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Course Teologia II
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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UCSC 2020-2021

Teologia II - Questioni di antropologia teologica ed ecclesiologia

prof. Laura Invernizzi

Introduzione al corso

Quando Dio iniziò a creare il cielo e la terra… (Gen 1,1) LAURA INVERNIZZI La principale modalità comunicativa della Bibbia ebraica: la modalità narrativa • Fin dal suo primo versetto in Gen 1,1: «Quando Dio iniziò a creare il cielo e la terra • nella concatenazione di forme verbali: «E fu» (Gen 1,3), «E Dio vide…» (Gen 1,3), «E il bambino crebbe» (Gen 21,8); «E andò» (Es 2,1). • Dio come personaggio letterario. 1. Quando tuo figlio ti chiederà… La Bibbia non fa solo ricorso alla modalità narrativa, la Bibbia è anche espressione insigne di una genialità narrativa che è ciò che propriamente distingue la nostra specie da ogni altra specie. La nostra specie, infatti, è la sola a «lavorare a maglia delle storie per sopravvivere»1 . L’inscindibile legame tra l’uomo e le storie è sottolineato anche in ambito filosofico, da Aristotele ai giorni nostri. L’homo sapiens, quindi, è anche e primariamente homo narrans. 1.1 Il legame tra la narrazione che trasmette le storie e la generazione che trasmette la vita • •



a generare alla vita in carne e sangue è la madre, il legame simbolico che si stringe nella parola e si sviluppa in un racconto è compito del padre ed è prescritto dal testo biblico: «Quando tuo figlio un domani ti chiederà: “Che significa ciò?”, tu gli risponderai: “Con la potenza del suo braccio il Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto, dalla condizione servile”». (Es 13,14)2 . la generazione attraverso la parola, tanto necessaria quanto quella che avviene generando in carne e sangue, immette in una storia più ampia.

«Tell us stories before we remember…» (The Tree of Life, di Terrence Malick, 2011): Ogni generazione ha bisogno di sentire dalla bocca dei genitori una storia iniziata prima della propria esistenza, una storia di famiglia, una storia che risale il corso del tempo e della storia e inserisce la propria storia in un alveo più grande. «Ogni adolescente è alla ricerca di una neverending story, al modo de La storia infinita di Michael Ende, il cui giovane lettore diventa egli stesso uno dei protagonisti. I grandi racconti, di cui abbiamo tutti desiderato la fine e insieme il rinvio della fine, sono stati i romanzi di formazione decisivi, dove si è cristallizzato il nostro ‘io’ nell’articolazione di tante delle sue facoltà»3 . Ogni padre è in grado di raccontare qualcosa di precedente che il figlio potrà far suo in una biografia più estesa4 : «Mio padre era un Arameo errante, scese in Egitto…» (Dt 26,5). Il ricordo del padre diviene la preistoria del figlio, quella storia iniziata prima della propria esistenza che ogni generazione ha bisogno di sentire dalla bocca dei propri genitori. N. HUSTON, L’espèce fabulatrice, Actes Sud, Arles 2008, 25. Cf. anche Es 12,26-27; 13,8-9; 13,14-16; Dt 4,9; 6,7.20-25; 11,18-19; 26,5-8; 31,10-13; Gs 4,6-7. 21-24; Sal 44,2; 78,3-6. 3 J.-P. SONNET , Generare è narrare, Vita e Pensiero, Milano 2014, 18. 4 Ibid., 41. 1 2

