Parlare AL Vento Prefazione alla traduzione italiana PDF

Title Parlare AL Vento Prefazione alla traduzione italiana
Course Comunicazione e processi culturali
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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appunti riassuntivi ...


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PARLARE AL VENTO Prefazione alla traduzione italiana Uno degli assunti centrali del libro è che le parole funzionino come dei portali verso il passato e ci permettono di scavare nella cultura e nella storia. Una di queste parole è “comunicazione”, che pur essendo un termine indicante nuove tecnologie, pone tuttavia anche problemi antichi. Il luogo archeologico di tale libro è maggiormente anglo-americano, dove la comunicazione ha un’impronta fortemente spiritualistica. Inoltre l’esperienza della comunicazione, che funge da ponte tra passato e presente, è appropriata alla storia americana per l’interesse del controllo della distanza: negli USA la comunicazione potrebbe essere vista come un’estensione di una terra vergine. In Italia il concetto di spazio e tempo è ben diverso; qui la presenza silenziosa di un passato classico nella cultura e nel linguaggio porta gli autori a non pensare alla comunicazione come disancorata dalle arti e dal corpo. Dunque, in un’epoca in cui l’impero americano si estende con la sua cultura, una critica del desiderio di una comunicazione disancorata dal corpo risulta essere addirittura urgente per i lettori italiani. Introduzione Il problema della comunicazione Nonostante gli esseri umani siano stati denominati da Aristotele “animali che parlano”, solo dalla fine del XIX secolo l’uomo si definisce attraverso la sua capacità di “comunicare”. Le implicazioni etiche ed intellettuali di questo cambiamento in termini di auto-comprensione dell’uomo non sono state sufficientemente trattate. Lo scopo dell’autore (Peters) è quello di individuare le origini delle idee moderne di comunicazione e di comprendere per quale motivo l’esperienza della comunicazione nella modernità è segnata da vicoli ciechi: alcuni dilemmi della nostra epoca si fondano su una comunicazione non riuscita. Un articolato gruppo di studiosi/artisti ha trattato tramite opere teatrali, artistiche e letterarie l’assurdità della comunicazione fallita; accanto alla comunicazione tra uomini vi sono anche altri orizzonti: comunicazione con gli animali, con extraterrestri o con le macchine. La comunicazione è il repertorio dei desideri moderni, e il termine indica un’utopia per la quale non rimane nulla di incompreso. La brama di comunicazione indica un profondo senso di abbandono nelle relazioni sociali: solo l’uomo moderno può sentirsi lontano pur trovandosi faccia a faccia con un altro individuo. Si può dire che la comunicazione è dunque anche un complesso di elementi culturali e intellettuali che struttura il modo in cui il nostro tempo si rapporta a sé stesso. La storicità della comunicazione Lo scopo dell’autore è di raccontare la storia di come la comunicazione sia diventata così problematica per l’uomo. La strategia da lui utilizzata si basa sui modi di narrazione storica di Walter Benjamin: il primo modo è lo storicismoche considera la storia come una successione di eventi lungo un continuum spazio-temporale omogeneo, lo studioso ha solo bisogno di chiedere e la storia dovrebbe fornire risposte; l’altro modo vede in ogni atto di narrazione storica un principio costruttivista, dunque il tempo è pieno di rotture e discontinuità. Inoltre Benjamin ritiene che il presente possa diventare accessibile poiché connesso con un momento passato: c’è una sorta di simultaneità sia nello spazio sia nel tempo; la moda illustra tale simultaneità poiché ripropone stili del passato nel presente. Egli si limita a rendere esplicito il ruolo attivo dello storico nell’individuare i nessi che legano epoche differenti. Anche la comunicazione è un problema che sconcerta gli uomini in ogni periodo storico, l’uomo infatti ha una comunicazione diretta soltanto con sé stesso, ma la trasmissione di informazioni immediata tra più individui non è garantita in nessun modo. Nel tardo XIX sec furono coniati due termini che caratterizzano l’orizzonte intellettuale: solipsismo e telepatia, entrambe riflettono una cultura individualistica in cui le mura che circondano la mente dell’uomo sono diventate una questione problematica. Grazie all’elettricità, la

