PROGETTO E CRITICA DELL’URBANISTICA MODERNA: I PRIMI ANNI DI ATTIVITA’ DI MANFREDO TAFURI 1959-1968 PDF

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Author Federico Rosa
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ISTITUTO UNIVERSITARIO DI ARCHITETTURA DI VENEZIA CORSO DI LAUREA IN ARCHITETTURA DIPARTIMENTO DI URBANISTICA TESI DI LAUREA PROGETTO E CRITICA DELL’URBANISTICA MODERNA: I PRIMI ANNI DI ATTIVITA’ DI MANFREDO TAFURI 1959-1968 Relatore Laureando Prof. Bernardo Secchi Federico Rosa Anno Accademico - 20...


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ISTITUTO UNIVERSITARIO DI ARCHITETTURA DI VENEZIA CORSO DI LAUREA IN ARCHITETTURA DIPARTIMENTO DI URBANISTICA

TESI DI LAUREA

PROGETTO E CRITICA DELL’URBANISTICA MODERNA: I PRIMI ANNI DI ATTIVITA’ DI MANFREDO TAFURI 1959-1968

Relatore

Laureando

Prof. Bernardo Secchi

Federico Rosa

Anno Accademico - 2002/03 Sessione - II - ottobre

Ai miei genitori

«Rosa, pura contraddizione voglia di essere il sonno di nessuno sotto tante palpebre.» R. M. Rilke

Introduzione

Nell’introdurre uno dei suoi ultimi studi, Ricerca del Rinascimento, Manfredo Tafuri riassumeva come «libertà dal valore», «caduta dell’aura», «scomparsa di ogni telos», «perdita del centro» e «agonia del referente» le condizioni epocali in cui siamo chiamati ad operare. Questa la realtà, profondamente anti-tradizionale, da porre, secondo il critico romano, sullo sfondo di qualsiasi progettare, di ogni tentativo di rifondazione culturale, della ricerca del rinascimento. Lasciando trasparire nel titolo del proprio testo un doppio significato, Tafuri sembra rivelare il senso stesso della propria azione: la ricerca della rinascita, come messa in discussione di un’identità (quella tradizionale), a partire dalla critica dei suoi fondamenti culturali e mitologici, per l’apertura a nuove «possibilità»1. Una critica per la rinascita, questo è il compito che Tafuri sembra assegnarsi nel corso della propria carriera2, a partire dal primo periodo della sua attività, contrassegnato da una data, il 1964: dopo quattro anni dalla laurea presso Valle Giulia, Tafuri compie una svolta, dismette i panni dell’architetto-urbanista, per rivolgersi unicamente agli studi storici e critici che lo porteranno alla stesura di 1

Il senso ambivalente di Ricerca del rinascimento appare in qualche modo esplicitato in La storia come progetto - intervista a Manfredo Tafuri, a cura di Luisa Passerini, (Art History Oral Documentation Project) University of California and the Getty Center for the History of Art and Humanities, Los Angeles, 1993, pp. 70-73. 2 Un compito portato avanti dal critico romano, con una grande continuità metodologia, mettendo in discussione, altresì, per coerenza interna alla propria stessa visione, i propri presupposti ideologici.

Teorie e storia dell’architettura, primo punto nodale della sua esegesi3. La presente tesi ha come oggetto proprio tale passaggio, o meglio, lo studio del ruolo, in esso svolto, dall’attività di progettista e teorico della città4.

Il primo impegno di Tafuri è rivolto alle problematiche urbane di Roma, una città che, tra il ’58 e il ’63, sotto la spinta del secondo boom economico, subì una fulminante espansione, ‘regolata’ da un piano risalente al 1931 e dalla legge urbanistica del ’42. In tale periodo, i sostenitori della «continuità ideologica» con il movimento moderno, per produrre una corrente di pressione che permettesse di inserire, nel generale dibattito culturale, i problemi dell’architettura e

