Letteratura e cultura italiana PDF

Title Letteratura e cultura italiana
Author Federico Peraro
Course Letteratura e cultura italiana  
Institution Università degli Studi di Verona
Pages 44
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Summary

IL ROMANZO EPISTOLAREVerso la fine del seicento gli scrittori iniziano a usare il romanzo per parlare non di mondi immaginari, ma del nostro ossia non più di vicende fantastiche ma di un mondo più vicino alla realtà. Iniziano a mettere al centro dei loro racconti esseri umani che hanno personalità n...


Description

IL ROMANZO EPISTOLARE Verso la fine del seicento gli scrittori iniziano a usare il romanzo per parlare non di mondi immaginari, ma del nostro ossia non più di vicende fantastiche ma di un mondo più vicino alla realtà. Iniziano a mettere al centro dei loro racconti esseri umani che hanno personalità non così diverse da quelle di coloro che ergono le loro avventure, e idee e opinioni non molto diverse da quelle che costoro possono avere. In inglese questo genere di narrazione si chiama novel e  si contrappone al romance , il tipo di narrazione prevalentemente fantastica che aveva dominato nel Seicento. Osserva William Congreve: “i romanzi (novels) s ono di natura più familiare: ci vengono vicini e rappresentano intrighi in atto, ci dilettano con casi ed eventi singolari ma non del tutto inconsueti o senza precedenti che, non allontanandosi troppo dalla credibilità, ci rendono più accessibile il piacere”. A poco a poco i romanzi si lasciano alle sale l'abnorme, il meraviglioso, il soprannaturale, e fissano la loro attenzione su ciò che tutti hanno sotto gli occhi ogni giorno. Si apre così uno spazio sterminato, che il romanzo dei tre secoli successivi si incaricherà di esplorare: la realtà. Le forme e i temi dei romanzi del Settecento sono tanti ma è possibile trovare qualche tendenza precisa. Alcuni dei romanzi più fortunati del secolo sono: in Gran Bretagna  Clarissa di Robinson Crusoe, Mol Flanders e Lady Roxana  di Daniel Defoe, poi Pamela e Samuel Richardson (capostipiti del romanzo sentimentale), successivamente Tom Jones d  i  i Laurence Sterne, in Francia La Nuova Eloisa d  i Henry Fielding, Tristram Shandy d  i Goethe. I personaggi sono uomini e Rousseau, in Germania i Dolori del Giovane Werther d donne simili a quelli che i lettori possono vedere attorno a se. Queste persone concrete posso essere osservata e in solitudine oppure nelle loro relazioni con la società. I romanzieri del settecento sono molto sensibili al problema dei rapporti tra l’individuo e la società, rapporti che sono quasi sempre problematici. A partire dal diciottesimo secolo, il romanzo è soprattutto lo scenario di un conflitto: quello instaurato tra un io che vuole emergere, prevalere, e un mondo di uomini che si oppone ai suoi tentativi. Le maniere più efficaci di raccontare la realtà sono la narrazione in prima persona (lo scrittore finge di essere il protagonista-narratore del racconto), oppure il racconto attraverso la voce di un personaggio che raccoglie e scrive le parole di un altro personaggio, oppure fingere di ricopiare le lettere dei personaggi per dare al lettore l’impressione di completa verosimiglianza e adesione ai pensieri e sentimenti del protagonista. Cosa si intende per romanzo epistolare? Dall'enciclopedia Treccani: epistolare agg. [dal lat. tardo epistolaris, der. di epistŏla «lettera»]. – Di lettera, di lettere; che consiste di lettere o si svolge per mezzo di lettere (sempre nel sign. di « lettere missive»): corrispondenza e. (o semplicem. corrispondenza), scambio e.; tenere rapporti e., essere in relazione e.; stile e.; romanzo e., in cui la narrazione dei fatti avviene attraverso una serie di lettere che s’immaginano scritte dal protagonista (per es., Werther di Goethe e Jacopo Ortis di Foscolo), o anche da più personaggi (per es., Lettere di una novizia, di G. Piovene). La persona che scrive può essere una singola o più di una, ciò determina che i punti di vista si possono moltiplicare ossia si possono avere verità esposte in maniera diversa a seconda di chi li racconta. Già nell’Ottocento questo tipo di romanzo inizia a declinare, le cause potrebbero essere legate al tipo di società non più interessata a questo tipo di narrazione; ma in realtà questa tipologia di romanzo sopravvive tutt’ora, riuscendo a stare al passo con quelle che sono le nuove tecnologie come per esempio romanzi costituiti da email o scambi di messaggi telefonici.

