La Questione Omerica PDF

Title La Questione Omerica
Author Antonio Scaldarella
Course italiano
Institution Liceo Classico Pietro Giannone
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Summary

Appunti dettagliati su Omero (etimologia e vita) e la questione omerica...


Description

LA QUESTIONE OMERICA La questione omerica si riferisce a quel dibattito e quel scontro letterario riguardo la composizione dell’Iliade e dell’Odissea da parte di Omero e sull’esistenza di quest’ultimo.

OMERO Etimologia del nome e biografia Il suo nome, probabilmente greco, è stato oggetto sin dall'antichità di varie spiegazioni paretimologiche:



ὁμὴὴ ὁρ ῶν (ho mè horôn) "colui che non vede" (la tradizione infatti lo vuole cieco; la cecità ha nell'antichità connotazione sacrale e spesso era simbolo di doti profetiche e di profonda saggezza. La mancanza della vista era colmata dall'ispirazione proveniente dalle Muse; c’è un riferimento in particolare alla figura di Demodoco, l’aedo della corte dei Feaci dell’Odissea (libro VIII). In particolare ai versi del Libro VIII si dice che la Musa diede a Demodoco un male (la cecità) ed un bene (il saper cantare poemi).



ὅμὴρος (hómēros) "l'ostaggio", "pegno", ma anche "il cieco" (come "persona che si accompagna a qualcuno", da ὁμο ῦ ἔρχομαι (homû érchomai), "vado insieme");

 ὅμὴρew, che signidica mostrarsi, andare insieme, attribuito alla sua attività di cantore che gli permetteva di incontrare un gran numero di persone.

Si deve però aggiungere che Omaroj (variante dialettale eolica) è un nome proprio, schiettamente ellenico, documentato in un’iscrizione cretese del V sec. a.C. C’è anche un appellativo di luogo o di divinità, leggibile su tavolette di Cnosso in scrittura Lineare B (XV secolo a.C. circa): Omirijo, al plurale Omirijoi.

La biografia tradizionale di Omero che può ricostruirsi dalle fonti antiche è probabilmente fantasiosa. I tentativi di costruire una biografia di colui che si è sempre ritenuto il primo poeta greco sono confluiti in un corpus di sette biografie comunemente indicate come Vite di Omero. La più estesa e dettagliata è quella attribuita, con tutta probabilità erroneamente, ad Erodoto, e perciò definita Vita Herodotea. Un'altra biografia molto popolare tra gli antichi autori è quella attribuita, ma erroneamente, a Plutarco. Ad esse si può aggiungere come ottava testimonianza di simili interessi biografici l'anonimo Agone di Omero ed Esiodo. Alcune delle genealogie mitiche di Omero tramandate da queste biografie sostenevano che fosse figlio della ninfa Creteide, altre lo volevano discendente di Orfeo, il mitico poeta della Tracia che rendeva mansuete le belve con il suo canto. Una parte notevolmente importante nella tradizione biografica di Omero verteva

intorno alla questione della sua patria. Nell'antichità ben sette città si contendevano il diritto di aver dato i natali a Omero: prime tra tutte Chio, Smirne e Colofone, poi Atene, Argo, Rodi e Salamina. La maggioranza di queste città si trova nell'Asia minore, e precisamente nella Ionia. In effetti, la lingua di base dell'Iliade è il dialetto ionico: questo dato attesta però soltanto che la formazione dell'epica è probabilmente da collocarsi non nella Grecia odierna, ma nelle città ioniche della costa anatolica, e non dice nulla sulla reale esistenza di Omero, né tanto meno sulla sua provenienza. L'Iliade contiene anche, oltre alla base ionica, molti eolismi (termini eolici). Pindaro suggerisce perciò che la patria di Omero potrebbe essere Smirne: una città sulla costa occidentale dell'attuale Turchia, abitata appunto sia da Ioni che da Eoli. Quest'ipotesi è stata però privata del suo fondamento quando gli studiosi si sono resi conto che molti di quelli che venivano considerati eolismi erano in realtà parole achee. Secondo Semonide, invece, Omero era di Chio; di certo sappiamo solo che nella stessa Chio c'era un gruppo di rapsodi che si definivano “Omeridi”. Inoltre, in uno tra i tanti inni a divinità che vennero attribuiti ad Omero, l'Inno ad Apollo, l'autore definisce se stesso “uomo cieco che abita nella rocciosa Chio”. Accettando dunque come scritto da Omero l'Inno ad Apollo, si spiegherebbero sia la rivendicazione dei natali del cantore da parte di Chio, sia l'origine del nome (da ὁμὴὴ ὁρ ῶν, ho mē horōn, il cieco). Erano queste, probabilmente, le basi della convinzione di Simonide. Tuttavia, entrambe le affermazioni, quella di Pindaro e quella di Semonide, mancano di prove concrete.

