Proprietà privata e Il Codice civile del 1942 PDF

Title Proprietà privata e Il Codice civile del 1942
Author Enrico Savuto
Course Diritto Privato
Institution Università telematica e-Campus
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Summary

Questo corso serve per inquadrare un aspetto fondamentale del diritto privato.
La proprietà privata che è già protetta dalla Costituzione italiana e specificata nel codice civile....


Description

LA PROPRIETA’ PRIVATA I LIMITI POSTI NELL’INTERESSE PUBBLICO E NELL’INTERESSE PRIVATO

Il Codice civile del 1942, pur accogliendo una nozione assoluta di proprietà, precisa che il potere del proprietario deve svolgersi entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico (art. 832). Il numero dei limiti costituiti sulla proprietà risulta essere piuttosto ampio, ma in generale si possono considerare due nozioni di limite: limite esterno: il proprietario, pur avendo un potere assoluto all’interno dell’area di sua proprietà, non può superare il limite esterno e viene sottoposto al rischio di espropriazione. Tali limitazioni esterne possono essere: 

pubbliche, quando sono dettate dall’interesse generale. Tra di esse possiamo annoverare la requisizione (art. 835), gli ammassi (art. 837) e la minima unità colturale (art. 846). 

 private, quando sono poste nell’interesse di altri privati. Tra di esse vi sono i rapporti di vicinato, relativi all’accesso al fondo (art. 843), alle immissioni (art. 844), alle distanze (art. 873 e ss.), alle luci e vedute (art. 900 e ss.) e allo stillicidio (art. 908).

limite interno: il proprietario non risulta libero di fare ciò che crede all’interno dell’area di sua proprietà, ma viene fortemente condizionato nei suoi poteri. I vincoli connessi all’alienazione di cose di interesse storico o artistico, i vincoli di inedificabilità o le limitazioni connesse con l’uso del sottosuolo (art. 840) vengono considerati interventi conformativi, conformazione, appunto, della proprietà, la quale si presenta in tipi o categorie diverse. 

Limiti proprietà: perchè esistono? [Torna su]

I limiti della proprietà ricavabili dal codice civile, che nel loro insieme e nella loro articolazione valgono a definire l'istituto in termini generali, possono essere ricondotti a due categorie: - limiti imposti per ragioni di pubblico interesse

- e limiti imposti per salvaguardare i concorrenti diritti degli altri soggetti privati. Contemperamento degli interessi Il codice del 1942, infatti, e, successivamente, la Carta Costituzionale (con la previsione del rinvio alla legge ordinaria per la disciplina dei modi di acquisto, di godimento e dei limiti alla proprietà), anzichè provvedere all'elencazione delle facoltà connesse al diritto sulla cosa, si sono preoccupati di indicarne espressamente i limiti, nell'ottica di un contemperamento dell'interesse privato con quello dei terzi e dell'intera collettività. Funzione sociale della proprietà Alla stessa ratio risponde la garanzia della "funzione sociale" della proprietà, prevista dall'articolo 42 della Costituzione con l'obiettivo di renderla accessibile a tutti assicurando una più equa distribuzione della ricchezza: in altri termini, il fine del legislatore è quello di far sì che il diritto di proprietà, come qualsiasi altro diritto soggettivo, non solo non costituisca strumento di offesa o veicolo di danno, ma non sia da impedimento alla realizzazione di interessi pubblici o individuali, funzionando altresì come strumento efficace di soddisfacimento di interessi extraindividuali (si pensi al proprietario di fondi destinati a determinate coltivazioni interessanti la produzione nazionale).

Limiti alla proprietà nell'interesse pubblico [Torna su]

La categoria dei limiti alla proprietà nell'interesse pubblico si è evoluta e articolata nel tempo, attraverso specifiche normative tese ad assicurare la realizzazione della funzione sociale prevista dall'articolo 42, comma 2, della Costituzione, sulla base della stretta connessione con la natura del bene che forma l'oggetto della proprietà. Alle previsioni contenute nel codice civile e nella stessa Carta Costituzionale come l'espropriazione per pubblica utilità (ex art. 42 e 834 c.c.), la requisizione e l'imposizione di vincoli per necessità pubbliche (art. 835 c.c.) - nel tempo, in base alla "natura del bene" oggetto della proprietà, nonchè della destinazione dello stesso e dell'esigenze di realizzazione dell'interesse pubblico, si sono aggiunti altri e più pregnanti limiti al godimento e all'esercizio del diritto di proprietà. Principali limiti nell'interesse pubblico Occorre menzionare, in tal senso: 

le leggi a presidio della tutela ambientale,

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le leggi volte a disciplinare l'attività di coltivazione, conservazione o l'esercizio di determinati beni che interessano la produzione nazionale, i vincoli imposti per il rispetto delle distanze legali delle costruzioni dalle c.d. "zone di rispetto" (strade, ferrovie, autostrade, ecc.), le servitù e le imposizioni sui fondi per assicurare l'utilità alla P.A. (per le linee telefoniche, i segnali stradali, le condutture elettriche, ecc.), i vincoli forestali e paesaggistici, i vincoli idrogeologici (artt. 866 e ss. c.c.), le particolari discipline dettate per le miniere, le cave, le torbiere e i fabbricati adibiti ad uso alberghiero. Il legislatore ha previsto anche diverse condotte attive cui i privati possono o devono attenersi, come ad esempio la possibilità della formazione di consorzi tra proprietari, volontari o coattivi, per la bonifica integrale (857 c.c.), per la migliore utilizzazione delle acque (821 c.c.), per la ricomposizione fondiaria (850 c.c.).

