Le parrocchie di Regalpetra - Leonardo Sciascia (Unità 3) PDF

Title Le parrocchie di Regalpetra - Leonardo Sciascia (Unità 3)
Course Letteratura e cultura dell'Italia contemporanea
Institution Università degli Studi di Milano
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Appunti di "Le parrocchie di Regalpetra" - Leonardo Sciascia (Unità 3)...


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LE PARROCCHIE DI REGALPETRA – Leonardo Sciascia (1955) Tema della giustizia come chiave. Si interroga su una regione che diventa metafora. La Sicilia diventa la metafora di un mondo in cui non resta che far torto o subirlo, patirlo. Mondo in cui la ragione cerca di dibattersi, ma viene sconfitta. La Sicilia è una terra in cui i moti popolari per la giustizia erano sempre stati sconfitti. È una terra in cui le istituzioni statali non erano mai riuscite a prendere fino in fondo. È una terra in cui la borghesia moderna non aveva mai ancora del tutto sconfitto certe realtà tradizionali che si basavano sull’ingiustizia. Da una parte un’arroganza dei poteri privati e dall’altra parte una latitanza, un’assenza, una mancanza dei poteri pubblici. Da qui anche quel senso di isolamento provato dagli intellettuali siciliani. Sicilitudine : sentirsi profondamente siciliano. In questo libro Sciascia riprende anche la diffidenza profonda degli abitanti di questa regione, anche nei confronti dello stato. Lo stato che portava la cartolina che ti annunciava la leva militare. Una cartolina che ti porta la notizia delle tasse o che ti dice che devi mandare il figlio a scuola. CAPITOLO I : si parla di famiglie che, pur di non farsi sottrarre braccia da lavoro, diedero ai figli loro dei colpi di accetta al piede. Gli abitati di Regalpetra bruciano il municipio, perché ci sono le carte che dicono chi ha il potere di fare certe cose e chi no. Fin dalle Parrocchie di Regalpetra, Sciascia ragione sul rapporto tra il cittadino e gli organismi, le istituzioni, riconoscendo nella storia, un luogo anche della menzogna e della violenza. Per chi scrive Sciascia? Sciascia non scriveva queste opere per i politici e la classe dominante. Per la classe intellettuale sì, ma dall’altra parte non scriveva neanche per le classi più misere della Sicilia (i salinari, quelli che lavorano nelle saline), perché buona parte di loro era analfabeta. Scrive per le classi dirigenti che vogliono ascoltare, perché avessero finalmente la realtà vera. Perché le persone si confrontassero con un quadro difficile, desolante, in modo tale da porre rimedio. Come nasce questo libro? Ce lo chiarisce nella prefazione. Sciascia, su commissione di Vittorio Laterza, piano piano scrive questo libro. Non ha scritto questo libro per motivi politici. Sciascia crede nella ragione umana. A parlare di questi argomenti però, la gente pensa che sei comunista. Sciascia non mette prima la politica. Sciascia vorrebbe dare dei colpi di penna come se fossero dei colpi di spada. Il ruolo della scrittura quindi, è quello di svegliare e far capire che c’è qualcosa che non va. Si tratta di denunciare una situazione inaccettabile, per esempio le condizioni di vita dei salinari. L’estrema condizione in cui cresceva i bambini. Leggendo questi libro, ci immergiamo in quella che era la realtà di una paese siciliano del pieno ‘900. Cronache scolastiche → “cronache” è una parola chiave del Neorealismo. Sciascia parla di raccontare la realtà dei ceti popolari. Questo libro esce nel 1956, in una nuova stagione. Sciascia scrive nel momento in cui le speranze di una vera profonda democratizzazione sociale stavano venendo meno. Scrive nel momento in cui vede consolidarsi un preciso assetto di potere. TITOLO : trae ispirazione da un libro di Nino Savarese, “I FATTI DI PETRA”. Sciascia inventa Regalpetra per fare una specie di omaggio. Il paese di Sciascia si chiama Racalmuto. Lui mette

