Letteratura 2 pdf PDF

Title Letteratura 2 pdf
Author Maria Cristina Drogo
Course Scienze della mediazione interlinguistica
Institution Università degli Studi dell'Insubria
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DANTE ALIGHIERI VITA NUOVA (1292-94) Racconto d'amore in prosa (42) e poesia (31). La protagonista è Beatrice che ispira nell'animo di Dante un amore cortese e poi cosi spirituale da indurlo a una vita nuova. Con la morte Beatrice diventa una creatura angelica e, la sua perdita, diventa per Dante fonte di offuscamento morale. I A ciascun’alma presa e gentil core è il primo inserto in versi all’interno della Vita Nuova di Dante Alighieri. Nella finzione narrativa dell’opera, la stesura del sonetto fa seguito ad un’enigmatica visione che si presenta a Dante nel giorno in cui per la prima volta riceve il saluto di Beatrice. Di questa visione è protagonista Amore, che appare nell’atto di porgere a Beatrice il cuore del poeta, in modo che la fanciulla se ne cibi. Al termine della scena Amore sale al cielo tra le lacrime, portando con sé Beatrice. Incapace di comprendere il significato di ciò che ha visto, Dante consulta gli altri rimatori in volgare, invitandoli a proporre una loro interpretazione della visione. Il sonetto costituisce la formulazione in versi della richiesta di spiegazione. A ciascun’alma presa, e gentil core, nel cui cospetto ven lo dir presente, in ciò che mi rescrivan suo parvente salute in lor segnor, cioè Amore.

[vv. 1 – 4] Porgo il mio saluto (salute, cui è sottinteso “dico”), nel nome del loro signore, cioè Amore, ad ogni anima da lui catturata (alma presa) e ad ogni cuore nobile (gentil core), sotto lo sguardo (cospetto) dei quali arriva il presente componimento (lo dir), affinché (in ciò che: conginzione di valore finale) mi rispondano secondo la loro opinione. Già eran quasi che atterzate l’ore del tempo che onne stella n’è lucente, quando m’apparve Amor subitamente cui essenza membrar mi dà orrore.

[vv. 5 – 8] Erano già quasi arrivate alla loro terza parte (atterzate) le ore notturne (lett. le ore del tempo in cui brillano le stelle), quando mi apparve all’improvviso Amore, il cui aspetto (essenza) mi provoca ancora terrore a ricordarlo. Allegro mi sembrava Amor tenendo meo core in mano, e ne le braccia avea madonna involta in un drappo dormendo.

[vv. 9 – 11] Amore aveva un aspetto lieto mentre teneva in una mano il mio cuore e fra le braccia portava la mia amata (madonna, dal lat. MEA DOMINA, lett. la mia signora), addormentata e avvolta in un drappo. Poi la svegliava, e d’esto core ardendo lei paventosa umilmente pascea: appresso gir lo ne vedea piangendo.

[vv. 12 – 14] Dopo averla svegliata, cibava (pascea) lei, timorosa (paventosa), di quel cuore ardente (ardendo: che ardeva), tenendo un atteggiamento mansueto. Infine lo vedevo andarsene in lacrime. FIGURE RETORICHE v. 1: Perifrasi > Alma presa e gentil core = anima catturata (dall’amore) e cuore nobile, ossia la cerchia dei poeti stilnovisti, ai quali è indirizzato l’invito contenuto nel testo v. 4: Apostrofe > salute in lor Signor v. 4: Personificazione di Amore. v. 5: Neologismo > atterzate = giunte alla loro terza parte v. 6: Perifrasi > tempo che onne stella …: la notte v. 7: Personificazione di Amore v. 7: Anastrofe > m’apparve Amor subitamente = subitamente m’apparve amor v. 8: Anastrofe > cui essenza membrar = membrar cui essenza v. 9: Allitterazione di “r” > membrar mi dà orrore v. 9: Anastrofe > Allegro mi sembrava Amor = Amor mi sembrava allegro v. 9: Personificazione di Amor vv. 9-10: Enjambement > tenendo^meo core vv. 10-11: Enjambement > avea^madonna v. 12: Enallage > ardendo = ardente v. 13: Anastrofe > lei paventosa umilmente pascea = pascea umilmente lei paventosa v. 14: Anastrofe > gir lo ne vedea piangendo = lo ne vedea gir piangendo: anastrofe.

X Donne ch’avete intelletto d’amore, i’ vo’ con voi de la mia donna dire, non perch’io creda sua laude finire, ma ragionar per isfogar la mente.

