La scrittura scenica PDF

Title La scrittura scenica
Author Anonymous User
Course Storia del teatro e dello spettacolo
Institution Università degli Studi di Napoli L'Orientale
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la scrittura scenica Lorenzo Mango, capitoli 1-3...


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1. Fondamenti teorici e coordinate storiche La scrittura scenica come oggetto teorico Patrice Pavis definisce il termine SCRITTURA SCENICA come modo ti utilizzare l’apparato teatrale-scenico-spettacolare, per mettere in scena i personaggi, il luogo e l’azione che si svolge, in immagini concrete. Tale “scrittura”, non ha nulla a che vedere con il testo letterario, poiché indica la pratica della concreta MESSA IN SCENA, e dispone di strumenti, materiali e tecniche specifiche per trasmettere un significato allo spettatore. La scrittura scenica è quindi l’insieme degli elementi legati alla messa in scena, considerati come parte integrante di un progetto creativo che è “scrittura” perché determina e compone l’opera teatrale. Si tratta dunque di una vera e propria strategia operativa che sottende un’intenzione specifica del linguaggio, un modo di pensare l’organizzazione dei materiali linguistici del teatro nella prospettiva della messa in scena. Con il termine Scrittura Scenica, non si intende fare riferimento alla sua dimensione visivo-scenografica in senso stretto, ma ad un codice più articolato e complesso che ha le sue basi nella componente percettivo- visiva, nella quale però non si risolve. Sembrerebbe essere un codice linguistico, ovvero, quel tipo di meccanismo determinato da convenzioni generali che sottende l’articolazione di un tipo particolare di segno secondo modalità più o meno ricorrenti, e indica quindi una condizione materiale del linguaggio, ma porta con se anche la nozione di articolazione, il suo nesso semantico. Nel linguaggio teatrale opereranno quindi due codici diversi ed in relazione dialettica tra loro: quello drammaturgico e quello scenico, come dimensione autonomamente creativa della scena e dei suoi linguaggi. La dimensione scritturale della scena andrebbe quindi legata, da un lato, all’affermazione di uno spazio autonomo dei linguaggi rappresentativi rispetto a quelli drammaturgici, dall’altro alla presa di coscienza della specificità del linguaggio teatrale come linguaggio principalmente ( e non subordinatamente), scenico. Se però consideriamo la scrittura scenica come un fatto storicamente determinato, possiamo parlarne in termini propri e corretti solo in relazione al teatro del ‘900, quando cioè si afferma la consapevolezza, oltre che la pratica, che la scena puuò produrre una sua scrittura propria. La scrittura scenica è quindi un codice moderno: sia perché come formulazione (e concetto che la sottende) vede la sua gestazione in quel momento storico, sia perché corrisponde ad una strategia estetica e culturale che fa riferimento alla modernità; fattori questi che la mettono in rapporto con la nascita della REGIA. Il primo ad utilizzare l’espressione Scrittura Scenica è Roger Planchon nel 1961, quando in occasione di un dibattito su Brecht, sottolinea più volte la responsabilità ed il valore creativo che la scena e i suoi elementi assumono nel processo di scrittura