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1.2 L’intelligenza narrativa Scegliendo come medium la narrazione, la Bibbia scommette su quella particolare intelligenza dell’uomo che è l’intelligenza narrativa, ovvero un tipo di intelligenza che si sviluppa attraverso la decifrazione (o la composizione) di trame narrative. • «All’intelligenza narrativa piace trovare nuovi confronti; ama esercitarsi in contesti inediti, diversi, contrastati, siano essi contemporanei, classici o anche arcaici» (Jean-Pierre Sonnet). • «Homo narrans è dunque chi è capace di mettersi al posto di un altro, o addirittura di vari altri, antitetici o complementari, capace di entrare nelle ragioni degli uni e degli altri, di farle dialogare. Homo narrans è infine l’uomo dai mille punti di vista, che sa empatizzare sui suoi personaggi e simpatizzare con essi» (Alain Rabatel). 2. Il risveglio del «narrativo» La narrazione oggi va di moda e nelle scienze umane tutto tende a diventare «narrativo. le caratteristiche della società postmoderna: pluralismo, relativismo e soggettivismo richiedono che si persegua una nuova razionalità, in reazione alla razionalità concettuale, dogmatica, fissa e tendenzialmente universale, che prima era sufficiente e adatta a comprendere il reale ed oggi non regge più. Il solo linguaggio dottrinale e cognitivo non solo risulta insufficiente a perseguire gli obiettivi formativi, ma è anche rifiutato unitamente al concetto di verità oggettiva cui adeguarsi. il ricorso alla narrazione: nella comunicazione viene così privilegiato l’aspetto relazionale della verità cristiana, rispetto all’aspetto razionale.

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2.1 Il contributo dell’analisi narrativa Parallelamente ai mutamenti sopra accennati e forse in lieve anticipo su di essi, anche in ambito esegetico da qualche decennio è avvenuta una sorta di «svolta narrativa». • si è iniziato a porre attenzione, nel modo di leggere la Bibbia, non più solo alla storia di formazione del testo (alla sua crescita «genetica»), ma alla storia e alle storie che in esso sono narrate e a come sono narrate. • Si è riconosciuto che il senso del racconto, cioè la verità salvifica in esso contenuta, è comunicato e offerto al lettore attraverso una fine arte narrativa e che il racconto stesso prevede un percorso di acquisizione, mediante segnali che il lettore deve decifrare. Questo modo di studiare il testo permette di conoscere Dio, presentato come personaggio narrativo. Il Dio del racconto è storico: avviene nella storia e per mezzo della storia. Dio è, quindi, raccontabile ed il racconto è rivelazione. Una teologia che del narrativo si nutre incontra, più di un dogma, la ricerca dell’uomo d’oggi5, in un dialogo di libertà. 3. L’analisi narrativa tra i metodi esegetici L’analisi narrativa ha conquistato il suo posto tra i metodi esegetici negli ultimi cinquant’anni, e, sebbene spesso si riconosca che esegeti attenti all’aspetto letterario del testo quali Herman Gunkel, Gerhard von Rad o Luis Alonso Schökel abbiamo aperto la strada, si può segnare la data della sua apparizione in concomitanza con la pubblicazione del libro di Robert Alter, The Art of Biblical Narrative nel 1981. Alter, professore di letteratura comparata a Berkley e specialista di Stendhal, in quest’opera raccoglie il frutto, e se ne riconosce debitore, di alcuni studi pubblicati precedentemente in ebraico da Meir Sternberg, che in seguito confluiranno un’altra opera che per questa disciplina è tanto fondamentale quanto purtroppo ancora poco conosciuta nell’ambito italiano: The Poetics of Biblical Narrative, pubblicata nel 1985.

Non va dimenticato che ricorso alla narrazione corrisponde anche per la teologica ad un benefico ritorno all’origine, perché il nucleo della fede (sia ebraica che cristiana) è narrativo. 5

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3.1 La fondamentale differenza tra story e discourse Il fondamento dell’analisi narrativa è la differenza tra la storia raccontata e il racconto che ne viene fatto; il contenuto informativo e la forma particolare che gli viene data con l’atto di raccontare. Leggere un racconto e comprendere una storia vuol dire ricostruire con l’immaginazione la sequenza cronologica degli eventi e la concatenazione secondo causa-effetto, che non necessariamente nella narrazione vengono espressi nello stesso ordine. Chatman ha chiamato story (storia), Genette histoire, la ricostruzione dell’ordine originale degli eventi, ma essa non ha nulla a che fare con la storicità di cui si interessano coloro che studiano ciò che sta «dietro» al testo. I formalisti russi l’hanno chiamata fabula. La disposizione operata nel modo di raccontare, cioè la disposizione che appare al lettore nell’opera letteraria, unitamente al modo in cui viene presentata, invece, non è altro che il racconto ed è stata chiamata da Chatman discourse, récit da Genette, sujet dai formalisti. La differenza tra storia e racconto è fondamentale per l’intelligibilità stessa del discorso narrativo, cioè per comprendere il fine che determina un certo modo di raccontare. Non è raro, infatti, che nei racconti biblici distorcendo l’ordine di sopravvenienza dei motivi della storia vengano creati effetti di suspense, curiosità o sorpresa. 3.1.1