[vv. 1 – 4] Donne che comprendete cosa sia l’amore, io voglio (vo’) parlare a voi della mia donna, non perché io pensi di poter esprimere compiutamente (finire) la sua lode, ma solo per parlare, al fine di dare sfogo ai pensieri. Io dico che pensando il suo valore, Amor sì dolce mi si fa sentire, che s’io allora non perdessi ardire, farei parlando innamorar la gente.

[vv. 5 – 8] Io affermo che, quando considero il suo valore (valore: l’insieme delle qualità fisiche e spirituali della donna), Amore mi si fa sentire tanto dolcemente che, se in quel momento (allora) io non perdessi le forze (ardire), con le mie sole parole potrei far innamorare chiunque (la gente). E io non vo’ parlar sì altamente, ch’io divenisse per temenza vile; ma tratterò del suo stato gentile a respetto di lei leggeramente, donne e donzelle amorose, con vui, ché non è cosa da parlarne altrui.

[vv. 9 – 14] Però io non voglio parlarne in modo così elevato (sì altamente), da risultare inadeguato al mio scopo (vile) a causa del timore (per temenza: il timore è ovviamente quello di non essere all’altezza), perciò parlerò della sua nobiltà (stato gentile, con riferimento alla nobiltà dell’animo) in modo semplice (leggeramente) se comparato alle sue qualità (a respetto di lei), e lo farò con voi, donne e fanciulle che capite cos’è l’amore (amorose), dal momento che non è questo un argomento del quale parlare con altri. Angelo clama in divino intelletto e dice: “Sire, nel mondo si vede maraviglia ne l’atto che procede d’un’anima che ’nfin qua su risplende”.

[vv. 15 – 18] Un angelo invoca l’intelletto divino e dice: “Signore, nel mondo si può vedere un miracolo incarnato (ne l’atto: lett. in atto) che proviene (procede) da un anima che risplende fin quassù (nel cielo)”. Lo cielo, che non have altro difetto che d’aver lei, al suo segnor la chiede, e ciascun santo ne grida merzede.

[vv. 19 – 21] E il cielo, al quale null’altro manca per essere perfetto (che non have altro difetto) che di possedere lei (di contare Beatrice tra le schiere dei beati), la reclama al suo Signore e ciascun santo invoca a gran voce la grazia (merzede) per lei. Sola Pietà nostra parte difende, che parla Dio, che di madonna intende: “Diletti miei, or sofferite in pace che vostra spene sia quanto me piace là ’v’è alcun che perder lei s’attende, e che dirà ne lo inferno: O mal nati, io vidi la speranza de’ beati”.

[vv. 22 – 28] Solo la divina misericordia (Pietate) difende la nostra causa (nostra parte: ovvero le ragioni degli uomini che vogliono che Beatrice resti sulla terra), in quanto Dio, alludendo a Beatrice (madonna) dice: “O miei amati, sopportate con pazienza che l’oggetto della vostra speranza (vostra spene, vale a dire Beatrice), per tutto il tempo che io desidero, resti là dove (sia … là ‘v’è) c’è chi si aspetta di perderla e che anche tra le pene dell’Inferno potrà dire (agli altri dannati): “Oh sventurati (mal nati) io ho potuto vedere la creatura che gli stessi beati potevano solo sperare di vedere”. Madonna è disiata in sommo cielo: or voi di sua virtù farvi savere.

[vv. 29 – 30] Dunque Beatrice (Madonna, dal latino mea domina) è desiderata nell’alto dei cieli; ora (or, congiunzione testuale che indica il passaggio ad un altro argomento della lode) voglio (voi) mettervi a conoscenza (farvi savere) del suo potere (virtù: il potere di Beatrice è, come si vedrà, il suo effetto salvifico). Dico, qual vuol gentil donna parere vada con lei, che quando va per via, gitta nei cor villani Amore un gelo, per che onne lor pensero agghiaccia e pere;

[vv. 31 – 34] Io esorto ad accompagnarsi con lei qualunque donna (qual) che voglia risultare nobile, perché, quando lei passa per strada, Amore getta il gelo nei cuori villani (ovvero non gentili, e dunque incapaci di amare), cosicché ogni loro pensiero si paralizza e si spegne. e qual soffrisse di starla a vedere diverria nobil cosa, o si morria.

