Nullità virtuali e nullità di protezione PDF

Title Nullità virtuali e nullità di protezione
Author Gege Gege
Course Diritto civile
Institution Politecnico di Bari
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Nullità virtuali e nullità di protezione...


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Nullità virtuali e nullità di protezione. Il codice del 1942 nell’invalidità distingue la nullità dall’annullabilità. La nullità attiene alla struttura dell’atto o alla sua funzionalità oggettiva, intesa come inidoneità del negozio ad essere sussunto nella fattispecie normativa delineata dal legislatore; l’annullabilità riguarda un atto che, benché idoneo al tipo legale, risulta carente sotto il profilo della sua funzionalità soggettiva, ossia del suo procedimento formativo. Un primo nodo interpretativo attiene alla portata della previsione dell’art. 1418.1, che afferma come il contratto sia nullo quando è contrario a norme imperative (c.d. nullità virtuale) salvo che la legge disponga diversamente. Mentre infatti i casi di nullità testuale non determinano alcuna incertezza, le nullità virtuali pongono sia il problema della loro differenziazione dalle ipotesi di nullità dipendente da illiceità, sia la questione della qualificazione come cogente della disposizione che si ritiene violata. Parte di dottrina ha messo in luce come le nullità virtuali sono da ancorare all’illegalità dell’atto negoziale, dovendosi riservare l’illiceità ai casi in cui l’oggetto o la causa del contratto siano contrari a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. Presupposti per l’operatività delle nullità virtuali sono la contrarietà dell’atto a una norma imperativa, la mancata previsione di una sanzione diversa dalla nullità, l’assenza della comminazione testuale della nullità e la presenza di tutti gli elementi essenziali dell’atto; altrimenti si avrebbe nullità testuale o strutturale. In giurisprudenza si è fatto ricorso alla nullità virtuale per proteggere interessi generali. A proposito delle nullità virtuali i giudici di legittimità hanno evidenziato come l’art. 1418 mediante la loro previsione ponga un principio generale di chiusura, volto a regolare i casi in cui alla violazione dei precetti imperativi assoluti non si accompagni una espressa comminatoria di nullità. Secondo la Suprema Corte quando le norme non sono derogabili dalla volontà dei privati, perché espressive di valori fondanti, tutto ciò che sia programmato o compiuto in contrasto con tali valori è interamente nullo (Cass. 7 marzo 2001 n°3272). La questione affrontata in sentenza riguardava l’esercizio abusivo del credito da parte di un intermediario non iscritto all’albo. Secondo i giudici la natura degli interessi protetti dalla legge 1 del 1991 fa sì che debba essere dichiarata la nullità dei contratti stipulati dall’intermediario non autorizzato. La normativa di settore mira infatti a proteggere interessi di carattere generale che trascendono quelli particolari della clientela, riguardando la regolarità dei mercati e la stabilità del sistema finanziario. La legge è stata nuovamente oggetto di attenzione nel 2007 da parte delle Sezioni Unite della Cassazione, chiamate a stabilire se la violazione delle regole di condotta imposte dal legislatore, e segnatamente dei doveri informativi, potesse dare luogo ad invalidità del contratto sotto il profilo della nullità virtuale. Nelle sentenze 26724 e 26725 del 2007, nel corso della motivazione i giudici hanno specificato come l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità dell’art. 1418.1, è ampia, comprendendo anche le norme che in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto (es. i contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione richiesta dalla legge). Secondo i giudici di legittimità in questi casi non si tratta di norme di comportamento. Secondo la Cassazione, se una norma imperativa non prevede per la sua violazione una specifica sanzione, è integrata dall’art. 1418, che commina la nullità salvo che la legge disponga diversamente. Si ritiene che in presenza di una norma priva della specifica sanzione della nullità occorre controllare la natura della disposizione violata; tale controllo si risolve nell’indagine relativa allo scopo che la legge intende perseguire e in particolare alla natura della tutela che mira ad assicurare, se di interesse pubblico o privato.

