protatiche nella scena prima dell’atto primo, trasformando in dialogo quello che è nella sostanza un monologo di Callimaco. La vedova introduce la seconda parte della vicenda, che da quel momento si inscrive tutta nel segno del frate. LA MANDRAGOLA È PRIMA DI TUTTO ED ESSENZIALMENTE L’OPERA DI CHI MANEGGIA LA LETTERATURA COME STRUMENTO CONOSCITIVO. La sua genesi non è lontana dall’esigenza di capire e di spiegare il presente col passato che è all’origine dei Discorsi, del Principe e degli altri scritti storici e politici di Machiavelli. Che l’autore celii nel prologo sulla dignità della materia e attribuisca quell’interesse alla necessità di fare el suo tristo tempo più suave è vero, ma è anche dichiarazione retorica di modestia. LA COMMEDIA È POLITICA NEL SENSO CHE RAPPRESENTA I COMPORTAMENTI SOCIALI DEGLI INDIVIDUI. Che è altra cosa dall’interpretazione politica secondo la quale la commedia trasporrebbe in allegoria i fatti fiorentini del 1512: il principe dei Medici (Callimaco) che conquista Firenze (Lucrezia) con l’aiuto della Chiesa (Timoteo) dopo aver fatto cadere la Repubblica avendone spossessato il Soderini (Nicia). È troppo riduttivo spiegare in questo modo un’opera così ricca di piani. La lezione degli antichi era valida per capire le logiche della politica ma anche le forze che agivano nei rapporti privati. Il genere che nell’antichità aveva rappresentato la quotidianità era la commedia. La commedia latina e la commedia nuova greca lo avevano fatto in modi convenzionali e stereotipati, ma contenevano di per sé una verità da cui per un umanista era impossibile prescindere. LA COMMEDIA ANTICA, SPECIE QUELLA TERENZIANA, ERA PER MACHIAVELLI L’UNICO PARADIGMA POSSIBILE PER CAPIRE QUALI FOSSERO LE FORZE CHE REGOLANO L’AGIRE DI OGNI GIORNO, LE REGOLE DI UN MICROCOSMO SOCIALE E DEI TANTI SUOI ANALOGHI CHE VANNO A DISSOLVERSI NELL’ENTITÀ SUPERIORE DELLO STATO. Nella letteratura in volgare la vita privata ormai da due secoli si rispecchiava nella novella, ma nell’età dell’umanesimo una letteratura che si ponesse delle finalità conoscitive doveva necessariamente passare per le forme attraverso cui gli antichi comunicavano ai moderni. All’inizio della Mandragola, dopo le prime due battute rifatte sull’attacco dell’Andria, la successiva è costruita sintatticamente sul parallelismo . La stessa struttura poliptotica, realizzata con il corrispondent...


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