Ok, riassunto l\'isola di Arturo PDF

Title Ok, riassunto l\'isola di Arturo
Author Natalia Cioffi
Course Scienze della formazione primaria
Institution Libera Università Maria Santissima Assunta
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Riassunto completo del libro di Elsa MOrante L'Isola di Arturo...


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Riassunto Isola DI Arturo CAPITOLO 1 : RE E STELLA DEL CIELO. RE E STELLA DEL CIELO: Il nome Arturo deriva da una stella della figura di Boote, nell’emisfero boreale. Oppure si dice che appartenesse ad un grande re dell’antichità, comandante di una schiera di eroi. Il nome gli era stato dato dalla madre, morta di parto, all’età di 18 anni. È ritratta in una foto durante la gravidanza che la ritrae mentre si accarezza la pancia: occhi neri, posa timida e spaurita. L’ISOLA: L’isola di Arturo appartiene ad una delle 3 isola e di Napoli, Procida. Quest’isola è caratterizzata da un penitenziario che domina il paesaggio; è formata da colline e grandi campagne; ha strade in stile medievale con tanti giardini con frutteti su imitazione imperiale. Le spiagge sono chiare e delicate. Le case sono rustiche e appartenenti al mondo rurale. Presso il porto vi è una caffetteria. La sua proprietaria è vedova e veste sempre di nero, sinonimo di lutto; ella porta sempre con sé la foto del marito defunto. Vi sono molte barche da pesca al molo. Procida non è come Napoli, ma è una realtà taciturna e scontrosa. I suoi abitanti non si fidano dello straniero. Le donne non escono di casa e molte di loro vestono ancora in stile ottocentesco, con abiti lunghi e scialle in testa. NOTIZIE DI ROMEO L’AMALFITANO: La barca di Arturo si chiama Torpediniera delle Antille. La sua casa, invece, è un palazzo di due piani, oltre alle cantine e al solaio; è di colore rosa stinto ed è di forma quadrata; su di un battente del portone centrale è intagliata una porticina, che costituisce il passaggio usuale che i proprietari usano per entrare in casa. L’esterno della sua casa è composto da un giardino chiuso fra mura e con molte piante arbustive, segno di scarsa cura; tra l’altro, vi sono anche cianfrusaglie, tra cui una mobilia non più usata. In giardino vi è un carrubo siciliano; lì giace Immacolatella, la cagnetta di Arturo, che egli chiama così perché era bianca come la luna. La casa, dal giorno della sua costruzione e per oltre 2 secoli, era stata un convento di frati; poi, ospitò delle compagnie di militari e infine fu acquistata da un privato, Romeo l’Amalfitano, un ricco spedizioniere amalfitano di passaggio a Procida, il quale vi dimorò per circa 30 anni; inoltre, era cieco e misogino. La casa ospitava solo feste per uomini e per questo venne della Casa dei guaglioni. Questo insospettiva e rendeva gelose le donne dell’isola. Il padre di Arturo, Willheim Gerace, nasce da un’avventura tra il nonno e una maestra tedesca; lei sarà una ragazza madre che non avrà alcun aiuto da Antonio. Solo quando è orami vecchio, fece ricerche sulla donna, venendo a sapere che era morta, lasciando un figlio di 16 anni, in Germani; così, Antonio chiama il figlio a Procida per dargli il proprio cognome e l’eredità. Willheim ha una relazione di amicizia strettissima con l’Amalfitano, tanto da lasciargli in eredità la propria casa di Procida. La madre di Arturo fu l’unica ad avere accesso alla casa dei guaglioni; per questo si diceva che elle fosse morta a causa di una maledizione del proprietario misogino, secondo cui il suo odio per le donne rendeva loro fatale il soggiorno o anche il semplice ingresso nella Casa dei guaglioni. LA CASA DEI GUAGLIUNI: A causa delle lunghe assenze del padre, Arturo fu allevato prima da un garzone napoletano di nome Silvestro, poi, quando questi partì per il servizio militare, fu sostituito da un colone di nome Costantino, silenzioso e protettivo, che veniva solo per un paio di ore al giorno, per la cucina. Egli imparò a leggere e a scrivere grazie ai garzoni che lo allevavano; la casa era disordinata, priva di servitù, nonostante le ricchezze della famiglia. Era un antico refettorio dei frati, adibito poi per ospitare feste. Si alternavano alle pareti carta da parati francesi e affreschi di grandi dimensioni; vi erano: un camino, dei disegni, delle dediche, delle firme, come Taniello, che si trovava in una camera fuori uso; erano, questi, dei segni delle feste delle compagnie dei guaglioni, ai tempi dell’Amalfitano. Era un paradiso per Arturo, nel quale vi erano anche bestie ed animali; al riguardo, Arturo sostiene che gli fece visita una volta il bove marino, appartenente alla rara specie dei ruminanti anfibi, che alcuni dichiarano specie mai esistita, altri scomparsa. Arturo racconta che, dopo la morte dello spedizioniere, molti isolani che avevano partecipato alle feste in quella casa, vennero a reclamare oggetti e ricordi; ci fu, quindi, quasi un saccheggio, di costumi, maschere, chitarre, mandolini, bicchieri. Vennero, da Massa, anche dei parenti della madre defunta per prendere degli oggetti: rosario, corredo e vestiti. Nella camera del padre c’era una foto con dedica