Se l’interesse tutelato è generale, e tale da osservarsi inderogabilmente da tutti senza possibilità di esonero per alcuni, la mancata previsione della nullità non rileva, sopperendovi l’art. 1418, che costituisce una norma di chiusura da cui si enuclea la categoria della nullità virtuale. In quest’ottica la nullità rappresenta uno strumento sanzionatorio che colpisce i contratti in cui le parti superano il limite di disponibilità dei propri interessi, interferendo con interessi pubblici. È emersa la problematica della qualificazione delle conseguenze discendenti dalla violazione di prescrizioni poste a tutela del corretto esercizio dell’autonomia negoziale. La questione è particolarmente controversa con riguardo agli effetti dell’accertamento dello squilibrio del rapporto dovuto alla presenza di clausole vessatorie. Sul punto gli studiosi si sono divisi tra quanti affermano l’invalidità dell’atto e quanti sostengono la sua inefficacia. L’opzione tra invalidità ed inefficacia dipende dal modo in cui si intende graduare la disciplina del rapporto contrattuale in relazione all’interesse che l’ordinamento preferisce salvaguardare. Si predilige l’inefficacia quando si attribuisce rilievo preminente alla prosecuzione del rapporto; si stabilisce la nullità quando si intende proteggere l’interesse all’osservanza dei limiti posti dall’autonomia contrattuale, potenzialmente confliggente col mantenimento in vita del vincolo viziato. Il legislatore codicistico in ambito di condizioni generali di contratto e di contratti per adesione ha optato per la soluzione dell’inefficacia. La dottrina maggioritaria ha affermato che l’art. 1341 descrive un fenomeno di tipo invalidante giustificato dalla mancanza di un requisito di fattispecie genetico, rappresentato dalla predisposizione unilaterale del contenuto negoziale, che dà vita ad un procedimento di conclusione del contratto diverso da quello delineato nell’art. 1326. In particolare si è sostenuto che le condizioni generali di contratto non conosciute o non rese adeguatamente conoscibili all’altra parte rientrerebbero in un caso di nullità relativa e parziale, pur se in giurisprudenza si ritiene che la nullità derivante dalla mancata sottoscrizione della clausola vessatoria sia eccepibile da chiunque ne abbia interesse e rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del procedimento. Il difetto dovuto alla mancanza di conoscenza della clausola vessatoria atterrebbe alla fase formativa del consenso. Una dottrina isolata, diversamente, ha tenuto a precisare che si tratta di una inefficacia non derivante da invalidità. L’esigenza di fare sopravvivere il contratto ha così aperto la porta ad una qualificazione in termini di inefficacia della clausola vessatoria. La questione teorica dell’esatta portata dell’inefficacia ha riguardato anche le clausole vessatorie di matrice comunitaria; il legislatore del codice del consumo ha sostituito il termine inefficacia con quello di nullità. Questa forma di nullità presenta caratteri inediti rispetto a quella contenuta nel c.c.; si tratta di una nullità di protezione che corregge il singolo rapporto quando condotte abusive del soggetto più forte allontanano il regolamento dai criteri di uguaglianza e giusta reciprocità tra diritti e obblighi; l’abuso consiste nell’utilizzare il potere unilaterale di autonomia per vessare la controparte. L’obiettivo diviene la conformazione dell’accordo ad un assetto contrattuale più giusto: il regolamento e il programma negoziale, una volta elisi i profili distorsivi, restano idonei a produrre gli effetti del contratto. La tendenziale rigida distinzione tra i caratteri della nullità e quelli dell’annullabilità è messa in crisi dalla comparsa di forme di nullità che vengono definite relative. L’elemento che consente di cogliere il tipo di invalidità comminata è rappresentato dalla natura dell’interesse protetto. La diversa portata della nullità rispetto all’annullabilità è stata sottolineata dalla Corte di Cassazione nella sentenza 3272 del 2001, in cui si legge che: è nullo il contratto contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente, nonché è nullo negli altri casi stabiliti dalla legge; però se è necessario richiamarsi alla legge per decidere della nullità, o annullabilità, tale

richiamo non offre sempre sicure soluzioni per l’ambiguità o l’insufficienza delle espressioni usate dal legislatore, per cui diventa indispensabile valutare, ogniqualvolta vi sia difformità tra fattispecie e schema normativo, se invalidità sussista e quale ne sia la portata, utilizzando come criterio di individuazione la natura degli interessi tutelati; in sostanza elemento qualificante della validità non è più la tutela dell’interesse del contraente, ma quella degli interessi generali. In sede interpretativa non si è mancato di evidenziare come l’evoluzione normativa e giurisprudenziale abbia imposto un adeguamento del sistema. Tale adeguamento si è attuato anche attraverso il riconoscimento dell’intervento di un soggetto estraneo al rapporto, qual è ad esempio l’associazione rappresentativa degli interessi del consumatore, in grado più del consumatore stesso di sbarrare il passo all’inserzione di clausole considerate abusive. Secondo la Cassazione si è giunti così ad attribuire all’azione collettiva quel valore centrale nell’ambito della tutela che la direttiva CEE 93/13 intende apprestare: si legge in sentenza che, solo se l’inibitoria collettiva è in grado di per sé di impedire che le clausole ritenute vessatorie possano produrre effetti per il futuro può essere ritenuta una forma di tutela efficace ed adeguata dei diritti dei consumatori, mentre se tale finalità fosse riservata esclusivamente alle azioni individuali la tutela collettiva sarebbe meramente virtuale e teorica, e quindi avrebbe un ruolo del tutto trascurabile e secondario nell’ambito degli strumenti a tutela del consumatore. La giurisprudenza afferma che la nullità che colpisce le clausole vessatorie inserite nei contratti stipulati col consumatore è una nullità di protezione avente natura anche sanzionatoria per il professionista che abbia abusato della propria posizione di contraente forte, volta dunque all’espunzione dal programma contrattuale degli effetti abusivi della clausola se dannosi per il consumatore; la conseguenza è l’inefficacia della clausola vessatoria nell’interesse del consumatore. Sul piano dell’inefficacia, i giudici di legittimità ribadiscono la piena coerenza dell’intelaiatura normativa a tutela del consumatore, sostenendo che l’effetto demolitorio di tipo assoluto che in concreto deriverebbe dall’esperimento positivo dell’azione inibitoria relativamente ad una clausola inserita nelle condizioni generali predisposte dall’ABI, non impedisce che la clausola vessatoria possa validamente essere apposta ad un singolo contratto se a seguito di negoziazione individuale sia superato lo squilibrio contrattuale derivante dalla previsione generale....


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