Lussu - Riassunto Un anno sull\'altipiano. Per la Scuola media PDF

Title Lussu - Riassunto Un anno sull\'altipiano. Per la Scuola media
Course Letteratura italiana contemporanea
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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Riassunto capitolo per capitolo del libro di Emilio Lussu "Un anno sull'altipiano"...


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Un anno sull’Altipiano - Emilio Lussu BREVE NOTA STORICA Un anno sull’Altipiano racconta gli avvenimenti nei quali, tra il giugno 1916 e luglio 1917, venne coinvolta la Brigata Sassari quasi tutta composta da soldati sardi. Lussu, all’inizio di queste vicende, era tenente aiutante maggiore del terzo battaglione. A seguito della grande offensiva austroungarica, nota come “Spedizione punitiva”, la Brigata Sassari venne spostata rapidamente sull’Altipiano dei Sette Comuni e a giugno sul Mone Fior si scontrò con i bosnoerzegovesi (bosniaci) comandati dal principe Schomburg-Hortastein. Gli assalti e contrassalti durarono tre giorni; dopo venne una relativa tregua e il 25 giugno gli austriaci si ritirarono. Ma per loro fu anche il fallimento dell’offensiva che avrebbe dovuto decidere le sorti dell’Italia. La Brigata Sassari si ritrovò in prima linea sulle pendici del Monte Zebio. Ora erano loro ad attaccare anche se con poco successo. Alla fine di ottobre venne preparata un’offensiva italiana allo scopo di recuperare almeno le posizioni perse, ma l’arrivo dell’inverno e della neve seppellì uomini e trincee. La primavera che seguì causò problemi sanitari e il diffondersi di epidemie: il disgelo discoprì le scorie della guerra e i cadaveri di tanti soldati insepolti. Nel giugno del 1917 ci fu la battaglia di “Ortigara”. La Brigata Sassari ebbe il compito di attaccare i capisaldi munitissimi di difese e mitragliatrici del Monte Zebio. I sardi sullo Zebio e gli alpini sull’Ortigara riuscirono a conquistare le trincee avversarie. Poi calò il silenzio.











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CAPITOLO 1 A fine maggio 1916, la brigata di Lussu stava ancora sul Carso. Sin dall’inizio della guerra aveva combattuto solo su quel fronte e la situazione per i soldati era ormai diventata insostenibile perché qualsiasi palmo di terra gli ricordava un combattimento o la tomba di un compagno caduto. Il duca d'Aosta, detto “principe” per la sua stirpe reale, era il comandante d'armata. Aveva scarse capacità militari, ma grande passione letteraria; infatti scriveva i discorsi per il capo di stato maggiore Cadorna. Aveva anche una bella voce, ma a parte questo era abbastanza impopolare. A maggio il duca dispose alla Brigata Sassari il riposo in una città del Friuli (Aiello). I soldati accolsero la notizia con tripudio, lo acclamarono e si accorsero finalmente che vi era qualche vantaggio ad avere per comandante un principe perché solo lui avrebbe potuto concordare un riposo così lungo (alcuni mesi) e lontano dal fronte. Stava diventando per la prima volta popolare. Il primo battaglione ad arrivare ad Aiello fu il 3°, quello di Lussu, che marciava insieme alla 12° compagnia. Quest’ultima era comandata dal tenente Grisoni, che salva il vecchio ideale cavalleresco della guerra perché è un ufficiale di cavalleria che è voluto andare in servizio in fanteria con una speciale autorizzazione. Il Sindaco di Aiello accoglie i soldati offrendo loro da bere e fa un discorso sul re: “Grande onore è per me nella guerra gloriosa che il popolo italiano combatta sotto il comando geniale ed eroico di Sua Maestà il re”. Tutti si alzarono per il saluto militare, come segno di atto patriottico. Il sindaco si spaventa, gli cade il discorso e lo raccoglie (scena grottesca). Poi il sindaco continuò elogiando la guerra (benché non sappia come realmente è) e brindando alla bella morte perché è bello morire per la patria (citazione di Owen - Dulce et decorum est pro patria mori). Ai soldati non piacque questa parte di discorso perché era come se stesse dicendo loro “siete più belli da morti che da vivi”. C’è una sorta di incomprensione della durezza della guerra da parte delle autorità civili, borghesi e militari. Emerge il fatto che i civili hanno una visione distorta della guerra, a causa di giornali e molte belle parole, non sanno che nella realtà la guerra non possiede belle attrattive. Lussu utilizza la parola “patria” solamente altre tre volte nel libro. Questa parola era infatti usata dal fascismo e veniva esaltata. Lussu si oppone e rende negativa la parola, che viene pronunciata solo da personaggi negativi. Il discorso continua e Grisoni brinda al “re di coppe” → il re viene sbeffeggiato, chiamato re di coppe, che nelle carte è quello che vale meno. È una sorta di presa in giro. Nei momenti di imbarazzo la tosse è un elemento ricorrente. CAPITOLO 2