dell’Amalfitano: lui in un ritratto molto serio, con capelli bianchi e portamento fiero, con al guinzaglio due cani. Ad Arturo ricordò la figura di Boote. LA BELLEZZA: Poiché il padre di Arturo è sempre in viaggio, che lo tengono lontano dall’isola e da lui anche per intere stagioni, l’infanzia di Arturo è caratterizzata da un principio di vita naturale per lui: la solitudine. In estate, Arturo e il padre indossano pochi indumenti. Mai la biancheria; a volte solo un pantalone e niente magliette, ad eccezione di una maglietta di cotone “troppo corta, tutta strappata e slentata”. In inverno, Arturo e il padre indossano non indossavano cappotti, ma solo dei maglioncini per coprirsi. Arturo ha occhi mori e capelli neri e ricci, mentre il padre ha capelli biondi, “labbra gonfie e occhi duri”, di colore turchinoviolaceo. CERTEZZE ASSOLUTE: Il padre di Arturo, che aveva 19 anni più di lui, era per Arturo l’immagine della certezza e qualunque cosa dicesse o facesse era per Arturo una legge universale. Il padre, di religione, era protestante; invece, Arturo, con il battesimo diventa cattolico ma quella sarà l’unica volta in cui entrerà in una chiesa. Il padre aveva una certa istruzione, per merito della madre maestra, dalla quale aveva ereditato anche dei libri. Anche Arturo aveva una certa istruzione grazie alle sue letture; e dai molti libri che Arturo legge (opere classiche o di genere scolastico o istruttivo, presenti nella Casa dei guagliuni) ne trae un proprio codice di verità assoluto: rispettare il padre; disprezzo per il pericolo e coraggio nel combattimento (la morte è un disvalore e bisogna essere guappi per affrontare le avversità della vita : LEGGE SECONDA);tradimento è bassezza; i concittadini di Procida sono inferiori alla famiglia Gerace ( e questa è una delle cause della sua solitudine: LEGGE QUARTA);nessun affetto è come quello della madre; le prove esistenti confermerebbero che Dio non esiste. LA ROCCA DEL PENITENZIARIO: I carcerati, a causa della loro alienazione forzata dalla società, erano gli unici tollerati dalla famiglia Gerace. Secondo Arturo, c’era un legame molto esteso e misterioso tra il penitenziario e Whilelm Gerace. Arturo considerava la cittadella del Penitenziario un posto lugubre e sacro, quindi vietato; non vi si è mai recato da solo, ma soltanto con il padre, durante alcune passeggiate. GUAPERIE INUTILI: I libri che maggiormente piacevano ad Arturo, erano quelli che celebravano il suo ideale di grandezza umana, che per lui era rappresentato dal padre. Arturo immaginava gli eroi dei suoi libri tutti biondi e somiglianti al padre; inoltre, immaginava che il padre partisse per conquistare i Poli o la Persia come Alessandro Macedone oppure che partisse per sconfiggere i corsari o i pirati o che egli stesso fosse un corsaro o un pirata. Ciò perché il padre non faceva mai parola dei suoi viaggi. Arturo tentava di accattivarsi il padre per viaggiare con lui, mostrandosi valoroso o impavido (camminava a piedi nude sulle scogliere bruciate dal sole o si tuffava dalle rocce più alte) ma con scarsi risultati. Idolatrava il padre NOTIZIE DI PUGNALE ALGERINO: Il padre perde un suo orologio durane un bagno nel mare e Arturo si mette alla prova per recuperarlo nel mare, con la maschera subacquea, prestatagli dal padre. Arturo lo ritrova pois su di uno scoglio asciutto e quando lo riporta al padre questi si ricorda di esserselo tolto e dice ad Arturo di esserselo dimenticato lì per colpa sua, poichè l’aveva chiamato per fargli ammirare un riccio di mare che aveva preso. Gli racconta degli aneddoti riguardanti l’amico che gli ha regalato l’orologio (sul cui quadrante c’era scritta la parola latina amicus); difatti il suo orologio gli venne regalato da un caro amico, dicendogli che questo orologio era un dono che simboleggiava il suo cuore. Ad Arturo non parve che si riferisse a Romeo, l’Amalfitano, ma a qualcuno incontrato durante i sui viaggi e che Arturo rinominò Pugnale Algerino. PARTENZE: Il padre di Arturo si prepara a partire in tutta fretta e anche questa volta, come sempre, i preparativi li fece all’ultimo minuto, in modo meccanico e con il viso distratto; Arturo, che come al solito lo stava a guardare con Immacolatella, questa volta trova il coraggio di chiedergli di partire con lui. Ma il padre gli dice che è ancora piccolo e che non è pronto a lasciare Procida. Così, anche questa volta, Arturo accompagna, in carrozza, il padre al porto, mentre Immacolatella segue di corsa la carrozza.