insieme “Regal -” e “- Petra”. Regalpetra non esiste, ma rappresenta una paese tipico della Sicilia del tempo. Regalpetra confina con Racalmuto. Questo libro esce nel 1956, per la terza. Vince anche un premio. Ci sono delle ottime reazioni da parte della critica e dei lettori. Questo libro fa conoscere Sciascia molto di più. Questo libro, per la terza, esce nella collana “Libri del tempo”, dove erano già usciti vari testi di indagine sociologica, in particolare del sud. Rocco Scotellaro era uno scrittore Neorealista. Uscendo nella stessa collana, Sciascia viene avvicinato a questi libri, che si interessano nelle inchieste sociologiche, di denuncia. Il libro ebbe un enorme successo e venne ristampato diverse volte. Questo libro non è solo un’inchiesta, c’è tutto Sciascia. All’interno di questo libro troviamo dei generi letterari nei quali Sciascia di provò in seguito. Ci sono molti brani che sono quasi vicini al romanzo giallo. CAPITOLO IV : si racconta della storia dell’ammazzatina, dell’omicidio di un sindaco del 1944. Questo sindaco, nel pomeriggio aveva avuto una discussione violenta con uno zolfataro e poi viene sparato in faccia. Ci sono le indagini, questo zolfataro viene arrestato, ma Sciascia non è ancora convinto. Vediamo la tenacia di Sciascia e l’attenzione che da al momento del giudizio. In Sicilia, nulla è davvero come sembra. Sciascia trema al pensiero del giudizio, perché è un momento di responsabilità estrema. Il libro non si può indurre a inchiesta, ma non è neanche semplicemente un romanzo. È un’inchiesta con forti tratti di narratività. In questo libro Sciascia ci propone un’autobiografia, ma non di sé, ma della comunità. Si parte da un nucleo di esperienze che l’autore aveva vissuto. Ci sono rari richiami specifici tra un capitolo all’altro, ma nell’insieme abbiamo un quadro compiuto di Regalpetra. Il primo nucleo è costituito da due capitoli : “Cronache scolastiche” e “Breve cronaca del regime”. Nasce tutto da questi due capitoli. Nel libro del 1956, si trovano tutta una serie di altri capitoli, tranne “La neve e il natale” perché viene aggiunto solamente in un’edizione successiva, uscita nel 1963. Perché i capitoli sono disposti in questo modo? Perché Sciascia ci propone un percorso cronologico. Lo si capisce dando uno sguardo ai capitoli. TRAMA CAPITOLO I : Inizia con la storia di Regalpetra. È la storia di un paesino che è mille paesini, è tipico. Ci sono state lunghe ricerche d’archivio, da parte di Sciascia. È bene o male un quadro storico della vicenda. CAPITOLO II : Ci riporta agli anni della sua infanzia. Il punto di vista è quello di Sciascia da ragazzo. Ci si avvicina al presente raccontando il momento fascista attraverso episodi che diventano simbolici, esemplari. Vicende che riguardano il resto della Sicilia e l’Italia stessa. Si arriva fino al periodo della guerra di Spagna, molto importante per la formazione di Sciascia. CAPITOLO III : Nei paesi siciliani esiste questa istituzione “Il circolo”. È un luogo di conversazione tra borghesi, o tra aristocratici. È un luogo di potere. È un capitolo che vediamo Sciascia molto vicino a quello che era stato il suo maestro. Sciascia scherza molto sulle conversazioni che si tenevano allora. Questi circoli erano frequentati solo e soltanto da uomini. È un capitolo che da spazio alla comicità.

