Lina Malfona, Il disinganno. Manfredo Tafuri e il lavoro immateriale, in Orazio Carpenzano et al. (eds.), Lo storico scellerato. Scritti su Manfredo Tafuri, Macerata: Quodlibet 2019, 291-98. ISBN 9788822902252 PDF

Title Lina Malfona, Il disinganno. Manfredo Tafuri e il lavoro immateriale, in Orazio Carpenzano et al. (eds.), Lo storico scellerato. Scritti su Manfredo Tafuri, Macerata: Quodlibet 2019, 291-98. ISBN 9788822902252
Author Lina Malfona
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Lo storico scellerato Scritti su Manfredo Tafuri a cura di Orazio Carpenzano con Marco Pietrosanto Donatella Scatena Quodlibet DiAP Dipartimento di Architettura e © 2019 Indice Progetto Quodlibet srl Direttore Orazio Carpenzano via Giuseppe e Bartolomeo Mozzi, 23 Macerata Sapienza Università di Roma...


Description

Lo storico scellerato Scritti su Manfredo Tafuri a cura di Orazio Carpenzano con Marco Pietrosanto Donatella Scatena

Quodlibet

DiAP Dipartimento di Architettura e Progetto Direttore Orazio Carpenzano Sapienza Università di Roma

© 2019 Quodlibet srl via Giuseppe e Bartolomeo Mozzi, 23 Macerata www.quodlibet.it

Indice

PRIMA EDIZIONE

/ TEORIE Collana a cura del Gruppo Comunicazione del DiAP Coordinatore Cristina Imbroglini

D iAP PRINT

xxxx 2019 ISBN

978-88-229-0225-2

9

Nota introduttiva

COPERTINA COMITATO SCIENTIFICO

Carmen Andriani Roberta Amirante Jordi Bellmunt Renato Bocchi Giovanni Corbellini Giovanni Durbiano Carlo Gasparrini Sara Marini Luca Molinari Alessandra Muntoni Franco Purini Joseph Rykwert Andrea Sciascia Zeila Tesoriere Ilaria Valente Herman van Bergeijk Franco Zagari Ogni volume della collana è sottoposto alla revisione di referees esterni al Dipartimento di Architettura e Progetto scelti tra i componenti del Comitato Scientifico.

Manfredo Tafuri, Londra 1969, scritta autografa a pennarello

11

Lo storico scellerato Orazio Carpenzano

STAMPA

xxxxxxxx

21

L’uomo, l’intellettuale, l’accademico Giusi Maria Letizia Rapisarda

COURTESY

Vieri Quilici, p. 98 Giusi Maria Letizia Rapisarda, copertina, pp. 12, 23, 31, 36, 44, 54, 118, 132, 138

Letture e testimonianze Il senso di un progetto storico 37

Manfredo Tafuri Paolo Portoghesi

45

Un’amicizia asimmetrica Franco Purini

55

Il più attivo, il più esposto, il più agguerrito Colloquio con Giorgio Piccinato

67

L’architetto e la memoria. Un frammento su Manfredo Tafuri giovane Lucio Valerio Barbera

83

Architettura e metropoli, le seduzioni della critica Alessandra Muntoni

INDICE

99

L’architettura militante

INDICE

197

107

Austromarxismo e città: dalla “gaia apocalisse” a Vienna Rossa

211

Agli albori delle convenzioni

Progetto e critica della città. I primi anni di attività di Manfredo Tafuri 1959-1968 Federico Rosa

Alfredo Passeri 119

Prima che tutto cominciasse Colloquio con Gianni Accasto

Colloquio con Vieri Quilici

221

Valerio Paolo Mosco

L’anticamera tafuriana. Riflessioni sul metodo e sulla città territorio Luca Porqueddu

127

Boschi fatati Cherubino Gambardella

133

Colloquio con Antonino Saggio 139

Frammenti di una ricerca trasversale

La distanza critica dal contemporaneo 235

Manfredo Tafuri: from Criticism to History. Breaking the Solid Mandala Herman van Bergeijk

Il confronto con la scuola di Warburg. Per cambiare l’idea di Rinascimento come età dell’oro Andri Gerber