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Il riposo ad Aiello non era durato neanche una settimana: gli austriaci avevano attaccato l’Altipiano di Asiago, perciò la brigata aveva dovuto lasciare la guerra di posizione combattuta al Carso (zona squallida, senz’acqua, senz’erba, sempre uguale) e dirigersi marciando verso l’Altipiano, dove sarebbe stata guerra di contrattacco, manovre e strategie. Era finalmente finita la vita di trincea. Tra i soldati si era sempre parlato della guerra in montagna come di un riposo privilegiato perché vi erano alberi, foreste, sorgenti, vallate in cui potersi sdraiare nelle ore di ozio a prendere il sole, a dormire, senza essere visti. Inoltre, se si fossero adottate delle giuste strategie non ci sarebbero stati morti, solo prigionieri. A questa idea i soldati sprizzano quindi di gioia. Mentre i soldati marciavano cantando sulla strada per raggiungere l’Altipiano, furono divisi da un’altra marcia sulla stessa strada: quella dei profughi. La popolazione dei Sette Comuni si riversava sulla pianura trascinando sui carri e sui muli, vecchi, donne, bambini e quelle poche cose che avevano potuto salvare dalle case abbandonate di fretta al nemico. I contadini allontanati dalla loro terra erano come naufraghi. Nessuno piangeva, ma i loro occhi guardavano assenti. Dolore del popolo che vive il dolore della guerra sulla propria pelle. Lussu si sofferma sulla sofferenza che trasmettono i volti dei profughi, soprattutto quelli dei contadini. Sembrava un accompagnamento funebre. Un vecchio contadino, seduto su un carro, chiese a un soldato del tabacco per la pipa. Questo senza fermarsi gli pose fra le mani tutto il suo tabacco e gli altri soldati lo imitarono. Lussu seguiva con lo sguardo “zio Francesco”: era il più vecchio soldato della compagnia, aveva fatto anche la guerra in Libia. I soldati lo chiamavano così perché oltre ad essere il più vecchio, era padre di cinque figli. Egli marciava al passo e, come gli altri, cantava a voce alta, ma sul suo volto non vi era alcuna espressione di gioia e il suo passo era pesante. Le parole allegre del canto uscivano dalla sua bocca, estranee. Il colonnello felice di vedere cantare allegri i soldati, si avvicina a Lussu e gli regala 20 lire da distribuire, con le quali si comprano del cognac e del tabacco. Poi vede “zio Francesco”, chiede di lui e regala solamente a lui 5 lire. Primo incontro con Abbat (ancora anonimo): mentre tutti brindano con il cognac alla salute del colonnello, si alza una voce giovanile che disapprova e si rifiuta di bere. CAPITOLO 3 Quando i militari arrivarono sull’Altipiano si accorsero di un grande disordine sui confini, non era ben chiaro dove fossero le truppe italiane e quelle austriache. L’unica cosa certa era che gli austriaci avevano traversato la Val d’Assa, conquistato Asiago e si muovevano verso Gallio. Un giorno Lussu e il suo plotone salirono a Stoccaredo per prendere collegamento con qualche reparto del loro esercito che sicuramente aveva più informazioni sul nemico di loro. Lussu incontrò un battaglione il cui tenente colonnello gli offrì un bicchierino di Cognac. Lussu rifiutò dicendo di non bere alcolici (se non qualche bicchiere di vino durante i pasti) e il comandante rimase molto stupito, tanto da segnarsi l’avvenimento su un taccuino. Non aveva fretta di rispondere alle domande di Lussu sul nemico. Bevette ancora un bicchierino e poi lo accompagnò ad un osservatorio, tenendo sempre in mano la bottiglia e il bicchierino. Questa volta per distrazione perché all’osservatorio non bevette mai. Alla fine gli disse che nessuno sapeva dove fossero precisamente gli austriaci, ma che sicuramente non erano ancora arrivati a Monte Fior (gli indicava le posizioni con la bottiglia). Nel tornare alle linee, il plotone si perse e si scontrò con un esercito che pensavano fosse bosniaco (a differenza degli ungheresi non portavano il trifoglio sull’uniforme). Era evidente avessero delle truppe superiori rispetto a quelle di Lussu. Se li avessero attaccati sarebbero stati sicuramente sopraffatti. Li attaccarono. Però, mentre il plotone si ritirava al sicuro riuscirono a catturare un soldato nemico che era venuto loro incontro con le mani in alto (aveva disertato). Scoprirono dopo essere un soldato dell’esercito italiano che si era smarrito. Era del loro stesso battaglione (9°). Si chiamava Marrasi Giuseppe.











