VAN GOGH - TESINA PDF

Title VAN GOGH - TESINA
Author Giuseppe Beppe
Course Storia dell'arte
Institution Liceo (Italia)
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TESINA...


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Vincent van Gogh Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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Vincent van Gogh, Autoritratto (Parigi, primavera 1887); olio su cartone, 42x33,7 cm, The Art Institute of Chicago.

Vincent Willem van Gogh (/ˈvɪnsɛnt ˈʋɪləm vɑn ˈɣɔx/ ascolta[?·info]; Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è stato un pittore olandese. Fu autore di quasi novecento dipinti [1] e di più di mille disegni, senza contare i numerosi schizzi non portati a termine e i tanti appunti destinati probabilmente all'imitazione di disegni artistici di provenienza giapponese. Tanto geniale quanto incompreso se non addirittura disprezzato in vita, Van Gogh influenzò profondamente l'arte del XX secolo; dopo aver trascorso molti anni soffrendo di frequenti disturbi mentali,[2][3] morì all'età di soli trentasette anni.[4] Iniziò a disegnare da bambino nonostante le continue pressioni del padre, pastore protestante che continuò ad impartirgli delle norme severe; continuò comunque a disegnare finché non decise di diventare un pittore vero e proprio. Iniziò a dipingere tardi, all'età di ventisette anni, realizzando molte delle sue opere più note nel corso degli ultimi due anni di vita. I suoi soggetti consistevano in autoritratti, paesaggi, nature morte di fiori, dipinti con cipressi, rappresentazione di campi di grano e girasoli. La sua formazione si deve all'esempio del realismo paesaggistico dei pittori di Barbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet.

Indice

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1Le lettere 2Biografia 2.1Infanzia 2.2Il lavoro nella casa d'arte Goupil (1869-1875) 2.3La missione sociale e religiosa (1876-1880)  2.3.1«Sono afflitto, ma sempre lieto»  2.3.2Nel Borinage 2.4La svolta artistica (1881) 2.5A Nuenen (1883-1885)  2.5.1Sien  2.5.2Il trasferimento 2.6Anversa e Parigi (1886-1887)  2.6.1Anversa  2.6.2La ville lumière 2.7In Provenza  2.7.1Arles (1888–89)  2.7.2La mutilazione dell'orecchio 2.8A Saint-Rémy-de-Provence (1889)  2.8.1«Non sono veramente malato di mente, ho voglia di lavorare e non mi stanco...»  2.8.2L'inizio del successo 2.9Ad Auvers-sur-Oise (1890)  2.9.1La morte misteriosa 3L'arte e le opere di van Gogh 3.1Gli esordi: la pittura contadina 3.2La virata post-impressionista  3.2.1«A Parigi c'erano infiniti vetri colorati ...»  3.2.2Van Gogh e l'Impressionismo  3.2.3Il «Giapponismo» di van Gogh 4Contenuti 4.1Autoritratti 4.2Ritratti 4.3Cipressi 4.4Fiori 4.5Campi di grano 5Fortuna critica 6Filmografia 7Altre opere sul soggetto 8Note 9Bibliografia 10Altri progetti 11Collegamenti esterni

Le lettere[modifica | modifica wikitesto]

Lettera inviata da Vincent a Théo nell'aprile 1885 con un piccolo bozzetto a inchiostro de I mangiatori di patate in basso a destra.