Cos’è una lettera? Da Christine Planté, Derivazioni della lettera, in Il Romanzo Una lettera è uno scritto inviato a qualcuno per comunicargli quello che non si può o non si vuole comunicargli a voce. È un messaggio in prosa indirizzato a un assente che mira a produrre un certo effetto che spesso contiene o richiede una risposta. Nella comunicazione epistolare nessun tema è vietato,a noi è lecito passare da un tema all’altro: dal serio al  ontesquieu è stato uno dei faceto, dal concreto al sentimentale. Nelle Lettere Persiane M primi a mescolare intreccio amoroso e riflessione politica. Sebbene le lettere non impongono nessuna tematica, certi argomenti sono più frequenti di altri. Sebbene non abbia un messaggio privilegiato, la lettere contiene un messaggio, una finalità: dichiara un amore, annuncia una visita, richiede un’informazione, … in un romanzo, il messaggio e la finalità della lettera si collocano evidentemente all’interno dell’universo di finzione, ma la lettera partecipa anche alla costruzione psicologica del personaggio. L’effetto ricercato si sdoppia quindi in effetto sul personaggio ed effetto sul lettore (i destinatari diventano due). La funzione della lettera e il funzionamento della comunicazione epistolare ne risultano radicalmente modificati, anche nel caso limite di un romanzo che riprenda lettere vere, poiché il testo impone loro un diverso regime di diffusione e di lettura, diversi destinatari e le distacca dal loro fine pragmatico iniziale. La lettera è un oggetto non riconducibile al messaggio che veicola o alla funzione che assolve, perché nei romanzi come nella vita, può essere strappata, conservata, rispedita. Il romanzo di seduzione trova nel genere epistolare una notevole risorsa. La lettera è di solito scritta in prima persona. In questo modo il romanzo può aprirsi a una dimensione soggettiva, adottando un punto di vista individuale, caratterizzato e diverso da quello dell’autore. La lettera si rivolge a un tu, o a un voi; “cercate di dire meno di quello che pensate e più quello che a lui può far piacere”, marchesa di Merteuil a Cécile Volanges nelle Relazioni Pericolose. La scrittura di lettere presuppone necessariamente una separazione degli autori, questa mancanza può essere di varia natura: assenza fisica, ma anche impossibilità di vedersi e parlarsi perché si è sorvegliati, o per le convenzioni sociali, per assenza di coraggio o di libertà interiore infatti spesso si ricorre alla lettera per dire ciò che non si riuscirebbe a dire di persona. La lettera è un'interlocuzione, è la sequenza di varie lettere che permette lo sviluppo di un racconto nel romanzo epistolare. Il suo primo effetto è la discontinuità: le sequenze che si susseguono non hanno l’unità narrativa dei capitoli di un racconto in terza persona, e i vuoti possono corrispondere a importanti ellissi narrative. Nelle prefazioni di romanzi epistolari, l’editore o lo stampatore spiegano come sono state messe insieme le lettere dei corrispondenti e talvolta se sono state o meno pubblicate tutte. Una raccolta incompleta può essere attribuita al caso (furti, smarrimenti, …), ma viene anche presentata come frutto di una scelta editoriale. Trattandosi di un insieme di documenti, il lettore può immaginare che ad esso si possano aggiungere altre lettere modificate, aprendosi a tante possibilità e coinvolgendo il lettore in maniera attiva. Secondo Christine Planté «all’apogeo del genere, tra il 1741 e il 1800, un romanzo su cinque pubblicato in Inghilterra è un romanzo epistolare, e (...) tra il 1760 e il 1780 si pubblicano in Francia in media dieci romanzi epistolari all’anno». In quest’arco di tempo, cioè, la forma epistolare è centrale se non egemone nella scrittura romanzesca francese e inglese.