3

Con Teorie e storia dell’architettura, e in particolare attraverso la denuncia della critica operativa, il critico romano segnava una svolta nell’approccio agli studi storici dell’architettura, fino ad allora condotti soprattutto dagli stessi architetti. Le linee portanti espresse in Teoria e storia (a differenza di altre) saranno sempre convalidate dal critico, anche nei suoi ultimi studi («sono ancora valide, per chi scrive, le linee portanti espresse in M. Tafuri, Teorie e storia dell’architettura, Bari, 1968, in particolare nel cap. IV [La critica operativa]», M. Tafuri, Ricerca del Rinascimento, Einaudi, 1992, p. XXII, nota 8). Teoria e storia dell’architettura, insieme a Per una critica dell’ideologia architettonica (in «Contropiano», !/69, 1969), inoltre, sembra costituire il punto di partenza di Tafuri verso il progetto, compiuto nel corso degli anni ’70, di una critica globale dell’architettura, ovvero la critica dei ‘prodotti’ architettonici di tutte le ideologie realizzate nel corso del secolo ormai trascorso: dal socialismo russo al liberismo statunitense, dalla socialdemocrazia austriaca a quella weimariana (Tale intento è descritto da studi quali: Il socialismo realizzato e la crisi delle avanguardie, in AA.VV., Socialismo, città, architettura. URSS 1917-1937. Il contributo degli architetti europei, Officina, Roma 1971, pp. 41-87; M. T., Socialdemocrazia e città nella repubblica di Weimar, in «Contropiano», 1/71, 1971, pp. 257-311. La città americana dalla guerra civile al “New Deal”, con G. Ciucci, F. Dal Co, M. Manieri Elia, Laterza, Bari, 1973, etc.). 4 Il periodo complessivo trattato è compreso tra l’anno della prima pubblicazione di Tafuri (1959) e l’anno di Teorie e storia dell’architettura, il 1968.

dell’urbanistica, diedero vita a nuove associazioni di architetti e urbanisti. Queste si impegnarono nel solco di quell’azione denunciataria, inaugurata dalla stampa progressista romana già nei primi anni ’50, determinando una vera e propria specializzazione del battage giornalistico in senso urbanistico. La tematica centrale trattata era l’assunzione di un nuovo Piano Regolatore cittadino, quale pregiudiziale al problema della speculazione fondiaria, dell’abusivismo edilizio e della tutela storicopaesaggistica. Il ‘moderno’ delle associazioni capitoline, sorte al tramonto dell’APAO e del Movimento Comunità,

assunse, come è stato

osservato, il senso di «ricerca di una nuova e più allargata democraticità». Tafuri, come membro dell’Associazione Studenti e Architetti (ASEA) prima5, e successivamente della Architetti Urbanisti Associati (AUA)6, sarà animato da un vero e proprio «impegno integrale»: seguendo le orme dei più anziani componenti della SAU, egli si dividerà tra le attività di denuncia e sensibilizzazione nell’ambito di Italia Nostra, la progettazione e una vera e propria lotta

per

portare

le

problematiche

urbanistiche

all’interno

dell’università. Valle Giulia, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, era

5

Fondata nel luglio 1959 con alcuni compagni di Valle Giulia (Lucio Barbera, Sergio Bracco, Alessandro Calzabini, Enrico Fattinnanzi, Massimo La Perna, Claudio Maroni, G. Moneta, Giorgio Piccinato, Vieri Quilici, Massimo Teodori) 6 Fondata nella primavera ’61, come prosecuzione nell’ambito professionale dell’ASEA, che, per altro, continuò ad operare in ambito universitario fino al ’62. Agli stessi membri dell’ASEA si aggiungevano: Bernardo Rossi Doria e Stefano Ray. Collaboratori occasionali furono: Lidia Soprani, Mimmo d’Ercole.

ancora in buona parte caratterizzata dagli accademici, mai epurati, del periodo fascista7, coloro che, dietro al sostegno di un’autonomia disciplinare dell’architettura e a un professionismo di sapore ottocentesco, celavano una cultura che manteneva inaccettati i caratteri della modernizzazione. Se la prima critica di Tafuri si rivolse a tali atteggiamenti, le sue prime certezze si strutturarono quale loro negativo. Le accuse di immoralità rivolte al corso di Saverio Muratori, avanzate da un giovane Tafuri all’ultimo anno di università, ne furono emblematico esempio8. Come osservava Kallmann nel ’59, volendo indicare il segno dei tempi: Anziché speculare su distanti obbiettivi sociali, in idealistiche visioni, i giovani di oggi cercano risposte a situazioni immediate e limitate»9.

