L\'Arcadia, Licaone e le versioni del mito PDF

Title L\'Arcadia, Licaone e le versioni del mito
Course Esercitazioni di latino
Institution Università degli Studi di Ferrara
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Appunti lezione....


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L’ARCADIA E LE ORIGINI DI ROMA Sui colli dove sorgerà Roma regna Evandro, re arcade, il quale regna con una ancestrale semplicità e sobrietà, con spessore morale. È una figura che affascina Enea, il quale si trova ad entrare nella sua semplice capanna. Lì vicino, nel Foro romano, si vedono pascolare gli armenti. Sono luoghi sacri per Roma e la sua identità e sono connotati in modo agreste e pastorale. In un passo del libro VIII dell’Eneide (Verg. Aen. 8, 342-344), Evandro mostra ad Enea dal Campidoglio i luoghi sacri dove sorgerà Roma: “Gli mostra (hinc monstrat) un grande bosco sacro (lucum ingentem) e il forte Romolo (Romulus acer) istituì (rettulit) come Asilo (Asylum) e gli mostra sotto una gelida rupe (et gelida sub rupe; qui si intende il Palatino) il Lupercale (Lupercal)”. E’ il luogo dove si svolge la sacra cerimonia di purificazione dei Lupercalia che si tiene a febbraio; Ovidio ne parla diffusamente nel II libro dei Fasti. Il Lupercale, inoltre, è un luogo, il cui nome richiama ancora il lupo) “…che fu nominato secondo il costume arcadico (Parrhasio dictum de more) di Pan Liceo (Panos Lycaei)”. Secondo una leggenda minore dell’ Inno a Zeus di Callimaco, il dio venne allevato presso il monte Parrasio, in Arcadia; è un luogo importante anche in considerazione del legame che c’è tra Giove e l’Arcadia. Pan Liceo (Panos Lycaei), sta ad indicare “secondo il costume tipico dell’Arcadia e più in particolare di Pan che abita sul monte Liceo”. Liceo in greco significa “del Lupo”. Lupercal, quindi, deriverebbe dall’antico legame che c’è con il lupo in Arcadia e in particolare dal nome del monte Liceo (sempre in Arcadia), su cui proprio Licaone aveva istituito un culto per Zeus. L’Arcadia, il lupo, Roma, il Palatino, il Lupercale costituiscono un tema culturale e ideologico fortissimo nella cultura augustea. Anche l’immagine stessa del lupo ritorna alla sua natura selvaggia, alla sua ferinità, non solo della religiosità romana originaria, ma evidentemente di tutto un portato specifico della cultura augustea. La rivisitazione di miti culturali tipici dell’età augustea è qualcosa che caratterizza le Metamorfosi e viene vista come una rivalutazione di una religiosità e di una cultura popolare. C’è molto più questo che l’elogio del principe.

LICAONE, L’UOMO-LUPO RE DI ARCADIA: LE VERSIONI DEL MITO La versione del mito di Licaone punito da Zeus è un mito raccontato in varie forme dalle fonti. Tra le opere di Pausania abbiamo la Periegesi, una sorta di viaggio in giro per i luoghi più caratteristici della Grecia di cui l’autore descrive le caratteristiche più importanti, i monumenti più notevoli e le storie e gli aspetti culturali ad essi connessi. Pausania, parlando di Licaone (Perieg. 8, 2, 3), afferma che lui fondò il culto di Zeus Liceo (‘del lupo’) in Arcadia. Pausania, però, non conosce il tema mitico e favolistico che si riscontra in diverse culture, cioè quello dell’offrire all’ospite carne umana con l’inganno. In Pausania, infatti, Licaone sacrifica per il culto di Zeus Liceo un bambino bagnando con il suo sangue l’altare di Zeus e per questo viene trasformato in lupo. Qui Licaone non vuole ingannare Zeus e sono le forme di questo sacrificio umano che inorridiscono il dio, al punto tale da rifiutarlo e trasformare Licaone in lupo.

