Letteratura Italiana Riassunto dal 200 all\'800 PDF

Title Letteratura Italiana Riassunto dal 200 all\'800
Author Ginevra Piva
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Milano
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Minnesang) e alla poesia provenzale in lingua d'oc. Proprio da questa tradizione ebbe origine la "scuola siciliana", come fu definita da Dante nel De vulgari eloquentia. Dominante in assoluto nei poeti siciliani la tematica d'amore sia dal punto di vista teorico (cos'è amore, come si manifesta, quali sono i suoi effetti), sia come omaggio "feudale" verso la donna amata, con la quale il poeta cerca di stabilire una comunicazione attraverso immagini e segnali che essa sola sa cogliere. Le forme tipiche di questa poesia sono la canzone, modellata sulla canso provenzale: essa è l'espressione "alta" della poesia siciliana ed è utilizzata soprattutto per composizioni di carattere teorico e dottrinale; la canzonetta, costituita da strofe di versi brevi, viene impiegata per testi più narrativi, come invocazioni d'amore, lamenti per l'amata lontana, manifestazioni della propria gioia e del proprio dolore; il sonetto è creazione autonoma e specifica della scuola ed è diventato il componimento lirico breve per eccellenza della poesia italiana. La produzione poetica della scuola siciliana è pervenuta attraverso codici del Quattrocento e del Cinquecento, i cui estensori diedero ai testi un'impronta toscaneggiante che ha alterato l'originaria impostazione linguistica siciliana; essa comunque non riproduceva la lingua popolare, ma si basava su un lessico che si ispira ai modelli latini e provenzali. Lo stesso re Federico II e i suoi due figli Enzo e Manfredi si dedicarono all'attività poetica, pur senza raggiungere livelli di eccelsa qualità.

Il poeta sicuramente più significativo fu Iacopo da Lentini (circa 1210 - circa 1260), riconosciuto da Dante (Purgatorio, canto XXIV) come fondatore della scuola siciliana e al quale è probabilmente attribuita l'invenzione del sonetto. Scrisse uno dei più cospicui canzonieri dell'epoca, composto da circa 30 poesie, in cui una consumata perizia retorica è al servizio di una fervida originalità inventiva. A lui si deve la prima definizione dell'amore nella letteratura italiana: "Amor è uno desio che ven da core / per abondanza di gran piacimento". I temi più frequenti della sua lirica sono la contemplazione della bellezza, la creazione nel cuore di un'immagine della donna, verso la quale si indirizza il suo amore, il dono di sé fatto dall'innamorato all'amata.

Più scarna, ma notevolmente raffinata sul piano stilistico per la ricchezza di figure retoriche e per il sottile gioco analogico, è la produzione poetica di Guido delle Colonne (Messina, circa 1210 - circa 1280), del quale sono pervenute cinque canzoni.

Eternato da Dante nell'Inferno (canto XIII) fu Pier della Vigna (circa 1190-1249), di Capua, strettissimo collaboratore di Federico II, caduto poi in disgrazia e morto suicida. Per lui l'attività poetica fu senza dubbio di importanza relativa, ma è interessante ricordare che egli fu tra gli interlocutori di Iacopo da Lentini nella disputa sull'amore che probabilmente diede inizio alla scuola siciliana e che era stata iniziata da Iacopo Mostacci, rimatore aulico, imitatore piuttosto passivo di correnti provenzali. Della scuola fecero anche parte Rinaldo d'Aquino, Giacomino Pugliese (che ha lasciato alcuni testi di tono popolareggiante), Stefano Protonotaro da Messina, a cui si deve l'unica composizione conservata nella lingua siciliana originale. Tradizionalmente compreso nella scuola siciliana è anche Cielo d'Alcamo (probabile toscanizzazione del nome "Celi", diminutivo siciliano di Michele), autore del contrasto (dialogo) Rosa fresca aulentissima tra la donna, almeno inizialmente ritrosa, e l'innamorato, in cui sono presenti, sul piano stilistico, riferimenti a generi propri della letteratura provenzale, come la pastorella e il contrasto. Si alternano nella lingua termini e immagini della tradizione aulica e cortese con analoghi della tradizione popolare e dialettale.