comunicazione poteva aver luogo prescindendo dalla distanza o dalla corporalità: essa è “veloce come un lampo, sottile come l’etere, muta come i pensieri d’amore”. Nell’esaminare i media (posta, telefono, radio ecc) l’attenzione di Peters è incentrata su come tali mezzi hanno reso possibile il concetto di comunicazione con tutti i suoi fallimenti: le possibili interruzioni di trasmissione di informazioni-es. segnali incerti-hanno da allora iniziato a descrivere anche i problemi di interazione sociale faccia a faccia. La comunicazione viene definita per contrasto con le sue degenerazioni e come problema di intersoggettività. I diversi significati di “comunicazione” Nel corso delle epoche la parola “comunicazione” ha assunto diversi significati, seguendo 7 filoni differenti: 1) Il termine “comunicare” entrò nel linguaggio inglese tra il XIV e il XV secolo. Il significato che questo termineassumeva non era inteso in senso mentalistico, ma indicava un esperiente statistico grazie a cui un oratore assumeva la voce di un antagonista. 2) Un ramo semantico attribuisce al termine “comunicazione” il significato di appartenenza ad un corpo sociale attraverso un atto espressivo. Per esempio comunicare attraverso il consumo di vino indica un’appartenenza ad un gruppo di bevitori. Altro significato di questo ramo è anche connessione o collegamento per quanto riguarda i mezzi di trasporto. 3) Un terzo significato allude al concetto di trasmissione di calore/energia o luce o in riferimento alle trasmissioni unidirezionali della pubblicità. 4) Un quarto ramo della parola comunicazione è trasmissione a due vie, ovvero scambio che predilige una sorta di reciprocità.Ne è un esempio il passaggio di segnale di una email. 5) Comunicazione può anche indicare i diversi modi di interazione simbolica nel momento in cui l’uomo di esprime come un altro individuo. 6) Un ulteriore significato più generale del termine è quel meccanismo attraverso cui si sviluppano le relazioni umane tramite i mezzi e i simboli. Le comunicazioni sono dunque istituzioni in cui le idee, le informazioni sono ricevute e trasmesse. 7) Infine la parola “comunicazione” traccia un ambito di ricerca: la storia naturale della nostra specie parlante che è prevalentemente comunicativa. Gli anni venti come crocevia del dibattito teorico In due momenti del XX secolo la comunicazione fu un argomento molto dibattuto: dopo la prima e dopo la seconda guerra mondiale. Lo spettro di una individualità claustrofobica si nota nell’arte e nel pensiero sociale del XX secolo, insieme con la paura dell’impossibilità di comunicare. Vi erano 5 diverse opzioni intellettuali della teoria della comunicazione già negli anni 20: 1) Nel pensiero sociale la comunicazione indirizzata su tematiche come follia, massa o pubblico era di maggiore rilievo soprattutto nelle opere di Lippman, Shmitt e Freud. Tra tutti questi autori il termine comunicazione significava da una parte la diffusione di simboli persuasivi allo scopo di controllare l’opinione della massa. L’esperienza della prima guerra mondiale dimostrava infatti che i simboli erano fattori primari di organizzazione sociale. Le considerazioni circa questo controllo sulle masse era differenti tra gli autori/politici: Lippman sosteneva l’impenetrabilità delle persone, mentre il teorico marxista Luckàcs considerò l’arte dell’organizzazione come una vera e propria questione intellettuale finalizzata alla rivoluzione. In questo panorama la comunicazione aveva il potere di legare insieme una popolazione distribuita geograficamente in maniera stesa, dunque essa aveva il compito di disgregare o creare l’ordine politico. 2) Una seconda interpretazione vedeva la comunicazione come un mezzo per eliminare le divergenze semantiche e quindi per rendere le relazioni sociali più razionali. Il miglior documento che accoglie questa interpretazione è “il significato del significato” dei critici Ogden e Richards, in cui la comunicazione è vista come piena condivisione di coscienza. Il loro progetto era