complessivo dello spettacolo. La scrittura scenica pertanto è una scrittura a se, con una sua logica interna, una sua grammatica, una sua forma e una sua intenzione. Nell’ipotesi di Planchon è una sorta di realizzazione in atto, di manifestazione a livello concreto dell’evento teatrale di quella scrittura puramente virtuale che è contenuta nel testo prima che esso venga risolto in scena. Nella drammaturgia brechtiana, fortemente orientata in senso scenico, l’azione è considerata anzitutto come evento del linguaggio più che della fabula, è un’esibizione di fatti dove non si simula un accadimento, ma lo si cita in quanto azione teatrale, la cui disposizione temporale degli avvenimenti non segue tanto lo sviluppo dell’intreccio quanto la successione delle scene. La vicenda viene interpretata, prodotta ed esposta dal teatro nel suo insieme, (dagli attori ai costumi) e in tale ipotesi, la messinscena non è un momento che succede alla costruzione dell’azione, quanto una componente decisiva nel definire la natura epica: ecco che, ad esempio, la luce non viene impiegata al solo scopo di definire l’ambientazione dell’azione, ma anche con l’intenzione di essere individuata e nominata quale componente del linguaggio,e , in quanto tale finisce per essere inserita in un processo che riguarda la scena nel suo complesso. Con Brecht, il racconto, il dialogo e quindi i materiali propriamente letterari, sono accompagnati da indicazioni di azioni agite, di costruzione scenica in qualità di elementi costitutivi del dramma, che si trova ora composto dagli eventi virtuali del racconto e da indicazioni precise su quanto deve accadere in scena, non quindi ad illustrare il racconto, ma ad accompagnarlo. Secondo Planchon possiamo quindi parlare di scrittura scenica quando i codici scenici intervengono in prima persona ed in materia autonoma nella costruzione della macchina drammatica, quando, cioè da elementi di illustrazione del dramma si trasformano in suoi elementi costitutivi, e ciò che accade sul palcoscenico non è quindi la mera illustrazione di quanto prescritto sulla pagina, ma ha una sua originalità e specificità: non ripropone, ma pone; non rappresenta, ma presenta. Analizzando gli spettacoli del BERLINER ENSAMBLE, Bernard Dort, nota come l’opera sia realizzata pienamente in un linguaggio i cui elementi (oggetti di scena, movimenti, attori…) hanno un significato proprio, risultando estranei a qualsiasi intento decorativo. Il rapporto che lega la drammaturgia di Brecht alla regia del Berliner va individuato proprio nella scena, intesa come un codice linguistico in grado di produrre un suo autonomo livello di scrittura, la cui collaborazione con quella drammatica, costituiscono la struttura d’insieme del dramma. Brecht quindi presenta una testualità in cui la dimensione scenica è prevista come scrittura virtuale (ancora contenuta nella pagina); il Berliner, invece, agisce su tale virtualità e la trasforma in scrittura agita: in entrambi i casi ci si riferisce ad una dimensione registica effettiva per un modello di teatro in cui azione, corpo e parola, vanno intesi come segni di una medesima scrittura.

Se la regia è quindi un fatto interpretativo, una riflessione sul testo attualizzata dagli elementi scenici di ‘attore, spazio e tempo’, la scrittura scenica rappresenta la caratteristica propria della regia. Nel 68, anno cruciale per le rivolte non solo in ambito teatrale, Giuseppe Bartolucci interpreta la scrittura scenica non come uno degli elementi del linguaggio, ma come un metodo di approccio, il modo in cui i diversi termini del lessico operativo ed artistico del teatro si combinano tra loro. Bertolucci indaga principalmente sugli spettacoli del LIVING THEATRE, di BENE, QUARTUCCI … e nota che ciò che cambia radicalmente sono i modi di relazione con la controparte testuale: lo spettacolo nasce come organizzazione di segni (segno guida e segni diramanti), al cui interno trova una collocazione il testo, (laddove questo ci sia). La dimensione scenica non è l’accompagnamento dell’azione drammaturgica, ma è azione primaria e non referenziale: quella scenica è scrittura nella misura in cui diventa un processo operativo creativo diretto e acquista una valenza di opposizione e confronto con la dimensione drammatica del teatro. Roland Barthes, tentava invece di risalire al nucleo generatore dell’atto dello scrivere, e lo individuava nello scambio dialettico tra tre termini: LINGUA, voce del luogo e del tempo in cui lo scrittore si trova ad operare, STILE, dimensione individuale ed impulso autoriale, e la SCRITTURA come termine medio, come funzione tra i due oggetti, risultato di un intervento operativo che si distacca dallo stile ed affronta la lingua con l’intento di modificarla. Di conseguenza, uno dei tratti distintivi più qualificanti del concetto di scrittura scenica è l’oscillazione e la compresenza di materialità e di meta teatralità: per una corretta comprensione dello spettacolo, l’attenzione dovrà essere indirizzata verso la consistenza materiale di quanto accade in scena; la consistenza linguistica dello spettacolo viene ridotta tutta nell’ambito dell’evento scenico. Il termine DRAMMA, inteso nell’etimo di AZIONE, nasce, si sviluppa e trova motivi e contenuti solo nel materiale scenico, il quale si fa scrittura proprio nella misura in cui è esso a generare l’azione drammatica; ricondurre il piano del linguaggio dentro l’orizzonte della sua materialità, significa ricercare l’azione dentro il corpo materiale dell’evento e non nel racconto letterario o nella formazione psicologica del personaggio. La scrittura drammaturgica, in sintesi, è soltanto uno degli elementi che compongono la scrittura scenica e come tale deve essere usata. Scenico è tutto quanto accade nel luogo e nel tempo dello spettacolo. La scena si fa scrittura non perché nega la drammaturgia, ma in quanto si fa scrittura dell’azione essa stessa. De Marinis propone una distinzione tra spettacolo e testo spettacolare, dove il primo riguarda il fatto teatrale come oggetto materiale, mentre il secondo si riferisce ad un oggetto teorico, ed in quanto tale il testo spettacolare è dunque un modo di pensare il teatro a partire dalla consistenza di oggetto materiale dello spettacolo, come la scrittura scenica non indica solo una materia del linguaggio, ma allude anche ad una strategia operativa. Questa considerazione ci porta a definire il testo spettacolare