IL SONETTO

Il sonetto è la forma metrica più celebre e fortunata della tradizione lirica italiana. Nella forma tipica si compone di 14 endecasillabi, divisibili in una prima parte di 8 versi e una seconda di 6. Uno dei principali esponenti della Scuola siciliana fu Jacopo o Giacomo da Lentini, conosciuto anche come “Il Notaro”. Egli fu poeta e notaio italiano e nacque probabilmente tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo. È considerato l’inventore del sonetto: breve componimento poetico, caratteristico soprattutto della letteratura italiana, il cui nome proviene dalla lingua provenzale “sonet”, ossia piccolo suono o melodia. Tipicamente, è formato da quattordici versi endecasillabi, raggruppati in due quartine a rima alternata o incrociata e in due terzine. A Jacopo da Lentini sono state attribuite sedici canzoni con schema vario e ventidue sonetti. Nelle sue liriche, il rimatore in questione, si rapporta e analizza l’amore in tutte le sue sfaccettature; dalla sfera interiore a quella psicologica. L’amore trattato è quello dei canoni cortesi, dove le parole utilizzate per decantare la donna, sono geniali, creative, ingegnose e piene di raziocinio.

GUINIZELLI E LA CANZONE

Guido Guinizzelli nasce a Bologna tra il 1230 e il 1240 e, secondo i dati in nostro possesso, muore a Monselice nel 1276. Sulla sua identità si hanno notizie scarse e discordanti: alla tradizione, che lo vuole podestà di Castelfranco, si è ormai sostituita un’altra ricostruzione, che lo identifica in un giudice o giurisperito, figlio di Guinizzello da Magnano e di un’esponente della famiglia Ghisilieri, di simpatie ghibelline, e di conseguenza profondamente inserito nella vicende politiche del suo tempo. Infatti Guinizzelli sarebbe ricordato in atti notarili del 1266 come appartenente alla fazione ghibellina dei Lambertazzi: secondo questa ricostruzione, l’affermazione a Bologna del potere guelfo nel 1274 lo avrebbe portato all’esilio a Monselice, dove sarebbe morto due anni dopo. Della sua opera ci sono rimasti ventitre componimenti - di cui cinque canzoni (più altre tre di dubbia attribuzione) e quindici sonetti- e due frammenti. Non è possibile delinearne una cronologia o un’evoluzione poetica interna, infatti, benché siano identificabili una fase guittoniana e un’altra dalle tematiche prettamente stilnovistiche, in entrambi i casi non si può giungere a una datazione precisa dei testi guinizzelliani. La sua poesia, che mescola spunti innovativi ed elementi più tradizionali. Nell’opera di Guinizzelli, le due differenti anime - quella stilnovistica e quella più guittoniana fanno del poeta un’importante figura “di passaggio” tra la produzione dei siculo-toscani e quelle degli stilnovisti, che individueranno in lui, insieme con Guido Cavalcanti (1258ca - 1300) un punto di riferimento per l’elaborazione della nuova poetica d’amore. Guinizzelli stesso è consapevole della frattura che lo separa da Guittone per le caratteristiche della sua poesia, ma non manca di

rendergli omaggio in un sonetto in cui si rivolge a lui con l’appellativo “Caro padre meo”; al tempo stesso, da lui arriva uno dei “manifesti” programmatici dello Stilnovo, la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore, che incontrerà invece la critica di Bonagiunta nel suo Voi ch’avete mutata la mainera. Nella poesia di Guinizzelli ritroviamo così alcuni punti cardinali della poetica stilnovistica: - la figura della donna, il cui sguardo e “saluto” causano l’improvviso innamoramento da parte del poeta, che spesso si manifesta come un prodigio naturale (come in Io voglio del ver la mia donna laudare) o come una vera e propria creatura celeste (quella che sarà poi la donna-angelo, tramite per gli stilnovisti tra il mondo terreno e quello celeste). - la stretta connessione tra la facoltà d’amare e il possesso di un cuore “gentile”, non per rango sociale ma per intrinseche virtù naturali, contrapposte a quelle nature volgari incompatibili con i sentimenti umani più elevati. - la sensazione di annichilimento e distruzione interiore che prova l’uomo colpito dallo sguardo femminile e privato di tutte le sue facoltà vitali (come, ad esempio, in Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo). - la presenza di alcuni topos, come il legame tra Amore e Morte. - sul piano stilistico, una poesia più piana e dolce rispetto a quella aspra e dura della poesia guittoniana, in accordo con la tematica lirico-amorosa dei suoi testi. - la presenza, in riferimento alla figura femminile e all’esperienza dell’innamoramento, di stilemi biblici, ovvero di prelievi sintattici e lessicali dal testo sacro per sottolineare la pregnanza del tema amoroso. - la presenza, più o meno fitta, di riflessioni di stampo aristotelico-averroistico, soprattutto nell’opera di Cavalcanti. Benché Guido Guinizzelli sia vissuto in periodo storico appena antecedente, la sua opera si inserisce in pieno nel contesto dello Stilnovo del cui linguaggio poetico è, anzi, considerato padre e precursone dallo stesso Dante Alighieri, che ne ribadisce il ruolo sia nella Divina Commedia 2 sia nella Vita Nova, dove il sonetto Amore e ‘l cor gentile sono una cosa contiene un esplicito tributo intertestuale al “saggio” maestro e al suo “dittare” (v. 2; cioè, al suo modo di fare poesia).