La più completa fonte primaria per la comprensione di Van Gogh come artista e come uomo è Lettere a Theo, la raccolta di lettere tra lui e il fratello minore, il mercante d'arte Théo van Gogh, con il quale intratteneva un rapporto particolarissimo e intimo: Théo, infatti, fornì a Vincent sostegno finanziario ed emotivo per gran parte della sua vita.[5] [6][7] La maggior parte di ciò che ci è noto sul pensiero di Van Gogh e sulle sue teorie d'arte è scritto nelle centinaia di lettere che lui e il fratello si scambiarono tra il 1872 e il 1890: più di seicento da Vincent a Théo e quaranta da Théo a Vincent. Il patrimonio epistolare di Vincent e Théo, si è detto, è una documentazione fondamentale, non solo perché raccoglie notizie determinanti per ricostruire la personalità e le tormentate vicende esistenziali del pittore (profilandosi, dunque, come un vero e proprio «lessico familiare»), ma anche perché consente di comprenderne a pieno le concezioni artistiche. Tra il mondo pittorico e quello letterario di Van Gogh, invero, correva una forte compenetrazione: in ragione della celebre formula oraziana ut pictura poësis, infatti, il pittore nelle proprie missive commentò molto dettagliatamente i propri capolavori, che infatti dispongono quasi sempre di una riflessione epistolare in merito al soggetto, all'apparato cromatico, alle circostanze gestative. Anche se molte di queste lettere non sono datate, gli storici dell'arte sono stati in grado di ordinarle cronologicamente. Il periodo in cui Vincent visse a Parigi è il più difficile da ricostruire per gli storici, poiché i due fratelli, vivendo insieme, non ebbero bisogno di scriversi.[8] Oltre alle lettere da Vincent per Théo ne sono state conservate altre e, in particolare, quelle a Van Rappard, a Émile Bernard e alla sorella Wil.[9] Il corpus di lettere è stato pubblicato nel 1913 dalla vedova di Théo, Johanna van Gogh-Bonger, che le rese pubbliche con molta cautela, perché non voleva che il dramma nella vita dell'artista mettesse in ombra il suo lavoro. Van Gogh stesso era un avido lettore di biografie di altri artisti e pensava che la loro vita dovesse essere in linea con le caratteristiche della loro arte fantastica, anche se talvolta poco seria.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

La casa natale di van Gogh a Zundert: Vincent nacque nella stanza sotto il tetto, dalla cui finestra sventola la bandiera

Infanzia[modifica | modifica wikitesto] Notizie della famiglia dei van Gogh si rintracciano a L'Aia fin dalla metà del XVII secolo e a partire dal Settecento quella famiglia trasmise di padre in figlio il mestiere di orefice. Nel primo Ottocento si ha notizia di un Vincent van Gogh (1789-1874), pastore calvinista e padre di undici figli che praticavano diverse attività: tre di loro erano mercanti d'arte, mentre si sa che Theodorus van Gogh (1822-1885) dal 1º aprile 1849 fu un pastore della società riformata olandese, residente presso la piccola comunità di Groot-Zundert, un

villaggio del Brabante di circa seimila abitanti. Sposatosi nel 1851 con Anna Cornelia Carbentus (1819-1907), figlia di un facoltoso rilegatore di libri della corte olandese, Theodorus generò con lei un figlio, Vincent Willem Maria, che tuttavia il 30 marzo 1852 fu partorito già morto. Esattamente l'anno dopo la Carbentus diede alla luce il primo figlio, il futuro pittore, che verrà battezzato Vincent Willem in ricordo del defunto fratellino: «fin dal primo giorno, quindi, la vita di Vincent fu segnata da una triste coincidenza» commenta il critico Rainer Metzger «numerosi psicologi, per contro, non mancarono di sottolineare che questo bambino, in un certo senso, era venuto al mondo nell'anniversario della propria morte e videro in ciò la radice dell'inclinazione dell'artista al paradosso».[10] Theodorus e Cornelia, in ogni caso, ebbero altri cinque figli: Anna Cornelia (1855-1930), Théodorus junior, ben presto denominato semplicemente Théo (1º maggio 1857-25 gennaio 1891), Elisabeth (1859-1936), Wilhelmina Jacoba (1862-1941) e Cornelis (1867-1900).[11] Dal gennaio 1861 al settembre 1864 Vincent van Gogh studiò alla scuola del paese e dal 1º ottobre 1864 frequentò un collegio della vicina Zevenbergen, dove apprese il francese, l'inglese, il tedesco e l'arte del disegno. Dal 1866 frequentò un'altra scuola presbiteriale, la scuola secondaria di Tilburg, con professore di arte il pittore Constant Cornelis Huijsmans.[12] [13] Ma il 19 marzo 1868, a causa dello scarso rendimento nonché per via di alcuni problemi economici sofferti dal padre, ritornò a Zundert senza aver concluso gli studi. [14] Furono tutto sommato anni felici e lieti che verranno ricordati da Vincent con grande nostalgia, come leggiamo nella lettera 573: «Durante la mia malattia ho visto accanto a me ogni stanza della casa di Zundert, ogni strada, ogni pianta del giardino, i dintorni, i campi, i vicini, il cimitero, la chiesa col suo orto e persino il nido di gazze sulla grande acacia del cimitero» (Vincent van Gogh[15])