come un macrotesto (testo di testi), un sistema di segni al cui interno si posizionano tutti i diversi elementi del linguaggio, i cosiddetti testi parziali, compreso quello letterario, con cui il testo spettacolare instaura un regime di scambio continuo e mai finito che determina il meccanismo di produzione di senso e la forma drammatica dello spettacolo. Più radicale ancora è la posizione di Ruffini, che ridefinisce il rapporto testo scrittotesto teatrale nominando il primo elemento come copione, a sottolineare una destinazione alla realizzazione spettacolare come condizione intrinseca alla sua stessa natura, senza la quale esso perderebbe la ragione teatrale di testo e si risolverebbe esclusivamente nell’ambito letterario, ed è quindi nell’ambito di testo spettacolare che va ricondotto il progetto drammatico di spettacolo (relazione tra azione agita e raccontata). Pertanto, lo spettacolo viene pensato come una serie di azioni in relazione ad un racconto piuttosto che come un racconto diviso per scene: il farsi scena è la prima condizione del teatro, con la conseguenza che il progetto drammatico finisce col coincidere con quello scenico. Ruffini, distingue anche tra collocazione in scena e messa in scena, dove nella prima i diversi elementi non sintetizzano un senso (ed un testo) scenico, ma producono materiali linguistici di accompagnamento al fatto drammatico, mentre quando parliamo di messa in sena siamo di fronte ad un processo di ‘messa in senso’ di un testo letterario, attraverso un meccanismo di riscrittura che si fonda sulla scena: la scrittura scenica è il sistema operativo attraverso cui gli elementi linguistici della scena si configurano come modalità costitutive di un linguaggio teatrale, e il testo spettacolare è l’esito formale di tale operatività. Vi è testo spettacolare solo in presenza di una scrittura scenica, sia essa strumento particolare (come nella regia) o assoluto (come nel teatro). La produzione di senso drammatico, quindi non è incentrata sulla parola, ma sugli elementi scenici, il che ci porta alla definizione di Pavis: nella scrittura scenica è la scena che ‘significa’ e lo fa, indipendentemente dalla presenza di un testo letterario, diventando a pieno titolo testo essa stessa. Dentro e oltre il teatro di regia Prima del XX secolo, gli autori non scrivevano la scena, ma scrivevano a partire dalla scena. Con l’affermazione della regia, si ha l’introduzione dell’apparato scenico tra le scritture attive ( e quindi operative) di cui si serve il teatro. La regia rappresenta la prima significativa testimonianza della presenza della scrittura scenica: al suo interno, infatti, la scrittura scenica agisce come uno degli elementi linguistici che concorre a definire l’insieme, e a partire dagli anni 60, si da come vero e proprio modello di teatro. Per quanto riguarda lo spazio architettonico teatrale, la struttura scenica all’italiana (sala semicircolare, palchi al posto delle gradinate, maggior profondità della scena ecc…) continua ad essere protagonista, sebbene i MEININGER introducano almeno 2