LO STILNOVO

Tendenza poetica (anche dolce stil novo) diffusa in Toscana tra la seconda metà del 13° e l’inizio del 14° sec., così chiamata dalla critica moderna sulla base di versi di Dante (Purg. XXIV, 49-62). Sua materia poetica è l’amore, sia in quanto confessione sentimentale, sia e soprattutto in quanto meditazione sulla sua essenza filosofica e sui suoi effetti psicofisiologici e soprattutto morali. Lo Stilnovo rappresenta un momento storicamente essenziale di quel processo della poesia lirica italiana che, muovendo dai siciliani e perciò dai provenzali, giungerà poi alla poesia petrarchesca, e attraverso questa dominerà tutta la tradizione lirica posteriore. Di fatto, la novità stilnovistica della nuova poesia non fu sentimentale ma dottrinale e stilistica. Quest’ultima consiste nella dolcezza, che nel pensiero di Dante era dolcezza di suono, da ottenere mediante la scelta accurata di vocaboli, la loro semplice collocazione, il ripudio di suoni duri, di forme artificiose e aggrovigliate, cioè il ripudio dello stile di Guittone, che, maestro ammirato della precedente generazione, è il bersaglio degli stilnovisti. Meno chiaro in che cosa consista propriamente la novità contenutistica. Che la loro poesia tratti un amore diverso dal piacere sensuale, che, in genere, rifugga da ogni rappresentazione realistica, è certo (la poesia sensuale e realistica è cantata anche dagli stilnovisti, ma in zone a parte dei loro canzonieri, aventi modelli e strutture stilistiche loro proprie); ma ciò non basta a distinguerli dai predecessori, i quali avevano cantato amori ugualmente casti, e, ciò che è più importante, avevano anch’essi considerato l’amore come segno di elevatezza spirituale e mezzo di ulteriore elevazione. Una grande questione era in primo piano nel secondo Duecento e nel primo Trecento, quella circa la natura della nobiltà. All’opinione tradizionale, che faceva consistere questa nell’antichità della famiglia e nelle ricchezze, si era andata via via sempre più nettamente sostituendo l’opinione che vera nobiltà fosse solo quella delle opere individuali, il che significa che su una civiltà e una società feudali andavano prevalendo una civiltà e una società borghesi. In questo senso, la canzone di Guinizzelli considerata il manifesto della nuova scuola poetica mostra già nel suo primo verso, Al