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CAPITOLO 4 Monte fior viene attaccato, molti morti e feriti. Il nemico è sul punto più alto dove controlla e mitraglia. Italiani malmessi, niente artiglieria, niente mitragliatrici e interi battaglioni scomparsi. Per difendersi prendono posizione a Monte Spill, di fronte a Monte Fior, per evitare che gli austriaci potessero forzare le pozioni italiane e avanzare su Monte Fior. Una volta che il battaglione arriva a Monte Spill per ordine del colonnello Stringari della Malga Lora, Lussu si imbatte, per la seconda volta, nel tenente colonnello dell'osservatorio di Stoccaredo. Egli si ritiene un ufficiale sbagliato poiché è stato obbligato dal padre a intraprendere la carriera militare, mentre lui avrebbe preferito continuare l’Università di lettere. Secondo lui si beve per difendersi dalle scelleratezze del mondo e per darsi coraggio nell'uccidere senza conoscersi. Il colonnello sostiene che il motore e l'anima della guerra sia proprio l'alcool; se entrambe le parti cessassero di bere forse la guerra finirebbe. Ma, se bevono gli altri, beve anche lui: ha pure portato con sé un libro per preparare da sé i liquori. CAPITOLO 5 Verso mezzanotte il battaglione riceve l’ordine di portarsi al completo in prima linea, a Monte Fior, con tutte e quattro le compagnie, gli zappatori e la sezione mitragliatrici. Passarono tutta la notte scavando nelle trincee. La situazione era difficile e se ne accorsero all’alba quando gli austriaci aprirono il fuoco. nell’ordine che gli era stato comunicato c’era scritto: “Bisogna rimanere aggrappat al terreno, con le unghie e con i dent”. Ma le trincee erano improvvisate, sul terreno nudo, senza scavi profondi, senza parapetti. L’unica spinta istintiva che sentivano era quella di salvarsi. Gli austriaci continuavano ad effettuare attacchi improvvisi. In guerra Lussu perde la cognizione del tempo. La follia della guerra: durante un assalto, l'aspirante Perini prende la fuga, volta le spalle al suo plotone e si precipita indietro, stravolto e in preda al panico. Egli era giovane e malaticcio, non aveva mai preso parte a nessun combattimento. Urlava “Hurrà, hurrà!” in favore degli austriaci. Il maggiore Cadorna allora ripete senza sosta a Lussu di tirare una fucilata al vigliacco. Lussu, per persuaderlo a cambiare idea, prende la borraccia di cognac del suo attendente e gliela offre. Il maggiore la prende avidamente, come se non avesse fatto altro che chiedere da bere. La questione finisce lì. CAPITOLO 6 Gli austriaci attaccano in massa a battaglioni affiancati. Non sparano più, convinti che il bombardamento precedente avesse distrutto le linee italiane e non vi fosse rimasta anima viva. Avanzano quindi sicuri. Il maggiore Cadorna gridava ai suoi soldati di essere pronti ad aprire il fuoco per contrattaccare alla baionetta. Delle loro due mitragliatrici solo una sparava (puntata dal tenente Ottolenghi) perché l’altra era stata distrutta da una granata. Il vento soffiava ondate di cognac che provenivano dalla parte austriaca. Come aveva detto il tenente colonnello dell'osservatorio di Stoccaredo, anche per gli austriaci, il cognac, era il motore della guerra. Follia: durante un assalto il capitano della 11° compagnia si alza in piedi, a testa scoperta: punta l'elmetto sia contro gli austriaci che contro i suoi soldati come se fosse una pistola e, invece, la pistola, scambiata per elmetto, si sforzava di mettersela in testa con violenza, tanto che il sangue gli colava dalla testa. “Era una furia insanguinata”. Gli italiani resistono per un po’, anche con delle sagaci strategie, ma infine gli austriaci conquistano la pianura Veneta perché l’esercito italiano si ritira da Monte Fior per andare a Monte Spill. CAPITOLO 7 Il tenente generale comandante la divisione, ritenuto responsabile dell’abbandono ingiustificato di Monte Fior, viene silurato. Giunge allora un nuovo generale comandante della divisione, il tenente generale Leone, così presentato: “un soldato di provata fermezza e d’esperimentato ardimento”. Lussu lo incontra per la prima volta a Monte Spill, dove avviene un dialogo tra di loro. Il generale è stupito dal fatto che Lussu, nonostante abbia preso parte a tutti i combattimenti della sua brigata, non sia mai stato ferito gravemente.