novità: l’uso di praticabili che consentono di scrivere lo spazio come un fatto tridimensionale, slegando in primis la scenografia dallo sfondo, ed il rifiuto della piantagione convenzionale dell’azione che prevedeva la scena principale in primo piano ed i protagonisti separati dai comprimari. I Meininger, nel loro progetto teatrale, sono alla ricerca di omogeneità dell’impianto visivo dello spettacolo che va ad integrare la scrittura drammatica fornendole un sostegno scenico. Nel caso di Stanislavskij, la scrittura scenica è ciò che prima e più di tutto caratterizza la dimensione artistica della regia, consentendo di ottenere un’interpretazione, una lettura personale del testo, senza manipolare il materiale verbale narrativo. Nell’estetica naturalista, il ruolo scenico dell’oggetto andrà ad assumere una funzione irrinunciabile, contribuendo a realizzare un contesto visivo autentico dei luoghi: un costume ad esempio, inserito nel meccanismo complessivo della scena, acquisisce un valore semantico di immediata comprensione. Marotti specifica come la regia sia fondata sul principio della piena autonomia artistica del quadro scenico e sul concetto della validità artistica e figurativa dello spettacolo, e non più quindi, su quello di mimesi della natura. Nel 1905 Craig scrive ‘The Art of the Theatre’, un breve testo in forma dialogica che rappresenta però il primo documento in cui appare il concetto di scrittura scenica; lì dove Wagner parla del teatro come della sinesi di arti diverse che insieme vanno a costruire il linguaggio teatrale, Craig sostiene invece la specificità del codice linguistico del teatro, i cui riferimenti non sono più le arti in se, quanto la sintesi degli elementi che le costituiscono: azione (recitazione), parole (testo), linea e colore (scenografia) e ritmo (danza). Ciò che propone Craig è lo scambio tra due autonome intenzioni artistiche: quella dello scrittore e quella del regista, ognuna delle quali ha una sua specifica autonomia, che mette i gioco nel rispetto della competenza dell’altro e che non prevede quindi alcun tipo di interferenza; di fronte al testo poetico, il regista i pone in una condizione attiva e immette la parola all’interno di una visione scenica, permettendole di assumere un nuovo significato drammatico, come l’attore non è più considerato come corpo estraneo ma come portatore di una scrittura autonoma. Attore e testo si trovano così inglobati in una vera e propria scrittura di scena che li comprende, li organizza e li ‘risignifica’, in quanto ne definisce l’identità drammatica in relazione ed in dipendenza della visione scenica d’insieme. Secondo Craig tuttavia, la presenza di un testo fa si che la scrittura del teatro resti una scrittura applicata, non autonoma e pertanto non artistica: è necessario quindi che la scena si riscatti del tutto e agisca creativamente, senza dover contrarre debito alcuno con l’ambito della letteratura e di qui la proposta della rimozione di un testo letterario di riferimento, pre proporre l’uso dei soli materiali linguistici di azione, scena e voce. Non si tratta quindi di privilegiare gli elementi scenografici, ma bensì

