le grandi opere del pensiero politico PDF

Title le grandi opere del pensiero politico
Course Filosofia Politica
Institution Università degli Studi di Parma
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J. CHEVALLIER – LE GRANDI OPERE DEL PENSIERO POLITICOPARTE 1 – AL SERVIZIO DELL’ASSOLUTISMOCAPITOLO 1 IL “PRINCIPE” DI MACHIAVELLIMachiavelli era un funzionario fiorentino del Rinascimento. Il Rinascimento è un movimento intellettuale risalente alla fine del XV secolo che mira ad un ritorno all’anti...


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J.J. CHEVALLIER – LE GRANDI OPERE DEL PENSIERO POLITICO PARTE 1 – AL SERVIZIO DELL’ASSOLUTISMO CAPITOLO 1 IL “PRINCIPE” DI MACHIAVELLI

Machiavelli era un funzionario fiorentino del Rinascimento. Il Rinascimento è un movimento intellettuale risalente alla fine del XV secolo che mira ad un ritorno all’antichità classica rispetto alle discipline intellettuali del medio-evo; vede il crollo della doppia autorità Papa-Imperatore, nelle sfere spirituale e temporale, e l’affermazione dei grandi stati monarchici di Francia, Inghilterra e Spagna. Vede anche l’affermazione, soprattutto in Italia, di una concezione dell’uomo come essere autosufficiente in opposizione all’era medievale orientata e dominata da Dio. D’altra parte la situazione politica italiana verso la fine del XV secolo era propizia allo scatenarsi degli individui pieni di virtù: in effetti attorno a Roma, Venezia, Milano e Firenze c’era una moltitudine di stati e staterelli in grande fermento. A Firenze, dopo gli sconvolgimenti dovuti alle lotte tra le varie fazioni, si impadronisce del potere la ricca famiglia di banchieri dei Medici, a partire dal 1434 con Cosimo. Alla morte di Lorenzo Il Magnifico, nel 1492, il suo successore Piero fu messo in fuga dal popolo in sommossa e si stabilì la Repubblica. Questa di lì a 3 anni cadde nelle mani del monaco domenicano Gerolamo Savonarola che fonda una democrazia teocratica e puritana e che lancia l’anatema contro la lussuria e la cupidigia della Roma papale. Verrà impiccato e bruciato nel 1498. In quell’anno entra ufficialmente nella vita pubblica della Repubblica fiorentina il 29enne Machiavelli, appartenente ad una famiglia borghese toscana, e diventa segretario della Seconda Cancelleria. La sua è una situazione lavorativa mediocre e mal pagata; però viene spesso incaricato di missioni all’estero, durante le quali acquista una lucidità singolare in fatto di conoscenza dei temperamenti nazionali e di rapporti tra i popoli. In una delle sue missioni conosce, nel 1502, Cesare Borgia, il duca Valentino, figlio di Alessandro VI, il quale dopo aver deposto le sue dignità ecclesiastiche, tentò di costituire un vasto dominio principesco nell’Italia centrale; produsse sul Machiavelli una immagine indimenticabile di signore splendido e magnifico. Quando nel 1512 la milizia repubblicana venne decimata nei risucchi della lotta tra papa Giulio II ed il re di Francia Luigi XII, i partigiani dei Medici approfittarono della situazione per ristabilire proprio questi ultimi al potere e Machiavelli fu cacciato dai suoi impieghi e bandito da Firenze. E’ probabile che senza questa disgrazia non avrebbe mai avuto modo di scrivere le sue opere: “I discorsi sulla prima deca di Tito Livio”, le “Istorie Fiorentine”, i “Dialoghi dell’arte della guerra” e il “Principe”. Machiavelli si ritira in una casa di campagna a San Casciano: è pieno di rancore e noia e si sfoga nelle lettere al suo amico Vettori, ambasciatore di Firenze e Roma. Da queste lettere si risale alla genesi del “Principe”; si tratta di un piccolo volume, un opuscolo, con il quale Machiavelli invita chiaramente il nuovo principe Lorenzo a richiamarlo a Firenze per non privarsi più a lungo dei leali servigi di un uomo che ha sviluppato ottime capacità di penetrazione politica. Machiavelli si è proposto di ricercare che cosa è un principato e quali sono le specie esistenti. Non è molto interessato ai principati ereditari, per i quali non sono necessarie

