Letteratura Italiana PDF

Title Letteratura Italiana
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi della Basilicata
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riassunti vari...


Description

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono. Il sonetto Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, uno dei più importanti della produzione letteraria di Francesco Petrarca, è collocato in apertura al Canzoniere. Ha quindi una funzione importante. Il poeta enuncia il suo itinerario spirituale, dall’errore giovanile fino al pentimento e alla consapevolezza che i beni terreni sono evanescenti. Il componimento venne scritto probabilmente intorno al 1349-1350. Quindi, pochi anni dopo la morte di Laura. E’ il periodo in cui il poeta progettava di riunire in un unico libro tutte le rime sparse che aveva composto negli anni precedenti. Il componimento in esame, Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, offre quindi una chiave di lettura per l’intera opera, essendo posto in apertura di essa. Esso svolge non solo la funzione di introduzione ma anche quella di riepilogo dell’intero contenuto dell’opera. Analisi del testo La lirica è un sonetto, composto da 14 versi con il seguente schema di rime: ABBA ABBA CDE CDE Nella prima quartina il poeta si rivolge ai lettori attraverso il vocativo iniziale “voi”. Il pubblico che egli sceglie è chiaramente selezionato, di chiara ispirazione stilnovista (può capirlo solo chi è stato veramente innamorato). Qui introduce con la formula “rime sparse” il titolo dell’opera ( rerum vulgarium fragmenta) e soprattutto la tematica: il turbamento amoroso (errore giovanile) che provava quando era un uomo diverso rispetto ad oggi. Nella seconda quartina si rivolge a coloro che hanno provato il sentimento dell’amore almeno una volta nella vita e spera proprio che essi possano capirlo e perdonarlo. Nella prima terzina invece si rende conto che il suo sentimento lo ha portato ad essere schernito dal popolo. Per questo prova vergogna di sé stesso. E’ un sentimento che poi lo porta ad pentimento ( seconda terzina) e alla consapevolezza della vanità delle esperienze terrene. La struttura sintattica delle quartine è molto elaborata. E’ presente il vocativo d’apertura (voi) seguito da una serie di subordinate, il cui soggetto è spesso l’ io. Ci sono infatti molti verbi in prima persona proprio a partire dal verso 2, perché l’autore concentra la sua attenzione sul suo processo interiore, non nominando mai Laura esplicitamente. Le terzine sono introdotte dalla avversativa “ ma”, che segna il passaggio ad un momento diverso della vita e ad una diversa disposizione interiore. Al verso 11 troviamo un’allitterazione delle m e una ripetizione dei pronomi di prima persona ( me, medesmo, meco, mi). Nella terzina conclusiva si trovano una serie di coordinate per polisindeto (utilizzo di congiunzioni) che rappresentano graficamente l’angoscia del poeta. Le parole chiave sono sicuramente quelle appartenenti al campo semantico del vano, che domina la lirica. Commento Il sonetto rappresenta quindi a pieno la contrapposizione tra passato e presente, il dissidio che esiste nell’animo del poeta, diviso tra l’uomo del passato che ha peccato amando una donna e quello del presente che vuole riscattarsi e che si sta ravvedendo. Ovviamente il processo non è ancora del tutto compiuto e il lettore avverte a pieno i sentimenti dell’autore, ancora turbato, e resosi conto della vanità delle cose terrene. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, è un sonetto essenziale per entrare nel mondo di Francesco Petrarca, dei suoi turbamenti e del suo stato d’animo.

Era il giorno ch'al sol si scoloraro. E’ il terzo componimento del Canzoniere. Fa ancora parte dei testi proemiali del libro, che inquadrano e strutturano il racconto a mo' di cornice introduttiva. Questa lirica, in particolare, ricorda il giorno dell'innamoramento, risale il giorno del Venerdì Santo in cui l'episodio è ambientato è il 6 aprile 1327, coincide la data dell'innamoramento con l'anniversario della morte di Gesù, infatti, oltre a rappresentare come un presagio negativo sul destino dell'amore per Laura, iscrive cronologicamente questo amore fra due giorni di lutto, appunto il 6 aprile 1327, giorno della Passione di Cristo, e il 6 aprile 1348, che sarà il giorno della morte di Laura stessa. Al tormento amoroso del poeta, così, fa da sfondo il dolore corale della comunità dei credenti, ma si tratta piuttosto di uno sfondo "contrastivo": in contrapposizione al significato sacro della sofferenza collettiva, il poeta vive infatti una propria profana, e perciò colpevole, sofferenza privata; questa frattura contrassegna decisamente la storia d'amore con un marchio peccaminoso e comincia già a definire il dissidio inconciliabile fra passione per Laura e amore per Dio di cui il poeta soffrirà per tutto il corso della vicenda raccontata dal libro. L'innamoramento è descritto nella poesia per mezzo di immagini di guerra e di prigionia: gli occhi incatenano l'io, Amore sferra colpi con i suoi tradizionali attributi – l'arco e le frecce –, l'io è disarmato. Ma è sleale questa guerra condotta da Amore, che attacca l'avversario sprovveduto e