Secondo Erodoto Omero sarebbe vissuto quattrocento anni prima della sua epoca, quindi verso la metà del IX secolo a.C.; in altre biografie Omero risulta invece nato in epoca posteriore, perlopiù verso l'VIII secolo a.C. La contraddittorietà di queste notizie non aveva incrinato nei Greci la convinzione che il poeta fosse veramente esistito, anzi aveva contribuito a farne una figura mitica, il poeta per eccellenza. Anche sul significato del nome di Omero si sviluppò la discussione. Nelle Vite, si dice che il vero nome di Omero sarebbe stato Melesigene, cioè (secondo l'interpretazione contenuta nella Vita Herodotea) “nato presso il fiume Meleto”. Il nome Omero sarebbe quindi un soprannome: tradizionalmente lo si faceva derivare o da ὁ μὴὴ ὁρ ῶν (il cieco), oppure da ὅμὴρος (homēros, che significherebbe ostaggio).

Inevitabilmente un'ulteriore discussione si accese sul rapporto cronologico esistente tra Omero e l'altro cardine della poesia greca, Esiodo. Come si può vedere dalle Vite, c'era sia chi pensava che Omero fosse vissuto in età anteriore ad Esiodo, sia chi riteneva che fosse invece più giovane, e anche chi li voleva contemporanei. Nel già citato Agone si racconta di una gara poetica tra Omero e Esiodo, indetta in occasione dei funerali di Anfidamante, re dell'isola di Eubea. Al termine della gara, Esiodo lesse un passo delle Opere e Giorni dedicato alla pace e all'agricoltura, Omero uno dell'Iliade consistente in una scena di guerra. Per questo il re Panede, fratello del morto Anfidamante, assegnò la vittoria ad Esiodo. Sicuramente, in ogni caso, questa leggenda è del tutto priva di fondamento.

La “questione omerica” La questione omerica iniziò il III secolo a.C., in epoca ellenistica, quando due grammatici alessandrini, Xenone ed Ellanico, basandosi su discrepanze di contenuto fra Iliade e Odissea, giunsero a pensare che fossero stati scritti da due persone diverse, meritandosi così l'appellativo di χωρίζοντες (chorizontes), ovvero separatori. Le loro idee, che non arrivavano quindi alla decostruzione dei poemi, furono aspramente contrastate qualche secolo dopo da Aristarco di Samotracia insieme a Zenodoto di Efeso e Aristofane di Bisanzio. Questi, dall'alto della sua autorità di direttore della Biblioteca di Alessandria, con lo scritto Contro il paradosso di Xenone, liquidò le tesi come eresie. Aristarco di Samotracia pensava che l’Odissea fosse una continuazione dell’Iliade. Per questo Aristarco di Samotracia e i suoi seguaci vengono perciò definiti unitari. Nel I secolo d.C. l'anonimo autore del Sul sublime (in greco antico: Περι ὴ Ὕψους, Perì Hýpsous) attribuisce l'Iliade ad un Omero più giovane e l'Odissea ad una fase matura e senile della vita del poeta, giustificando questa affermazione con la diversità caratteriale dei protagonisti dei due poemi: da un lato l'irruente e iroso Achille e dall'altra il saggio ed accorto Odisseo. Nel Rinascimento si diffuse nuovamente tra gli intellettuali lo studio del greco e fu possibile leggere in lingua originale i poemi omerici per molto tempo solo attraverso le traduzioni e i compendi in latino: il più grande poeta dell’antichità appariva rozzo rispetto al raffinato Vigilio, l’autore latino dell’Eneide, poema che si rifà apertamente a quelli omerici. Si cominciò a pensare che i due poemi provenivano dall’assemblaggio di diversi poemetti, ciascuno dotato all’ loro interno di armonia. Nel 1664 François Hédelin, abate d'Aubignac, lesse in pubblico un suo scritto dal titolo Conjectures accadémiques ou dissertation sur l'Iliade. La dissertazione, che fu pubblicata postuma solo nel 1715, nasceva dall'esigenza di difendere la qualità letteraria del poema dalla sottovalutazione e dal disprezzo allora imperante in Francia. D'Aubignac credeva che Omero non esistesse e che l'Iliade fosse una incoerente mescolanza di vari canti (petite tragedie) composti in età diverse; il valore letterario non andava quindi valutato con riferimento all'opera complessiva ma ricercato in relazione alle singole parti. D'Aubignac non conosceva il greco, ed aveva avuto, con i poemi omerici, solo rapporti mediati da traduzioni latine (in particolare quelle di Giovanni Spondanus), e basterebbe questo a indebolire le sue argomentazioni. Egli sosteneva inoltre che, dato che al tempo di Omero la scrittura non esisteva, l'Iliade, a motivo della sua lunghezza, non avrebbe potuto essere tramandata oralmente. Tuttavia d'Aubignac basava la sua intera tesi su una visione assolutamente antistorica (come del resto fecero altri dopo di lui).