In tal senso, i membri dell’AUA, definiti da Piero Moroni i primi «figli del progresso», già dal ’61, si fecero sostenitori della così detta «salvaguardia attiva» associando proposte concrete (in forma di piani e progetti) alle campagne di denuncia10. All’emergere della necessità di decisionismo (propria dei periodi di modernizzazione), l’«impegno civile» diveniva estremo tentativo di marginare la crescente 7

Tra questi: Del Bebbio, Fasolo, Foschini, De Renzi etc. E’ del resto ravvisabile, come vedremo, da parte di Tafuri, una progressiva revisione nella considerazione di Muratori, comunque non assimilabile ai docenti sopra citati. 9 G. M. Kallmann, La “Action architecture” di una generazione nuova, in «CasabellaContinuità», n. 269, novembre, 1962, p. 12 (già in «Architectural Forum», ottobre 1959). 10 La volontà di raggiungere risultati tangibili non impedì ai giovani architetti romani di intraprendere azioni rivelatesi in seguito velleitarie o addirittura strumentalizzate. All’illusione seguirà la disillusione. 8

sconnessione tra le esigenze di programmazione e l’effettiva capacità di operarne l’ordinamento, non lasciando inespresse riflessioni politiche. Mentre il primo accordo di centro-sinistra, ormai prossimo, dava adito alle più rosee aspettative, “scatenando” il dibattito sulle strategie e la formazione degli strumenti disciplinari per condurre la gestione del territorio nazionale (alimentando la messa in discussione dello stesso istituto giuridico), Tafuri, iscritto al PSI di Nenni e membro del Centro Tecnici Socialisti, dimostrava il proprio essere diviso tra l’auspicio di soluzioni massimaliste e l’impegno in azioni riformiste (comprendendo il rischio delle prime e l’irrisorietà delle seconde). In quello che possiamo considerare il suo primo scritto di storia contemporanea, La vicenda architettonica romana 1945-1961 (pubblicato sulla piccola rivista romana «Superfici» nell’aprile del 1962), il giovane architetto, parafrasando Persico, denunciava la «difficoltà di credere ad ideologie precise» che potessero informare modelli

altrettanto

precisi,

facendo

corrispondere

la

crisi

dell’architettura e dell’urbanistica italiana a quella della cultura idealista tout-court. Tale saggio, come ricordava più recentemente lo stesso Tafuri, fu motivo di incontro con Ludovico Quaroni, che gli propose di scrivere una monografia sulla propria opera11. L’impostazione della storia

11

Testo steso «dopo un’intervista durata un’estate [‘62] e su bibliografia» (L. Passerini, -La storia come progetto- intervista a Manfredo Tafuri - op. cit., p. 38) e pubblicato nel ’64 con titolo: Ludovico Quaroni e lo sviluppo dell’architettura moderna in Italia, Edizioni di Comunità, Milano. Il rapporto tra Tafuri e Quaroni si rafforzò quando quest’ultimo giunse

tafuriana, volta ad una memoria della critica più che a una memoria affermativa (prescindendo dal sostenere metodologie operative specifiche), sembrava fissare i punti di quel percorso critico ed autocritico che caratterizzò (già a partire dalla X Triennale di Milano del ‘54) il distacco di Quaroni dalle posizioni della così detta ideologia comunitaria e che mai aveva trovato lo “spazio scritto” ove riconnettere e riflettere in maniera esaustiva e pedagogica il proprio essere12. Per Tafuri, Quaroni fu «maestro più che architetto». La sua «concezione debole dell’urbanistica» (citiamo ancora Tafuri) era un vero e proprio monito contro la ricerca di poteri forti operata dal tradizionale

urbanista

“demiurgo-profeta”.

Il

suo

«metodo

sperimentale», oltre ad assumere, per il giovane architetto romano, «valore morale» (contrapponendosi alle «realtà sognate» di stampo utopico), assumeva valore nella prassi: esso infatti entrando in dialogo con la contraddittoria realtà metropolitana, ricercava margini per una nuova produttività dell’urbanistica. In tal senso, fondamentale appare il punto di arrivo e di partenza stabilito nel VII Convegno dell’INU di Lecce su Il volto della città, fondato sulla precisa considerazione che:

nella facoltà di Architettura di Roma (a.a. 1963/64 e 1964/65), trovandosi Tafuri assistente (già lo fu di Aymonino 1961/62, e di Libera 1962/63). Quaroni, dopo averlo incaricato di tenere all’interno del suo Corso un ciclo di lezioni sulla storia del ‘moderno’, lo proporrà per il conseguimento della libera docenza in Urbanistica, raggiunta già alla fine del ’64. 12 Come noto, Quaroni solo più tardi inizierà la sua attività saggistica in senso riflessivo, di cui La torre di Babele (Laterza, Bari, 1967) è sicuramente tra i testi più significativi; Tafuri dunque sembra entrare in sintonia con Quaroni sulla base di quell’attività storico-critica verso cui, il più anziano architetto, a posteriori, avrebbe voluto maggiormente orientarsi. (cfr. Il mio modo di essere architetto, in Ludovico Quaroni. Architetture per cinquant’anni. Catalogo della mostra a cura di A. Terranova, Roma, 1985, p. 52).

non esiste una forma in astratto da calare sulla città ma bensì un’insieme di parti caratterizzate dall’architettura.13

Da qui l’affermazione di quella particolare coincidenza tra urbanistica e architettura, che Tafuri fece propria. Se la riflessione urbanistica di quest’ultimo, fino al ’62, fu legata solo alle problematiche urbane di Roma, e i suoi progetti furono eterogenei e non strettamente legati ad una precisa visione, a partire dallo stesso periodo, entrambi questi aspetti ebbero una svolta sostanziale. Tafuri infatti, sulla base del rapporto con Quaroni e soprattutto grazie al ruolo di assistente offertogli da Carlo Aymonino per il «Corso parallelo» (ovvero il corso di composizione attivato a Valle Giulia, in alternativa al pluricontestato corso di Saverio Muratori), poté compiere una più approfondita riflessione, che lo porterà ad inaugurare la sua produzione da teorico, svolta soprattutto sulle pagine della «Casabella» di Rogers14. Il tema progettuale del corso (il Centro Direzionale di Centocelle), infatti, fu correlato teoricamente agli studi presentati nel seminario ILSES di Stresa, organizzato da De Carlo, circa La nuova dimensione della città: la

13

Atti del VII Convegno nazionale dell’INU, Lecce, su «Il volto della città», in «Urbanistica» n. 32, dicembre 1960, p. 6. Ricordiamo che la tavola rotonda conclusiva del convegno fu tra De Carlo, E. Vittoria e P. Moroni, coordinata da L. Quaroni, quasi a definire l’imporsi della linea di condotta inaugurata dalla X triennale. 14 Testi quali: Studi e ipotesi di lavoro per il sistema direzionale di Roma, in «Casabella continuità», 264, giugno 1962, pp. 27-36; La città territorio: verso una nuova dimensione (con G. Piccinato e V. Quilici), in «Casabella continuità», n. 270, dicembre 1962, pp. 16-25; Un’ipotesi per la città-territorio di Roma – Strutture produttive e direzionali nel comprensorio pontino, (con E. Fattinnanzi), in «Casabella-Continuità», n. 274, aprile 1963, pp. 26-37.

città- regione15. L’ipotesi della città-territorio16 (la città che integrandosi dinamicamente alla grande dimensione territoriale aveva perso insieme forma e nomos) spostava il suo campo di applicazione, dalla pianificazione urbanistica totale, all’individuazione di punti nodali sui quali far leva, nel senso di intervento diretto nell’elaborazione delle infrastrutture. Questo, nel tentativo di colmare il distacco tra teoria e prassi, cercando di avvicinare il “fenomeno città” a sintesi di natura razionale. Questa la nuova produttività del discorso urbanistico, criticamente realistico17, che troverà il suo obbiettivo ultimo (secondo Tafuri e Aymonino) nell’abbattimento della storica soggezione tra

città e campagna (già indicata da

Marx)18. Tafuri, proprio nelle teorie della città-territorio, (che sperimentò con i colleghi dell’AUA attraverso alcuni progetti, tra i quali: quello vincitore del «Concorso nazionale d’idee per la sistemazione area ex caserma Montevecchio in Fano» dell’aprile ’62, quello «segnalato» del «Concorso per il nuovo centro direzionale di 15