inerme e lascia indenne Laura. Dalla rimeria precedente, stilnovista ma non solo, deriva il concetto dell'amore che arriva al cuore per il tramite degli occhi («li occhi in prima generan l'amore / e lo core li dà nutricamento», Giacomo da Lentini; «Voi che per li occhi mi passaste il core», Cavalcanti) e non manca persino una clausola dantesca, dal canto di Paolo e Francesca ( senza sospetto; «soli eravamo e senza alcun sospetto», Inf. V, 129). Dal punto di vista stilistico il sonetto Era il giorno ch'al sol si scoloraro non mostra aspetti particolarmente degni di menzione; il lessico è, come sempre in Petrarca, puro e selezionatissimo. Si segnala la decisa voluta sintattica del primo periodo (vv. 1-4). Si distingue, come già osservato, il fitto impiego di metafore belliche, tipiche del linguaggio amoroso petrarchesco.

La gola, e ’l sonno, e l’oziose piume Risponde alla forma metrica del sonetto. Il testo si compone di quattordici versi, tutti endecasillabi, ripartiti in quattro strofe: le prime due strofe sono formate da quattro versi (e si definiscono “quartine”), le successive due strofe sono formate da tre versi (e si definiscono “terzine”). Lo schema delle rime è: ABBA, ABBA, CDE, DCE. La rima sbandita – s’addita (tra i versi 2 e 7), è una rima ricca, è una rima ricca, poiché la parte uguale tra le parole in rima non si limita alla porzione che va dalla vocale accentata in poi (-ìta), ma comprende anche la consonante -d-. In questo sonetto Petrarca si rivolge a un interlocutore non identificato probabilmente Giovanni Colonna, per esortarlo a non abbandonare le proprie ambizioni letterarie, nonostante le innegabili difficoltà che il mestiere di letterato comporta. La presenza dell’interlocutore diventa evidente soltanto nell’ultima parte del testo, ossia nell’ultima terzina, quando si affacciano alcune forme verbali, pronominali e aggettivali di seconda persona, che rivelano che il poeta si sta indirizzando ad un destinatario preciso. Prima di quel punto, il testo si svolge nella forma di una lamentela dal valore generale, nella quale Petrarca deplora la crisi di prestigio della filosofia e della poesia tra i suoi contemporanei, sempre più attratti dai vizi e dai lussi, sempre più legati alla logica del guadagno economico e, di conseguenza sempre più insensibili ai temi della conoscenza, della virtù, della bellezza. Per quanto riguarda l’astrazione, è facile constatare, che all’interno del sonetto, poche cose vengono designate dal Petrarca con il loro nome puro e semplice, e che viceversa, il poeta tende a introdurre nei versi tutta una serie di figure di sostituzione (come la sineddoche, la metonimia, la perifrasi, la metafora), attraverso le quali “depura” il sonetto da ogni eventuale immagine troppo concreta o troppo poco elegante, che viene sostituita da un’immagine attinente sul piano del significato, ma più temperata, o più astratta, o di carattere più “colto” e “letterario”.

PACE NON TROVO, ET NON O’ DA FAR GUERRA La lirica Pace non trovo, et non ò da far guerra è uno dei più importanti componimenti scritti da Francesco Petrarca. Essa rappresenta a pieno il suo dissidio interiore. Questa composizione risale intorno al 13441345 ed è posizionata al numero 134 nella prima parte del Canzoniere. Nell’opera sono presenti le liriche dedicate a Laura ancora in vita. Il componimento che analizziamo qui, è ricco di artifici retorici e scelte stilistiche che sarebbero poi diventate un modello per tutti gli autori del Cinquecento. Analisi Il testo di Pace non trovo et non ò da far guerra è costruito su una serie di antitesi e di opposizioni, che occupano ciascun verso. Ogni verso, infatti, è diviso in due parti contrapposte e ha una pausa ( cesura) molto intensa. Si apre con l’antitesi tra pace e guerra. I due termini pace e guerra sono collocati all’inizio e alla fine del primo verso in posizione di rilievo. Si conclude poi in maniera speculare al v. 13 con la presenza di morte e vita collocati in posizione incrociata. Oltre alle numerose antitesi, sono presenti anche altre figure retoriche come due chiasmi (v. 1 pace – trovo – ò – guerra; v. 3 volo – cielo – giaccio – terra). Il ritmo dei versi è molto incisivo grazie alla presenza delle cesure. Ricorrono suoni duri come quello delle –r e le rime sono molto forti. Importante poi è la scelta stilistica del polisindeto, ovvero la presenza delle congiunzioni ricorrenti che collegano semanticamente i diversi periodi. Commento