capacità particolari del principe; è molto più attratto dai principati nuovi che presentano difficoltà di acquisizione e di mantenimento. Poi ci sono i principati misti ed i principati ecclesiastici. Il tipo di governo del principato può essere dispotico, aristocratico o repubblicano. Ma Machiavelli non si pone la questione del diritto: egli è affascinato dalla forza, dalla guerra, e si sofferma a studiare quei principati che sono creazioni della forza. Il fatto essenziale della storia umana è il trionfo del più forte. I principali fondamenti di ogni stato sono le buone leggi e le buone armi, ma le prime sono conseguenza delle seconde e non viceversa. Le buone armi non sono certo i mercenari, bensì sono le truppe nazionali, quelle composte dai sudditi del principe. I modi di acquisire un principato sono:  per propria virtù e per le proprie armi;  per la fortuna e le armi altrui;  per scelleratezza;  per il favore ed il consenso dei propri concittadini. La fortuna è fondamentale perché nessuno, a prescindere dalla sua virtù, può completamente sottrarsi alla sua forza. La fortuna è come un fiume in piena i cui argini possono essere rafforzati nei tempi di quiete. Il primo modo di acquisire un principato è molto difficoltoso, ma risulta di più facile gestione per quanto riguarda la conservazione. Per il secondo modo di acquisizione la regola è inversa. Gli stati che si formano rapidamente non hanno radici profonde e la prima tempesta rischia di rovesciarli, a meno che non ci si trovi di fronte ad un principe servito dalla fortuna e dotato di grande spirito e valore: si tratta del caso eccezionale che Machiavelli ha in mente quando pensa a Cesare Borgia. Eppure questo principe così dotato ha pure fallito. Ha forse sbagliato qualcosa? Machiavelli sente il dovere di dimostrare di no. Cesare diviene principe grazie al padre che è Papa e comprende subito che deve rendersi indipendente dai mercenari della propria armata e dal re di Francia. Così prima si serve di un uomo crudele e sbrigativo come Ramiro dell’Orco per ristabilire l’ordine (assegnandogli ampi poteri), poi lo fa uccidere in una piazza pubblica. Successivamente si cerca nuove amicizie e si riavvicina agli spagnoli. E’ a quel punto che tutto si rovina, perché prima che Cesare possa rendere solida la propria posizione in Toscana oltre che in Romagna, Papa Alessandro VI Borgia muore. Cesare si trova così tra l’armata spagnola e quella francese senza poter resistere. Quindi secondo Machiavelli, Cesare non ha commesso alcun errore malgrado il disastroso risultato finale e può essere proposto come modello da imitare per tutti i nuovi principi. Machiavelli distingue tra crudeltà ben seguite e mal eseguite: quelle ben eseguite sono quelle commesse tutte insieme all’inizio del regno per provvedere alla sicurezza del principato nuovo; quelle mal eseguite sono quelle che si trascinano e si rinnovano causando il senso di insicurezza dei sudditi. L’acquisizione di un principato per scelleratezza è una modalità che Machiavelli mostra di disprezzare, mentre dell’acquisizione per il favore dei propri concittadini dice che è necessaria un’astuzia fortunata ed un’arte mediocre. A fare così un principe è talvolta il popolo e talvolta i “grandi”: il secondo fa più fatica a mantenersi del primo. Scarso interesse Machiavelli riserva per i principati ecclesiastici, che acquisiti per fortuna o per virtù, si conservano grazie al potere di antiche istituzioni religiose. Il principato caratterizzato da un governo dispotico, con un principe che tiene tutti i suoi sudditi in condizioni di schiavitù, è difficile da conquistare e facile da mantenere. Il principato con governo aristocratico, con un principe assistito da “grandi”, è facile da