Il lavoro nella casa d'arte Goupil (1869-1875)[modifica | modifica wikitesto] La scarsità del suo profitto scolastico convinse la famiglia a trovargli un impiego: il primo a farsi avanti fu lo zio paterno Vincent detto «Cent» (1811-1889), già mercante d'antiquariato. Egli persuase il fratello (il padre di Vincent) a far sospendere gli studi al nipote in modo da metterlo al lavoro nel più breve tempo possibile. Infatti nel luglio del 1869 Cent raccomandò il nipote alla filiale dell'Aia della Goupil & Co, una notissima casa d'arte specializzata nella riproduzione di stampe, ma che non esitava ad avvalersi della collaborazione di pittori celebri.[16] Il giovane Vincent all'inizio si dedicò con grande coscienziosità e dedizione al suo lavoro, che consisteva nel vendere litografie, fotografie, dipinti, calcografie, acqueforti o riproduzioni, per lo più di opere della scuola dell'Aia o dei pittori di Barbizon: tale mestiere, inoltre, lo stimolava ad approfondire tematiche culturali ed artistiche, a leggere e a frequentare musei e collezioni d'arte. Mantenne i contatti con la famiglia, che dal gennaio del 1871 si era trasferita a Helvoirt, dove il padre Theodorus svolgeva la sua attività pastorale. Vincent oltre a incontrare frequentemente a L'Aia il fratello Théo, intraprese con lui una corrispondenza che sarebbe durata per tutta la vita. [17] Nel 1873 il giovane Vincent fu trasferito nella filiale Goupil di Bruxelles e a maggio in quella di Londra. Durante il trasferimento nella capitale inglese van Gogh si fermò per alcuni giorni a Helvoirt, dai genitori, per poi fare affrettatamente sosta a Parigi, rimanendo affascinato dalla bellezza della città e dai fermenti culturali che l'animavano: la visita del Louvre e delle esposizioni di quadri al Salon lo colpirono profondamente.[18] A Londra disegnò schizzi di scorci cittadini, che tuttavia non conservò (ne rimane solo uno, peraltro assai rovinato e scoperto nel 1977, raffigurante la casa dove visse). Qui il giovane Vincent condusse una vita schiva e appartata e fu funestato dalla prima, cocentissima delusione amorosa. Egli, infatti, era accecato da un'ardente infatuazione nei confronti di Eugenie Loyer, figlia di Ursula, proprietaria della pensione presso la quale risiedeva: quando alla

fine osò dichiararsi, van Gogh - inesperto di questioni amorose - scoprì tuttavia che l'amata Eugenie era già fidanzata.[19] Subito dopo esser stato respinto van Gogh precipitò in una profonda crisi depressiva e, per alleviare la sua prostrazione, chiese e ottenne di essere trasferito a L'Aia.[20] Da questo momento iniziò a trascurare il suo lavoro, suscitando la disapprovazione dei superiori e dei colleghi: a poco servirono le premure dello zio Cent, che tentò di aiutare il nipote allocandolo presso la succursale parigina della Goupil e, poi, nuovamente a Londra. I suoi interessi erano ormai definitivamente rivolti verso le tematiche religiose: la Bibbia aveva ormai preso il posto di quei libri che avevano sì conquistato il suo cuore, ma che ora risultavano inadeguati al suo slancio religioso (nella lettera 36a, rivolta a Théo, leggiamo: «Ho intenzione di distruggere tutti i miei libri: Michelet, ecc. Vorrei che tu facessi altrettanto»).[21] Van Gogh, tuttavia, non mancò affatto di coltivare la sua passione artistica, frequentando i musei parigini più prestigiosi e familiarizzando con le opere di JeanFrançois Millet e di Jean-Baptiste Camille Corot e con la pittura seicentesca olandese. I dirigenti della Goupil erano sempre più scontenti di lui, anche perché nel Natale del 1875 lasciò senza preavviso il lavoro, per andare a trovare la famiglia, che allora risiedeva a Etten, un piccolo paese nei pressi di Breda: anche il suo comportamento professionale, d'altronde, era totalmente insoddisfacente e addirittura dannoso per la salute finanziaria dell'azienda («i suoi ripetuti consigli ai clienti di acquistare pezzi a buon mercato facevano onore, è vero, alla sua onestà, ma non incrementavano certo il volume d'affari», osserva giustamente il Metzger).[22] Vincent, ormai, riteneva sterile e mortificante la collaborazione con un'attività che sentiva profondamente estranea e il 1º aprile 1876 fu congedato.[23]