CAPITOLO IV : Sciascia racconta gli anni della ricostruzione, gli anni del Dopo Guerra. Parla dei primi anni della Democrazia Cristiana. Smaschera anche le manovre locali. È un capitolo in cui si configura una satira del trasformismo, cioè del cambiare casacca e idee solo per ottenere un vantaggio. CAPITOLO V : Ci si concentra sul ruolo della religione nell’universo di Regalpetra. Si parla anche della vita degli ecclesiastici e del loro ruolo sociale. Insiste su queste cose dal punto di vista politico e culturale. CAPITOLO VI : Qui parla della vita di scuola. Interviene anche l’esperienza personale e il contatto personale con una realtà che, per certi versi, è difficilissima. Sono pagine scritte da un maestro addolorato. Non c’è nessun populismo. È un maestro che vede con lucidità i problemi dei ragazzi che ha di fronte. Quali sono? I più banali e terribili. Hanno fame e hanno freddo. CAPITOLO VII : Ha uno stile completamente diverso. Ha uno stile impassibile. È il capitolo più documentario. Sciascia si propone di illustrare quelle che sono le condizioni di vita, come vivono veramente i salinari della Sicilia. Ciò che mangiano, quanto sono pagati etcc… sono tante informazioni precise. È importante, perché allora non era facile accedere alle informazioni. Non si sapeva come vivevano veramente i salinari. Si trattava di far conoscere questa realtà agli italiani. CAPITOLO VIII : Sciascia ci fa una cronaca elettorale, nel tentativo di far capire quella che era la democrazia in Sicilia. Si chiede, che cosa abbiamo adesso in Sicilia? È vera democrazia, o è solo una facciata? Si ritorna alla satira del trasformismo. Sono delle pagine molto importanti sulla mafia e sul funzionamento della democrazia. Elezioni per l’assemblea regionale della Sicilia. La Sicilia, dopo la seconda guerra mondiale, diventa una regione autonoma. Ai tempi c’era un forte movimento indipendentista. C’era un movimento che voleva staccarsi completamente dall’Italia. C’era un movimento che voleva far diventare la Sicilia un’altra stella nella bandiera americana. CAPITOLO IX : È il capitolo più breve, aggiunto più tardi. Funziona un po’ come una sorta di bilancio. La storia complessiva è quella della sconfitta della ragione e di quanti finirono travolti con essa. A quali generi possiamo ricondurre questo libro? Si possono trovare varie tipologie discorsive, che poi vengono sviluppate in altre opere. Ci sono tutte le forme di scrittura con le quali Sciascia si proverà. È un saggismo con forti tinte narrative. Alcuni capitolo sono più vicini alla saggistica, altri meno. Questa mescolanza allontana Sciascia dal Neorealismo. Vediamo anche tanto pessimismo su quello che sarà il futuro. Discorso storiografico → basta vedere l’inizio. È il momento in cui si forma il patto narrativo con il lettore. Scena all’inizio che ricorda i quadri di Goya o una famosa novella di Boccaccio (“Andreuccio da Perugia” di “IL DECAMERON”). Morte e potere intrecciati fin dall’inizio. Aneddoto orale → Sciascia si riallaccia al mondo orale. Riporta dei proverbi, dei modi di dire. Questo serve a illuminare quella che è la mentalità di un certo paese. È un po’ quello che ha fatto anche Carlo Levi in “Cristo si è fermato ad Eboli”. Nel secondo capitolo per esempio, “ci sputi lei” è una frase che indica qualcosa che dovrebbe essere facoltativo, ma di fatto è obbligatorio. Componente sociologica → è ovunque in questo libro. Sciascia insiste sugli usi e sui costumi. Insiste di più nel capitolo dei salinari, dove si insiste sul tecnico. Anche in questo caso qualcosa distacca Sciascia dalla inchieste tradizionali che allora si facevano. Questo qualcosa è lo stile. Sciascia utilizza uno stile che risente molto degli scrittori da cui si ispirava. Caratteristiche del narratore : l’io narrante è un’immediata proiezione dell’autore reale. L’io somiglia parecchio all’io di Leonardo Sciascia. Nei romanzi, il narratore e l’autore non possono del tutto coincidere. Ogni autore mette nel romanzo l’immagine di un sé che può assomigliarli parecchio o poco. In questo caso abbiamo un narratore molto autorevole che sa e che commenta.