245

Manfredo Tafuri e la sostenibile debolezza di via Giulia Luca Montuori

Il giovane Tafuri Sintesi di una ricerca più ampia 149

Manfredo Tafuri, Ludovico Quaroni e Bruno Zevi. Anatomia di una microstoria in margine al verbale di un Consiglio di Facoltà

257

I conti con la storia. Manfredo Tafuri sul Concorso per i nuovi uffici della Camera dei Deputati a Roma Manuela Raitano

271

Piero Ostilio Rossi

Tafuri vs Sacripanti, o della questione ideologica in architettura Alfonso Giancotti

169

Gli anni della formazione Colloquio con Enrico Fattinnanzi

183

Gli esordi romani di Manfredo Tafuri. Dalla didattica del progetto a un diverso approccio alla Storia dell’architettura Antonio Riondino

6

281

Il “progetto” storico oltre confine. Manfredo Tafuri negli Stati Uniti Anna Giovannelli

291

Il disinganno. Manfredo Tafuri e il lavoro immateriale Lina Malfona

7

INDICE

299

Manfredo Tafuri legge Giovan Battista Piranesi Angela Raffaella Bruni

313

Nota introduttiva

Rossi attraverso Tafuri: “Cose che sono solo sé stesse” Cinzia Capalbo

323

Storia e Progetto allo specchio. Il desengaño rossiano negli occhi di Manfredo Tafuri Rocco Murro

335

L’elaborazione della crisi, da “Contropiano” alla Sfera e il labirinto Marco Pietrosanto

349

La de-strutturazione dell’ideologia architettonica. Gli anni di “Contropiano” Donatella Scatena

Documenti 366

La Facoltà di Architettura di Roma nel 1963 Foto di Gabriele Milelli

372

Documenti e foto della mostra Vienna Rossa Foto di Alfredo Passeri

378

Manfredo Tafuri progettista. Attività di sperimentazione progettuale. 1961-1963

402

Attività didattica di Manfredo Tafuri. 1961-1994

408

Manfredo Tafuri. Studi, incontri, opere. 1935-1994

419

Indice dei nomi

8

Il presente volume è composto da quattro parti: “Letture e testimonianze”, “Il giovane Tafuri”, “Frammenti di una ricerca trasversale” e “Documenti”. L’obiettivo è offrire alle nuove generazioni di architetti e ricercatori un arcipelago di segnali e testi che configurano prospettive e problemi sulla complessa figura di Manfredo Tafuri, cercando di raccontare, a partire dalla sua formazione, il suo rapporto con la Facoltà di Architettura di Roma prima dell’approdo allo iuav di Venezia. La struttura del lavoro, per parti autonome, si sviluppa attraverso contributi di architetti e studiosi che comprendono più generazioni, tra quelli attivi sulla scena romana dagli anni ’60, contemporanei di Tafuri, coloro i quali lo hanno conosciuto come professore, maestro, fino a quelli che invece lo hanno perlopiù apprezzato attraverso i suoi scritti. Il contrappunto, tra le diverse percezioni generazionali, produce ipotesi e riflessioni che rendono evidente la complessità, la ricchezza e l’attualità del suo pensiero. La geografia che scaturisce da questa coralità di saggi si caratterizza per l’indagine sulle elaborazioni teoriche e l’azione culturale del periodo romano e sugli elementi di continuità/ discontinuità con la produzione allo iuav. Tafuri emerge come riferimento culturale per la generazione delle rivolte studentesche di Valle Giulia, quelle del ’63 e del ’68, e poi come lo studioso di architettura più in sintonia con lo Zeitgeist della società italiana dalla metà degli anni ’60 almeno fino alla fine degli anni ’80. Il volume osserva la radicalizzazione della sua posizione, attraverso l’adesione alla linea operaista e successivamente a quella del pci, verso il marxismo. Parallelamente affiora il suo distacco dal progetto, osservato da un’altra prospettiva, per comprenderne meglio il ruolo, le implicazioni e le conseguenze politiche, economiche e sociali. Emerge, inoltre, che Tafuri abbandona il progetto in coincidenza con il suo trasferimento a Venezia e il suo graduale e inesorabile allontanamento dalla critica militante; viene analizzato il suo “scellerato” attacco verso quei tanti architetti che si erano spesi, dal suo punto di vista, a 9

