Letteratura italiana dal 1200 al 1600 PDF

Title Letteratura italiana dal 1200 al 1600
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Course Storia della lingua italiana
Institution Università degli Studi di Genova
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Letteratura italiana da ‘200 al’600 in sintesi La scuola siciliana La scuola poetica siciliana, sorta attorno al 1230 negli ambienti che gravitavano attorno all'imperatore e re di Sicilia Federico II di Svevia, produsse la prima lirica in volgare italiano. Nella sua corte a Palermo si raccolsero le figure più rappresentative dell'epoca, venne dato un notevole impulso alla poesia provenzale in lingua d'oc. Proprio da questa tradizione ebbe origine la "scuola siciliana", come fu definita da Dante nel De vulgari eloquentia. Dominante in assoluto nei poeti siciliani la tematica d'amore. Lo stesso re Federico II e i suoi due figli Enzo e Manfredi si dedicarono all'attività poetica, pur senza raggiungere livelli di eccelsa qualità. Il poeta sicuramente più significativo fu Iacopo da Lentini (circa 1210 - circa 1260), riconosciuto da Dante (Purgatorio, canto XXIV) come fondatore della scuola siciliana e al quale è probabilmente attribuita l'invenzione del sonetto. Cielo d'Alcamo autore del contrasto (dialogo) Rosa fresca aulentissima tra la donna, almeno inizialmente ritrosa, e l'innamorato.

Il Dolce Stil Novo Nuova poetica letteraria che sorse per prima a Bologna, poiché proprio qui nacquero inizialmente le prime università, ma ebbe la sua massima fioritura a Firenze nel periodo 1280-1310. Il fondatore fu il bolognese Guido Guinizzelli ( autore della canzone Al cor gentil rempaira sempre amore, che incontrerà invece la critica di Bonagiunta nel suo Voi ch’avete mutata la mainera), mentre i suoi successori furono tutti toscani: Guido Cavalcanti, Lapo Gianni Cino da Pistoia e il più grande Dante Alighieri. Per gli stilnovisti l’amore non si basa più sul semplice corteggiamento esteriore; la donna diventa una forma di tramite fra Dio e l’uomo tanto da rappresentare la sua salvezza spirituale per quest’ultimo. Guido Cavalcanti rappresenta la personalità più rivelante del gruppo degli stilnovisti.

Umanesimo latino e volgare Movimento culturale sviluppatosi dalla fine del ‘300 fino a poco oltre la metà del ‘400. Si tratta di un’esperienza culturale in primo luogo italiana, che ha il suo centro di massima fioritura a Firenze. Anche altri centri italiani, come Milano, Venezia, Roma e Napoli, hanno un ruolo determinante per lo sviluppo di nuovi ideali intellettuali e filosofici, che a loro volta stimolano un’attività culturale e letteraria del tutto rinnovata. Rinnovata fiducia nelle capacità e nelle possibilità dell’uomo. In netto contrasto con la cultura medievale. Riscoperta dei classici latini e greci. Questa riscoperta va intesa in primo luogo in senso letterale, come ampliamento del numero di autori e testi disponibili per lo studio. Gli eruditi e gli appassionati si dedicano alla ricerca di opere dimenticate nelle biblioteche monastiche di tutta Europa, a lungo trascurate. L’imitazione dei maestri: a

differenza della visione medievale, in ambito umanistico comincia lentamente a definirsi il problema dell’originalità e dell’autorialità dei testi. Maggiori autori: Leon Battista Alberti (1404-1472), Marsilio Ficino (1433-1499), Pico della Mirandola (1463-1494), Luigi Pulci (1432-1484) e soprattutto, in quanto particolarmente rappresentativi del clima letterario dell’epoca, Angelo Poliziano (1454-1494) e Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico (1449-1492) il quale fu anche un generoso ed accorto mecenate, cui non a caso si deve una spinta essenziale allo sviluppo e alla diffusione della cultura umanistica.