Van Gogh nel 1873, anno in cui prestava servizio presso i Goupil

La missione sociale e religiosa (1876-1880)[modifica | modifica wikitesto] «Sono afflitto, ma sempre lieto»[modifica | modifica wikitesto]

Il 16 aprile 1876 van Gogh partì per Ramsgate, un sobborgo industriale alla periferia di Londra dove trovò lavoro come supplente presso la scuola del reverendo metodista William Port Stokes. Nonostante l'esiguità dello stipendio, limitato al solo vitto e alloggio, Vincent in questo modo poté dare libero sfogo al suo misticismo religioso, coltivato sul modello del padre. Successivamente proseguì l'insegnamento a Isleworth, dove la scuola si era trasferita: qui collaborò anche con un pastore metodista che teneva un'altra piccola scuola e in ottobre pronunciò il suo primo sermone,[24] ispirato da un quadro di Boughton, il Pellegrino sulla via di Canterbury al tempo di Chaucer: «Una volta ho visto un bel quadro; era un paesaggio serale. In lontananza, sulla destra, una fila di colline, azzurre nel

cielo della sera. In queste colline lo splendore del tramonto, le nubi grigie costellate d'argento e d'oro e porpora. Il paesaggio è una pianura o una brughiera, coperta d'erba e di steli gialli, era infatti autunno. Il paesaggio è tagliato da una strada che porta a un alto monte, lontano, molto lontano; sulla sua cima una città che il sole al tramonto fa risplendere. Sulla strada cammina un pellegrino col suo bastone. E questi incontra una donna - o una figura in nero - che richiama un'espressione di San Paolo: afflitto ma sempre lieto. Quest'angelo di Dio è stato posto qui per consolare il pellegrino e per rispondere alle sue parole. E il pellegrino le chiede: "Questa strada è sempre in salita?". E la risposta è: "Certo, fino alla fine, sii attento". E di nuovo egli chiede: "E il mio viaggio dovrà durare tutta la giornata?". E la risposta è: "Dal mattino, amico mio, fino a notte". E il pellegrino allora prosegue, afflitto ma sempre lieto»

In questo testo erudito e ispirato è cristallizzata l'essenza più genuina della religiosità di van Gogh, votata a un ritorno ai valori francescani e paolini: egli, insomma, inseguì un orientamento liturgico «che oscilla confusamente fra malinconia e contrizione, male d'amore e umiltà, dolore universale e tristezza personale» e che predicava una completa rinuncia alla brama di beni terreni, nel segno di un rapporto più umile e sincero con la propria interiorità, in modo tale da essere pienamente partecipi della natura divina e alla beatitudine eterna, nonostante le transeunti tribolazioni terrene. Van Gogh, poi, riassume in nuce questi ideali trinitari dichiarandosi «afflitto ma sempre lieto»: si tratta di una frase desunta dalla seconda lettera dei Corinzi che compare spesso nelle lettere di quel periodo e che, nel paradosso del dolore ben accetto, esemplifica splendidamente gli ideali vangoghiani dei quali si è appena discorso. Nonostante si fosse ormai completamente rifugiato nella religione, van Gogh continuò a interessarsi di arte, e frequenti furono le sue visite alle gallerie di Hampton Court, dove poteva ammirare le opere di Holbein, di Rembrandt, del Rinascimento italiano e della scuola olandese del Seicento. Nel Borinage[modifica | modifica wikitesto]

L'opprimente atmosfera del Borinage colta in un olio su tela di Constantin Émile Meunier intitolato Black Country – Borinage, oggi esposto al Meunier Museum di Bruxelles