Fu invece opposto il giudizio di Giambattista Vico (1700) che, nel libro “Principi di una scienza nuova intorno alla comune origine delle nazioni” (libro terzo, “Della discoperta del vero Omero”), affermava che la poesia omerica era opera della fantasia. Omero dunque non è mai esistito ma è simbolo della Grecia poetante.

L'incomprensione del razionalismo dominante di Vico, da parte dei contemporanei, rese scarsamente popolare il pensiero del filosofo, e quindi le sue supposizioni sui poemi omerici. La stessa cosa non accadde per gli scritti di D'Aubignac, che coinvolsero la celebre opera del filologo tedesco Friedrich August Wolf (1759 – 1824), Prolegomena ad Homerum (Introduzione ad Omero), apparsa nel 1795 e considerata ancora oggi la prima trattazione della questione omerica a livello scientifico. L'opera, che vuole essere un'introduzione ad un'edizione critica dei due poemi, è per circa metà costituita da un'approfondita omerologia antica, mentre nella seconda metà si affronta più direttamente la questione. Secondo Wolf l’Iliade e l’Odissea sono nati da canti sparsi trasmessi oralmente. La fortuna del filologo tedesco fu anche accidentalmente legata ad un evento letterario che aveva avuto un'influenza particolare sulla cultura contemporanea: l'anno successivo alla pubblicazione dello scritto di Wolf moriva il poeta scozzese James MacPherson, autore dei Canti di Ossian, una raccolta di poemetti che egli diceva esser stati tramandati per via orale da Ossian, un bardo (il corrispondente celtico dell'aedo greco) vissuto molti secoli prima (III secolo d.C.). MacPherson affermava di aver raccolto quei canti dalla viva voce dei contadini e pastori della sua terra: in realtà l'opera era un abile falso letterario, che ricreava l'atmosfera delle saghe celtiche, ma che era quasi integralmente dovuta alla mano dello scrittore moderno. Questa opera offriva una precisa conferma della tesi di Wolf, equiparando Omero ad Ossian e colui che riportò in forma scritta i due poemi all'epoca di Pisistrato a MacPherson. Lo stesso Wolf aveva interpretato male un passo del “De oratore” di Cicerone su Pisistrato (“primus homeri libros confusos antea sic disposuisse dicitur, ut nunc habemus”). Secondo Wolf Pisistrato aveva scritto i poemi ma in realtà quest’ultimo aveva ordinato i poemi ma non li aveva scritti. Con Wolf gli studiosi della “questione omerica” si divisero in due diverse ideologie. Nacquero così gli unitari (studiosi che attribuiscono ad Omero almeno uno dei due canti, generalmente l'Iliade, se non entrambi) e gli analitici (coloro che disconoscono Omero come padre dei due poemi). Le teorie analitiche si basavano su una serie di incongruenze di tipo narrativo-compositivo chiamate “scandali analitici” che sono considerati la prova del sovrapporsi di due personalità poetiche. Alcuni “scandali narrativi” sono:  il re dei Paflagoni Pilemene, ucciso da Menelao nel V libro dell’Iliade che muore (verso 576) e poi ricompare nel XIII libro intento a piangere il figlio morto in battaglia (verso 658)  l’ambasciateria inviata ad Achille da Agamennone prima è costituita da 3 membri (Fenice- OdisseoAiace), poi Fenice scompare.  L’episodio di Ettore e Andromaca è al posto sbagliato (VI libro) poichè Ettore e Achille si scontrano nel XXIII libro

Si delineano, all'interno della critica analitica, due teorie, una di un nucleo a cui si legano altri canti, l'altra di canti autonomi uniti insieme. Secondo la teoria del nucleo primitivo inaugurata da Hermann, in origine ci sarebbero stati due canti sull'ira di Achille e sul ritorno di Odisseo, poco per volta ampliati da intere generazioni di rapsodi.