Tale fascino ha a che fare innanzitutto con lo svelare a qualcuno che non è il destinatario il contenuto di documenti epistolari finiti nelle mani dello scrittore/editore nei modi più disparati (sacchi postali dispersi, armadi di case di campagna, giardini, e così via), documenti presentati come autentici e spesso creduti tali dal lettore; poi con l’illusione del lettore medesimo di poter penetrare nell’animo individuale, nei sentimenti di chi scrive; quindi con l’esotismo o la singolarità di quanto viene raccontato nelle lettere o, per converso, con la loro quotidiana ordinarietà: tutti elementi che rafforzano, in modo opposto ma complementare, l’impressione di verità dello scritto. Secondo Laurent Versini, la Nuova Eloisa di Rousseau è una pietra angolare del genere, in quanto ha reso il linguaggio dei sentimenti alla portata di tutti. Tale capacità di divulgare un linguaggio dei sentimenti naturale e largamente comprensibile è forse l’acquisizione più rilevante del romanzo epistolare del Settecento. È anche ciò che lo separa più marcatamente dalla narrativa epistolare della tradizione, rendendolo disponibile e aperto a un pubblico ampio. Dalla Nuova Eloisa discende il Werther (1774) di Goethe, a sua volta divenuto modello per altri romanzi che rendono esemplare l’eroe maschile, giovane non in sintonia col mondo che lo circonda e affascinato da pulsioni autodistruttive (Ultime lettere di Jacopo Ortis, 1802). Al Richardson polifonico della Clarissa (1748) rimanda, invece, la tradizione del romanzo epistolare di seduzione, che trova l’esito qualitativamente migliore nelle Relazioni pericolose (1782) di Laclos. La novità portata da Laclos nella forma romanzo epistolare si trova già nel titolo. Il duo tra seduttore e sedotta diventa un elemento del contesto narrativo, non l’unico fondamentale (le lettere tra Valmont e M.me de Tourvel sono relativamente poche), e la varietà degli idioletti dei personaggi si fa decisiva (modi specifici in cui i personaggi si esprimono). Ad accrescere l’effetto di plausibilità delle lettere vi è poi la loro misura, assai più rispondente a quella di lettere «vere»; esse fungono così da modello, confessato o meno, per narratori epistolari posteriori. Caduta la società d’antico regime, il romanzo epistolare, mantenendo la vocazione sentimentale, inclina a diventare un romanzo dell’esilio con sfumature politiche e più marcate esaltazioni individualistiche. La lontananza geografica perde il riferimento esotico per assumere i tratti della malinconia o proprio della nostalgia (il desiderio del ritorno in una patria politicamente rinnovata): si pensi, per esempio, al marchese di Saint-Alban de L'Émigré (1797) di Sénac de Meilhan e allo stesso Jacopo del romanzo foscoliano. Per il romanzo epistolare si tratta di una stagione finale. econdo Versini, il romanticismo, per il particolare individualismo e gli slanci popolari, è poco condiscendente verso il romanzo epistolare, avvertito come troppo legato al classicismo. Esso pare figlio di un’altra civiltà. Il roman par lettres si presenta così quasi come una naturale espressione artistico-letteraria di quella civiltà. E quando quella civiltà viene meno, anche tale sua espressione perde vitalità.

In Italia Ricordiamo, per cominciare, il romanzo pseudo epistolare di Gian Paolo Marana, L’esploratore turco (Parigi, Barbin, 1684-1686, più volte ripubblicato, tradotto e rimaneggiato variamente, forse anche da altre mani): secondo alcuni ha costituito un modello per le Lettere persiane di Montesquieu.