ANNA GIOVANNELLI

americani, Tafuri vuole tracciare i contorni di un “alfabeto essenziale” di modelli tipologici generati dalla sperimentazione progettuale; vuole cioè confrontare queste esperienze nei territori ben delineati dalla volontà di strutturalità del linguaggio di Rossi, privo di tentativi di manipolazione ingenua che si rifugia negli spazi del boudoir, per abitare la grande dimensione geografica dell’opera di Gregotti o esplorare il sistema delle classificazioni tipologiche ascalari di Purini. Ma la manipolazione può diventare invece uno strumento critico e operativo, come nel caso dei New York Five, ossia un “laboratorio analitico” che sperimenta le potenzialità combinatorie dell’oggetto nelle proprie interne articolazioni, in cui “il procedimento del montaggio” diviene un procedimento didattico che costruisce i bijoux indiscrets. Prima di Princeton, Tafuri aveva conosciuto e raccontato La città americana con G. Ciucci, F. Dal Co e M. Manieri Elia, e anche in quella circostanza aveva lavorato su un crinale critico riscrivendo le vicende del concorso per il Chicago Tribune16. Sarà proprio Diana Agrest qualche anno dopo, sulle pagine di “Oppositions” ad elaborare un’analisi molto precisa della figura architettonica del grattacielo17 con numerosi rimandi proprio alle vicende del concorso per il “Chicago Tribune”, tratteggiando nel suo saggio un chiaro riferimento alle riflessioni critiche di Tafuri sul grattacielo e sugli sviluppi della City. Il dialogo intellettuale dunque continua, soprattutto dentro gli spazi della critica europea e americana, quegli spazi in cui Tafuri più di ogni altro ha saputo costruire gli orizzonti significativi di un progetto storico, la cui eredità sopravvive ancora nella ricerca architettonica oltre confine.

16 M. Tafuri, La montagna disincantata. Il grattacielo e la City, in G. Ciucci, F. Dal Co, M. Manieri Elia, M. Tafuri, La città americana dalla guerra civile al New Deal, Laterza, Roma-Bari 1973, pp. 415-549. 17 D. Agrest, Architectural Anagrams: The Symbolic Performance of Skyscrapers, “Oppositions”, 11, New York 1977, pp. 26-51.

290

Il disinganno. Manfredo Tafuri e il lavoro immateriale Lina Malfona

Con la conclusione amara del saggio Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico1, Manfredo Tafuri aveva manifestato una profonda sfiducia nella possibilità che l’architettura potesse continuare a orientare i processi sociali. Sfiducia che interessava la classe degli architetti e degli intellettuali, il cui ruolo, secondo Tafuri, era minacciato e sarebbe stato irrimediabilmente corroso, a partire dagli anni ’70, dall’organizzazione capitalistica della società e del lavoro. Una denuncia dal peso fortissimo, dunque, e con conseguenze determinanti per l’architettura italiana. Manfredo Tafuri abbracciò la concezione di utopia di Karl Mannheim, intesa come “visione strutturale della totalità che è e diviene, trascendimento del puro dato, sistema di orientamento teso a rompere i legami dell’ordine esistente per riconquistarli a un più alto e diverso livello”2, laddove con l’espressione “visione strutturale”, Mannheim intendeva la produzione di un cambiamento sociale, economico e politico come fine ultimo dell’utopia. Ma dal momento che ormai da tempo gli strumenti di controllo non sono più soltanto nelle mani degli architetti e dato che ogni azione progettuale necessita di essere mediata con diverse forze in campo e diversi specialismi, è sempre più difficile pervenire a visioni strutturali. Se “interscambiabilità, polivalenza e preparazione al colloquio interdisciplinare” sono 1 Cfr. M. Tafuri, Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico, “Contropiano”, 2, 1970. 2 M. Tafuri, Progetto e utopia. Architettura e sviluppo capitalistico (1973), Laterza, Roma-Bari 2007, p. 52. Cfr. K. Mannheim, Ideologia e utopia (1929), il Mulino, Bologna 1952. Questa definizione presenta un conflitto tra utopia come modello calato nella dinamica reale dei processi politico-economici e il suo carattere di anticipazione sperimentale proiettata nel futuro.