Bethe e Mazon sostengono che questo primo nucleo dovesse contenere almeno quattordici libri: l'ira di Achille, la cacciata dei Greci da Troia, l'uccisione di Ettore e la celebrazione di un eroe (i canti XIX, XX, XXI, XXII sono incentrati su quella di Achille). Secondo la teoria dei canti sparsi introdotta da Karl Lachmann e dal suo discepolo Kirchhoff, vi erano canti autonomi o poemetti minori, che formarono un agglomerato di canti che, ad opera di un ulteriore poeta, sarebbero stati cuciti nei due poemi epici attuali.

Vi è poi il tentativo di conciliare le teorie analitiche e quelle unitarie, da parte di Ulrich von WilamowitzMoellendorff, con il suo scritto del 1916 Die Ilias und Homer. Egli accetta le teorie di Lachmann e Kirchhoff, ma afferma che, attorno all'VIII secolo, in ambiente ionico, un poeta (forse di nome Omero) attingendo alla tradizione rapsodica della sua terra avrebbe fuso i Kleinepen (primi nuclei) in un Grossepos (grande poema epico). A questo lavoro si sarebbero aggiunti poi nuovi canti; in questo modo si prova l'esistenza di Omero e della sua opera, al di là delle aggiunte e del materiale già esistente.

Schadewalt, Snell e Perrotta sostenevano una tesa chiamata unitarismo critico secondo il quale il poeta è posto alla fine del ciclo epoico e Omero pur attingendo ad un patrimonio precedente lo avesse rielaborato. Schadewalt individuò nel poema una rete di rimandi e di anticipazioni da una situazione ad altra e sostenne che un tale risultato presuppone l'attività di un'eccezionale personalità creatrice.

Un contributo innovativo agli studi sui poemi omerici venne da un saggio pubblicato da Milman Parry nel 1928. La questione omerica ebbe un'importante svolta con le teorie di Milman Parry (1902-1935). Secondo tale studioso i poemi omerici nacquero in una cultura orale, ossia in una società che non conosceva la scrittura. Egli esaminò le cosiddette "formule" dei poemi omerici, ossia gruppi di due o più parole (talvolta svariati versi) che si ripetono in numerosi punti dei poemi omerici, immutati o con minime variazioni per adeguarsi al racconto e alla metrica. Tali formule erano spesso legate a temi anch'essi ricorrenti (la battaglia, il consiglio, lo scudo dell'eroe e altri) e spesso prevedibili. In questo modo Parry e i successivi studiosi arrivarono a dimostrare che le parti dei poemi omerici non legate a formule erano in realtà molto poche. Secondo tali studiosi, le formule erano legate alla cultura dell'oralità, poiché facilitavano ai rapsodi la memorizzazione di lunghi poemi. Tali rapsodi infatti non imparavano i poemi a memoria, ma erano in grado di ripeterli, ogni volta con poche variazioni, appunto cucendo insieme la varie formule. Questo sistema formulare non poteva essere il risultato della composizione (puramente orale) da parte di un singolo autore, ma era venuto formandosi col passare dei secoli e con il contributo di un numero indefinito di anonimi rapsodi. Secondo la teoria di Parry insomma i poemi omerici sono il prodotto della cultura di tutto un popolo e non avrebbero dunque un autore preciso.