cor gentil/">gentil rempaira sempre Amore, come lo s. rappresenti essenzialmente il riflesso letterario di quella grande questione. All’equazione nobiltà = virtù personale, lo s. aggiunge l’altra equazione, amore = virtù, da cui consegue che amore è segno di nobiltà, della vera nobiltà: «Amore e ’l cor gentil sono una cosa Sì come il saggio in suo dittare pone», ripete Dante in un suo sonetto. All’amore come sudditanza del poeta alla donna-signora feudale, così come era concepito generalmente dai provenzali e dai siciliani e, in parte, dai guittoniani, lo s. contrappone la sua concezione dell’amore come qualcosa che mette in essere la virtù, che in un cuor gentile, cioè nobile, non manca mai, ma può restare solo potenziale; in altri termini, l’amore è identificato con l’ansia di migliorare. La donna pertanto, che tende a scomparire come creatura poetica per lasciar campeggiare solo la figura del poeta-personaggio, è ‘angelicata’, è un angelo non nel senso generico della parola, ma nel senso tecnico della filosofia scolastica, secondo la quale gli angeli sono tramiti tra Dio e l’uomo. In tal modo, in clima bolognese-fiorentino, cioè comunale, cioè, ancora, democratico e laico, ma sempre preoccupato del problema religioso, si compone il dissidio tra l’amore sentito non solo come insopprimibile ma anche come segno di altezza spirituale, e l’amore condannato dalla religione come peccato: una moralità nata dall’amore, cioè dall’umanità più piena, è la guida più sicura a Dio, da Dio stesso voluta.

DANTE: le Rime, la Vita Nova, le rime petrose, i trattati.

Le Rime Sono una raccolta di componimenti poetici composti da Dante in un ampio arco di tempo, dalla giovinezza sino ai primi anni dell'esilio, non inclusi da lui nella Vita nuova o nel Convivio: non si tratta pertanto di un'opera progettata coscientemente dall'autore, ma di testi sparsi che gli studiosi moderni hanno organizzato in un'edizione secondo criteri compositivi e soprattutto cronologici (benché la datazione di molte di queste liriche sia incerta). Si tratta di 54 componimenti di sicura attribuzione dantesca (34 sonetti, 13 canzoni, 5 ballate e 2 sestine), cui vanno aggiunti 26 testi di dubbia attribuzione e altri 26 testi di «corrispondenti» poetici, tra cui Guido Cavalcanti, Cecco Angiolieri, Cino da Pistoia. Vari sono i modelli cui si rifà l'autore, dai siculo-toscani delle rime giovanili (specialmente Guittone D’Arezzo, poi rifiutato), agli stilnovisti (tra cui spicca l'amico Cavalcanti), ai provenzali del trobar clus (Arnaud Daniel), ai poeti comico-realisti. Notevole è la varietà dei temi, anche se prevale una ricerca della sperimentazione, metrica e linguistica, ed è centrale il tema amoroso, non solo nelle rime riconducibili allo Stilnovo ma anche nei testi che si ispirano ad altre scuole poetiche. In base alla cronologia e ai temi trattati le poesie vengono solitamente suddivise in cinque gruppi: rime giovanili e stilnovistiche, tenzone con Forese Donati, rime «petrose», canzoni dottrinali e allegoriche, rime dell'esilio. Rime giovanili e stilnovistiche Costituiscono il gruppo più numeroso e comprendono anzitutto i testi della prima produzione lirica di Dante, secondo i modelli della poesia cortese, siciliana e siculo-toscana: vi sono sonetti di «corrispondenza» con altri poeti (soprattutto guittoniani), componimenti d'occasione, liriche amorose. Seguono poi le rime composte all'epoca della Vita nuova, risalenti quindi al periodo 12831293, e rimaste escluse dal libello: alcuni testi sono dedicati a Beatrice, altri a donne diverse che vengono indicati con vari senhals (tra queste Lisetta, Fioretta, Violetta, non precisamente identificabili). Ci sono alcuni sonetti di corrispondenza con amici della scuola, ad es. Cino da Pistoia, ed altri che pur non essendo di argomento amoroso rientrano comunque nell'atmosfera della cerchia stilnovistica (tra questi spicca il celebre sonetto Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io, in cui si celebra l'amicizia con gli altri due membri della scuola). Gran parte di queste liriche furono composte a Firenze, mentre una fa esplicito riferimento al viaggio giovanile di Dante a Bologna(è il sonetto Non mi poriano già mai fare ammenda). Tenzone con Forese Donati È uno scambio di sonetti polemici e ingiuriosi con l'amico e rivale poetico Forese Donati, appartenente alla famiglia attorno a cui si stringevano i Guelfi Neri fiorentini (tre sonetti di Dante cui risponde Forese, sia pure con minori risultati poetici); furono composti sicuramente dopo la Vita Nuova, forse negli anni 1293-1296 e testimoniano del cosiddetto «traviamento» morale di Dante, che consisteva nella sopravvalutazione della filosofia sulla teologia, nel tradimento dell'amata morta con altre donne più sensuali, in uno stile di vita disordinato che aveva proprio Forese come compagno e sodale. La tenzone si rifà ovviamente allo stile della poesia comico-realistica, più in