Si pone degli interrogativi e li pone anche al lettore. Li pone anche dove i documenti si fermano e dove può cominciare la sua esperienza. Sciascia è uno di quelli scrittori che non punta tanto sull’invenzione, quanto proprio sul trovare la verità. Ha un’ossessione per la verità. Non abbiamo a che fare con un impersonalità di tipo verista, ma neanche quella impersonalità esterna che può essere quella dell’inchiesta di sociologia. Questo perché il narratore parla spesso di sé. C’è un punto di vista che ricorre spesso, che in alcuni capitoli diventa anche personaggio. In tanti libri, l’osservatore è un personaggio venuto da fuori. Sciascia appartiene al medesimo mondo che ritrae. Non interessa nemmeno muovere la pietà. Non interessa ritrarre un mondo in cui si spinge il lettore a commuoversi. Spesso Sciascia usa l’ironia nella realtà che rappresenta. In questo senso Sciascia non si può considerare un lettore populista. Spesso si tratta di far nascere un certo risentimento per il modo in cui le istituzioni si sono occupate del mondo che rappresenta. Sciascia a questo ci arriva con l’umorismo. Questa ironia così forte si vede in tutti i suoi scritti. Sciascia scherza su come alcuni litigi finiscono con sparatorie. Scherza sulla burocrazia tipica della cultura italiana, sul fatto che scatena la rabbia. Scherza in altri capitoli sulla cultura tipica di un mondo provinciale. La cultura dei barbieri, delle chiacchiere che si seguivano sulla sedia del barbiere. Nel primo capitolo scherza sui grandi del mondo che nulla sanno di quello che succede a Regalpetra. Puoi odiare il potente che è vicino a te, ma scusare il potente maggiore che non sa niente. Sciascia non parla tanto di sé, quanto della comunità di cui appartiene. Lui non si sente fuori da questa mentalità, lui fa sempre parte di questa comunità. È sempre attento a esporre i fatti in modo da spiegare le ragioni di tutti, anche quando non è d’accordo. Uno si è comportato in un modo per un motivo preciso. [ Capitolo I ]→ si mette a spiegare la scelta del fratello di un bandito. Dov’è lo stato in tutto questo? Lo stato, dice Sciascia, è trascendente. Ghigna sordo e lontano. Il diritto è del più forte. In questo libro vediamo una certa desolazione, un certo sconcerto. Sciascia mette a fuoco questa realtà pirandelliana, può sembrare assurda, ma c’è una logica che discende da un’ordine sociale in cui alla radice spesso c’è l’ingiustizia. Scuola → Sciascia mette al centro del discorso la scuola, perché lui stesso fa parte di un’istituzione statale. Lui stesso è un funzionario di questo stato che è sordo e lontano. Lui stesso è un maestro. Coglie l’ambiguità del suo ruolo. Si rende conto che rappresenta uno stato che per molti è assente o rappresenta un problema. C’è un sentimento di vicinanza dalla parte dei vinti. Sciascia si mette molte volte nei panni degli altri. Sciascia scherza spesso sulle circolari che arrivano a scuola. Sciascia, come maestro delle elementari, si sente un privilegiato. Non aveva fame e non aveva freddo. Sciascia si rende conto anche che nel paese è diffusa una certa diffidenza. Una certa invidia nei confronti di chi è riuscito a inserirsi nelle istituzioni. Invidia nei confronti di chi ha il posto sicuro. Tipico di Sciascia è analizzare una situazione e chiarirla grazie a un racconto. Si tratta di demistificare, disingannare. Togliere i veli a una realtà. Questo riguarda anche il suo ruolo stesso. Mostrare una situazione spesso degradata e desolante. Il tema della scuola, nella cultura italiana, diventa importante negli ultimi due secoli. A partire dalla stagione risorgimentale. È lì che il problema dell’educazione va’ al centro di tante riviste. Si ragiona sull’obbligo scolastico e sui percorsi formativi. Non esisteva un’educazione libera, gratuita e obbligatoria. Molti non andavano mai a scuola. Nel momento dell’unità d’Italia, andava alle elementari il 30% complessivo della popolazione. In alcune regioni, il 10%. Queste erano le

persone registrate. L’obbligo scolastico durava due o tre anni. C’erano molte persone che erano contrarie all’obbligo scolastico. Solo dopo l’unità nasce una scuola comunale, obbligatoria e gratuita. Il lavoro di maestra è stato uno dei primi lavori che si poteva fare fuori di casa senza suscitare nessuno scandalo. All’inizio del ‘900, le lezioni a scuola erano tenute in dialetto. Sciascia non parla molto del dialetto. Molti non riuscivano a parlare l’italiano parlato. Italofonia : capacità di comprendere l’italiano. Spesso era una capacità passiva. Lo si capiva, ma non la si parlava. Le cose più avanti sono cambiate. Sullo sfondo di queste realtà, nasce il primo grande best seller italiano, il libro “CUORE”. È il finto diario di un alunno delle elementari in cui si racconta di un anno scolastico. Ogni