291

IL DISINGANNO. MANFREDO TAFURI E IL LAVORO IMMATERIALE

LINA MALFONA

H.W. Corbett, City of Future, 1913.

le caratteristiche che vengono richieste dal capitalismo alla “forza-lavoro intellettuale”3, la riduzione dell’intellettuale stesso a un inconsapevole artista sembra essere la strategia che Tafuri elabora in opposizione, in attesa di un cambiamento completo dei rapporti di lavoro, come base per la formulazione di nuove utopie. A questo punto, ci si chiede se dagli anni ’70 ad oggi tale cambiamento sia avvenuto e, in caso affermativo, in che misura esso abbia contribuito alla modificazione della figura dell’intellettuale. Possiamo ritenere che tale figura sia ancora dotata di alcuni margini di autonomia, oppure essa è rimasta intrappolata all’interno degli stessi sistemi e apparati sociali, politici ed economici nei quali il cambiamento sarebbe dovuto avvenire? Per rispondere a questi interrogativi, si ricorre al confronto tra le posizioni dello storico dell’arte Edgar Wind, che si espresse sulle condizioni imposte al lavoro creativo nel momento in cui esso si prestava a diventare lavoro dipendente (Arte e anarchia, 1963), e il sociologo Maurizio Lazzarato, che riflette sull’attuale trasformazione della classe lavorativa in una “classe creativa dipendente”(Immaterial Labor, 1996), vale a dire, una classe di “lavoratori cooperativi”, di “trasmettitori” di informazioni, di abili comunicatori e venditori di “prodotti” intellettuali, dotati di quelli che Richard Sennett chiama dialogic skills4. Successivamente, si analizzerà nello specifico la posizione di Manfredo Tafuri all’interno di questo dibattito. Denunciando la condizione dell’artista, plagiato da un sistema dell’arte che ne limita fortemente l’autonomia e ne sminuisce la carica innovativa, Edgar Wind così conclude il suo libro:

Sarebbe un’imprudenza sperare con troppa fiducia che alla fine lo spirito prevarrà. I cavalieri del rasoio sono astuti: non bandiscono l’artista dalla città, bensì lo accolgono ma a certe condizioni, da loro imposte. La neutralità benevola elimina l’attrito, e mantiene l’atrio dell’arte prudentemente chiuso ai disturbatori. Se una certa esperienza si rivela eccezionale, basta moltiplicarla, e ben presto eccezionale non sarà più. Baudelaire prevedeva che un giorno questa tolleranza distruttiva sarebbe stata esaltata come una forma di “progresso”: in questo compiacente ricettacolo, in questo amichevole abisso, le energie anarchiche della creazione sarebbero state messe a bagno fino all’annullamento. Potategli la stravaganza, rendetelo sobrio e lo distruggerete5.

Ma le parole taglienti con cui Wind si congeda dal lettore non cadono nel vuoto. Esse sembrano essere state colte dallo studioso di scienze sociali Maurizio Lazzarato che, con minore foga ma probabilmente con maggiore lucidità, descrive la trasformazione dell’intellettuale in “lavoratore cooperativo” in questi termini: “il nuovo slogan delle società occidentali è che dovremmo tutti ‘diventare soggetti’. La gestione partecipativa è una tecnologia del potere, una tecnologia ideata per creare e controllare i ‘processi soggettivi’”6. Confrontando queste due posizioni, ne risulta che il motto “become subject”, utilizzato dall’attuale società capitalista ed evidenziato da Lazzarato, non è altro che la messa in atto di quella “moltiplicazione dell’eccezionale” di cui parlava Edgar Wind, sulla scorta di Baudelaire. Ma se l’artista di Wind poteva ancora scegliere una via di fuga, l’intellettuale di Lazzarato, divenuto “lavoratore cooperativo”, subisce la trasformazione arrendendosi ad essa, credendo che il patto con il capitalismo sia vantaggioso. Come nel processo descritto da Wind, l’attività di questo lavoratore viene normalizzata da condizioni di lavoro che egli stesso accetta di buon grado, con l’illusione di “diventare soggetto”. La conclusione di Lazzarato è:

E. Wind, Arte e anarchia (1963), Adelphi, Milano 2007, p. 131. M. Lazzarato, Immaterial Labor, in P. Virno, M. Hardt (a cura di), Radical Thought in Italy: a Potential Politics, University of Minnesota Press, Minneapolis 1996, pp. 132-141. 5