una scienza del simbolismo che avrebbe avuto applicazione nella risoluzione dei problemi di interazione sociale, questo perché essi ritenevano che le maggiori incomprensioni tra umani erano dovute alla confusione delle funzioni simboliche del linguaggio. Vi erano due punti di vista circa questa soluzione: Lippman riteneva che l’unico modo per ristabilire ordine tra rapporti umani fosse il passaggio dei ruoli di responsabilità dal popolo agli esperti; Ogden e Richardsinvece auspicavano un’educazione del pubblico che avrebbe dato risultati non solo a livello internazionale ma anche a livello interpersonale. 3) Accanto all’uso speculativo della parola a fini di controllo sociale, era necessario ritornare al significatosemantico del linguaggio, che avrebbe funzionato da medium per le esigenze dell’uomo. A livello interpersonale il rischio principale dell’uso scorretto delle parole era il fraintendimento dell’intenzione durante la condivisione delle idee. Per Ogden e Richards la comunicazione significava un “incontro di menti”, grazie alla conoscenza di più locuzioni alternative possibili. La psicologia, per i due teorici, rimane l’unica scienza per studiare la comunicazione, poiché se i significati delle intenzioni non risiedono nelle parole ma nelle menti dell’uomo, bisogna interrogarci sulla psicologia umana. La loro paura era del solipsismo (dottrina metafisica che considera la realtà come semplice rappresentazione del soggetto). 4) Heidegger, in “Essere e tempo” si mostrava critico nei confronti di ogni concetto di comunicazione riconducibile all’idea di condivisione mentale. La comunicazione infatti non è da intendere né semanticamente, come scambio reciproco di significati, né pragmaticamente, come coordinamento di azioni; bensì essa doveva essere concepita nel senso di una apertura del mondo ovvero la scoperta dell’alterità. Tuttavia anche per Heidegger la comunicazione comporta un rischio: l’inautenticità. 5)Dewey espresse delle preoccupazioni circa la distrazione che allenta i legami tra uomini in una società. A differenza di Lippman, egli riteneva che la mediazione del pensiero attraverso il linguaggio non fosse pericolosa, bensì utile e necessaria; inoltre accoglieva l’idea di consolidare la comunicazione su larga scala attraverso l’uso di simboli e di pratiche. In accordo con Mead, Dewey comunicazione significava prendere parte a un mondo collettivo, e non condividere i segreti della coscienza; per questo motivo la comunicazione è sempre motivo di problemi politici di democrazia. Per riassumere, negli anni 20 sono chiare 5 concezioni di comunicazione: 1)Comunicazione come controllo dell’opinione delle masse. 2) Comunicazione come eliminazione della nebbia semantica. 3) Comunicazione come brevi escursioni del sé. 4)Comunicazione come scoperta dell’altarità. 5) Comunicazione come orchestrazione dell’azione. La varietà delle concezioni di comunicazione è dovuta alle varietà delle pratiche:-Heidegger predilige il carattere misterioso del linguaggio che preme sull’impossibilità della comunicazione di rivelare il senso nascosto delle cose. Inoltre per il filosofo la comunicazione rivela la nostra simultanea unità come esseri sociali. -Ogden e Richards puntano sulla chiarezza universale del significato delle parole; tale progetto è rappresentato dallo studio della semantica che permetteva l’incontro tra due menti. -Dewey si concentra sulla liberazione estetica del linguaggio che permetteva la costruzione della comunità. Ognuna di queste 5 concezioni di comunicazione è anticipata da dottrine precedenti, come quelle del filosofo latino Giovenale, che vedeva la comunicazione come “pane” per soddisfare le masse, o di John Locke che auspicava tramite la comunicazione un ricongiungimento mentale tra più individui (come Ogden e Richards). Infine la comunicazione divenne tematica fondamentale del Pragmatismo inglese (corrente filosofica del XIV secolo fondata sulla connessione tra conoscenza e azione dell’uomo). Oggi i maggiori filosofi della comunicazione sono Habermas e Lèvinas: -Habermas si avvicina alla tradizione di Dewey, sostenendo che la comunicazione sia una forma di azione che implica sia un sé moralmente autonomo sia la creazione di una comunità democratica. La comunicazione per il filosofo non è condivisione di coscienze, bensì è il coordinamento di azioni orientate