Le Corti quattrocenteche Durante l'Umanesimo la corte si impone come centro di produzione e diffusione di contenuti culturali per cui essa diventa un ambiente in cui il signore non solo esercita il potere politico e attua la sua azione di governo, ma si circonda di letterati e artisti cui commissiona la realizzazione di opere allo scopo di celebrare la sua figura o la sua famiglia, ponendosi come mecenate a tutti gli effetti e stimolando la produzione di una letteratura di carattere encomiastico che in quanto tale diventa predominante nel corso del Quattrocento. Tale carattere "di corte" si accentuerà maggiormente nel corso del Rinascimento. Nel corso del Quattrocento una delle corti più importanti e splendide è naturalmente quella dei Medici a Firenze, dove nell'ultimo scorcio del secolo Lorenzo il Magnifico (1449-1492) non solo forma attorno a sé una cerchia con i maggiori pittori e artisti della città, tra cui il pittore Sandro Botticelli (1445-1510) e i poeti Luigi Pulci (1432-1484) e Angelo Poliziano (1454-1494), ma è lui stesso scrittore e autore di alcune opere volgari. Lorenzo stimola l'attività culturale su più fronti e durante il suo potere si sviluppa anche l'Accademia platonica di Marsilio Ficino (1433-1499), fondata nel 1462 per impulso di Cosimo il Vecchio e divenuta ben presto un centro culturale di prima importanza basato sul modello del Simposio di Platone. A Napoli ci sarà quella creata dal Pontano sotto la protezione di re Alfonso d'Aragona. Altra corte e centro culturale di prima grandezza nell'Italia del Nord è Ferrara, dove gli Este creano alla fine del Quattrocento un vasto dominio politico e dove è attivo soprattutto Matteo Maria Boiardo (1441-1494), autore di varie opere di carattere encomiastico e in particolare di un poema epico-cavalleresco (l'Orlando innamorato) che costituirà in parte il modello di questo genere letterario destinato a un grande sviluppo nella stessa città, specie con l'opera di Ariosto e Tasso nel Cinquecento. Se Firenze e Ferrara sono i centri più attivi e vivaci sul piano strettamente letterario, non va scordato che altre città vedono un'intensa fioritura artistica e intellettuale in altri campi nel periodo umanistico, tra cui occorre citare soprattutto Roma (destinata a un grandissimo sviluppo anche nel Rinascimento, specie attraverso l'opera di Michelangelo), Napoli (dove pure è attivo uno scrittore come Iacopo Sannazaro, per il quale si veda oltre) e Venezia (su un piano inferiore rispetto alle altre città, ma dove pure sono attivi gli stampatori più importanti del secolo, i Giolito e Manuzio).

La questione della lingua nel’500 Con l'espressione 'questione della lingua' si indica una disputa su quale modello linguistico adottare nella penisola italiana; sorta in ambito letterario, ebbe la sua fase più acuta agli inizi del Cinquecento, per poi protrarsi con alterne vicende (almeno) fino ad Alessandro Manzoni. Primo passo significativo della riflessione sulla ‘questione della lingua’ è il De vulgari eloquentia di Dante che, teorizzandone una dignità letteraria che il suo autore metterà in pratica nella Commedia, è il punto più alto della riflessione trecentesca e dà l’avvio all’uso del volgare come lingua letteraria. Tappa successiva di tale dibattito è nel Cinquecento durante il quale vivissima fu la discussione di autori e linguisti sull’uso del volgare e/o del latino. Grande attenzione ottenne, nel 1525, la pubblicazione delle Prose nelle quali si ragiona della volgar lingua di Pietro Bembo, il quale già nel 1500, in una lettera, rendeva nota la sua intenzione di scrivere un’opera, appunto, sulla lingua volgare. Del resto, l’invenzione e il progressivo successo della stampa rendevano quanto mai necessaria l’acquisizione di una lingua che fosse compresa e diffusa almeno quanto potevano diffondersi i testi a stampa rispetto ai manoscritti; Bembo, nella sua funzione di collaboratore dell’editore veneziano Aldo Manuzio, sente particolarmente viva questa necessità. La sua opera si presenta come un dialogo sul modello di quelli platonici e ciceroniani, ambientato alla corte di Urbino. Bembo ha molto chiari i modelli da proporre: l’amato e spesso imitato Petrarca per la poesia (fu, del resto, tra i maggiori esponenti del cosiddetto ‘petrarchismo letterario’) e Boccaccio per la prosa; insomma, il fiorentino trecentesco, con l’eccezione di Dante, forse troppo sperimentatore e poco ‘omogeneo’ al livello stilistico, è considerato il momento di massimo splendore raggiunto dal volgare italiano e deve pertanto essere imitato dalla lingua letteraria del XVI secolo. Non può essere ignorata l’opera che va sotto il titolo di Discorso intorno alla nostra lingua, di attribuzione a Machiavelli a lungo discussa, più o meno contemporanea alle Prose di Bembo, ma pubblicata solo nel Settecento e circolata in forma manoscritta. In essa l’autore ritiene il fiorentino coevo la lingua più adeguata all’uso letterario.