Ma, per la diffusione della conoscenza del genere, sono da registrare soprattutto le traduzioni, specialmente dal francese: Lettere d’una peruviana della Graffigny (più volte pubblicate in volume autonomo a partire dall’ed. Venezia 1754): vi si ispirò, tra gli altri, Goldoni nella tragicommedia del 1754-1755 La peruviana; o alle Lettere di Milady Giulietta Catesby a Milady Enrichetta sua amica di M.me Riccoboni (Venezia 1786). Vanno considerate poi le traduzioni fatte passare per originali, com’è il caso della Corrispondenza tra Giulia e Ovidio. Tra i romanzieri italiani del Settecento il prolifico Chiari usa la forma epistolare nella Viaggiatrice, o sia le avventure di Madamigella E.B. scritte da lei medesima in altrettante lettere all’abate Pietro Chiari e da lui pubblicate (1760), ma anche altrove documenta conoscenza o memoria di romanzi epistolari, come nell’Amore senza fortuna o sia memorie di una dama portoghese scritte da lei medesima (1763) o nel pedagogico Lettere di un solitario a sua figlia (1772). Si possono ricordare il Boezio in carcere (1787) di Benvenuto Robbio di San Raffaele; Per questi dilettosi monti di Carlo Botta (1796, lasciato inedito e pubblicato di recente); le Lettere solitarie di Giovanni Battista Micheletti (1801); e il Platone in Italia (1804-1806) di Vincenzo Cuoco. In ogni caso, con la diffusione dei romanzi inglesi (di Richardson in ispecie, in traduzione francese) e francesi, il romanzo epistolare incontra fortuna anche in Italia, soprattutto nei formati da letteratura di consumo. Certo, bisogna aspettare la fine del secolo per avere, con quello di Foscolo, il primo vero testimone italiano di qualità. Esso comunque poggia su una tradizione di letture romanzesche indicative di come per il romanzo moderno le suggestioni straniere siano più rilevanti della tradizione letteraria nazionale. Convergono con i dati quantitativi accennati le spie presenti in testi di scrittori che documentano come fin dal Settecento si avvertisse la mancanza di una produzione in italiano. Per esempio: Alfieri nella Vita dice che in adolescenza ha letto molti romanzi francesi «ché degli italiani leggibili non ve n’è». Casanova, per sedurre una sua conquista, sostiene d’aver acquistato molti romanzi tradotti perché italiani non ce ne sono. Le cause di tale carenza sono oggetto di discussione. Nel secondo Ottocento italiano registriamo Storia di una capinera di Giovanni Verga (1871), Prima morire, della Marchesa Colombi (1896) e il rivisto Riflessi/Allegoria di Novembre, di Aldo Palazzeschi (1908-1958). Nei decenni centrali del Novecento si assiste a una relativa ripresa della forma epistolare, con modalità differenti da quelle settecentesche ma che comunque ribadiscono l’uso prevalentemente sentimentale-introspettivo della forma epistolare: escono Lettere di una novizia di Guido Piovene (1941) (in effetti un romanzo epistolare a più voci); il meta-romanzesco Lettera all’Editore di Gianna Manzini (1945); nel 1956 sono pubblicate in volume (già erano comparse su «Cinema nuovo») Le lettere di Ottavia di Luigi Malerba, undici letterine, come un racconto a puntate, in cui la giovane Ottavia, approdata nella Roma del cinema, scrive al fidanzato Filippo, rimasto in provincia. Del 1959 è il racconto epistolare di Alberto Arbasino Il ragazzo perduto poi rifuso nell’Anonimo Lombardo (1966); hanno forma epistolare anche Caro Michele (1973) e La città e la casa (1984) di Natalia Ginzburg; un carattere epistolare-monodico nell’andamento monologante con un interlocutore inevitabilmente muto ha pure Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci (1975); nel 2001 esce, di Antonio Tabucchi, Si sta facendo sempre più tardi: romanzo in forma di lettere, dove le diciassette lettere di diciassette uomini ad altrettante figure femminili, cui infine