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“Il generale non sorrise. Credo che per lui fosse impossibile sorridere. Aveva l’elmetto d’acciaio con il sottogola allacciato, il che dava al suo volto un’espressione metallica. La bocca era invisibile, e, se non avesse portato dei baffi, si sarebbe detto un uomo senza labbra. Gli occhi erano grigi e duri, sempre apert come quelli di un uccello notturno di rapina”. Poi, il generale cambia argomento e gli chiede se ama la guerra. Lussu, esitante nel rispondere, dice inizialmente: “Io ero per la guerra e alla mia Università, rappresentavo il gruppo degli interventst”. Il generale controbatte dicendo che quello che ha detto riguarda il passato, lui invece gli sta chiedendo del presente. Lussu allora risponde che fa tutto il suo dovere e che la guerra è una cosa seria. Il generale sostiene che in guerra il proprio dovere lo devono fare tutti perché, non facendolo, si corre il rischio di essere fucilati. Insiste nel fargli rispondere alla domanda se ama o no la guerra. Lussu allora, esasperato, dice personalmente di non poter affermare di prediligere in modo particolare la guerra. Vedendo lo sdegno del generale per aver affermato di volere la pace “come una donnetta qualsiasi, consacrata alla casa, alla cucina, ai fiori”, si salva dicendo che in realtà quello che desidera è una “pace vittoriosa”. Finito il dialogo, Lussu accompagna il generale in linea. Leone si sporge dalla trincea e, nonostante gli avvertimenti di Lussu sul fatto che fosse pericoloso rimanere così scoperti per via dei colpi di fucile nemici, rimane impassibile, completamente indifferente e arrogante quando gli austriaci iniziano a sparargli. “Egli dimostrava un’indifferenza arrogante. Solo i suoi occhi giravano vertginosamente, sembravano le ruote di un’automobile in corsa”. Sfida un caporale a fare la stessa cosa e quest'ultimo viene colpito al petto e stramazza a terra. Il generale, chiamandolo eroe, gli tira una lira d'argento dicendogli di bersi un bicchiere di vino. Il generale Leone è l'incarnazione della follia per la sua insensata tecnica strategica e l'uso di eroismi inutili. Particolare attenzione alla descrizione degli occhi del generale: freddi e roteanti come aveva già visto al manicomio della sua città. Leone viene chiamato macellaio e vampiro, poiché si espone a grandi pericoli senza mai morire. Generale sinistro, un pericolo per i soldati che comanda. È un personaggio che spaventa, sempre pronto alla follia. Lussu rientra al comando del battaglione dove la notizia di quanto era avvenuto si era già diffusa. Incontra il tenente colonnello Abbat che gli dice: “l’arte militare segue il suo corso”. Lussu gli offre la sua borraccia, Abbati beve e quando si accorge che dentro c’è solo acqua e caffè rimane stupito e con tono di compassione gli consiglia di iniziare a bere altrimenti anche lui sarebbe finito al manicomio, come il suo generale. CAPITOLO 8 Leone, nonostante l’esercito non avesse ancora un solo pezzo di artiglieria sull’Altipiano, ordina ugualmente l’assalto a Monte Fior. Prima dell’attacco passarono alcuni giorni di calma, senza feriti. Ma il generale non riposava, voleva assolutamente riprendersi Monte Fior. Escogita quindi un piano d’attacco, di sorpresa, alla baionetta per il 26. Alla fine gli austriaci abbandonano Monte Fior perché la resistenza dell’esercito italiano sul Pasubio e la grande offensiva scatenata dai russi in Galizia li aveva obbligati a sospendere l’azione sull’Altipiano. L’esercito italiano inizia l’avanzata