Mario Talamanca PDF

Title Mario Talamanca
Course Istituzioni di diritto romano
Institution Università degli Studi di Trento
Pages 93
File Size 1.4 MB
File Type PDF
Total Downloads 109
Total Views 144

Summary

sintesi del talamanca...


Description

MARIO TALAMANCA

ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO CAPITOLO PRIMO - INTRODUZIONE 1. STORIA DEL DIRITTO, DIRITTO ROMANO E CULTURA GIURIDICA EUROPEA La cultura è un elemento formativo indispensabile del giurista: il posto da lei occupato è essenziale. Questo soprattutto per quanto riguarda le scienze che si occupano di ciò che è stato fatto dall'uomo e si è inverato nella sua storia. Tra queste scienze rientra sicuramente quella del diritto. L'esperienza romana gode di una posizione unica nell'ambito della storia del diritto nella cultura europea. Oggi si dà troppo per scontato che l'applicazione del diritto venga mediata da una riflessione scientifica sull'ordinamento positivo. Un tale fenomeno non era scontato nell'antichità: solo in Roma, dal II sec. d.C., inizia l'elaborazione di una scienza del diritto. La cultura giuridica romana si è perpetuata fino a Giustiniano, il cui impero (527-565 d.C.) rappresenta la conclusione della storia antica. La scienza giuridica romana ha poi condizionato gli studi giuridici nella Bologna dell'XI sec. e, irradiandosi ovunque, ha creato la cultura giuridica europea. Non esiste, in Europa, un'esperienza che non trovi le sue origini nella scienza giuridica romana creata dai giuristi laici: il modo, infatti, con cui viene pensato oggi il diritto è profondamente segnato dal modo in cui l'hanno pensato i prudentes. Le fonti romane hanno fornito un modello allo studio scientifico del diritto e hanno anche costituito una parte del diritto vigente. La vigenza come diritto positivo ha riguardato soprattutto il diritto privato ed è durata per più di otto secoli, fino all'introduzione del BGB negli stati dell'Impero Tedesco (1 gennaio 1900).

2. L'INSEGNAMENTO DEL DIRITTO ROMANO E LA DISTINZIONE FRA DIRITTO PUBBLICO E PRIVATO Le fonti giuridiche romane sono considerate unicamente in chiave storica, sia nella dottrina sia nell'insegnamento, nel quale si ha la distinzione fra le Istituzioni di diritto romano e la Storia del diritto romano. Il corso istituzionale risale alle scuole di diritto in Roma. Il primo manuale di Institutiones conosciuto è quello di Gaio, giurista dell'epoca dei Severi. Il manuale, risalente al II sec. d.C., ha avuto una grande fortuna nel tardo-antico ed è per noi molto importante per tre motivi principali: è l'unica opera della giurisprudenza classica ad esserci giunta nella sua completezza e senza manipolazioni di stampo giustinianeo; l'opera è caratterizzata da una grande chiarezza espositiva e si basa su un latino elementare; è un'opera sistematica. Il materiale, infatti, è organizzato logicamente, secondo un sistema detto Tripartizione Gaiana, che suddivide il diritto privato romano in tre grandi parti: diritto che riguarda le persone ( personae), diritto che riguarda le cose ( res) e diritto che riguarda le azioni (actiones). Il manoscritto è stato rinvenuto in un palinsesto della Biblioteca Capitolare di Verona, all'interno di un'opera di patrologia, sotto forma di una recensione del V sec. d.C. Le Institutiones in generale erano manuali che davano un'informazione elementare (da istituĕre, ossia insegnare per chiari elementi) ma complessiva di una branca di una determinata materia, allo scopo di introdurvi coloro che vi facevano i primi passi. Le Institutiones di Gaio erano incentrate sull'esposizione del diritto e del processo privato, che rappresentavano il centro di interessi dei giuristi romani. La Storia del diritto romano offre, invece, una trattazione delle fonti romane finalizzata alla miglior comprensione del contenuto del Corpus Iuris Civilis e ricomprende il diritto costituzionale e tutte quelle branche dell'ordinamento romano che non trovavano posto nelle Institutiones. La differenza fra i due corsi sta quindi nell'oggetto: le Istituzioni espongono il diritto ed il processo privato, mentre la Storia ricomprende tutti gli altri aspetti dell'esperienza giuridica romana.