[vv. 35 – 36] E chiunque sopportasse di continuare a guardarla, si trasformerebbe in un essere nobile, oppure morirebbe. E quando trova alcun che degno sia di veder lei, quei prova sua vertute, ché li avvien, ciò che li dona, in salute, e sì l’umilia, ch’ogni offesa oblia.

[vv. 37 – 40] E allorché incontra qualcuno che sia degno di guardarla (un cuore nobile), costui sperimenta l’effetto miracoloso (virtù: il potere) di lei, perché tutto ciò che ella emana si trasforma per lui (li avvien) in un senso di beatitudine (in salute) e a tal punto lo rende placido che egli dimentica ogni offesa ricevuta. Ancor l’ha Dio per maggior grazia dato che non pò mal finir chi l’ha parlato.

[vv. 41 – 42] E inoltre Dio, come maggiore grazia, le ha concesso che chiunque abbia parlato con lei non possa essere condannato all’Inferno (mal finir). Dice di lei Amor: “Cosa mortale come esser pò sì adorna e sì pura?”

[vv. 43 – 44] Amore dice di lei: “Come può una creatura mortale essere a tal punto fornita di ogni grazia (sì adorna) e pura?”. Poi la reguarda, e fra se stesso giura che Dio ne ’ntenda di far cosa nova. Color di perle ha quasi, in forma quale convene a donna aver, non for misura: ella è quanto de ben pò far natura; per essemplo di lei bieltà si prova.

[vv. 45 – 50] Poi la osserva attentamente e tra se e sé conclude con sicurezza (giura) che Dio intenda fare di lei una creatura straordinaria. Ha una carnagione quasi del colore della

perla, e nella misura che si addice ad una donna, non di più. Lei è quanto di più perfetto la natura possa fare ed è in base a lei come modello che si misura la bellezza. De li occhi suoi, come ch’ella li mova, escono spirti d’amore inflammati, che feron li occhi a qual che allor la guati, e passan sì che ’l cor ciascun retrova: voi le vedete Amor pinto nel viso, là ’ve non pote alcun mirarla fiso.

[vv. 51 – 56] Dai suoi occhi, non appena lei li muova, escono fiammeggianti spiriti d’amore che feriscono gli occhi di chi la guardi in quel momento (chi incrocia il suo sguardo) e sono così penetranti (passan sì) che ciascuno di loro giunge dritto al cuore (lo cor retrova): voi potete vederle Amore dipinto nello sguardo, là dove nessuno può guardarla fisso (negli occhi appunto). Canzone, io so che tu girai parlando a donne assai, quand’io t’avrò avanzata.

[vv. 57 – 58] Oh canzone, io so che parlerai a molte donne, una volta che io ti avrò diffusa. Or t’ammonisco, perch’io t’ho allevata per figliuola d’Amor giovane e piana, che là ’ve giugni tu diche pregando: “Insegnatemi gir, ch’io son mandata a quella di cui laude so’ adornata”. E se non vuoli andar sì come vana, non restare ove sia gente villana:

[vv. 59 – 65] Ora perciò io ti ammonisco, dal momento che io ti ho allevata come una figliola di Amore giovane e semplice, affinché, dovunque tu giunga, dica in forma di preghiera: indicate mi la via, perché io sono stata mandata a colei delle cui lodi sono piena (ossia a Beatrice)”. E se non vuoi girare a vuoto, non restare dove ci sia gente villana (i cuori non gentili incapaci di amare): ingegnati, se puoi, d’esser palese solo con donne o con omo cortese, che ti merrano là per via tostana.

Tu troverai Amor con esso lei; raccomandami a lui come tu dei.

[vv. 66 – 70] ingegnati, per quanto ti sia possibile, di rivelarti solo a donne o ad uomini cortesi, che ti porteranno là (da Beatrice) per la via più veloce (tostana). Così troverai Amore e insieme a lui, lei (Beatrice); raccomandami a lui come ti si addice. È il capitolo di svolta dell'opera, quello in cui Dante (dopo l'equivoco delle due "donne-schermo" e il disdegno di Beatrice, che gli ha tolto il saluto) decide di riporre la sua felicità non più nel riconoscimento da parte dell'amata, bensì nella composizione dei versi in sua lode, per cui quando arriva l'ispirazione scrive questa canzone che è tra gli esempi forse più perfetti della poesia stilnovista dell'autore, e dello Stilnovo in generale. Il testo riprende molti motivi già presenti in Guinizelli e Cavalcanti (la virtù salvifica di Beatrice, la capacità di rendere nobile chi la ammira, il fatto che i beati in Paradiso reclamino la sua presenza...), con in più la consapevolezza di rivolgersi a un pubblico altamente selezionato, fatto di donne che sanno per esperienza cosa sia l'amore, che ne hanno "intelletto" (piena conoscenza). Dante era cosciente di iniziare un nuovo percorso poetico sia pure all'interno dello Stilnovo (le "nove rime") e si autocelebrò nel passo del "Purgatorio" in cui spiega a Bonagiunta da Lucca l'essenza della sua poesia, ovvero la diretta ispirazione di amore