Seminario ILSES, Stresa 19-21 gennaio 1962, a cui parteciparono Ludovico Quaroni, Luigi Piccinato, Giovanni Astengo, Leonardo Benevolo e Carlo Aymonino, e in cui si dibatterono 4 temi: Accentramento e decentramento, Problemi di trasformazione di città in città regione, Caratteri economici e sociali della città-regione e Dinamica e forma della nuova città. Cfr. Relazioni del Seminario “La nuova dimensione della città- la città regione”, ILSES, Milano, febbraio 1962. 16 Come noto, in ambito romano, a differenza di quello milanese, si optò per la dicitura cittàterritorio, perché non potessero sorgere equivoche interpretazioni ‘regionalistiche’ di tipo mumfordiano. 17 Una dicitura, quella di realismo critico, avanzata da Tafuri nel testo dedicato a Ludovico Quaroni e lo sviluppo dell’urbanistica moderna in Italia, che vedeva come suo esempio realizzato il progetto CEP alle Barene di San Giuliano dello stesso Quaroni. 18 Ovvero il raggiungimento di un’equipotenzialità dell’intera regione nelle sue singole

parti attraverso la creazione di infrastrutture tali da permettere la più ampia mobilità sociale come premessa per livelli di libertà e di democrazia più elevati.

Torino» del settembre ’62, e quello del «Concorso per il nuovo Ospedale Civile di Venezia», 1963) leggerà la «negazione di ogni astrazione utopistica o idealizzante»19, e soprattutto la rottura della metodologia unica, di approccio alla progettazione, che aveva caratterizzato il razionalismo e tutta la tradizione architettonicaurbanistica moderna. per la sua origine illuministica, ancor prima che razionalistica, [l’architettura moderna] non ha saputo far a meno fino ad oggi di una metodologia basata sul rapporto diretto di ogni operazione ad un modello formale nel quale veniva a sintetizzarsi il complesso delle ipotesi di fondo formulate in precedenza […] Con l’introduzione di un ipotesi di lavoro che non si traduca in un modello […] la città-territorio non potrà essere più una ‘conformazione’ […] ma un metodo di sviluppo..20

Nel corso dei due anni successivi, in testi quali Recente attività dello studio Architetti e Ingegneri (1963) e in occasione del dibattito occorso alla pubblicazione di Progetti di architetti italiani – 2, su «Casabella-Continuità» del luglio 1964, Tafuri affermerà la necessità del: superamento della metodologia unica che pretenda di portare a compimento con gli stessi metri razionali tutto l’arco che va dal ‘design’ alla pianificazione territoriale.21

19

M. T., La città territorio, in «Casabella-Continuità», n. 270, dicembre 1962, p. 19. M.T., ibid., p. 19. Sulla base di tale affermazione Tafuri, raccogliendo il favore di Aymonino, recuperò, come vedremo, l’opposizione marxiana alla prefigurazione di modelli di sviluppo socialisti come nuovo ceppo nello sviluppo del ‘moderno’, entrando in opposizione alla visione sulle origini di Benevolo. 21 M. Tafuri, Recente attività dello Studio Architetti e Ingegneri, in «L’architettura cronache e storia», n. 93, luglio 1963, p. 156. 20

Ma ciò che è ancora più indicativo è il fatto che successivamente Tafuri estenderà tale critica al periodo rinascimentale, affermando:

[…] direi che il primo scacco dell’architettura rinascimentale, avviene proprio sul tema della città, ed è infatti a partire dalla questione della città con la sua fenomenologia così poco controllabile ad un intento totalmente razionale, che si ribella allo spazio rinascimentale […].22

Nella città, dunque, secondo Tafuri, non decade solo la cultura urbanistica, ma anche la cultura che informa l’architettura, perché in essa è proiettata l’idea di intero (essendo, la metodologia, unica). Questo intero potrà essere solo virtuale: […] come accadrà alla città barocca, che accetta praticamente lo scacco che le teorie rinascimentali avevano subito sul tema della città, accetta senza teorizzarci sopra questa teoria della città stessa, ed accetta anche un cambiato rapporto tra uomo e natura e quell’opera dunque che essenzialmente antinaturalistica che è la città, quale costruzione totalmente indipendente dalle leggi naturalistiche che se prima veniva riassunta proprio in una rappresentazione simbolica, ora diviene un termine estrinseco con cui confrontarsi; si potrà riassumere la natura nella città solo rappresentandola

22

M. Tafuri, Le strutture del linguaggio nella storia dell’architettura moderna: i parametri di controllo - Parte prima (Lezione t...


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