conquistare e difficile da conservare. La repubblica è estremamente difficile da mantenere, essendo esattamente l’opposto di un principato dispotico. Machiavelli propone tre mezzi per domarla:  che il principe vada a risiedere personalmente nel paese per reprimere i disordini sul nascere;  governare i paesi secondo le loro leggi e per mezzo dei loro cittadini;  distruggere e annientare l’antica ed incurabile repubblica. Probabilmente l’essenza del machiavellismo sta nel ritratto del principe nuovo. Il principe che vuole mantenersi deve imparare a non essere sempre buono: deve esserlo o non esserlo a seconda delle necessità. La cosa migliore sarebbe essere sia amato che temuto, ma nell’impossibilità è meglio essere temuto, che comunque non significa essere odiato dai sudditi (sarebbe una cosa grave). Il principe deve agire sia da uomo (combattendo attraverso le leggi, regolarmente, con lealtà e fedeltà) sia da bestia (combattendo con la forza e l’inganno): in particolare i modelli di animali da seguire sono la volpe (ad esempio non mantenere la parola quando ciò gli causerebbe un danno) ed il leone. Machiavelli ritiene che l’apparire, il far credere e l’ipocrisia siano fondamentali per il principe. E poi sostiene l’onnipotenza del risultato. Per quanto riguarda la gestione del rapporto con i consiglieri o ministri, Machiavelli sostiene che soltanto un principe già di per sé saggio può essere ben consigliato; deve prendere consiglio solo quando lo vuole lui e non deve mai lasciare prendere il sopravvento. Inoltre i ministri devono essere colmati di ricchezza e di considerazioni, per mantenerli buoni. E’ solo verso la fine dell’opuscolo che Machiavelli svela il suo supremo segreto: l’amore per l’Italia, la patria lacerata, asservita e sconvolta. Machiavelli aveva tanto ammirato Cesare Borgia perché lo ha creduto in grado di realizzare il sogno italiano di libertà ed indipendenza. Quanto al destino dell’opera, Lorenzo de’ Medici non vi prestò attenzione e non ricompensò l’autore. Se Machiavelli rientrò in grazia dei Medici a partire dal 1519 non fu a causa del “Principe”. Quattro anni dopo la sua morte, avvenuta nel 1527, il libro viene stampato e viene cominciato a leggere molto, forse troppo, e le polemiche cominciarono ad infuriare. CAPITOLO 2 I “SEI LIBRI DELLA REPUBBLICA” DI BODIN

“La République” è un pesante ed erudito trattato che, benché abbia fatto epoca, oggi ci sembra completamente illeggibile. Le vicende che portarono alla sua genesi furono queste: all’indomani della notte di San Bartolomeo, nel 1573, Francois Hotman, un noto giurista mezzo tedesco, lanciò da Ginevra un pamphlet, denominato “La Franco-Gallia”, che era un vero e proprio attacco alla preponderanza del potere reale all’interno dell’istituto monarchico in Francia. La sfida venne raccolta da Jean Bodin (professore di diritto e poi magistrato nonché filosofo politico) il quale sia riallacciava al partito detto “dei politici” dominato dalla figura del cancelliere Michel de l’Hopital. Quando Bodin pubblicò “La Rèpublique”, l’opera della sua vita, aveva già una fama europea tra gli eruditi. L’opera è scritta in lingua volgare, cioè in francese, per essere meglio intesa da tutti i buoni francesi. Si compone di 6 libri e 42 capitoli: impressionanti e scoraggianti.

Bodin per Repubblica non intende la forma di governo opposta alla Monarchia o all’Impero, bensì intende la cosa pubblica, la comunità politica; si tratta di un governo giusto perché conforme a certi valori morali di ragione e giustizia e che trova il suo scopo nella realizzazione di detti valori. La famiglia è l’immagine della comunità politica ben ordinata ed è il punto di partenza. La Repubblica senza la sovranità che ne tiene insieme tutte le parti non sarebbe più Repubblica. La sovranità è la forza coesiva, è il potere assoluto e perpetuo di una Repubblica. Il primo e più importante attributo della sovranità è il potere di dare le leggi, a tutti in generale ed a ciascuno in particolare, senza il consenso né dei superiori né dei pari né degli inferiori. La sovranità può teoricamente risiedere nella moltitudine (democrazia) o in una minoranza (aristocrazia) o in un solo uomo (monarchia): la teoria di Bodin opera a favore del re di Francia. Per quanto riguarda il governo misto, elogiato da Francois Hotman, secondo Bodin non è altro che corruzione della repubblica ed è un regime bastardo e ingannatore. Sono tre le ragioni per cui Bodin preferisce la monarchia:  è il regime più conforme alla natura (ad esempio c’è un solo sole nel cielo);  è soltanto nella monarchia che la sovranità assoluta trova un organo degno ed una garanzia di durata;  assicura maggiori garanzie a quella che oggi si direbbe “la scelta delle competenze”. Ma la monarchia che Bodin preferisce non è affatto quella tirannica, bensì la monarchia regia o legittima in cui i sudditi obbediscono alle leggi del monarca ed il monarca alle leggi della natura, e che può essere governata popolarmente (con impieghi e benefici accordati in modo egualitario), aristocraticamente (tenendo conto delle persone, dei meriti e delle risorse) o armonicamente (in modo equilibrato). “La Rèpublique” fu tradotta in quasi tutte le lingue europee e suscitò particolare ammirazione in Inghilterra. CAPITOLO 3 IL “LEVIATANO” DI HOBBES