IMMACOLATELLA: Partito il padre, Immacolatella cercava di spronare Arturo a giocare, cercando di attirare la sua attenzione saltando in aria, “trasformandosi in un buffone…accostandosi impaziente a lui”. Arturo, invece, cercava di mandarla via ma la cagnolina riusciva sempre a coinvolgerlo nei suoi “giochi indiavolati”. Immacolatella fu l’unica amica di Arturo e fu l’unica a consolarlo durante i viaggi del padre. Conversava con il suo padroncino con una specie di linguaggio dei muti, era amante dell’audacia e dell’avventura e lo seguiva sempre durante i giri che Arturo faceva per l’isola. Solo ad otto anni la cagnetta rimane incinta. NIPOTE D’UNA ORCHESSSA? Arturo un giorno trova una fotografia della nonna della Germania: era una foto che ritraeva diverse donne di cui una contrassegnata con una croce, mentre sotto la foto vi erano scritte delle parole in lingua tedesca ma dall’aspetto della donna, Arturo capisce che si trattava della nonna. Quando, però, corse dal padre a mostrargli quella foto; il padre gli confermò che si trattava della nonna, ossia di sua madre, dicendo, con una smorfia di ripudio : ”Sì, è tua nonna, sì, è mia madre…anzi, per fortuna, fù”. Da questo atteggiamento del padre, Arturo capisce che vi è risentimento tra quest’ultimo e sua nonna. Arturo non poteva contraddire il padre e così capisce di essere il nipote di una persona cattiva, di una Orchessa. Non riuscirà più a trovare quella foto ricordo della nonna, poiché nascosta dal padre. DONNE: Ad eccezione della madre, Arturo pensava che le donne non avessero nulla di importante né era interessato ad indagare i loro misteri. Tutte le grandi azioni di cui egli leggeva sui libri erano compiute da uomini e riteneva anche che l’amore fosse un’impossibilità fantastica. Secondo lui, le donne non avevano nessun pudore e nessuna magnificenza: erano esseri piccoli che passavano la loro vita rinchiuse nelle stanze. Erano sempre affaccendate e sfuggenti, probabilmente perché erano brutte e si vergognavano; i loro occhi erano tutti neri e i loro capelli scuri, rozzi e selvaggi. Infatti, quando nasceva una femmina, a Procida, la famiglia era scontenta. LA TENDA ORIENTALE: Della madre ad Arturo resta solo una fotografia in cui ella non appare più bella delle altre donne; però, Arturo da ragazzino non l’ha mai paragonata alle altre donne, chiedendosi se fosse bella o brutta, in quanto per lui era usa madre e basta. Da grande si rende conto che la madre in quel ritratto appare come una ragazzina, con un contegno serio e raccolto ma con un volto da bambina. Ma da piccolo egli vedeva in qual ritratto solo una madre; pensava a lei come a colei che gli sarebbe stato sempre fedele, alla persona con cui avere confidenza e con la quale conversare. Da piccolo, di notte, rimpiangeva le carezze della madre e, per addormentarsi, abbracciava Immacolatella. Non credeva nel Paradiso ma immaginava che la madre abitasse su di una tenda orientale, alzata fra il cielo e la terra. La madre di Arturo, morta a 18 anni, è sepolta a Procida. Questo fa sì che il giovane non si stacchi mai da questa terra. ATTESE E RITORNI: c’è un’altra ragione per cui il piccolo Arturo non vuole abbandonare Procida: suo padre, che era continuamente in viaggio, mentre Arturo lo aspettava sempre a Procida. In particolare, ad Arturo sembrava insopportabile il sospetto che durante la sua assenza, potesse ritornare a Procida suo padre; tant’è che un giorno che si era allontanato con Immacolata sul Torpediniere delle Antille, giungendo quasi a Ischia, gli venne una nostalgia così forte nel vedere Procida così lontana, che tornò immediatamente indietro. Il padre non gli scriveva mai per fargli avere notizie, eppure Arturo pensava continuamente a lui e lo immaginava in chi sa