3. IL METODO NELL'INSEGNAMENTO DELLE ISTITUZIONI La differenza dell'oggetto pone una serie di problemi: se conservare o meno la distinzione tra le due materie; se l'impostazione tradizionale nell'esposizione storica del diritto privato è adeguata o meno; quali sono metodo e linguaggio da seguire in quest'esposizione per problemi ed istituti. Lo studio di un diritto dal punto di vista storico tende ad accertare quello che era ritenuto il diritto in un determinato periodo storico. Non rientra fra i compiti dello storico il determinare quale sia il diritto che sarebbe dovuto essere in vigore in questi determinati periodi. Lo storico del diritto però, qualsiasi sia l'esperienza giuridica studiata, deve inserire l'aspetto tecnico-giuridico nel complessivo quadro della società a cui si riferisce l'esperienza giuridica oggetto dello studio: dall'economia alla politica, dalle strutture sociali alla cultura ed alle ideologie dominanti. Neppure l'interprete del diritto vigente può sottrarsi alla necessità di tale operazione. Il rapporto fra il complessivo assetto sociale e culturale e le strutture giuridiche non va concepito nel senso che queste strutture siano l'effetto meccanico dell'assetto socio-economico. Sicuramente esiste un fenomeno d'interazione, ma spesso le costruzioni concettuali o dogmatiche di una giurisprudenza professionale tendono a sopravvivere alle condizioni che le hanno prodotte, adattandosi a funzioni diverse da quelle originariamente assolte. L'esperienza giuridica costituisce senza dubbio un tutto complessivo. Si deve, comunque, procedere a quelle partizioni rese necessarie anche dalle esigenze dell'apprendimento. Rispetto alla distinzione fra corso storico e corso istituzionale, il problema riguarda l'opportunità o meno di mantenerla. Fanno propendere per un mantenimento alcune fondamentali distinzioni nel metodo di studio e di esposizione, nonché nella periodizzazione, fra diritto privato e diritto pubblico, e la continuità fra l'esperienza giuridica romana ed il nostro modo di vivere il diritto privato. Tra i manuali dell'uno e dell'altro corso si nota una profonda differenza per quanto riguarda la diacronia: i manuali istituzionali seguono le grandi partizioni del diritto privato, mentre i manuali storici sono articolati in funzione delle periodizzazioni relative alla storia costituzionale romana. Il diritto privato è più direttamente collegato con l'assetto socio-economico. I momenti di cesura si collocano nei periodi in cui tale assetto subisce incisive variazioni. Il diritto privato si divide in quattro grandi periodi: periodo arcaico: corrisponde alla società patriarcale delle origini (circa VIII sec. a.C.). Il diritto si fonda sui mores (diritto consuetudinario) e sulla distinzione tra ius e fas. È l'epoca della giurisprudenza pontificale, le cui decisioni e interpretazioni del diritto non vengono motivate. La fase arcaica, che ricomprende la promulgazione della lex Duodecim Tabularum (la legge delle XII Tavole, metà del V sec. a.C.), si spinge sino al II-I sec. a.C., quando i pontefici capiscono il disagio della popolazione, dovuto al non avere una motivazione dell'applicazione delle regole di diritto, e iniziano a dare responsa motivati. periodo