La Suda, grande lessico bizantino (una sorta di dizionario dell’antichità greca), sotto la voce “Lycaon” tramanda che Licaone, affinché il popolo arcade mantenesse un atteggiamento pio nei confronti della divinità, affermava che Zeus visitava sempre la sua casa sotto le spoglie di essere umano per controllare ciò che faceva il suo popolo. Un giorno il popolo, durante un sacrificio, per capire se fosse presente Zeus alla cerimonia, uccise uno dei figli di Licaone e mescolò le sue carni a quelle del sacrificio. Zeus, a questo punto, fulminò tutti quanti. Possiamo riscontrare due aspetti: la trasformazione in lupo nel mito raccontato da Pausania e la punizione tramite il fulmine nella Suda. Sono due elementi che vengono incorporati nelle altre leggende, dove Licaone non offre un sacrificio ma un banchetto. Una delle leggende più diffuse vuole che non sia Licaone ma i suoi figli a vivere in modo empio e degenerato. La Biblioteca, opera attribuita ad uno pseudo-Apollodoro databile II secolo d.C., narrando il mito di Licaone, ci tramanda che il re aveva avuto 50 figli da diverse mogli, i quali avevano i nomi delle città dell’Arcadia. Questi figli vivono in modo scellerato, Zeus vuole sincerarsi di tutto questo, si traveste da contadino e, come nel mito di Ovidio, fa capire che potrebbe esserci un dio nella casa di Tantalo. I figli, per capire se veramente Zeus sia un dio o meno, gli danno da mangiare delle carni di un bambino, che lo pseudo-Apollodoro non specifica chi sia. Zeus capisce tutto questo, uccide con il fulmine sia Licaone che i figli, rovescia la tavola della mensa (mito eziologico dell’origine della città arcade Tràpeza, cioè ‘tavola’). Il più piccolo, Nictimo, fu salvato grazie all’intervento di Gaia, la madre terra. È difficile trovare dei precedenti al mito che racconta Ovidio, in particolare il fatto che questo bimbo che viene dato in pasto a Zeus è presentato come uno degli ostaggi dei Molossi, vicini degli Arcadi. Giovanni Tzetzes, erudito bizantino, commenta l’Alessandra di Licòfrone (storia di Cassandra), la quale ci offre un altro sguardo sulla presa di Troia e sul ritorno degli eroi greci a casa. È un poema erudito di età ellenistica, su cui già nell’antichità vennero scritti diversi commenti esplicativi in quanto poema di difficile lettura e interpretazione. Tzetzes, in particolare, riprende una leggenda simile a quella narrata dallo pseudo-Apollodoro ma nomina il nome del figlio di Licaone che ha l’idea di imbandire le carni del bimbo, cioè Menalo, lo stesso nome di uno dei monti dell’Arcadia. In una seconda versione, sempre raccontata da Tzetzes, Nictimo era proprio il bimbo che fu ucciso per darne le carni a Zeus. Igino, scrittore romano di età augustea, ci ha tramandato una raccolta di fabulae, spesso legato al catasterismo, cioè la trasformazione in stella/costellazione, e narra a sua volta una storia del genere. Secondo Igino, è Licaone stesso ad avere questa idea scellerata di provare l’identità di Zeus tramite l’inganno delle carni del fanciullo. La seconda novità interessante è che questo bimbo, secondo Igino, è Arcade, il figlio di Zeus e Callisto. Callisto è la figlia di Licaone che, come raccontato proprio da Ovidio, subisce violenza da Zeus, rimane incinta e nasce Arcas (Arcade), quindi un figlio di Zeus e un nipote naturale dello stesso Licaone. L’empietà di Licaone qui è davvero massima, tanto che Zeus distrugge la sua casa con il fulmine e lo trasforma in lupo. La leggenda è molto simile a quella narrata da Ovidio. Giove poi ricompone i membri di Arcade, lo riporta in vita, ed egli diventa un cacciatore. Un giorno, nei boschi dell’Arcadia, si imbatte nella sua stessa madre che era stata trasformata in orsa. La rincorre, profana il tempio di Zeus Liceo e a

questo punto, madre e figlio vengono trasformati nelle due costellazioni, l’Orsa e l’Arctophylax (‘il custode dell’Orsa’), vicina alla costellazione dell’Orsa. Quest’ultima è detta anche ‘mandriano dei buoi’ perché l’Orsa viene vista anche come ‘grande Carro’ trainato da buoi’ quindi Arctophylax o Bote può essere vista anche come mandriano dei buoi. Il poeta ellenistico Licofrone (forse III secolo a. C.) nel suo poema Alessandra (v. 480483), quando parla di Agapenore, re arcade che partecipò alla guerra di Troia, parla anche della sua stirpe e allude, in modo indiretto senza narrarla per esteso, a tutta la vicenda: “Agapenore che abita nell’interno, che basta a se stesso per il cibo, della genia di quelli della quercia, dalla forma di lupo”. Ovidio, infatti, ci dice che Licaone mantiene le vestigia della sua vecchia forma: già quand’era umano, era lupo quindi c’è sicuramente un’allusione importante all’espressione di Licofrone. Licofrone poi ci dice degli Arcadi che sono “più antichi della luna, che si divisero le carni di Nictimo e nel mezzo dell’inverno cuocevano, come loro cibo, le ghiande, ammorbidendole con le ceneri del fuoco”. Licofrone condivide la leggenda che tramanda Giovanni Tzetzes secondo cui era il piccolo Nictimo che era stato offerto a Zeus. Le ghiande sono il cibo della pianta grata a Zeus, cioè la quercia. C’è ancora un legame con Zeus e l’idea di un cibo primigenio. Anche in Ovidio i primi uomini si cibano di ghiande, che sono offerti spontaneamente dalla natura agli uomini. Proprio per questo li chiama “più antichi della luna”. ARCADIA E ARCAICO: GLI ARCADI ‘PIU’ ANTICHI DELLA LUNA’ Arcadia e arcaico sono termini quasi corrispondenti: gli Arcadi sono i primi umani, appartengono ad una natura primigenia, sono antichi come la natura, “più antichi della luna”. Lo storico Ippi di Reggio (V secolo a. C.), tramandato da Stefano di Bisanzio, ci dice che gli Arcadi erano chiamati Proseleni (più antichi della luna). Questa è una definizione che ritroviamo anche nei Giambi di Callimaco. C’è l’idea che questa terra interna, aspra e selvaggia avesse ospitato i primi esseri umani. Qui, inoltre, è presente anche il legame tra gli arcadici arcaici e Zeus fanciullo. Anche Plutarco ci conferma che gli Arcadi vengono definiti “più antichi della luna”. Lo stesso Ovidio, nei Fasti 2, 290, nel mese di febbraio, parla dell’umanità arcadica che popola i luoghi su cui sorgerà poi Roma. Ovidio, nelle Metamorfosi, ne fa una stirpe scellerata che viene distrutta da Zeus. C’è il capovolgimento di questa idea di semplicità primitiva. Tutte queste varianti della leggenda di Licaone, però, non mettono in connessione (se non il brano di Licofrone, a questo punto fonte di ispirazione importante per Ovidio) il mito di Licaone con gli Arcadi stirpe umana primigenia. Inoltre, soltanto Ovidio connette il mito di Licaone con il diluvio universale che diventa una punizione divina proprio per l’empietà di Licaone e degli arcadi....


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