1648: alla conclusione della guerra dei Trent’Anni, in Francia scoppia la “fronda”; il parlamento si armò contro l’autorità regia. 1651: compare il libro “Il Leviatano” (il Leviatano è un mostro biblico: un grosso e potente ippopotamo di cui parla il libro di Giobbe). L’autore è Thomas Hobbes che, nato nel 1588, fuggì dall’Inghilterra a Parigi nel 1640 per timore della guerra civile: esilio volontario di 11 anni durante il quale pubblicò il “De Cive” e preparò il “Leviathan”, che è la sintesi dell’hobbesianesimo, uno svolgimento dialettico che ci conduce dall’uomo naturale all’uomo artificiale ed allo Stato-Leviatano. All’origine c’è il movimento, dal quale nasce la sensazione, che può essere appetito o desiderio (il cui oggetto è il bene) oppure avversione o odio (il cui oggetto è il male). Il piacere è la sensazione del bene, il dispiacere quella del male. La morte è il male supremo; la pietà è il dolore causato dalla sventura di un altro; la felicità si ha quando i desideri si realizzano con un successo costante. Nell’uomo c’è un desiderio perpetuo, incessante, di potenza, che cessa solo con la morte. L’uomo si distingue dagli altri animali per la ragione, la curiosità e la religione. L’uomo è in una situazione di guerra perpetua con tutti i suoi simili, avidi come lui di potenza. E’ una guerra in cui contano la forza e l’inganno ed in cui non c’è la proprietà: ognuno è padrone di quello che può prendere e per tutto il tempo per

cui lo può tenere. Questo è lo stato di natura, ma affinché la specie umana non sia distrutta occorre che l’uomo esca da tale stato. La paura della morte spinge l’uomo verso la pace e la sua ragione gli suggerisce condizioni di pace vantaggiose su cui accordarsi con gli altri uomini (Hobbes le chiama “leggi di natura” e sono sintetizzabili nella formula “non fate agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi”). Ma per fare sì che gli accordi vengano rispettati è necessaria una potenza irresistibile: lo Stato. Gli uomini lo costituiranno attraverso un patto volontario, stretto per la propria salvaguardia. Hobbes non è d’accordo con Aristotele quando quest’ultimo afferma che l’uomo è naturalmente sociale; secondo Hobbes l’uomo ricerca compagni solo per interesse e la società politica è frutto di un calcolo interessato. Gli uomini stringeranno tra loro un contratto, trasferendo ad un terzo il loro diritto naturale assoluto; la volontà di questo terzo sostituirà e rappresenterà la volontà di tutti. Tale è l’origine del Leviatano. Con un unico e medesimo atto gli uomini naturali si costituiscono in società politica e si sottomettono ad un sovrano: fanno patti tra loro e rinunciano a vantaggio del padrone ad ogni diritto ed ogni libertà. Ma quale sarà la forma dello Stato? Questo sovrano sarà un uomo o una assemblea? In teoria non ha nessuna importanza, ma in pratica la differenza è molto rilevante. Hobbes preferisce la monarchia perché in essa l’interesse personale del sovrano coincide con l’interesse pubblico, dunque è il regime migliore. Avendo rinunciato ai loro diritti assoluti in favore del sovrano, gli uomini si sono impegnati a ritenere buono e giusto ciò che lui ordina e cattivo e ingiusto ciò che lui proibisce: lamentarsi di lui è lamentarsi di se stessi. Anche Hobbes, come Bodin, rifiuta ogni forma di governo misto: dividere il poter significa dissolverlo. La proprietà non può che essere considerata una concessione del sovrano. Ma il sovrano ha anche dei doveri: deve garantire la sicurezza dei sudditi e la loro libertà di fare tutte le azioni che non sono impedite dalla legge. Deve anche garantire l’eguaglianza di fronte alla legge, l’istruzione e l’educazione, la prosperità materiale. Il sovrano deve anche essere costantemente fortunato: ad esempio, se il sovrano è vinto in una guerra, i suoi sudditi hanno il diritto di schierarsi con il vincitore. Ciò che tiene in vita lo Stato Leviatano è l’autorità, ciò che lo distrugge è l’assenza di autorità, è discutere il potere sovrano, è una errata concezione dei rapporti del potere civile con il potere religioso. Perché secondo Hobbes con il patto sociale il sovrano diviene non soltanto l’organo dello Stato, ma anche della Chiesa. Non vi sono in realtà un governo spirituale e un governo temporale, perché lo Stato composto di cristiani e la chiesa cristiana sono la stessa cosa: ogni nazione è una chiesa. Hobbes comunque non si cura della verità religiosa intrinseca: non chiede ai suddividi credere, ma di obbedire. CAPITOLO 4 LA “POLITICA TRATTA DALLA SACRA SCRITTURA” DI BOSSUET