Il sonetto di Petrarca esprime uno stato d’animo molto frequente nel suo Canzoniere. Il poeta si sente sospeso tra due stati d’animo contrapposti e non riesce a scegliere e quindi a risolvere il suo dilemma interiore. Egli non trova pace ma non riesce neanche ad impegnarsi in una guerra. Prova speranza ma anche molta paura. Sente caldo e freddo contemporaneamente. Crede di toccare il cielo con un dito eppure cade sempre a terra. Sono tutte sensazioni tipiche di chi è innamorato, ma il poeta non può viverle a pieno perché è un chierico e deve quindi rispettare la regola del celibato. La figura di Laura viene introdotta progressivamente nel testo, fino a quando compare definitivamente nell’ultimo verso come destinataria della poesia. Il sonetto, grazie alla potenza metrica e stilistica dell’autore, riesce così ad esprimere pienamente questa condizione di divisione e separazione. E lo fa in modo molto drammatico e duro. “Pace non trovo et non ò da far guerra” è un componimento fondamentale perché esemplificativo del dissidio interiore che Francesco Petrarca non riuscirà mai a risolvere, di cui è testimonianza tutto il suo Canzoniere.

VERGINE BELLA, CHE DI SOL VESTITA (366) Vergine bella, che di sol vestita è il componimento di chiusura dei Rerum vulgarium fragmenta di Francesco Petrarca, e quindi ricopre un ruolo fondamentale per quanto riguarda la struttura dell’opera e il senso profondo della poetica del suo autore. Il percorso di redenzione e di spiritualizzazione dell’amore per Laura si conclude infatti con una lunga canzone di preghiera alla Madonna, cui l’autore chiede perdono per i propri peccati terreni, in vista della vita eterna dopo la morte. Il componimento, assai elaborato stilisticamente, sarebbe stato composto secondo la critica petrarchesca tra il 1367 e il 1372. Analisi I temi della preghiera alla Madonna La canzone, in esplicita lode alla Madonna (ogni stanza - non a caso - si apre con il termine “Vergine”), è strutturata come una lunga e protratta invocazione alla Vergine, con abbondanza di riferimenti a tutta la tradizione biblica e ai canti di preghiera per la madre di Cristo. In particolare, la Madonna costituisce l’altro polo rispetto alla passione terrena per Laura, che viene quindi riletta e reinterpretata in ottica del pentimento e della remissione dei propri peccati. Alla celebrazione delle lodi e delle virtù della donna, si affianca sempre (spesso in chiusura di stanza) l’umile richiesta del poeta di aver aiuto per il proprio “dubio stato” (v. 25), di esser degno del regno dei cieli (v. 37) o di godere finalmente della pace del “cor” (v. 52). Il tema della sofferenza amorosa, che attraversa tutta la struttura del Canzoniere, diventa scoglio sulla via della salvezza, tanto che il poeta definisce la propria esistenza terrena una “torta via” (v. 65) agitata dalla “terribile procella” (v. 69) della passione, in cui Petrarca si confessa “sol” e “senza governo” (v. 70). Si ripresenta, ad aggravare ulteriormente la condizione esistenziale del poeta, il memento mori (ovvero, secondo l’espressione latina, il ricordo ossessivo di dover morire un giorno o l’latro), che rende ancor più urgente e necessario l’intervento salvifico della Vergine. L’intercessione della Madonna presso il divino Creatore è l’unica speranza di salvezza per il “cor lasso” (v. 114) del poeta, che quasi con vergogna ammette d’essere rimasto a lungo legato a Laura, cui si allude con la lunga perifrasi di “poca mortal terra caduca” (v. 121) che precede quella che è considerata dalla critica la dedica finale del Canzoniere. Ai vv. 124-128, Petrarca affida nelle mani della Vergine i frutti della sua fatica poetica e tutta la propria esperienza esistenziale Il congedo (vv. 131-137) ribadisce il senso ultimo della preghiera e la richiesta di “pace” (v. 137) per il proprio “spirto”. Il rapporto con il sonetto proemiale La canzone di explicit del Canzoniere stringe ovviamente rapporti molto profondi con il testo di apertura (Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono), che presentava i “sospiri” dovuti al “primo giovenile errore” dell’innamoramento per Laura. Già lì si spiegava che l’amore terreno è esperienza dolorosa e fuorviante (“le vane speranze e ‘l van dolore”, v. 6), che porta solo derisione e vergogna di sé (“favola fui gran tempo”, vv. 10-11) e necessità di perdono ed espiazione (“spero trovar pietà, nonché perdono”), poiché i beni terreni sono solo “breve sogno” (v. 14). All’interno della struttura dei Rerum vulgarium fragmenta - composta di 366 componimenti, come se il Canzoniere fosse un breviario di purificazione personale dall’amore terreno all’amore spirituale - la canzone conclusiva indica il compimento di questo percorso di redenzione. Prova ne sia, dal punto di vista lessicale, che molti dei termini tipicamente usati per lodare la bellezza di Laura passano qui a designare la Madonna, secondo un complesso gioco di memoria e distanziamentodall’oggetto della propria passione. Le fonti e lo stile