XI Amore e ’l cor gentile sono una cosa è un sonetto sulla natura e la fenomenologia dell’amore, nel quale Dante riafferma i principi cardine della teoria amorosa Stilnovista enunciati da Guinizzelli nella canzone Al cor gentil rempaira sempre amore. Nella prima quartina Dante ripropone l’idea per cui amore e nobiltà d’animo non sono pensabili separatamente l’uno dall’altro, al punto da apparire un tutt’uno. Nella seconda quartina, con l’immagine del cuore come magione dell’Amore, precisa il rapporto indissolubile di “potenza/atto” che lega la nobiltà d’animo all’amore. Nelle terzine attribuisce alla donna il ruolo consueto di “motore” della trasformazione dell’amore da potenza in atto, e contestualmente descrive la meccanica della nascita del sentimento. Amore e ’l cor gentil sono una cosa, sì come il saggio in suo dittare pone, e così esser l’un sanza l’altro osa com’alma razional sanza ragione.

[vv. 1 – 4] Amore e cuore nobile sono un’unica cosa, così come afferma il saggio nei suoi versi (il saggio è Guido Guinizzelli e i versi a cui Dante allude sono quelli della canzone Al cor gentil rempaira sempre amore), e l’uno in mancanza dell’altro (ovvero amore in mancanza di un cuore gentile) non può esistere, nella stessa maniera in cui non può esistere l’anima razionale in assenza della ragione (la perifrasi sta a significare che sarebbe una contraddizione in termini immaginare amore in assenza di nobiltà di cuore). Falli natura quand’è amorosa, Amor per sire e ’l cor per sua magione, dentro la qual dormendo si riposa tal volta poca e tal lunga stagione.

[vv. 5 – 8] Li genera (ossia: genera cuore gentile e amore) la Natura, quando è in clima d’amore: Amore come signore e il cuore come sua dimora, nella quale egli (Amore) si riposa dormendo, talvolta per un breve periodo e talvolta più a lungo (ossia: Amore resta in potenza nel cuore nobile più o meno a lungo, finché non è risvegliato dalla vista della donna). Bieltate appare in saggia donna poi, che piace a li occhi sì, che dentro al core nasce un disio de la cosa piacente;

[vv. 9 – 11] Poi compare la bellezza di una donna nobile, che procura agli occhi un piacere tale, da far nascere nel cuore il desiderio della cosa da cui deriva il piacere (ossia: da far nascere nel cuore il desiderio della donna la cui bellezza ha dato piacere agli occhi). e tanto dura talora in costui, che fa svegliar lo spirito d’Amore. E simil face in donna omo valente.

[vv. 12 – 14] E talvolta, tale piacere dura sufficientemente a lungo nel cuore (in costui), da far risvegliare lo spirito d’Amore. E un identico effetto produce in una donna un uomo nobile. FIGURE RETORICHE Amore e ’l cor gentil sono una cosa, sì come il saggio in suo dittare pone, e così esser l’un sanza l’altro osa com’alma razional sanza ragione.

[vv. 1 – 4] Il saggio: Guido Guinizzelli è per antonomasia, il saggio in materia di amore; suo dittare: Al cor gentil rempaira sempre amore è per antonomasia “il dittare” (ovvero il componimento) in cui Guinizzelli pone i cardini della teoria amorosa stilnovista; sì come il saggio in suo dittare pone = sì come pone il saggio in suo dittare: iperbato; e così esser l’un sanza l’altro osa = e così osa essere l’un sanza l’altro: iperbato; e così … come: adynaton (figura che consiste nell’affermare l’impossibilità di qualcosa attraverso il confronto con un’altra cosa, che viene descritta con una perifrasi iperbolica e paradossale). Falli natura quand’è amorosa, Amor per sire e ’l cor per sua magione, dentro la qual dormendo si riposa tal volta poca e tal lunga stagione.