alla giustizia, dunque il termine ha una sfumatura normativa. -Lèvinas appoggiava il pensiero di Heidegger, interpretando la comunicazione non come scambio informativo, ma come un abbraccio: l’insuccesso di comunicare non è un fallimento morale, ma è un progetto mal concepito che porta l’uomo a sviluppare altri modi di interpretare un altro individuo tramite generosità, amore e compassione. Conclusione: secondo Peters è scorretto affermare sia che la comunicazione nel senso di condivisione della mente sia impossibile, sia escludere tuttavia che ci siano degli abissi tra il sé e gli altri. Vi è un paradosso del linguaggio: da una parte esso è un emblema oscuro che non trasmette in realtà ciò che l’uomo crede di esporre all’altro, dall’altra parte esso riesce ad assicurare un efficace coordinamento dell’azione sociale. Discorsi tecnici e terapeutici dopo la seconda guerra mondiale Negli anni 30 cominciarono a svilupparsi i presupposti per l’opposizione tra comunicazione di massa e comunicazione interpersonale; inoltre in questo decennio ci fu l’ascesa della tradizione della ricerca sociale sugli effetti dei nuovi mass media. La successiva esplosione di interesse intellettuale per la comunicazione avvenne dopo la Grande Guerra, periodo in cui si sviluppò la teoria dell’informazione. La teoria delle comunicazioni del 1948 di Shannon fu applicata a vari ambiti della vita umana: dall’informazione in termini scientifici nei settori della termodinamica, geografia, fisica, all’informazione come ordine sociale e politico ottenuto tramite un’istruzione accademica. Tutte le indagini sulle questioni umane si dovevano ora fondare su una trinità di concetti: informazione, comunicazione e controllo (Beninger). Questa nuova concezione di comunicazione abbatteva le barriere che dividevano esseri umani, animali e macchine, poiché qualunque cosa elaborasse informazioni diventata anche un soggetto per la comunicazione. Tuttavia la ricerca di connessione autentica con altre persone fu anch’essa parte di questo ampio movimento culturale. Il progetto terapeutico costituì infatti un notevole interesse nel periodo postbellico: la comunicazione era vista come un metodo chiarificatore sia a livello internazionale sia a livello interpersonale. Carl Roger fu il leader dell’approccio terapeutico della comunicazione incentrato sull’individuo: il fallimento della comunicazione era dovuto, secondo lo psicologo, alla condizione del nevrotico; compito della psicoterapia è di aiutare le persone a ottenere una buona comunicazione in primis con sé stesso, da cui ne sarebbe derivata una buona comunicazione con gli altri. Secondo Roger la virtù principale per ottenere una buona comunicazione era la capacità di uscire dalla prospettiva privata per assumere il punto di vista dell’altro individuo; inoltre egli voleva estendere questo modello di interpretazione anche a contesti più ampi come le relazioni tese tra due nazioni differenti. Le grandi speranze riposte nella comunicazione in quanto fattore di educazione e di terapia erano accompagnate da un costante presentimento di pericolo soprattutto durante la Guerra Fredda. Negli anni 50 gli abissi del sé solitario dell’uomo affiorarono nuovamente nelle opere degli autori e nelle trasmissioni televisive. Furono coniate le famose 5 A della teoria della società di massa: alienazione, anomia, anonimità, apatia e atomizzazione. Questa visione negativa della comunicazione è dovuta da un lato dal perfezionamento dei mezzi di dialogo umano, dall’altro dall’altrettanta creazione dei mezzi di distruzione di massa. L’oggetto simbolo di questa contraddizione è la bomba che evoca l’entusiasmo della nascita di nuove tecnologie, ma suscita anche ansietà per lo sterminio della specie. Nel dopoguerra dunque ci sono due discorsi dominanti: uno tecnico sulla teoria dell’informazione e uno terapeutico sulla comunicazione come cura e malattia. Entrambe le concezioni pretendono che i problemi di contatto umano possano essere risolti con il miglioramento delle tecnologie e delle tecniche di interazione sociale. Conclusione: Secondo Peters questi problemi sono intrattabili: la comunicazione