quale paesaggio o stanza, in compagnia di gloriosi stranieri. Ogni giorno, sperando ne suo ritorno, Arturo e Immacolatella si recavano al porto ad aspettare l’arrivo dei piroscafi da Napoli. Inoltre, a volte era convinto che suo padre fosse tornato a Procida e che lo chiamasse o che fosse seduto in un bar dell’isola a bere del vino per ristorarsi, mentre poi, spesso, non era così. Alcune volte, invece, capitava che, tornato a casa, trovasse veramente suo padre, appena di ritorno, sul letto a fumare una sigaretta. ALTRE NOTIZIE SULL’AMALFITANO: Il padre di Arturo, pur avendo molti amici, non li portava mai a Procida, perché per lui a Procida esisteva un solo amico e non doveva esserci che lui, ossia Romeo l’Amalfitano e se avesse portato altri amici sull’isola, sarebbe stato come spezzare una promessa fatta. Il padre racconta che quando arrivò a Procida, gli unici che lo accolsero bene furono gli 8 cani dell’Amalfitano, che il padre riuscì

ad avvicinare per guardare, arrampicandosi fin su la Casa dei guaglioni. E in quell’occasione fece anche la conoscenza di Romeo e da allora divennero amici stretti. Inizialmente, il padre si recava a Trovare Romeo non perché si divertisse ad ascoltare le chiacchiere “di un vecchio, perfino cieco”, ma per giocare con i cani, anche se Romeo lo considerava come il figlio che non aveva mai avuto. Così, Amalfi (come Wilhelm usava chiamare Romeo) gli chiedeva di descrivergli com’era fisicamente e lui si inventava sempre descrizioni diverse e fantasiose; inoltre, gli diceva che sperava, una volta morto, di poterlo vedere, anche se gli sarebbe dispiaciuto vederlo con altri amici, e Wilhelm rispondeva che, sicuramente, avrebbe avuto altri amici, creando, nel povero vecchio, grande dolore. Ma, più di tutto, l’anziano cieco aveva paura che Wilhelm potesse lasciare Procida, mentre lui, per i 2 anni che Romeo fu in vita, non si allontanò mai dall’isola, finchè una notte, mentre lui dormiva nella Casa dei guaglioni, morì all’improvviso senza che potesse salutarlo. Per questo motivo, allora, si era disperato tanto, singhiozzando e insultandolo perché era morto senza prima dargli un ultimo saluto. Così iniziò a rimpiangere le giornate che aveva trascorso lontano da lui, lasciando l’Amalfitano solo ad aspettarlo e cominciò a pensare che mai avrebbe potuto incontrare un essere altrettanto meraviglioso. E si pentì dei dispetti che gli faceva quando era ancora in vita, dispetti in cui coinvolgeva anche i cani, come quando Wilhelm si nascondeva fingendo di sparire mentre il vecchio parlava e i cani, invece di aiutare il loro padrone nella ricerca di Wilhelm, aizzati da quest’ultimo si mettevano ad abbaiare, facendo un gran chiasso. Forse i cani, pentiti da questi dispetti dopo la morte del loro padrone, si suicidarono, se, come racconta Arturo “è vero che han fatto questa tragica fine, come sembra!”. Ad ogni modo, Wilhelm, per salvare la loro amicizia dalla morte, giurò che per quanti amici egli potesse avere in futuro, li avrebbe sempre esclusi da Procida, “dove i nomi uniti di Wilhelm e Romeo sono scritti perfino sui sassi, perfino sull’aria”. UN SOGNO DELL’AMALFITANO: Romeo dà in eredità a Wilhelm una casa, oltra al denaro da unire all’eredità di Antonio Gerace. Romeo, però chiede a Wilhelm : di riservare solo a lui la sua amicizia, almeno sull’isola di Procida; di abitarci non da solo ma con una moglie ( perché tu sei di quelli che, se non hanno una moglie ad aspettarli in qualche posto, non ce la fanno a tenersi in vita); di ritornare qualche volta a Procida, perché sa bene che è impossibile impedirgli di partire, poiché, a causa del suo sangue misto è come un animale ribelle che non può essere incatenato; infine, Romeo dice a Wilhel di aver sognato di essere un