classico: il momento di passaggio dalla fase arcaica alla fase classica è dato da Quinto Mucio Scevola, il Pontifex Maximus che inizia a motivare le proprie sentenze. La laicizzazione della giurisprudenza viene poi perfezionata dal giurista Servio Sulpicio Rufo, che applica il metodo dialettico, consentendo alla giurisprudenza romana di distaccarsi da quella tipica di una società non sviluppata. Il nuovo strumentario permette al diritto di diventare una vera e propria scienza. Il periodo classico è anche detto momento aureo della giurisprudenza romana e va dal I sec. a.C. fino al III sec. d.C. periodo postclassico o burocratico: inizia l'opera di burocratizzazione della giurisprudenza romana. Con il passaggio alla monarchia assoluta si verifica l'assorbimento del giurista all'interno della burocrazia imperiale. Il periodo è caratterizzato dal fenomeno del volgarismo (volgarismo giuridico), a causa del quale il linguaggio diventa più complesso e meno scientifico: i giuristi diventano dogmatici e la cristallinità del periodo classico si va, in parte, a perdere. periodo tardo-antico: coincide con il dominato e termina con l'impero di Giustiniano. Le segmentazioni della storia costituzionale, invece, devono tener conto dei mutamenti della struttura istituzionale: la prima cesura, che si colloca a metà del periodo arcaico, si ha con il passaggio dalla monarchia alla repubblica alla fine del VI sec. a.C. Tra il III sec. a.C. ed il III sec. d.C. si verifica un'altra cesura, che si coglie nel passaggio dalla repubblica all'impero (I sec. a.C. - I sec. d.C.). L'ultima cesura coincide con il passaggio al tardo-antico e si ha con l'affermarsi dell'impero assoluto. L'esposizione congiunta dei due corsi, non potendo rinunciare alla diacronia, dovrebbe utilizzare dei criteri di periodizzazione diversi. Di conseguenza, la trattazione unitaria della materia dei due corsi di insegnamento appare alquanto inopportuna. Per quanto riguarda il diritto privato, il materiale più abbondante ci è giunto attraverso la compilazione giustinianea ed è costituito da estratti di opere di giuristi classici, che limitano i propri interessi al diritto ed al processo privato, argomenti questi che rendono più visibile la continuità fra l'esperienza giuridica romana ed il nostro modo di vivere attualmente il diritto. La questione delle categorie concettuali, e cioè del linguaggio che si deve adoperare nell'esporre l'ordinamento giuridico romano nelle sue varie epoche, è stata al centro di un acceso dibattito dottrinale italiano. Il problema si pone in modo differenziato per le varie epoche del diritto romano. È pacifico il fatto che non si possa studiare l'esperienza giuridica romana e di conseguenza esporre i risultati di tale studio adoperando esclusivamente le categorie concettuali ed ancor più la terminologia proprie della giurisprudenza romana, in quanto queste costituiscono l'oggetto degli studi e non possono esserne lo strumento esclusivo. Il problema che sussiste, quindi, è quello di non incidere sulla storicità dell'oggetto attraverso lo strumentario concettuale utilizzato per rappresentarlo. Si tratta quindi dell'adeguatezza di tali categorie, che va valutata sulla base della funzione ormai esclusivamente

