Politica Industriale - cosa può fare lo stato per favorire l\'industria PDF

Title Politica Industriale - cosa può fare lo stato per favorire l\'industria
Course Economia industriale 
Institution Università degli Studi di Udine
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Summary

POLITICA INDUSTRIALE, SETTORE MANIFATTURIERO E LEGGI DIKALDORLe tematiche di politica industriale ruotano attorno al tema dell’intervento pubblico in questo settore e cercano di rispondere alle seguenti domande: perché intervenire? In quale direzione intervenire? La teoria economica ha una visione n...


Description

POLITICA INDUSTRIALE, SETTORE MANIFATTURIERO E LEGGI DI KALDOR Le tematiche di politica industriale ruotano attorno al tema dell’intervento pubblico in questo settore e cercano di rispondere alle seguenti domande: perché intervenire? In quale direzione intervenire? La teoria economica ha una visione negativa dell’intervento pubblico nell’economia, anche per quanto riguarda la politica industriale, sostenendo che non spetta allo Stato il compito di individuare i settori più promettenti (e di conseguenza sostenerli). La politica industriale è inoltre vista negativamente poiché essa è in grado di condizionare gli esiti di mercato (inficiandone i meccanismi) che, se si suppone in concorrenza perfetta, è lo strumento più efficace per quanto riguarda l’allocazione delle risorse. In questa direzione va quella parte di intervento pubblico che prende il nome di politiche regolatorie o Antitrust che hanno proprio l’obbligo di sostenere il mercato e la concorrenza. L’intervento pubblico è accettato in alcuni ambiti come infrastrutture, telecomunicazioni, istruzione e ricerca. Ci sono due punti di vista sulle politiche industriali: politiche industriali di tipo orizzontale e politiche industriali di tipo verticale. Politiche industriali orizzontali Sono politiche industriali (pubbliche) che coinvolgono tutti i settori produttivi e cercano di orientarli in una certa direzione piuttosto che in un’altra. Si cerca di fornire al sistema economico i fattori che rendono possibile il suo sviluppo => non si seleziona per settore, non si favorisce quindi un settore rispetto ad un altro ma si favoriscono determinati elementi “di base” generalizzati => questa prospettiva di intervento è la più condivisa tra gli economisti. NB nella teoria queste politiche dovrebbero essere “neutre” ma nella pratica ciò non sempre accade. Aspetto negativo: fornendo certi fattori alle imprese per favorirne lo sviluppo, c’è il rischio di riscontrare comportamenti opportunistici da parte di altri sistemi economici => ad esempio interventi sul sistema scolastico per migliorare le conoscenze e le competenze dei lavoratori potrebbero non generare reddito e occupazione in quel territorio ma essere preda di altri sistemi economici che presentano maggiori opportunità => problema della dispersione e della remunerazione delle competenze. Ad esempio: uno dei fraintendimenti è che lo Stato debba favorire certi ambiti ma sono le imprese che consentono di migliorare reddito e occupazione; ad esempio gli incentivi per energia solare ed eolica finiscono ad imprese estere perché in Italia non sono molte le imprese che producono questa tecnologia => si trascura l’offerta che consente di trasformare quelle competenze e conoscenze in beni e quindi in reddito => problema delle politiche industriali orizzontali. Compromesso: un sistema economico dovrebbe essere in grado di produrre buona parte di ciò che consuma => verrebbe così a crearsi un circolo virtuoso tra produzione e domanda. Politiche industriali verticali Sono interventi pubblici che esplicitano si settori industriali da sostenere, spesso si sostiene un’unica impresa che ha il monopolio in un determinato settore (es. energia-Enel fino a prima delle privatizzazioni). Per identificare il soggetto o il settore da sostenere si identifica il vincente o il perdente => chiave di lettura sulla quale si ritiene di sostenere un settore rispetto ad un altro come valore aggiunto, produzione di materie prime che servono poi per altre lavorazioni ecc... Esempio di vincenti in Italia sono: meccanica leggera, agroalimentare e tessile. Esempio di perdenti sono attività ritenute in qualche modo strategiche come Ilva e Alitalia.