particolare al genere del vituperium che aveva Rustico di Filippo come esponente di maggior peso in Toscana: le accuse che i due si scambiano reciprocamente sono di vario tipo e mentre Dante accusa Forese di essere un ghiottone, un ladro e di trascurare la moglie Nella, Forese risponde adombrando la viltà del poeta che avrebbe dovuto vendicare un'offesa fatta al padre Alighiero, accusato forse anche di praticare l'usura (Dante allude a un fatto analogo in Inf., XXIX, 18 ss., riguardo alla figura di Geri del Bello). Lo scambio ingiurioso non deve essere preso troppo sul serio, in quanto risponde sicuramente a una tradizione poetica nella quale entrambi si riconoscevano e va interpretato come una sorta di gioco letterario. Tale lettura è autorizzata dall'episodio che vede Forese protagonista nei Canti XXIIIXXIV del Purgatorio, in cui l'anima dell'amico defunto pronuncia parole di tenero affetto per la moglie Nella ingiuriata da Dante nel sonetto Chi udisse tossir la malfatata (i commentatori vi hanno visto una sorta di ritrattazione dell'Alighieri e di riparazione per le offese recate). Nell'episodio del poema Dante rievoca anche con rammarico il periodo di baldorie e bagordi vissuti insieme, indicandolo come una causa del suo traviamento e del viaggio ultraterreno (Purg., XXIII, 115-117). Rime «petrose» Sono quattro componimenti (due canzoni e due sestine) risalenti probabilmente agli anni 12961300, dedicati a una donna Petra (o Pietra) che è l'opposto della donna-angelo dello Stilnovo: è dura, crudele, respinge l'amore del poeta e suscita in lui desiderio di rivalsa e vendetta (il nome è un senhal di significato fin troppo evidente). Dante si ispira alla tradizione provenzale del trobar clus, soprattutto ad Arnaud Daniel dal quale trae la forma metrica della sestina e della sestina doppia, un vero virtuosismo tecnico che ripeteva secondo uno schema prefissato le stesse parole-rima. Lo stile è volutamente oscuro, con l'uso di parole ricercate e rare e una ricerca di suoni aspri e sgradevoli, sia pure nell'ambito dello stile elevato della lirica amorosa (siamo lontanissimi dall'esperienza, ormai conclusa, dello Stilnovo). È molto discusso se la donna Petra, che come figura femminile esprime un amore fisico e carnale antitetico a quello di Beatrice e della Vita nuova, sia da identificare con una donna reale o non sia allegoria della filosofia, come la donna gentile così reinterpretata nel Convivio: secondo questa ipotesi, la durezza della donna e il suo ostinato rifiuto verso Dante sarebbero simbolo della difficoltà dell'autore nell'affrontare lo studio delle tematiche filosofiche, cui si era accostato dopo la morte di Beatrice. Non è escluso che tale esperienza intellettuale e poetica sia parte del «traviamento» di Dante che proprio Beatrice gli rimprovera nel Canto XXX del Purgatorio, in cui lo accusa di averla tradita andando dietro ad altre donne tra le quali una pargoletta protagonista di alcune rime amorose (potrebbe essere la donna gentile della Vita nuova, o la donna Petra, o entrambe in quanto allegoria della filosofia). Canzoni dottrinali e allegoriche Sono una serie di canzoni di argomento filosofico e di struttura allegorica, scritte con ogni probabilità nei primi anni dell'esilio e destinate ad essere inserite nel Convivio per essere commentate, anche se non sappiamo in quali trattati e per illustrare quali argomenti. Lo stile è elevato ed estremamente curato, sicché è certamente a queste canzoni che Dante si riferisce quando in Inf., I, 87 parla di bello stilo che gli ha fatto onore e che afferma di aver tratto da Virgilio (si tratta dello stile «alto e tragico» che secondo la retorica medievale corrispondeva a quello dell'Eneide ed era destinato alla poesia epica, a quella morale e alla lirica amorosa). Sono dedicate alla leggiadria, virtù abbandonata dagli uomini nei tempi pr...


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