risponde una voce femminile lontana e pietosa, paiono presentare quasi un rovesciamento delle Heroides di Ovidio. A partire all’incirca dagli anni Cinquanta del Settecento sul mercato editoriale entra in circolazione un certo numero di romanzi italiani (oltre a quelli stranieri, in originale in traduzione o in adattamento), spesso pubblicati da editori minori e spregiudicati, che poco si curano di pagare adeguatamente gli autori e ancor meno esitano a intervenire a piacimento nelle ristampe. Il problema della verità e della veridicità ll lettore medio dell’epoca è indotto a percepire come vere le vicende raccontate nelle lettere: per esempio, le Lettres portugaises, che, tra l’altro, hanno visto protrarsi fino alla contemporaneità la discussione sulla loro autenticità o sull’attribuzione al conte di Guilleragues, furono appunto accolte come scritte da una suora francescana in carne e ossa. Le lettere di un romanzo epistolare si presentano cioè come lacerti di vita reale, la cui autenticità è garantita proprio dalla forma di lettera. Il romanzo, insomma, diventa/si costituisce come genere che, quale nessun altro prima, si apre su qualcosa che sta fuori dalla letteratura, procura l’illusione di una realtà finta con le proprie fonti documentali e testimoniali. E ciò segna una radicale differenza rispetto all’epistolografia classica: essa infatti, quando in versi, si costituisce apertamente come letteratura; e quando è in prosa, da Cicerone a Petrarca ad Aretino ai libri di lettere cinquecenteschi e così via, denuncia il proprio carattere letterario con la implicitamente dichiarata volontà di pubblicazione delle lettere, cioè con il proposito infine di rivolgersi a un pubblico e non a un effettivo destinatario di missiva. Per converso, le lettere di un romanzo epistolare, false (il loro autore dichiarato è fittizio, quello autentico è lo scrittore), vogliono apparire come vere (cioè rivolte a un effettivo destinatario), e, benché concepite per essere pubblicate, nella finzione letteraria non sono tali e vengono divulgate solo grazie all’opera editoriale dell’autore del romanzo. ll romanzo epistolare moderno non si presenta come letteratura nutrita di letteratura (cioè di impronta classicistica, riservata a un ristretto pubblico colto), ma come letteratura che si alimenta di vita vera, reale, e dunque accessibile e appetibile per tutti, per tutti coloro che possono fruirne. Esso, insomma, incarna in modo esemplare un momento cruciale del passaggio alla modernità letteraria: quello per il quale la letteratura si impadronisce della realtà (la documenta e dunque la interpreta) e la realtà a sua volta, irrompe nella letteratura, nella sua aspra durezza come nella sua ordinaria quotidianità. Il romanzo epistolare non si presenta come romanzo, ma come documento vero; e l’autore, se proprio non vogliamo considerarlo soppresso, si degrada in editore di lettere. È «la finzione del non fittizio» di cui parla Jean Rousset. La plausibilità di quanto racconta il romanzo epistolare è elemento fondamentale per il suo successo. Nella fortuna del romanzo epistolare, almeno alle origini, quando il lettore poteva credere vere le lettere del romanzo, è ragionevole ritenere intervenisse insomma, confessato o no, il gusto di curiosare nell’intimità altrui. Nel romanzo epistolare interessano i tratti psicologici dell’uomo ossia conoscenza e introspezione dei sentimenti. Il romanzo si fa luogo della confidenza epistolare al quale il pubblico è ammesso: autore, opera e pubblico stringono il rapporto, la corda che li lega si fa assai più stretta. Le stesse lettere vere (cioè non quelle dei romanzi epistolari), d’altronde, mutano e si arricchiscono rispetto alla lettera familiare del XVII secolo. Naturalmente la lettera personale

resta sempre, come lo era fin dall’antichità, sotto il segno della conversazione e dell’assenza, così come sotto quello della riservatezza e della confidenza. Ma non si pone sotto il segno della verità di quanto vi è scritto, né dell’identità del mittente o del destinatario. La fortuna del romanzo epistolare moderno pare in buona parte dovuta a quanto di extraletterario, cioè di aderente al reale, è percepito in esso dai lettori: in altre parole, a qualcosa che vuole allontanarsi dalla tradizione, se non tagliare i ponti con essa. La stessa relativamente rapida eclissi del genere è in parte riconducibile al venir meno di quel fascino, allo scaltrirsi del pubblico di fronte all’espediente epistolare che ne depotenzia l’illusione di realtà. Definizione del genere Robert Adams Day, Told in letters, epistolary fiction before Richardson, Ann Arbor, The University of Michigan Press, 1966 «Qualsiasi racconto in prosa, lungo o breve, in gran parte o del tutto fantasioso, in cui le lettere, in parte o del tutto fittizie, fungono da mezzo narrativo o figurano in modo significativo nella conduzione della storia». Questa definizione elimina diverse categorie di letteratura [...]. Ciò che rimane è un insieme di storie in cui lettere immaginarie figurano in varie quantità - da una pagina o giù di lì all'intero lavoro - e in cui l'elemento narrativo varia dal più sottile dei fili a trame che coinvolgono intrighi di vertiginosa complessità. Jean Rousset, Forme et signification. Essais sur les structures littéraires de Corneille à Claudel, Paris, Corti, 1962 «Se il dialogo non deve più essere orale (c...


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