Questo modo di poetare favorirebbe quindi la ripetizione di formule precostituite, ossia gli stereotipi. L'idea che opere poetiche di eccelso valore fossero essenzialmente costituite da stereotipi risultò sorprendente e poco credibile a molti studiosi, ma Parry spiegò che in una cultura orale, che non può mettere nulla per iscritto, le nozioni devono essere costantemente ripetute per evitare che vadano perse, e questo porta quindi allo stereotipo, al continuo ribadire concetti e parole già espressi. Insomma i poemi omerici contenevano stereotipi per il semplice fatto che la cultura orale era essenzialmente basata sullo stereotipo. Lo studioso californiano arrivò a questa conclusione studiando il racconto epico della battaglia di Cossovo (1389) nella quale i turchi ottomani sconfissero i serbi e i loro alleati. Milman Parry lo ascoltò da cantori analfabeti che ancora nel XX secolo cantavano le gesta degli eroi della epopea nazionale senza alcun testo scritto. Comparando l’Illiade e l’Odissea con l’epopea della battaglia di Cossovo Parry constatò la presenza di ideali che caratterizzano gli eroi quali forza, virtù, bellezza interiore ed esteriore, onore, amore per la guerra fino alla morte. Parry non riscosse molto credito tra i suoi contemporanei ma oggi la sua teoria, ulteriormente avvallata dagli studi del suo collaboratore e discepolo Albert B. Lord, costituisce un punto fermo che nessuno oggi mette in discussione.

La secolare questione omerica oggi è focalizzata prevalentemente su un altro tema: il passaggio dalla fase di produzione orale (il canto) alla fissazione attraverso la scrittura (il testo). La conoscenza e la pratica della scrittura non sono state una costante nel mondo egeo: i cretesi conoscevano la scrittura detta "lineare A, da cui si sviluppo il più evoluto lineare B (circa 80 segni sillabici) utilizzato dai micenei. Nei secoli successivi al 1200 a.C. (durante il cosiddetto Medioevo ellenico) si perse la pratica della scrittura, che ricomparve “rivoluzionata” verso il VII secolo a.C. Quando fu adottato l’alfabeto fenicio-cananeo (22 segni, tutti a rappresentare suoni consonantici) completato dai segni che rappresentano i suoni vocalici. I testi omerici, quindi, non possono essere stati scritti prima dell'VIII secolo a.C., anche se il canto omerico esisteva già da secoli. Studiosi come Richard Janko si riconoscono in questa sintesi della ricerca: i poemi omerici sono testi orali che, a un certo punto, sono stati dettati e trascritti. Egli cita a sostegno della sua tesi uno scritto di Parry del 1934: «Più capisco la poesia jugoslava e la natura dell'unità dei poemi orali, più mi sembra chiaro che l'Iliade e l'Odissea sono esattamente, come li possediamo, ciascuno il prodotto completo e ultimato di un solo cantore [...]. Posso immaginare, proprio ora, il momento in cui l'autore dell'Odissea sedeva e dettava il suo canto, mentre un altro, fornito di materiale con cui scrivere, trascriveva verso per verso, e la vedo seduto come i nostri cantori [ndr. i cantori serbi oggetto delle sue ricerche comparate] siedono, immobili nei loro pensieri, guardando il movimento della mano di Nikola (ndr. il trascrittore) sulla pagina bianca, finché essa non dice loro che è il momento di pronunciare il verso successivo. Su invito di Parry infatti il suo miglior guslar (il cantore), Avdo Medjiedovic, che non sapeva né leggere né scrivere, cantò, perché fosse scritto sotto dettatura, un poema di lunghezza pari alľ Odissea. Quindi - conclude Janko se oggi possediamo i poemi

omerici è grazie alla performance di un aedo, realizzata non per intrattenere un pubblico, ma per fissare per sempre il suo canto grazie al lavoro di uno scriba. Secondo i calcoli di Janko la composizione-trascrizione sarebbe stata realizzata tra il 775 e il 750 a.C. per l’ Iliade e un po' più tardi per l’ Odissea, quindi nel secolo VIII, quando ricomparve la scrittura. Due secoli prima della collocazione tradizionale della trascrizione (fine del VI secolo a.C.). Barry B. Powell si spinge oltre: non solo adotta in pieno l'ipotesi della dettatura, ma elabora una originale tesi: forse la scrittura alfabetica fu introdotta in Grecia proprio per poter fissare l'esametro, il verso per eccellenza della poesia epica. Egli scrive: «È probabile che un semita bilingue, erede di un antica tradizione di trascrizioni poetiche sotto dettatura, abbia tentato di mettere in forma scritta un canto greco. Apportando una serie di cambiamenti tecnici alla scrittura semitica occidentale (alfabeto fenicio-cananeo) in modo da adattarla alla diversissima fonetica della lingua greca, definì le due categorie di segni grafici e l’inviolabile regola della sillabazione, che resero possibile il testo di Omero» (Barry B. Powell, Omer...


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