M. Tafuri, Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico, cit., p. 268. 4 R. Sennett, Together: The Rituals, Pleasures, and Politics of Cooperation, Yale University Press, New Haven 2012, p. 6. 3

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6

293

LINA MALFONA

Se il lavoro richiede cooperazione e coordinamento collettivo, allora i soggetti di quella produzione devono essere abili nella comunicazione e attivamente partecipi al lavoro di gruppo. […] Così il lavoratore diventa un semplice trasmettitore di codificazioni e decodificazioni, i cui messaggi trasmessi devono essere ‘chiari e privi di ambiguità’, all’interno di un contesto comunicativo che è stato completamente normalizzato dalla gestione amministrativa. […] L’ordine amministrativo di “diventare soggetti della comunicazione” minaccia di essere ancora più totalitario che la precedente rigida divisione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale (tra idee ed esecuzione), perché il capitalismo cerca di coinvolgere anche la personalità e la soggettività dei lavoratori all’interno della produzione del valore7.

Se Edgar Wind denunciava le condizioni imposte all’attività creativa, comprendendone il rischio, Maurizio Lazzarato descrive queste condizioni con spietata lucidità. Tra questi opposti modi di guardare all’attività creativa e intellettuale si colloca il pensiero di Manfredo Tafuri, che interrogandosi sui rapporti tra lavoro intellettuale e capitalismo, assunse una posizione attorno alla quale si continua a riflettere tuttora: Rimane comunque fisso che ogni strada di elaborazione esterna, per il lavoro intellettuale, resta preclusa – scrive Tafuri –. L’unica illusione di lavoro esterno può essere data dalla rivolta contro il lavoro intellettuale stesso, espresso dalla sacralizzazione della sua impotenza: esattamente ciò che tanta produzione artistica recente fa inconsapevolmente8.

È noto come questa posizione abbia prodotto un intenso dibattito nazionale e internazionale, tanto che un gruppo di intellettuali ha interpretato il messaggio in maniera più o meno consapevole, ripiegando verso una visione autonoma della disciplina, intesa come pratica contemplativa, o meglio come macchina celibe cioè produttrice di puro appagamento estetico. Un’altra schiera di intellettuali, invece, ha interpretato Tafuri con sottile perspicacia, per orientarsi verso interessanti commistioni con gli altri settori disciplinari. Senza avversare il capitalismo, quest’ultimo gruppo di intellettuali ha appoggiato 7 8

M. Lazzarato, Immaterial Labor, cit. M. Tafuri, Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico, cit. 294

IL DISINGANNO. MANFREDO TAFURI E IL LAVORO IMMATERIALE

tentativi di collusione con le ragioni del mercato, con diversi livelli di approfondimento9. Com’è noto, Manfredo Tafuri consolidò la sua visione negativa della realtà, frutto di un’analisi severa del tardo capitalismo avvalendosi dell’approccio filosofico di Massimo Cacciari e della “dialettica negativa” di Theodor Adorno e Max Horkheimer10. Leggendo alcuni passi di The Culture Industry. Enlightenment and Mass Deception11, infatti, si comprende come il pensiero di questi autori abbia segnato profondamente lo scritto di Tafuri Lavoro intellettuale e sviluppo capitalistico. La mass deception, di cui parlano Adorno e Horkheimer, infatti, è la monumentalizzazione del mercato, da cui derivano la normalizzazione e la standardizzazione. Ma forse anche qualcosa di più profondo: la mass deception è il disinganno, l’accettazione della collusione e il compromesso con il sistema dominante. Per i due autori, già nel 1944, l’intellettuale non ha altra possibilità di esprimersi se non lasciandosi incorporare dall’apparato, che gli fornisce il supporto economico chiedendogli però in cambio una sorta di complicità. Inoltre, secondo Adorno e Horkheimer, l’industria della cultura si basa sul concetto di amministrazione, infatti “solo ciò che è industrializzato e rigorosamente incorporato è perfettamente adeguato a questo concetto di cultura”12. Infine, e qui si palesa il debito di Tafuri verso i maestri della Scuola di Francoforte, “chi resiste può sopravvivere solo attraverso l’incorporazione. Una volta schedato come dissidente dall’industria della cultura, si appartiene ad essa come il riformatore agrario ap9 Su questo argomento, si rimanda ai rapporti che Fredric Jameson ha delineato tra architettura e logiche culturali del ta...


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