mese c’è un racconto edificante, dettato dal maestro, dove i protagonisti sono i ragazzi eroici. Ebbe un successo pazzesco. È stato un elemento collante, perché veniva letto da tutti. In questo libro, l’autore mette in scena una scuola in cui ci sono tutti, dai più poveri ai più ricchi. Gli eroi di questa storia sono i maestri. I maestri devono insegnare questi nuovi valori. De Amicis è anche autore di “ROMANZO DI UN MAESTRO”. È molto più vicino all’opera di Sciascia. Scritto a fine ‘800. Colpisce moltissimo la differenza rispetto al libro “CUORE”. In questo libro non c’è il trionfo dei buoni sentimenti, ma c’è una terribile amarezza nel guardare una società dominata dal cinismo e dall’ipocrisia. È una storia di un maestro piemontese che esce dalle magistrali e cominciava una lunga trafila di incomprensioni e umiliazioni. Insegnava in aule fredde, diroccate, con stipendi al limite della povertà. La difficoltà di portare i figli a scuola e vincere la diffidenza delle famiglie che non erano mai andate a scuola. Il maestro è una specie di missionario. I maestri dovevano introdurre anche una nuova lingua. Era difficile, all’inizio, creare un sentimento di appartenenza. In alcune regioni d’Italia, l’aumento della scolarità si ebbe molto più tardi. Questi processi di educazione sono delle transizioni di lungo periodo. Ci vogliono più generazioni perché si compia l’intero percorso. Ancora oggi, molte regioni faticano a parlare l’italiano. Solo negli anni ‘50 ci fu un fortissimo aumento della scolarità. Nel 1962 ci fu l’introduzione delle medie uniche. Prima di allora, finite le elementari o andavi a lavorare o andavi all’educazione superiore e quindi verso il liceo. Sciascia di scuola ci parla nel capitolo delle “Cronache scolastiche” e lo fa anche nell’ultimo capitolo. CRONACHE SCOLASTICHE : Sciascia da una rappresentazione dura della scuola. Spesso a lui capitavano classi di ripetenti. Non sono solo ripetenti, ma sono anche i più poveri. Le “classi degli asini” erano quelle dei ripetenti. Sono ragazzi abituati alla violenza famigliare e scolastica. I ragazzi erano abituati alle bacchettate degli insegnanti. Erano abitati a fame, violenza, lavoro minorile, vestiti non dignitosi (i ragazzi non facevano la comunione per non sfigurare). Questi ragazzi andavano a lavorare. Sono ragazzi che sanno i prezzi di tutto. Sciascia descrive ciò di cui non si parla quasi mai, la violenza domestica. Vediamo la storia del ragazzo semi – cieco. Questa estrema povertà e miseria dei genitori, togli la soggezione. Ci si insulta a vicenda. La miseria toglie il rispetto. I giovani non hanno rispetto per i genitori che vedono miserabili e impoveriti. Non c’è pietà per i poveri. Si arriva a mostrare fino a dove può arrivare l'abbrutimento della povertà. Non c’è nessuna esaltazione del popolo e per questo non si può dire che qui Sciascia è un populista.

L’idea stessa di verità, per i ragazzi, non esiste. I ragazzi hanno fame, si annoiano a scuola. Questo è uno dei motivi per cui poi le madri mandavano i bambini a scuola, per mangiare. I ragazzi hanno anche paura violenta, paura delle percosse. Molti di loro finiscono con l’emigrare. Sciascia ci parla anche della realtà italiana. Quello che Sciascia descrive in questo libro, succede in realtà in tutta Italia. Da qui nasce il disagio del maestro. La scuola diventa un sequestro per i bambini e il narratore. Il maestro non ama la scuola perché viene praticata in modo così poco dignitoso. Il maestro si sente nemico dei ragazzi, rappresentante di uno stato lontano che non si incarica di risolvere i problemi di questi ragazzi. Il maestro è schiacciato da un sistema in cui non crede e questo mondo proletario misero al quale è estraneo. È da questo disagio che nasce la scrittura. Dalla descrizione di quelle che sono le giornate di questo maestro che crede in questi ideali di libertà e giustizia, ma si sente sconfitto e senza la propria differenza. Capisce la disattenzione dei ragazzi. Capisce che i ragazzi non si affezionano al maestro e lui lo capisce. Il narratore è anche diverso dal maestro. Lo Sciascia che scrive guarda sé stesso, maestro, e giudica. La vede come strana e ingiusta. Vedere queste cose significa anche percepirle per la prima volta. Quello che sembra normale, guardato da fuori e pensandoci sopra, ci si rende conto che non è normale e non è giusto. L’orologio della storia è indietro. Il maestro, quindi, non può mai dimenticarsi di rivolgersi anche alla situazione dei ragazzi. La classe funziona come un piccolo specchio di quello che è il paese. In sostanza, a Regalpetra, è quasi impossibile mettere d’accordo due persone. Sciascia collega questi fattori alle radici economiche che li determinano. Su questa realt...


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