La vicenda del giardiniere di Van Gogh PDF

Title La vicenda del giardiniere di Van Gogh
Course Percezione E Comunicazione Grafica
Institution Università degli Studi di Siena
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Il Giardiniere di Van Gogh e le sue vicende giuridiche Ma perché il dipinto Il Giardiniere è così significativo, e tale da essere collegato alla storia del patrimonio storico-artistico italiano, e che fu dichiarato opera “di importante interesse storico_artistico”, con decreto ministeriale del 20 gennaio 1954, provvedimento notificato al proprietario, il marchese avvocato Giovanni Verusio, in quell’anno residente a Firenze? Il Verusio lo aveva ereditato da un suo zio, Gustavo Sforni (18881939), pittore macchiaiolo, e uno dei maggiori collezionisti di arte moderna nel primo Novecento, che aveva acquistato il ritratto a Parigi nel 1910, dal famoso gallerista Paul Rosenberg (1881-1959). Nello stesso anno lo Sforni diede in prestito l’opera per la Prima mostra italiana dell’impressionismo [fig. 17], organizzata da Ardengo Soffici (1874-1964) nella sede del “Lyceum Club di Firenze” [fig. 18], e Van Gogh figurava accanto ad opere impressioniste e postimpressioniste: Degas, Monet, Renoir, Cézanne, Toulouse-Lautrec, Matisse, Gauguin, Pissarro, Sisley. La mostra fu molto importante soprattutto per gli artisti italiani che ancora non erano stati a Parigi per documentasi sulle novità della pittura francese. Nel 1945, sempre a Firenze, Bernard Berenson incluse Il Giardiniere nella sua mostra, La peinture francaise à Florence. Successivamente, nel 1952, Lamberto Vitali organizzò la prima retrospettiva in Italia dell’artista olandese, Vincent Van Gogh, a Milano, Palazzo Reale. Due anni dopo, come si è detto, il Ministero notificò l’opera di interesse storico-artistico. I signori Verusio, consapevoli dell’importanza del dipinto, già durante la Seconda Guerra Mondiale, e del rischio che l’opera venisse razziata dai nazisti, la nascosero in una cassa sotto un pagliaio a Pian dei Giullari in una proprietà della loro famiglia. La vicenda è narrata con brio dalla consorte di Giovanni Verusio, Sandra Verusio; la signora, molto nota, e vivace protagonista della mondanità romana, è scomparsa pochi mesi fa, nel dicembre 2018; ella, in una intervista di Giovanna Cavalli, apparsa sul “Corriere della Sera” del 22 maggio 1998, ricorda bene questo episodio: “Sotto la paglia, in una limonaia di Pian dei Giullari, chiuso in una cassa di legno. Un nascondiglio quasi naturale per un capolavoro intitolato “Il contadino” e poi “Il giardiniere”. Ma insospettabile e proprio per questo più sicuro del caveau di una banca e della sala di un museo”. Dopo l’alluvione di Firenze del 1966, i signori Verusio si traferirono a Roma. Ma ebbero sempre il timore che i ladri potessero rubare il dipinto, ricorda ancora la marchesa, avendo subito ben cinque volte furti in casa, e dice: “Durante le vacanze lo portavo in banca con la Cinquecento, accompagnata soltanto da un vecchissimo cameriere, che imprudenza!”. Alla fine, “stanchi di fare la guardia al Van Gogh ”, i coniugi Verusio lo vendettero ad un corniciaio romano di via Margutta, tale Silvestro Pierangeli, per 600 milioni di lire. Era il 1977. “Le quotazioni del pittore olandese non erano alle stelle, ma “Il giardiniere” ne valeva almeno il doppio. Non sapevamo chi fosse il vero committente” – ha raccontato Sandra Verusio nell’intervista sopra citata. Ed è appunto dal 1977 che inizia la lunga controversia giudiziaria sulla proprietà di codesta opera, che nel novembre di quello stesso anno viene presentata all’Ufficio Esportazione di Palermo per trasferirla a Londra. Ovviamente vi fu un netto diniego a norma di legge, e l’opera fu ritirata dal Pierangeli. Va detto che in quell’occasione lo Stato Italiano avrebbe potuto esercitare il “diritto di acquisto” previsto dalla normativa di tutela, in forza anche del fatto che il dipinto era stato sottoposto a vincolo storico-artistico, come detto, dal 1954. E invece non se ne fece nulla, nonostante la insistente richiesta di acquisto indirizzata al Ministero da parte di un valoroso soprintendente alla Galleria, Italo Faldi (1917-2012), ragion per cui il funzionario fu addirittura rimosso dall’incarico per contrasti con l’allora Direttore Generale, Guglielmo Triches (1920-1993) che non volle autorizzare l’acquisto. Per cinque anni non si ebbero più notizie de Il Giardiniere, sino a