In Francia il fallimento della “fronda” ebbe l’effetto di consolidare l’edificio che avrebbe voluto abbattere: la monarchia assoluta di Luigi XIV. Bossuet fu precettore del Delfino dal 1670 al 1679: tra le sue opere pedagogiche la più celebri sono la “Politique” e i “Discours sur l’histoire universelle”. Tali opere sono ispirate alla concezione della Provvidenza che governa gli uomini e gli Stati. Quindi la “Politique” contiene la voce di Dio, tratta della parole stesse della Scrittura.

Dei 10 libri dell’opera (terminata nel 1679) solo i primi sei furono destinati all’educazione del Delfino, gli altri quattro furono aggiunti in un secondo momento. Fu pubblicata nel 1709 dal nipote, 5 anni dopo la morte di Bossuet. L’opera si presenta come un manuale, un chiaro anche se ostico strumento di insegnamento. I libri sono divisi in articoli, i quali sono suddivisi in proposizioni. L’originalità dell’opera consiste nell’arte con cui Bossuet maneggia le Scritture, i libri santi dai quali apparentemente è tratto ogni esempio. Secondo Bossuet Dio ha creato gli uomini naturalmente socievoli: devono amarsi l’un l’altro perché sono tutti fratelli e sono figli di Dio. Ma essendo dominati dalle loro passioni e dai loro diversi interessi, gli uomini sono diventati intrattabili ed asociali: quindi non potevano più essere uniti se non sottomessi tutti ad uno stesso governo. E tra le forme di governo quella che Bossuet preferisce è la monarchia, la forma più comune, antica e naturale, perché gli uomini nascono tutti sudditi. Così la Francia può gloriarsi di avere la migliore costituzione possibile, quella più conforme a ciò che Dio ha stabilito. Quali sono i caratteri della monarchia?  è sacra: i principi agiscono come ministri di Dio e suoi luogotenenti in terra; detengono la seconda maestà, derivata da quella di Dio; essi devono impiegare la propria potenza per il bene pubblico;  è assoluta: il principe non deve rendere conto a nessuno dei suoi ordini, non esiste altra possibilità di giudizio oltre alla sua, non esiste possibilità di coazione contro il principe. Ma i re non sono per questo non vincolati alla legge. L’assolutismo ha un solo vero contrappeso della sua potenza: il timore di Dio;  è paterna: i re detengono il posto di Dio, padre del genere umano. Il padre è buono ed è fatto per essere amato;  è sottomessa alla ragione: il governo è opera razionale ed intelligente. I doveri dei sudditi verso il principe sono quelli di servire lo Stato come vuole il principe stesso, perché lui vede da più lontano e da più in alto. Una sola eccezione è prevista: quando egli comanda contro Dio. Religione: il principe, ministro di Dio, ha il dovere di impiegare la sua autorità per distruggere nel suo Stato le false religioni. Giustizia: governo assoluto, cioè indipendente da ogni autorità umana, non significa governo arbitrario. A partire dal 1680 si scatena in Inghilterra e Francia l’attacco contro l’assolutismo. PARTE 2 – L’ASSALTO CONTRO L’ASSOLUTISMO CAPITOLO 1 I “DUE TRATTATI SUL GOVERNO” DI LOCKE

Verso la fine del XVII secolo l’Inghilterra da alla letteratura politica l’”Essay of Civil Government”, dovuto a John Locke (individualista liberale, uomo di studio, cagionevole di salute, visibilmente fatto per la vita contemplativa) che sferra i primi colpi all’assolutismo. ...


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