rimarrà per sempre un nodo nella condizione umana; il senso di mistero di tutti i diversi modi di comunicare assicura un modo di vivere più sano poiché molto dipende dalla cieca fortuna, dalla personalità, dal luogo e dal tempo. “L’ideale di comunicazione sarebbe una condizione in cui l’unica cosa che sopravvive alla nostra reciproca diversità è il piacere che la differenza stessa rende possibile”. Capitolo 1 Dialogo e disseminazione In alcuni ambienti il dialogo ha raggiunto una considerazione di santità in virtù della sua reciprocità e interazione. Lamentarsi dei media perché distorcono il dialogo è soltanto, secondo l’autore, una perdita di tempo; la mancanza di dialogo è dovuta agli interessi che si celano dietro i new media che traggono profitto trasformando gli ascoltatori in osservatori passivi (piuttosto che partecipanti). L’alterazione del dialogo è una delle tante possibilità che caratterizzano la civilizzazione, in meglio e in peggio; inoltre le alterazioni rendono possibile comunicare attraverso le culture, lo spazio, il tempo, i morti e molto altro. La “comunicazione felice” dipende soprattutto da simboli che si disperdono, come l’immaginazione, la libertà e la solidarietà tra individui. Peters si propone di riscoprire sia i punti forti del dialogo sia altre forme non dialogiche tramite un confronto tra il sostenitore del dialogoSocrate e il sostenitore della disseminazioneGesù; l’obbiettivo dell’autore (Peters) è di indagare su quali forme comunicative siano più adatte per un’organizzazione politica democratica e una vita etica. Sia Socrate che Gesù davano insegnamenti sull’amore, in vista di effetti differenti. Socrate, nel Fedro di Platone, offre un orizzonte di pensiero sull’attività discorsiva dell’uomo: la vita eroica del linguaggio; l’opera tematizza la necessità di un amore intimo che lega due amanti. Socrate vede la scrittura come una coltivazione problematica, la sua attenzione si concentra infatti sul mittente e sulla seminazione di informazioni e non sul ricevente. -Gesù, con le sue parabole, fornisce una visione di disseminazione accessibile a tutti coloro interessati, e non a un gruppo ristretto di persone, ne consegue che l’amore diffuso è benevolo allo stesso modo per chiunque. Gesù offre un modello incentrato sul ricevente. Dialogo ed Eros nel Fedro Nel Fedro Socrate esplicita ciò che è implicito nella maggior parte delle preoccupazioni circa la comunicazione del XX secolo: il desiderio di contatto con un individuo intoccabile; la perdita della presenza ha da sempre rappresentato il punto di partenza della riflessione sulla comunicazione. Nel Fedro la questione non è sui media, ma sull’amore. Per Socrate il problema non è l’unione di menti, ma l’unione di desideri: è l’Eros che dovrebbe rappresentare il principio cardine della comunicazione. Il dialogo segna sia il sogno della comunicazione sia l’incubo della sua rottura nelle forme dei nuovi media. Storia: Fedro, scritto da Platone probabilmente intorno al 370 a.C., è un dialogo tra due personaggi: Fedro e Socrate. Il giovane Fedro, reduce dall’aver ascoltato un discorso di Lisiasull’amore, incontra Socrate e gli riassume, ancora eccitato dall’emozione, gli argomenti dell’orazione, che a lui è parsa insuperabile. Socrate finge di condividere l’entusiasmo del giovane compagno di passeggiata, pur rilevando che, quando parlano i sofisti, è alla forma che bisogna badare, più che alla sostanza delle argomentazioni. In realtà, prosegue Socrate – costruendo a sua volta un suo discorso sull’amore – non è accettabile il paradosso di Lisia, secondo il quale è ragionevole cedere alle lusinghe di uno che non ci ami (di età superiore) – perché equilibrato, sereno e prudente – piuttosto che a quelle di un innamorato, che è sempre pericolosamente instabile ed egoista. L’amore è ...


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