storica della disciplina. Si deve tener conto del fatto che una struttura concettuale può esplicare i suoi effetti solo nei limiti in cui ne sia percepita l'influenza ed attuata la potenzialità: non si possono imputare alla realtà storica studiata quelle che sono le implicazioni di una categoria dogmatica la cui operatività non sia stata avvertita dai contemporanei. Per questo vanno fatte alcune distinzioni: da una parte sta la ricostruzione delle strutture concettuali usate dai giuristi romani nelle soluzioni pratiche e teoriche da loro proposte; da un'altra sta la questione dei limiti in cui hanno concretamente operato queste categorie; infine la possibilità per lo storico di descrivere l'esperienza studiata attraverso l'impiego di certe categorie concettuali, nella consapevolezza che queste non sono state avvertite dai contemporanei. L'ultima distinzione rileva soprattutto nel caso in cui l'oggetto dello studio sia un'esperienza giuridica in cui è mancata un'elaborazione scientifica o concettuale da parte dei contemporanei, come quella romana. È necessario dunque distinguere sempre la valenza che hanno attualmente certe categorie e quella che si deve loro riconoscere come strumentario rappresentativo dell'esperienza giuridica romana.

CAPITOLO SECONDO - DIRITTO OGGETTIVO E DIRITTI SOGGETTIVI 4. LE NORME GIURIDICHE E LE ALTRE NORME A RILEVANZA SOCIALE Con l'uso del termine diritto si fa riferimento a due fondamentali categorie, strettamente connesse fra loro sotto l'aspetto strutturale e funzionale: diritto oggettivo e diritto soggettivo. L'essere e l'operare dell'individuo nella società in cui vive è disciplinato da una serie di regole di condotta, al cui interno si individuano insiemi di norme dal carattere differenziato. Il diritto oggettivo è uno di questi insiemi. È necessario individuare i caratteri differenziali delle norme giuridiche rispetto alle altre norme. La norma giuridica si distingue in relazione alla sua funzione ed alla sua struttura. La funzione è quella di disciplinare e risolvere conflitti d'interesse intersoggettivi e presuppone un'organizzazione sociale (ubi societas, ibi ius; ubi ius, ibi societas). Per quanto riguarda la struttura, rappresenta un comando generale ed astratto: tende a regolare una serie indefinita di casi, purché in questi si possano ritrovare i presupposti che la norma fissa per la sua applicazione. Caratteristica essenziale della norma giuridica è la coercibilità. Per comprendere la natura di tale caratteristica, si deve porre la distinzione tra norme di qualificazione (di organizzazione) e norme di relazione (di comportamento). Strutturalmente, la norma è composta da due parti fondamentali: la descrizione di una situazione di fatto che si può verificare nella realtà storica (fattispecie) e l'individuazione degli effetti giuridici che ne conseguono. La struttura logica consiste sempre in un discorso ipotetico: se si verifica una determinata fattispecie, allora si hanno certi effetti giuridici. La funzione delle norme di qualificazione si esaurisce nell'attribuire, sul piano del diritto, una certa qualità ad un soggetto, ad una cosa o ad una situazione di fatto. Le norme di relazione, invece, risolvono direttamente i conflitti di interessi attribuendo determinati poteri ad un soggetto nei confronti di un altro soggetto, creando così una situazione in cui si contrappone un diritto soggettivo ad un dovere giuridico. A causa dell'esaurirsi della funzione nell'attribuzione di una qualità, per le norme di qualificazione non si pone il problema della violazione della norma stessa. La coercibilità delle norme di qualificazione si ritrova quindi nell'indefettibilità e nell'irretrattabilità della qualificazione giuridica. Le norme di relazione, invece, impongono ad un soggetto un dovere di comportamento e per la loro attuazione richiedono la collaborazione dello stesso. Tale collaborazione è dovuta, ma il soggetto tenutovi può rifiutarla. Si presenta quindi il problema della violazione della norma e delle conseguenze di tale violazione, cioè la sanzione, che infligge a colui che ha violato un dovere di comportamento un male od uno svantaggio, economico o personale, riconosciuto come socialmente rilevante. La sanzione può avere funzioni diverse: può esser indipendente dal fine di ripristinare o soddisfare l'interesse leso, e si parlerà di sanzione (o coazione) indiretta; o può avere lo scopo di soddisfare l'interesse violato, e si avrà una sanzione diretta. Quest'ultima è a sua volta di due specie: può essere una riparazione dell'interesse leso in forma specifica, che ristabilisce coattivamente la situazione di fatto pre-esistente alla violazione del dovere di comportamento; o un risarcimento del danno per equivalente, che si può riscontrare soltanto ove sia leso un interesse patrimoniale e che consiste nell'attribuire al soggetto leso il diritto di esigere da colui che ha violato la norma una somma di denaro equivalente alla valutazione pecuniaria della lesione. Va fatta la distinzione tra la norma giuridica stessa e le altre norme a rilevanza sociale, cioè le norme morali e le norme religiose. La norma giuridica e la norma morale di riferiscono all'agire dell'uomo ed entrambe hanno carattere valutativo, in quanto pongono un criterio per giudicare il comportamento di una persona. Vi è, però, una duplice differenza: la norma morale esaurisce la propria funzione nella valutazione del comportamento di un soggetto e si limita a porre un criterio di valutazione, mentre la norma giuridica regola la posizione del soggetto nella sua dimensione intersoggettiva e deve ricevere una sanzione sul piano sociale, proprio perché norma coercibile. Il discorso per le norme religiose è più complesso. La religione ha un suo sistema valutativo dei comportamenti umani dal punto di vista etico, e quindi una sua morale. È però un fenomeno prevalentemente sociale, che dà luogo ad un'organizzazione sul piano sociale di coloro che si riconoscono in una fede religiosa, arrivando, come nelle città-stato antiche, all'identificazione fra