fare della scena il luogo di scritture simultanee che si incontrano su un piano superiore di scrittura, quella scenica appunto. Con Craig arriviamo quindi all’altro luogo di fondazione della scrittura scenica, il teatro delle avanguardie storiche, dove Prampolini, ad esempio, pone la sua posizione alle soglie estreme di un teatro astratto in cui la scena, non solo sia portatrice di un autonomo livello espressivo, ma si dia anche come attore del processo teatrale. Il teatro è quindi veicolo del movimento puro, atto d’energia cinetica astratta determinato dalla dinamica spazio-temporale messa in moto da un impianto scenografico mobile, mutevole e antirappresentativo. Con la scrittura di scena (ora non più elemento registico), lo spettacolo diventa testo multi-dimensionale, e l’interpretazione registica e attoriale divengono autonome operazioni del linguaggio teatrale: la scrittura scenica quale modello di teatro nasce quindi come presa di distanza dalla dimensione interpretativa e dalla logica della messa in scena. 2. Strategie della decostruzione Gli anni ’60 sono caratterizzati da una forte contestazione per quanto riguarda la tradizionale nozione di opera d’arte, un rifiuto che trova corpo nell’introduzione di elementi di decostruzione tesi a valorizzare il processo creativo rispetto al prodotto, dove per decostruzione si intende la scomposizione di un’elaborazione concettuale in componenti, ora assunti nella loro originale dimensione, che contribuiscono a mostrarne la relatività storica. Ad essere coinvolta in questo processo è, anzitutto, la dimensione drammaturgica intesa come organizzazione e fattura dell’azione, la cui messa in crisi non si limita alla progressiva perdita di importanza dell’apparato letterario, ma all’introduzione da parte della scrittura scenica di elementi di instabilità mirati ad incrinare la coesione narrativa, rappresentativa e simbolica dello spettacolo e delle sue strutture secondo un orientamento riduzionista e minimalista. È evidente come questa scrittura della decostruzione drammatica vada manifestandosi nel teatro di Beckett, mettendo in contraddizione l’unità simbolico narrativa dello spettacolo: il testo non ha come obbiettivo il racconto, ma la sua frammentazione, che prosegue nel parallelismo dei diversi linguaggi che compongono la scena come autonomia di livelli espressivi e libertà di espressione. È importante tuttavia sottolineare come la decostruzione, per quanto legata ad un particolare contesto storico (’60-’70), resti connaturata all’esperienza della scrittura scenica in contesti e momenti differenti: il rifiuto della rappresentazione, l’autonomia espressiva degli elementi teatrali e la contraddizione della stessa forma del teatro. La rappresentazione negata

In questo primo livello di decostruzione, la contestazione del linguaggio non passa attraverso la cancellazione dell’elemento drammaturgico, ma tramite il suo riposizionamento in un contesto scenico che non è destinato a fornirgli supporto e plausibilità ma, piuttosto, a contraddirli: un caso esemplare è quello di Carmelo Bene, il cui intervento sulla consistenza drammaturgica del testo attraverso l’attore ed i materiali scenici, è teso a determinare una ‘diaspora del senso’, uno slabbramento della coesione rappresentativa agendo all’interno delle impurità del linguaggio, evitando di purificarlo con un operazione di azzeramento minimalista e, paradossalmente, facendo della decostruzione un elemento compositivo dello spettacolo. Tale processo decostruttivo si esprime quindi nel rapporto col testo drammaturgico che Bene non elimina mai dalla sua scena, ma del quale rifiuta l’impianto narrativo, rendendolo oggetto di un’ironia parodica ma non dissacratrice. Per Bene la scrittura scenica è una scrittura del disordine, uno strumento per giungere al collasso formale e allo sgretolamento dello spettacolo : decomposizione cartacea, orale, musicale del testo, e quindi alla demolizione della finzione scenica e alla sospensione del tragico. La scrittura nega la sua forma, è una scrittura in sottrazione che agisce come elemento perturbatore del dramma. Nel Riccardo III, ad esempio, Bene cancella la dimensione narrativa del testo azzerando il racconto e riducendo il dialogo al monologo, dove i personaggi non parlano che a se stessi, ( nel finale addirittura Riccardo darà voce a tutti i personaggi), il dire è abbandonato a se stesso, e l’azione scenica agisce nella prospettiva di deflettere il testo dal suo obbiettivo drammatico. Nella scrittura scenica convergono un lavoro di afasia sulla lingua (dizione deformata ed appena percettibile) ed un lavoro d’impedimento dei gesti (costumi e accessori che ostacolano i movimenti). Tuttavia, il segno più evidente di questa operazione di decostruzione si evince dal rapporto di distanza e non ad...


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