Esempi

All’inizio del racconto del ministero di Gesù in Galilea (Lc 4,14–9,50) il vangelo di Luca colloca un grande discorso di Gesù nel quale Gesù presenta il suo programma (Lc 4,16-30). Perché questo discorso viene posto qui? «Perché le fonti di Luca dicono che Gesù ha iniziato a predicare da Nazaret» non è una risposta valida (non stiamo parlando di storicità) e, oltretutto, nel mondo narrativo costruito nel terzo vangelo (Luca) non è vero che Gesù ha iniziato a predicare da Nazaret. Il narratore del terzo vangelo pone qui, all’inizio della narrazione, questo discorso per metterne in risalto la programmaticità. Questo discorso infatti viene anticipato rispetto alla sua collocazione nella storia ( story, fabula) che il lettore dovrà poi ricostruire. Anche secondo il Vangelo di Luca (come in Matteo e Marco), infatti, qualcosa prima di questo episodio è accaduto qualcosa a Cafarnao, (cf. Lc 4,23: «Certamente voi mi citerete il proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo sentito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui nella tua patria!”»). Tre versioni dello stesso fatto (Gen 39,7-20). Quando Giuseppe, venduto dai suoi fratelli giunge in casa di Potifar in Egitto, il padrone si accorge subito della stoffa del ragazzo e dell’assistenza divina di cui gode e gli affida la gestione di tutte le sue cose. Giuseppe però non solo è abile, ma è anche bello (Gen 39,6) e questa qualità cattura la moglie di Potifar, che a un certo punto lancia la sua proposta indecente: «Còricati con me!» (Gen 39,7). Col rifiuto di Giuseppe il lettore apprende anche che la sovranità lasciata a Giuseppe da Potifar non è illimitata, ma ha un confine ben preciso che riguarda la moglie: Ma egli rifiutò e disse alla moglie del suo padrone: «Vedi, il mio signore non mi domanda conto di quanto è nella sua casa e mi ha dato in mano tutti i suoi averi. 9 Lui stesso non conta più di me in questa casa; non mi ha proibito nient’altro, se non te, perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?». 10 E benché giorno dopo giorno ella parlasse a Giuseppe in tal senso, egli non accettò di coricarsi insieme per unirsi a lei. 8

Un giorno però accade qualcosa (la versione del narratore affidabile). 11 Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro, mentre non c’era alcuno dei domestici. 12 Ella lo afferrò per la veste, dicendo: «Còricati con me!». Ma egli le lasciò tra le mani la veste, fuggì e se ne andò fuori. 13 Allora lei, vedendo che egli le aveva lasciato tra le mani la veste ed era fuggito fuori, 14 chiamò i suoi domestici

Il fatto viene raccontato per due volte dalla stessa donna. il primo racconto è fatto ai servi: «Guardate, ci ha condotto in casa un uomo ebreo per divertirsi di noi! È venuto verso di me per coricarsi con me, ma io ho gridato a gran voce. 15 Egli, appena ha sentito che alzavo la voce e chiamavo, ha lasciato la veste accanto a me, è fuggito e se ne è andato fuori».