Tornato in famiglia per Natale, van Gogh fu dissuaso dai genitori, spaventati dalle sue precarie condizioni psicofisiche, dal ripartire per l'Inghilterra. Lo zio Cent gli trovò così un altro lavoro come commesso presso la libreria Blussé & Van Braam di Dordrecht. Anche in questo caso, tuttavia, van Gogh trascurò il lavoro, preferendo «lavorare» nel retrobottega dove poteva tradurre la Bibbia in inglese, francese e tedesco, forte delle proprie competenze linguistiche. Importante, a Dordrecht, fu l'amicizia con il coinquilino Paulus van Görlitz (entrambi, infatti, vivevano presso la casa del commerciante di cereali Rijkens), [25] il quale in uno scritto tratteggia molto vividamente la personalissima religiosità che animava l'amico, assetato di purificazione e di sentimenti puri: «Sotto molti aspetti era assai riservato, assai timido. Un giorno - ci conoscevamo da un mese - mi pregò, sempre col suo sorriso irresistibile: "Görlitz, tu puoi farmi un grossissimo favore, se vuoi". Risposi: "Dimmi, allora". "Insomma, questa meridiana di camera è in realtà la tua camera e vorrei avere il tuo permesso di appendere un paio di quadri". Acconsentii naturalmente subito e con zelo febbrile si mise al lavoro. Dopo un'ora, la stanza era piena di immagini bibliche e di Ecce Homo e, sotto la testa di Cristo, Van Gogh aveva scritto: "Sempre afflitto, ma sempre lieto"» (P. C. Görlitz[26])

Con l'aiuto del Görlitz Vincent van Gogh riuscì a convincere il padre a lasciargli tentare gli esami di ammissione alla facoltà di teologia di Amsterdam, dove andò a vivere con Johannes van Gogh, un fratello del padre che aveva fatto strada diventando comandante del cantiere navale della marina. Grazie all'intercessione di Jan, inoltre, Vincent frequentò anche uno zio materno, dal quale si fece impartire lezioni di latino e di greco. Continuò a coltivare le sue inclinazioni artistiche, esercitandosi instancabilmente e visitando assiduamente il Trippenhuis e il Rijksmuseum. La sua fame insaziabile di letture lo spinse ad attingere con voracità dalle biblioteche più disparate, e per un certo periodo frequentò persino una scuola domenicale, alla quale tuttavia rinunciò ben presto ritenendola inconcludente per le proprie velleità religiose.[25] Respinto agli esami di ammissione, dall'agosto del 1878 van Gogh frequentò un corso trimestrale di evangelizzazione in una scuola dall'impronta più pratica ubicata a Laeken, presso Bruxelles, dalla quale tuttavia fu ritenuto inidoneo a svolgere l'attività di predicatore laico. Nonostante questi reiterati fallimenti la sua vocazione religiosa non si prosciugò e, con determinata caparbietà, Vincent riuscì a farsi ottenere un incarico semestrale dalla Scuola Evangelista di Bruxelles e andò a vivere a Wasmes, nel Borinage, una regione carbonifera belga dove i lavoratori vivevano in condizioni di estremo disagio. In questo miserabile centro minerario, povero tra i poveri, van Gogh si prese cura dei malati e predicò la Bibbia ai minatori. La sua abnegazione, improntata a quell'umanitarismo cristiano cui aveva aderito anche il padre, era talmente zelante da rasentare il fanatismo:

L'abitazione di van Gogh a Cuesmes

«Prima di dedicarsi all'attività missionaria e alla predicazione, Paolo rimase anni in Arabia. Se anch'io potrò lavorare per tre anni in questa regione, nel silenzio, sempre imparando e osservando, allora non tornerò senza aver niente da dire di quanto in realtà valga la pena di essere ascoltato» (Vincent van Gogh[27])

Nel Borinage van Gogh dormiva sulla paglia, in una baracca decadente (sull'esempio di san Francesco e dei minatori suoi condiscepoli), soccorreva i malati e aiutava i bisognosi, con i quali condivise l'acqua, il cibo, persino gli indumenti. Se questa totale devozione verso il prossimo valse a Vincent la stima incondizionata dei minatori, i suoi superiori furono indispettiti da un impegno sociale così smodato (che non solo insospettiva i benpensanti ma dava adito anche a rivendicazioni sociali) e perciò, una volta scaduti i sei mesi di prova, non gli rinnovarono il contratto di catechista: la glaciale motivazione del Consiglio Ecclesiastico fu «aveva preso troppo alla lettera il modello evangelico». Senza né mezzi, né fiducia verso se stesso, van Gogh continuò a svolgere quella che considerava una missione: si trasferì nel vicino paese di Cuesmes dove visse con un minatore del luogo e, pur indigente, cercò ancora di aiutare chi stava in realtà peggio di lui, arrivando a ced...


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