NB queste politiche si scontrano attualmente con una serie di regole a livello Europeo: i trattati vietano esplicitamente il sostegno a imprese o settori => tema degli aiuti di stato: divieto per gli stati di sostenere imprese o settori a meno di deroghe. Queste regole impongono agli stati di andare in una direzione di mercati concorrenziali, considerando il mercato come strumento migliore per allocare le risorse e ritendendo che l’intervento pubblico non possa inficiare questo risultato. Esempio di Chang: la protezione di certi settori o attività dalla competizione internazionale sarebbe utile in quanto la formazione e l’apprendimento richiedono tempo ma se tutti facessero così si genererebbero controversie e contrasti. Obiettivo dell’intervento pubblico: contrastare gli esiti di mercato non favorevoli o favorendo i settori che la comunità ritiene auspicabili. Confronto tra i due tipi di politiche industriali  Politiche industriali verticali: obiettivo è promuovere o sostenere certi settori o gruppi di settori; si sostengono imprese che vanno bene o viceversa.  Politiche industriali orizzontali: lo scopo è sostenere l’economia nel suo complesso promuovendo i fattori della produzione in modo generalizzato, che portano al cambiamento auspicato. Ci sono però attività che beneficiano più di altre di un intervento di questo tipo. Settore manifatturiero Idea di Hamilton: teoria dell’industria nascente: idea di proteggere le industrie nascenti => approccio degli USA, protezione anche mediante dazi e strumenti contro la competizione estera. Grande ruolo dell’industria manifatturiera grazie alle sue specificità:  Fonte principale della crescita di produttività (capacità di produrre più beni o servizi a parità di input impiegati) legata alla tecnologia.  La manifattura è la principale fonte di domanda di attività di servizi ad alta produttività come finanza, trasporti, consulenza. [rischio di specializzarsi in attività di servizi delocalizzando le attività manifatturiere]  I beni manifatturieri si commerciano a livello mondiale.  Si sviluppano anche tecniche organizzative da applicare in settori diversi, come l’impiego di beni capitali in agricoltura e nei servizi. Deindustrializzazione: in Italia si è vista una riduzione della quota di attività industriali sul PIL dal 2008 in poi, ciò però non è andato di pari passo con la riduzione della domanda di beni manifatturieri. Spesso la deindustrializzazione è stata collegata alla delocalizzazione. Problema di misurazione statistica: in passato le industrie manifatturiere svolgevano al proprio interno molti servizi avanzati come la consulenza e i servizi finanziari. In generale, le attività manifatturiere hanno avuto un maggiore aumento di produttività rispetto all’industria dei servizi. Le evidenze empiriche di Verdoorn Verdoorn (1949): “i materiali statistici che sono disponibili per i periodi antecedenti alle guerre (1870-1914 e 1918-1930) per i vari paesi, mettono in luce l’esistenza di una relazione di lungo periodo abbastanza costante tra gli incrementi della produttività del lavoro e il volume della produzione industriale”.  Il valore medio della elasticità della produttività in relazione al prodotto è circa di 0,45 (i limiti estremi trovati in concreto sono 0,41 e 0,57).

Nel lungo periodo un cambiamento nel volume della produzione, diciamo del 10%, tende ad essere accompagnato da un aumento medio della produttività del 4,5%. NB se aumenta il volume della produzione industriale, aumenta la produttività che si traduce in minori prezzi o maggiore remunerazione del fattore lavoro. 

Legge di Kaldor-Verdoorn È una legge empirica: Dove:  è il saggio di variazione della produttività del lavoro.  è il saggio di variazione dell’output.  è il “coefficiente di Verdoorn”, ovvero il valore dell’elasticità. Viene così a crearsi un circolo virtuoso per cui un aumento della capacità produttiva provoca un aumento della produttività che provoca una migliore retribuzione del fattore lavoro (quindi maggiore reddito) che porta ad un aumento dei consumi che alimenta questo circolo virtuoso.  Effetto che parte dalla domanda piuttosto che dall’offerta. Le leggi di Kaldor Analisi delle motivazioni del basso tasso di crescita del Regno Unito => problema che si poneva già a inizio ‘900. 1. Esistenza di una relazione empirica tra tassi di crescita del reddito e tassi di crescita della produzione manifatturiera. 2. Esistenza di una correlazione tra i tassi di crescita della produzione manifatturiera e i tassi di crescita di prodotto per addetto. 3. Modificazioni strutturali indotte dalla crescita economica che inducono il trasferimento degli occupati da altri settori (a bassa produttività) verso il manifatturiero (ad alta produttività) determinano un ulteriore accelerazione nel tasso di crescita del prodotto per addetto. Legge di Kaldor-Verdoorn Motivazioni: 1. Rendimenti crescenti di scala ed economie di apprendimento. [soprattutto per le industrie di processo] 2. Specializzazione e interazione fra imprese. 3. Progresso tecnico endogeno e incorporato nel capitale (investimenti) => fenomeno che è cumulato: rendimenti crescenti di Arthur => una tecnologia una volta introdotta viene continuamente migliorata. [esempio dei combustibili fossili a confronto con altre fonti di energia che non si sono sviluppate tecnologicamente] Modello circolare: relazione di causalità diretta tra crescita e produttività

Circoli virtuosi o viziosi innescati dall’andamento della competitività dei salari e del tasso di cambio...


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