giovane elegante e baldanzoso, con un vestito da turco di seta gialla; se ne andava canticchiando in giro per un posto dell’Asia e con lui non c’era nessuno ma solo prati di rose; era contento, aveva la bocca dolce e intorno sentiva sospirare; di questo fatto se ne spiegava chiaramente la ragione sia nel sogno che nella realtà: le persone nascono o ape o rosa; e secondo lui Wilhelm è nato col destino più dolce e più amaro, poiché è sia ape che rosa (l’ape è la più fortunata , perché ruba a tutte le rose un po' di miele; mentre la rosa ha in sé il proprio miele e non ha bisogno di cercarlo altrove, anche se qualche volta sospirano di solitudine). ULTIMI AVVENIMENTI: Si concludono i ricordi di Arturo all’età di 14 anni, con Immacolatella a 8 anni, incinta di un cane nero e riccioluto; Immacolatella, come la madre di Arturo, morirà di parto insieme ai suoi piccoli, dopo che Arturo ha invano tentato di salvare. Il padre, di ritorno dai suoi viaggi, per la prima volta lo informa della sua destinazione e della sua data di ritorno. Da tempo è fidanzato con una napoletana e ripartiva per sposarsi con lei a Napoli; così, chiese ad Arturo di andare ad aspettarli, il giovedì successivo, al piroscafo delle tre, al molo. CAPITOLO 2. UN POMERIGGIO D’INVERNO. Arturo si reca dunque al porto all’ora stabilita per aspettare il padre e la sua sposa, Nunziatella. Ella, al suo arrivo, porta con sé una borsa e una valigia; indossava delle scarpette nuove, di pelle lucida con fibbia dorata e tacchi alti, ma aveva difficoltà a camminare con quelle scarpe; ha occhi neri e capelli scuri avvolti in uno scialle. Indossava la fede nuziale, mentre il padre no. Quando il padre, con il consenso, di Nunziatelle, propone ad Arturo di chiamarla mamma, in Arturo nasce un sentimento di rivolta contro il padre, che, dunque, dice al figlio che può chiamarla semplicemente con il suo nome. Entrati nel castello Gerace, ella si stupisce soprattutto per la grandezza della cucina, in quanto la

ragazza, che da poco aveva compiuto 16 anni, nella sua casa di Napoli non aveva una cucina ma solo un fornetto, poiché la sua casa era costituita da un’unica stanza in cui viveva con la mamma e la sorella. Dopo che Nunziatella si fu tolta le scarpe e indossato delle ciabattine larghe e consumate, Arturo notò che non era molto più alta di lui, così come le era sembrato all’inizio, che aveva la pelle chiara e pura, con tanti boccoli che le toccavano le spalle. La borsa, da cui non si staccava mai, conteneva in realtà della bigiotteria che le aveva regalato il marito, facendole credere che fossero veri, mentre di veramente prezioso c’era solo un ramo di corallo e un anello inciso con una madonnina, regalatole alla cresima. Per la notte, il padre di Arturo decise di sistemarla inizialmente in una stanza a parte, ma dopo che ella iniziò a ripetere insistentemente che non poteva dormire da sola, Wilhelm decise di sistemarla nella sua camera da letto, ma in un lettino ai pedi del suo letto grande. Arturo, poi, vide che nella valigia che la sposa aveva portato con sé, ella aveva pochi indumenti vecchi e molte immagini della madonna (giacchè ella era molto religiosa) che sistemò in una stanza affianco alla camera da letto, insieme alla sua roba. Quando poi, il padre di Arturo va a riposarsi per qualche ora, lui resta solo con Nunziatella e iniziano a parlare. Lei gli racconta di avere una storia simile alla sua, giacchè anche lei ha perso (oltre che a diversi fratelli e sorelle morti molto piccoli-la sua famiglia era composta da 9 figli) il padre e un fratello, Vito, nell’incidente della pozzolana; le dice anche che suo fratello era simile ad Arturo: ragionava sempre, pensava sempre e per q...


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