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Nel racconto della donna la sequenza temporale è evidentemente distorta al fine di uscire innocente dalla vicenda e di avere testimoni oculari della sua innocenza («Guardate!»): essi sono accorsi perché lei ha gridato; lei ha gridato perché Giuseppe l’ha insidiata. Messo in pericolo dal suo grido, è fuggito. La donna cerca la complicità dei servi, facendo loro intuire di essere essi stessi danneggiati da Giuseppe: «Ci ha condotto in casa un Ebreo per divertirsi di noi», ella infatti dice ai servi. La versione data al marito inizia con la preparazione della scenografia. Ed ella pose accanto a sé la veste di lui finché il padrone venne a casa. 17 Allora gli disse le stesse cose: «È venuto verso di me quel servo ebreo, che tu ci hai condotto in casa, per divertirsi con me. 18 Ma appena io ho gridato e ho chiamato, ha abbandonato la veste accanto me ed è fuggito fuori». 16

Nonostante abbia detto che «disse le stesse cose» il narratore ripete interamente le parole della donna, per consentire al lettore di notarne le differenze e dedurne la strategia della donna. La sequenza temporale è la medesima di quella data ai servi, ma la forma del racconto è accurata per conseguire il fine che la donna si prefigge. Innanzitutto non dice subito perché le si sia avvicinato Giuseppe, mentre coi servi era stata più diretta («è venuto per coricarsi con me»): in questo modo tiene il marito sulle spine. L’incertezza viene sciolta solo quando la donna dice di aver sventato con le sue grida un rapporto sessuale. Questo modo di raccontare, insistente e ripetuto, perché evidentemente la donna sa che Potifar ha un’alta opinione di Giuseppe (e forse una bassa di lei) di fatto consegue l’effetto e – al di là della razionalità che porterebbe a istruire un processo – suscita in Potifar un sentimento forte: l’ira. Il padrone, all’udire le parole che sua moglie gli ripeteva: «Proprio così mi ha fatto il tuo servo!», si accese d’ira. 20 Il padrone prese Giuseppe e lo mise nella prigione, dove erano detenuti i carcerati del re. Così egli rimase là in prigione. 19

La stessa storia, quindi, indipendentemente dal suo fondamento storico (che nel caso del racconto evangelico non è messo in dubbio, comunque) raccontata in modo diverso sortisce effetti differenti. Di questo si occupa l’analisi narrativa. 3.2 Come accostarsi al testo

Il mode narrati

Autore reale Autore implicito Narratore Personaggi Eventi nel mondo del racconto Situazione ed evento della narrazione Situazione ed evento dell’autore implicito nell’opera Contesto storico della composizione del testo