verso Monte Fior, ma il comandante di brigata viene ucciso in un combattimento di pattuglie. Fu un lutto per tutta la brigata. Quando il generale seppe dell’accaduto urlò che era necessario vendicarlo, la sua sete di vendetta aumentava sempre più. Durante la marcia, arrivati ad un bivio di due sentieri, un soldato di testa grida “ALT” ai reparti che seguono, per far perlustrare i sentieri agli esploratori (un esploratore era appena stato ucciso ed era necessario che gli altri non si avventurassero senza che il terreno non fosse stato riconosciuto). Leone ancora una volta dà dimostrazione della sua instabilità mentale e schizofrenia. Egli ordina al capitano Zavattari di far fucilare il soldato. Il capitano cerca di dissuadere il generale dal suo intento con argomentazioni anche legalitarie, dicendo che il soldato non aveva mai pensato, dicendo “Alt!” di emettere un grido di stanchezza o di indisciplina. L’alt era necessario per dar tempo ai suoi compagni di riconoscere il terreno. Inoltre, non aveva commesso alcun reato. Leone non vuole sentire ragioni, sostiene che deve servire da esempio per tutti.









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Il capitano allora escogita uno stratagemma per salvare il soldato: ordina ad una squadra di sparare contro un tronco d’albero e fa mettere su una barella il corpo dell'esploratore morto. Il capitano così fa credere al generale di aver fucilato il soldato. Leone vedendo la barella esclama: “Salutamo i martri della patria! In guerra, la disciplina è dolorosa ma necessaria. Onoriamo i nostri mort!”. Martire della patria è un’espressione religiosa, rimanda al sacrificio della vita per la patria. In realtà la morte è voluta dal generale. Tutto questo avviene all’insaputa degli altri soldati, che sono dunque convinti che l’uomo morto sia stato davvero fatto uccidere da Leone per aver fatto il suo dovere. All’imbrunire cessarono l’inseguimento e si fermarono per riposarsi. A un certo punto si sentono delle grida “All’erta! All’erta! Guai a chi dorme! Un soldato addormentato è un soldato morto!”. Era il generale che ancora una volta dimostra la sua pazzia. L’odio nei confronti del generale incomincia a manifestarsi sempre più. Un soldato anziano medita l’uccisione di Leone, medita di sparargli. “Leone sotto l’elmetto, aveva una sciarpa che gli avvolgeva il collo e gli cadeva sulle spalle. Un ampio mantello grigio discendeva fino alle caviglie e lo copriva tutto. camminava costantemente, le mani alla bocca come un megafono. Appena rischiarato dalla luce, sembrava un fantasma”. Il soldato alza lentamente il fucile, per mirare, ma Lussu lo ferma. CAPITOLO 9 Il giorno dopo il battaglione continua l’inseguimento. Fra i cespugli spunta una pattuglia nemica (sette bosniaci), che viene uccisa prontamente. Sei erano morti, uno era ancora in vita. Lussu torna indietro per trovare la sezione mitragliatrici che stavano aspettando e ancora non era arrivata. Quando li trova, una scena movimentata si stava svolgendo: il generale, solo sul mulo, si arrampicava fra le rocce. A causa di uno scatto improvviso del mulo, cadde per terra, sul ciglio di un precipizio. Il generale si teneva aggrappato alle redini, a metà penzoloni sul burrone. Stava per precipitare nel vuoto. Molti soldati vicino lo videro, ma nessuno fece niente. Anzi, qualcuno ammiccava e sorrideva. A un certo punto, però, dalle file delle mitragliatrici, un soldato si lanciò di corsa sul generale e lo salvò. Q...


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