L’elevatezza dell’argomento, l’importanza della collocazione del testo nella raccolta, la funzione strutturale che esso ricoprre fanno sì che lo stile de Vergine bella sia particolarmente elevato, e che le fonti vengano selezionate con attenta cura da parte del poeta. È stato sottolineato da più parti che la canzone assume la struttura di una litania, con la ripresa del termine che s’invoca all’inizio di ogni stanza (“Vergine”, per ben dieci volte), secondo una tecnica che Petrarca recupererebbe dalla poesia trobadorica in lingua d’oc. A questa impostazione stilistica concorrono anche la serie di formule ed epiteticon cui ci si riferisce alla Madonna, e le riprese e citazioni (più o meno fitte ed esplicite) dalla Bibbia (l’incipit ricorda Apocalisse 12, 1), dai Vangeli (in particolare quelli di Luca e Matteo), dai Salmi e dalla tradizione degli inni mariani (come il Regina Coeli e il Salve Regina). Tra le fonti letterarie, oltre agli amati classici latini, sono significativi i rimandi alla poesia stilnovistica (che contribuisce al topos della spiritualizzazione della donna amata) e al trentatreesimo canto del Paradiso dantesco, dove l’Alighieri, per il tramite di San Bernardo, rivolge alla Madonna la sua preghiera alla Vergine.

DECAMERON Prima giornata: la prima giornata cade di mercoledì. Essa è retta da Pampinea che non stabilisce nessun tema. Ciò nonostante, le novelle sono prettamente religiose Seconda giornata: la seconda giornata cade di giovedì. Essa è retta da Filomena che per la prima volta stabilisce un tema al novellare, quello di avventure a lieto fine. Dioneo manifesta la volontà di chiedere licenza dal tema quotidiano e che da allora, perché la sua richiesta non sembri dettata da scarsa conoscenza di novelle, possa essere l'ultimo a chiudere con una novella le giornate. La sua richiesta viene accolta dalla regina e dagli altri. Terza giornata: la terza giornata cade di domenica, perchè il venerdì e il sabato non si novella. Essa è retta da Neifile che impone come tema che si narri di chi una cosa a lungo desiderata ottiene o ritrova. Quarta giornata: la quarta giornata cade di lunedì, il re è Filostrato e il tema è dato dagli amori infelici. Quinta giornata: la quinta giornata cade di martedì e regna Fiammetta. Il tema è felicità raggiunta dagli amanti dopo avventure a casi straordinari. Sesta giornata: la sesta giornata cade di mercoledì. Essa è retta da Elissa. Si narra di motti spiritosi o pronti che ti tolgono dai guai Settima giornata: la settima giornata cade di giovedì; regna Dioneo che stabilisce come tema le beffe fatte per amore o per paura dalle donne ai loro amanti. Ottava giornata: l'ottava giornata cade di domenica. Regna Lauretta e si narra di tutte le beffe fatte, di ogni genere. Nona giornata: la nona giornata cade di lunedì. Essa è retta da Emilia e si parla di ciò che più gli piace. Decima giornata: la decima giornata cade di martedì ed è sotto il regno di Panfilo. Si narra di chi, con cortesia e magnanimità ha avuto avventure d'amore o di altro genere...


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