quando, nel 1983, salta fuori che il reale acquirente era il famoso gallerista svizzero, Ernst Beyeler (19212010), mentre il Pierangeli era solo un prestanome, peraltro senza alcun mandato ufficiale, occultando in questo modo alla pubblica amministrazione italiana il reale acquirente dell’importante opera, come richiede la legge. Il Beyeler, rendendosi conto della impossibilità di trasferire il dipinto all’estero, dichiarava di essere il proprietario dell’opera e di aver iniziato una trattativa di vendita con la Peggy Guggenheim Collection. A questo punto lo Stato Italiano non gli riconosce alcun titolo di proprietà e fa sequestrare il dipinto dai Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico, temporaneamente in esame a Venezia, per timore di un illecito trasferimento all’estero. Nel 1983 prestavo servizio presso la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma, e ricordo che fu deciso di ricoverare l’opera nel caveau del Banco di Roma, sede poco distante da Piazza Venezia. Ricordo anche di aver istruito la pratica per il Ministero e l’Avvocatura dello Stato, affinché lo Stato potesse esercitare il diritto di prelazione, non al prezzo stratosferico di 8,5 milioni di dollari richiesti dal Beyeler alla Guggenheim di Venezia, bensì al prezzo di 600 milioni dichiarati nella prima notizia di vendita, poiché tale diritto poteva essere esercitato “ sine die”, qualora le alienazioni fossero state compiute “contro i divieti stabiliti dalla presente legge ”, come recita l’art. 61 della legge di tutela del 1° giugno 1939, n. 1089. In sostanza quel contratto di vendita del 1977 era nullo “di pieno diritto”. Nel frattempo, Il Giardiniere, ritornato nella capitale, come già detto, fu prelevato dal caveau del Banco di Roma, per decisione della Direzione Generale del Ministero, sempre sotto sequestro, e affidato alla Galleria Nazionale d’arte Moderna, ma con il divieto di esporlo. Ricordo anche questo, poiché nel 1987 ero stato trasferito con mia grande contentezza nel museo che avevo amato si da quando ero studente. Continuai quindi a seguire le vicende giuridiche che intercorrevano tra la Galleria, il Ministero e l’Avvocatura dello Stato, per cui si giunse alla emanazione del decreto dell’esercizio del diritto di prelazione del 24 novembre del 1988, col favore di tutta la stampa nazionale, che aveva seguito la vicenda dal 1977, da Nello Ponente, a Italo Faldi, a Giovanni Carandente, Giuliano Briganti, Federico Zeri, e molti altri studiosi interessati alla intricata vicenda. Ma la cosa non finì qui, poiché il Beyeler, con una tenacia senza pari, intentò allo Stato Italiano una serie incredibile di ricorsi: tre davanti al Tar del Lazio (poi unificati), uno al Consiglio di Stato, uno alla Corte di Cassazione, uno alla Corte Costituzionale, e infine uno davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, tutte cause nelle quali ha sempre perso, riuscendo solo in quest’ultima, nel 2000, ad ottenere un indennizzo dallo Stato Italiano di un milione di euro, poiché nel 1988 il valore di un’opera importante di Van Gogh non poteva più considerarsi attorno ai 600 milioni dichiarati nel 1977, e per lo Stato Italiano, secondo la sentenza della Corte Europea, sarebbe stato un ..ingiusto arricchimento. Fatto sta che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna poté considerarsi proprietaria del dipinto solo dal 30 gennaio 1991 e quindi finalmente esporre il dipinto e inventariarlo nelle sue collezioni, a seguito della sentenza del Consiglio di Stato che aveva respinto definitivamente i ricorsi di Giovanni Verusio, di Silvestro Pierangeli e Ernst Beyeler (si veda al riguardo il mio articolo, Così lo Stato esercita il diritto di prelazione, in “Il Giornale dell’Arte”, n. 87, marzo 1991, fig. 19). Il gallerista svizzero però, come abbiamo visto, continuò imperterrito ad adire altri ricorsi nelle sedi più sopra indicate, ottenendo solo l’indennizzo, che forse non coprì tutte le spese legali che aveva sostenuto in lunghi anni dal 1977 al 2000; inoltre, va considerato che già negli anni Ottanta le quotazioni per un’opera di Van Gogh erano stimate per decine di milioni di dollari. Dunque, il Beyeler non fu certo soddisfatto, e tentò invano un ultimo passo informale presso la nostra Galleria, che ricordo benissimo: il gallerista venne a Roma, verso la metà degli anni Novanta con i suoi legali, cercando inutilmente di persuaderci ad accettare uno scambio del nostro Giardiniere con uno dei suoi numerosi Picasso. Una proposta, a mio avviso ingenua, per non dire irrispettosa delle leggi italiane, per un baratto assolutamente inaccettabile in base al principio della assoluta inalienabilità delle cose di interesse storico-artistico del patrimonio statale italiano, sancito

dalla legge di tutela e dalla Costituzione, che ci ha permesso e ci permette ancora, fortunatamente, anche secondo il nuovo Codice dei Beni Culturali, di difendere ciò che è di interesse nazionale....


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