[vv. 5 – 8] Amor: personificazione; Sire … magione: metafora del rapporto che lega amore e cuore nobile; sire…dormendo…riposa: continuazione della precedente personificazione di Amore, con l’attribuzione di comportamenti ed atti umani a qualcosa (il concetto di Amore) che umano non è. Bieltate appare in saggia donna poi, che piace a li occhi sì, che dentro al core^ nasce un disio de la cosa piacente;

[vv. 9 – 11] dentro al core^nasce: enjambement. e tanto dura talora in costui, che fa svegliar lo spirito d’Amore. E simil face in donna omo valente.

E simil face in donna omo valente = e simil face omo valente in donna: iperbato. XII Ne li occhi porta la mia donna Amore, per che si fa gentil ciò ch’ella mira; ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira, e cui saluta fa tremar lo core,

[vv. 1 – 4] La mia amata (la mia donna: dal latino MEA DOMINA, lett. “la mia signora, la padrona del mio cuore”) porta Amore nello sguardo, per cui tutto ciò che ella guarda diventa nobile (gentil); dovunque ella passi, ogni uomo si volge verso di lei, e fa tremare a tal punto il cuore di colui al quale indirizza il suo saluto, sì che, bassando il viso, tutto smore, e d’ogni suo difetto allor sospira: fugge dinanzi a lei superbia ed ira. Aiutatemi, donne, farle onore.

[vv. 5 – 8] che quello, abbassando il viso, impallidisce completamente e in quel momento si pente di ogni mancanza commessa: alla presenza di lei fuggono la superbia e la collera. Aiutatemi, o donne, a renderle onore. Ogne dolcezza, ogne pensero umile nasce nel core a chi parlar la sente, ond’è laudato chi prima la vide.

[vv. 9 – 11] Pensieri pieni di umiltà e dolcezza nascono nel cuore di chi la ascolta parlare, per cui ne ha lode chi la vide per primo (è probabile che Dante voglia riferirsi proprio a se stesso in questo passaggio).

Quel ch’ella par quando un poco sorride, non si pò dicer né tenere a mente, sì è novo miracolo e gentile.

[vv. 12 – 14] Non è possibile descrivere, né trattenere nella memoria ciò che ella appare allorché sorride appena, a tal punto è qualcosa di miracoloso e nobile. Nel sonetto Ne li occhi porta la mia donna amore, Dante svolge la lode di Beatrice, e lo fa attenendosi alle formulazioni teoriche alla base della nuova poetica “de la loda” che egli ha abbracciato. Nelle quartine il poeta illustra gli effetti dello sguardo di Beatrice in chi la vede. Questi effetti consistono in una serie di reazioni fisiche (tremore, pallore, sospiri), nell’annichilimento di ogni cattivo sentimento e nella conseguente elevazione morale. Nella prima terzina Dante spiega come il medesimo ingentilimento sia prodotto anche dalle parole di Beatrice in coloro che sentono la sua voce. Nella seconda terzina il poeta esalta la bellezza ineffabile (ossia “inconcepibile nella mente e inesprimibile a parole”) del sorriso della fanciulla.

FIGURE RETORICHE VERSO 1: il poeta introduce la personificazione di Amore. VERSO 7: Dante sottolinea l’effetto fulminante che Beatrice ha sulla superbia e sull’ira umanizzando il comportamento dei due vizi attraverso l’uso metaforico del verbo fuggire. VERSO 8: Dante esplicita il destinatario dei versi introducendo l’apostrofe: Aiutatemi donne… VERSO 9: si incontra il parallelismo: ogne dolcezza… ogne pensero umile con anafora di ogne. VERSI 9 e 10: compare un enjambement (l’unico della poesia), in quanto la fine di verso spezza la successione soggetto – predicato: pensero umile_nasce. VERSI 7, 8, 9: si incontrano un doppio chiasmo e due antitesi: – il primo chiasmo risulta dalla disposizione dei soggetti rispetto al predicato:

verbo (fugge) + soggetti (superbia e ira) soggetti (dolcezza e pensero umile) + verbo (nasce)

– il secondo chiasmo risulta dalla corrispondenza tra le coppie di antitesi:

superbia + ira dolcezza + pensiero umìle

Perché: – superbia è l’opposto di pensiero umìle – ira è l’opposto di dolcezza

VERSI 10, 11: si incontra un parallelismo: chi parlar la sente … chi prima la vide. VERSO 14: Dante introduce una anfibologia, ovvero rende volutamente ambigua l’interpretazione di un vocabolo del testo: l’aggettivo “chiave” gentile. Per ottenere ...


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