Confini del mondo del racconto

Confini dell’opera narrativa

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Chi fa una lettura narrativa punta, innanzitutto, ad entrare nell’evento della narrazione (cerchio blu), al quale ha accesso attraverso l’opera narrativa (cerchio verde). Sarà così incline e ben disposto a stringere un patto narrativo con il narratore (cerchio blu) che lo introduce nel suo mondo narrato (cerchio rosso). N.B. non sempre si distinguono cerchio verde e cerchio blu. Noi parleremo esclusivamente del narratore Chi si addentra nella lettura della narrazione biblica, sarà disposto a farsi accompagnare in un mondo in cui un serpente è astuto e parla (Gen 3,1) e un’asina, nel campo del discernimento della volontà di Dio, è più sapiente del suo padrone (Nm 22,22-35). Sarà disposto ad avventurarsi in un mondo in cui il desiderio di Dio di stringere relazione con l’uomo lo spinge a passeggiare nel giardino (Gen 3,8), mentre la delusione lo porta a pentirsi di aver creato l’uomo e lo spinge a voler distruggere il mondo (Gen 6,6). Chi è animato, invece, da domande di tipo storico, guarda il testo, ma non entra. Egli ricerca e studia il cerchio giallo dello schema. Non si fa interrogare dal racconto, non incontra il Dio che in esso si rivela. Sarà preoccupato di distinguere l’immagine di un Dio trascendente e sovrano che crea con la parola (Gen1,1–2,4a), dall’immagine antropomorfica di un Dio vasaio e costruttore (Gen2,4b-25); cercherà di capire quale fosse la religione di chi ha scritto alcune pagine bibliche e quali problemi angustiassero i suoi destinatari, vorrà identificare l’autore del libro di Isaia o distinguere le ipsissima verba Iesu, ecc. Sono tutte cose lecite e buone, ma non sono pertinenti in una lettura narrativa. 4. Leggere la Bibbia per fare teologia? «La Bibbia è almeno una letteratura, e il Dio di Israele è se non altro il più grande personaggio letterario dei tempi» (E. de Luca, Una nuvola come tappeto, Feltrinelli, Milano 1991, 9). «L’esegesi narrativa propone un metodo di comprensione e di comunicazione del messaggio biblico che corrisponde alla forma del racconto e della testimonianza, modalità fondamentale della comunicazione tra persone umane, caratteristica anche della Sacra Scrittura. L’Antico Testamento, infatti, presenta una storia della salvezza il cui racconto efficace diventa sostanza della professione di fede, della liturgia, della catechesi (cf. Sal 78,3-4; Es 12,24-27; Dt 6,20-25; 26,5-10). Da parte sua, la proclamazione del kerygma cristiano comprende la sequenza narrativa della vita, della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, eventi di cui i vangeli ci offrono il racconto dettagliato. La catechesi si presenta, anch’essa, sotto forma narrativa (cf. 1Cor 11,2325) (Pontificia Commissione Biblica su L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa del 1993; EB 1305). 4.1 Le potenzialità del racconto 6 1) Il racconto per mezzo della trama dà senso e ordine al disordine del reale. Il racconto biblico postula che la vita abbia un senso e che vada cercato in Dio. 2) Il racconto non disserta sull’essenza di Dio. Non rinchiude Dio in un concetto. Il Dio del racconto avviene nella storia e per mezzo della storia. È storico, quindi raccontabile. Leggere significa essere indotti a narrare Dio raccontandolo 3) La lettura conduce i lettori a scoprire l’impronta di Dio, non solo nel racconto, ma anche nella propria vita, che si dispiega come una trama. La lettura, come corpo a corpo col testo, diventa il luogo in cui dal testo si leva una Parola. 4.2 Dall’analisi narrativa alla teologia I metodi storico-critici: il testo come «finestra» → focus su qualche cosa che giace «dietro al testo»; → interesse più archeologico che teologico 6

Cfr. D. MARGUERAT – Y. BOURQUIN, Per leggere i racconti biblici, Roma 2001, 150.

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Analisi narrativa: il testo come «specchio» → presenta una certa immagine del mondo = il «mondo del racconto» → influenza il modo di vedere del lettore e lo porta ad adottare certi valori piuttosto che altri → riflessione teologica Teologia narrativa: quel tipo di teologia che basa la sua ermeneutica nella lettura narrativa. → il valore teologico della Bibbia è superiore alla somma delle teologie che contiene → e giace in ciò che i testi, nella complessità in cui si presentano al lettore, dicono di Dio in relazione con gli esseri umani. «Se il racconto della Bibbia è il luogo di molteplici trame ve ne è una che le attraversa tutte: quella che fa dialogare la libertà di Dio e la libertà dell’uomo. Quest’ultima è per lo più, lo sappiamo, una libertà che va contro, che è refrattaria al disegno e alle maniere di Dio. In materia di riluttanza umana, la Bibbia non risparmia niente al suo lettore. Tutti gli intrighi e le sfide degli uomini nei confronti di Dio hanno il loro posto nella Bibbia, e voce in capitolo […]. Nella storia che il narratore racconta, vi è […] l’interesse a esporre il lettore a tutto ciò che l’uomo può tramare, per manifestare tutto ciò che Dio può trarne, attraversando e ribaltando il male in questione» (J.-P. SONNET, Generare è narrare, Vita e Pensiero, Milano 2014, 31). La Bibbia non racconta storie pie, ma storie di astuzia, di assassinio, di diritti travalicati o sbeffeggiati, di ambizioni e manovre oblique. «Prendendo il problema dall’alto, potremmo dire che una teologia che affronta l’inevitabilità del disegno divino insieme alla riluttanza delle azioni e delle passioni umane, è una teologia che genera un che di narrativo, o meglio una teologia che richiede il modo narrativo come suo principale modo ermeneutico, e ciò in virtù del carattere paradossale e, perché no, aporetico di una tale teologia che ignora la dialettica speculativa» (J.-P. SONNET, Generare è narrare, Vi...


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