I generi del ‘500 -

la lirica “petrarchista”, le novelle (filone minore che prende a modello il Decameron di Boccaccio), la prosa (ovvero alcuni tentativi di romanzo, intendendo con questo termine una lunga narrazione in prosa), - l'autobiografia (Benvenuto Cellini – Vita) , - il trattato (in prosa, dedicato ai temi più vari: il comportamento (Giovanni della Casa), la lingua, la politica..., e che vede tra gli interpreti i principali autori del secolo, da Machiavelli , a Bembo, a Guicciardini, che non è pienamente d’accordo con il pensiero di Machiavelli. I due non sono affatto d’accordo riguardo alla forma di governo migliore che può vigere in uno stato: il primo ritiene, infatti, che la repubblica sia preferibile ad ogni altra. Il secondo, al contrario, preferisce un governo di tipo oligarchico o monarchico, cioè autoritario, in quanto pensa che le forme democratiche siano troppo deboli.Niccolò, infatti,

ha una visione aspramente pessimistica sull’umanità, che considera come una massa triste, cioè malvagia, con la quale si possa trattare solo utilizzando la “componente bestiale” del proprio animo. Francesco, al contrario, ha una visione più positiva, affermando che gli uomini sono più propensi al bene che al male, anche se per la loro fragilità spesso scelgono la strada sbagliata. Si favorisce Tacito che sembra offrire soluzioni più rassicuranti e convenienti), - la forma dialogica, - la letteratura drammatica (commedia, tragedia e dramma pastorale) – Rinasce l'interesse per il teatro classico e le sue forme. Viene riscoperta la tragedia attica del V sec. a.C. che ora viene letta in lingua originale (grande importanza in questo senso ha il ritrovamento del I libro della Poetica di Aristotele, dedicato proprio al genere tragico) e ben presto si iniziano a scrivere tragedie moderne in volgare che rientrano nella codificazione dei generi letterari del classicismo aristocratico, mentre la commedia latina, ispirata al teatro latino di Plauto e Terenzio, viene anch'essa studiata e imitata, anche se il teatro comico si colloca su un piano letterario più basso e talvolta rivolto a un pubblico popolare, per quanto abbia avuto grandi interpreti in età rinascimentale. Inizialmente il teatro cinquecentesco nasce nell'ambiente della corte e (specie la tragedia) è indirizzato a un pubblico aristocratico, anche se nel corso del secolo l'attività teatrale avrà una certa diffusione sociale e avrà luogo anche in edifici pubblici destinati alle rappresentazioni sceniche, antenati dei teatri più moderni. - poema epico cavalleresco (vede come capolavoro l'Orlando furioso di Ludovico Ariosto e che darà luogo alle interminabili discussioni sul poema eroico della fine del secolo, sino alla Liberata di Tasso. Naturalmente tra i modelli del poema vi sono i capolavori della letteratura classica, dai poemi omerici all'Eneide, ma è indubbio che l'Orlando innamorato di Boiardo costituisca il precedente immediato e apra di fatto la strada al genere nel Cinquecento, specie riguardo alla scelta del ciclo carolingio e alla commistione con gli elementi fiabeschi del ciclo bretone che si ritrovano in Ariosto....


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