l'appartenenza ad una civitas e quella ad un sistema religioso. A questo punto, le norme che riguardano l'organizzazione sociale della comunità religiosa sono norme giuridiche. Minor importanza hanno le norme a rilevanza unicamente sociale, come le regole di buona educazione e cortesia, che hanno come referente la società, e quindi i rapporti intersoggettivi che si producono in essa. La differenza con le norme giuridiche sta nella coercibilità: alla violazione di tali norme, infatti, può conseguire soltanto una reazione sul piano dell'autotutela, lecita nei limiti posti dall'ordinamento.

5. IUS E FAS NELL'ORDINAMENTO ROMANO Dalla fine del III sec. a.C. si riscontra la contrapposizione tra ius e fas, riportata a quella fra norme giuridiche e norme religiose. Le norme del ius avrebbero avuto un carattere più propriamente giuridico, mentre quelle del fas sarebbero state quelle di natura religiosa o etico-religiosa. Concettualmente, una commistione tra le due sfere non può esistere, ma può verificarsi il fatto che gli stessi comportamenti siano oggetto di valutazione dal punto di vista dell'ordinamento dello stato e di un ordinamento religioso. Questo accadeva nella Roma primitiva, dove si aveva un religione di stato e l'appartenenza alla civitas comportava necessariamente la partecipazione al culto cittadino. Le norme che riguardavano l'organizzazione della religione cittadina erano dunque norme dello stato. La rilevanza sul piano giuridico delle norme religiose ha lasciato traccia in alcuni istituti privatistici: per ottenere effetti vincolanti sul piano sociale si ricorre talvolta all'aspetto religioso. È possibile che già nel periodo arcaico vi fosse la distinzione fra un ius humanum, con risvolti laici, ed un ius sacrum , o divinum, che riguardava la religione di stato ed i rapporti con la divinità. Il ius sacrum si contrappone al ius humanum e forma un sistema normativo a sé stante, in cui le violazioni delle norme e le sanzioni venivano accertate ed inflitte dal pontifex maximus, che comunque rimaneva parte dell'ordinamento giuridico cittadino. Sin dalla tarda repubblica, però, si distingue la sfera della valutazione laica da quella religiosa e nei rapporti privatistici viene meno la rilevanza degli aspetti religiosi. Una netta inversione di tendenza si ha nel tardo-antico, con il progressivo assurgere del cristianesimo a religione di stato. La vocazione della Chiesa a monopolizzare la vita religiosa e a valutare ogni aspetto della realtà pratica in base ai parametri della fede ha giocato un ruolo decisivo. Una pari tendenza accentratrice era propria anche dell'ideologia imperiale: i detentori del potere avevano un grande interesse per la fenomenologia religiosa, che li portava ad un grande controllo su di essa e a porsi come difensori della religione. Quest'ingerenza del potere politico, detta cesaropapismo, portò il legislatore civile ad occuparsi anche degli aspetti teologici della religione.

6. ORDINAMENTO GIURIDICO E FONTI DEL DIRITTO Le norme che hanno vigore nell'ambito di una determinata comunità ne formano l'ordinamento giuridico. Oggi, tendenzialmente, si riconosce il carattere di norma giuridica anche alle norme rilevanti da un'organizzazione diversa dallo stato, purché ne sia assicurata la coercibilità. Le norme giuridiche che compongono un ordinamento trovano origine in fatti giuridici definiti come le fonti del diritto oggettivo. La vicenda delle fonti del diritto romano è differenziata nel tempo ed impone una trattazione diacronica. I cataloghi delle fonti proposti dagli stessi romani vanno valutati tenendo conto delle finalità concrete con essi perseguite. Dal I sec. a.C. le fonti del diritto romano sono enumerate in opere giuridiche. Gaio e Papiniano danno questo elenco di fonti: leges e plebis scita; senatusconsulta; constitutiones principum; edicta magistratum; responsa prudentium. Nel loro insieme, queste fonti formano il iura populi Romani. Alcune, però, n...


Similar Free PDFs