Limiti alla proprietà nell'interesse privato [Oltre

all'evitare che il diritto soggettivo della proprietà non costituisca uno strumento di offesa nè un veicolo di danno, attraverso specifiche disposizioni (come il divieto degli atti emulativi ex art. 833 c.c.), il legislatore ha previsto anche una serie di ulteriori limiti finalizzati a salvaguardare gli interessi degli altri privati, che operano soprattutto nei rapporti c.d. di "vicinato" e che riguardano la proprietà immobiliare. Il fine, com'è evidente, è quello di contemperare l'assolutezza del diritto del proprietario sulla propria res con l'analogo potere degli altri proprietari, in modo che la libertà di ciascuno non confligga con quella degli altri soggetti. In linea di principio, il diritto di godere e disporre della propria res, da parte del proprietario, va contenuto entro i propri confini: tali "confini" rappresentano i limiti legali della proprietà, ne definiscono il contenuto circoscrivendo l'ambito in cui il diritto è tale rispetto a quello in cui non lo è più, poichè incide sul parallelo diritto altrui. Principali limiti nell'interesse privato I limiti relativi ai "diritti e doveri di vicinato" che interessano esclusivamente la proprietà immobiliare riguardano, in particolare:  

il rispetto delle distanze nelle costruzioni, nelle piantagioni, nell'escavazione di fossi o pozzi ecc. (artt. 873-899 c.c.), le prescrizioni sulle luci e sulle vedute, tese a consentire sia il passaggio della luce e dell'aria che la possibilità di affaccio ai vicini (artt. 900-907 c.c.),



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le norme in materia di stillicidio, che prevedono che il proprietario costruisca i tetti in modo che le acque piovane scolino sul suo terreno e non su quello dei vicini (art. 908 c.c.), le norme in materia di utilizzo delle acque private (artt. 909-922 c.c.), il divieto di immissioni (art. 844 c.c.).

Le immissioni Un particolare approfondimento lo meritano le immissioni, che sono una delle principali fonti di contenzioso tra vicini. Con riferimento ad esse, se è agevolmente spiegabile il divieto di ogni immissione materiale di cose o persone (facere in alienum), meno semplice risulta il vietare le cc.dd. "immissioni immateriali" che non sono conseguenza di una intrusione nella sfera altrui bensì di quanto ciascuno fa in casa propria ma che, per ovvi motivi (si pensi al fumo, al calore, ai rumori, ecc.), si diffonde inevitabilmente sulla proprietà vicina. A tal proposito, il codice civile ha previsto, all'art. 844 c.c., che ciascun proprietario di un fondo non può impedire "le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino se non superano la normale tollerabilità". L'accertamento del criterio della "normale tollerabilità" compete all'autorità giudiziaria, che vi provvede avendo riguardo alla condizione dei luoghi e contemperando le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà e degli usi. A tal fine, giungono in soccorso numerose leggi speciali che prendono in considerazione le immissioni gassose, liquide, sonore, ecc. Immaginate di subire l’espropriazione di un fondo o un bene immobile che avete acquistato con i vostri risparmi. Quali le soluzioni per non ricevere un pregiudizio?

La pubblica amministrazione gode di numerosi poteri per garantire l’efficienza dei servizi offerti ai cittadini.

Tali poteri amministrativi indicano la situazione giuridica soggettiva che la pubblica amministrazione esercita in qualità di autorità, e sono contraddistinti da alcuni elementi: anzitutto, il potere amministrativo non è riservato a tutti i soggetti, ma esclusivamente a quelli individuati dalla legge o dall’ordinamento, a differenza dei poteri giuridici, riconosciuti a tutti i consociati. In secondo luogo i poteri amministrativi producono effetti giuridici anche senza il consenso dei destinatari o terzi che potrebbero subire gli effetti indiretti del potere esercitato; si evince dunque la possibilità per la pubblica amministrazione di costituire, modificare, estinguere rapporti giuridici senza il consenso degli interessati. In terzo luogo, il potere amministrativo viene esercitato attraverso l’adozione di atti tipici, definito provvedimento amministrativo e disciplinato da apposite norme, a differenza del potere giuridico, che può essere esercitato sia attraverso atti tipici sia attraverso atti atipici. Vista così, tale disciplina sembrerebbe essere nettamente favorevole a far prevalere l’interesse della pubblica amministrazione, tuttavia non è così. Ogni atto amministrativo deve essere sottoposto al vaglio del giudice amministrativo per verificare non solo la forma corretta dell’atto, ma anche eventuali vizi di legittimità, violazioni di legge, incompetenza ed eccesso di potere. La dottrina tende a dividere il contenuto dei poteri della pubblica amministrazione in tre categorie: 1) Poteri di trasformazione e poteri di conservazione, attraverso appositi atti amministrativi già precedentemente citati, con i quali la PA può costituire, modificare, estinguere rapporti giuridici. Per ciò che concerne i poteri conservativi, si tratta di atti amministrativi di carattere negativo, efficaci nei confronti dei consociati ai quali è preclusa l’efficacia di qualsiasi atto modificativo che possa nuocere la pubblica amministrazione. 2) Poteri di indirizzo e poteri di gestione, dove i primi erano di competenza delle classi politiche, mentre i secondi spettavano alla pubblica amministrazione. Oggi si assiste al passaggio da modello a responsabilità ministeriale a modello a competenze differenziate. 3) Potere vincolato, potere discrezionale puro e discrezionalità tecnica, dove il primo fa riferimento alla subordinazione del potere amministrativo rispetto alla legge statale competente nello stabilire quali siano gli interessi e i servizi da offrire ai cittadini, il secondo appunto lascia alla PA pura discrezionalità mentre la terza variante si riferisce ad ipotesi di norme imprecise.

La pubblica amministrazione dunque, gode di una vasta gamma di diritti, che non sempre coincidono con i diritti o con gli interessi legittimi dei cittadini. Si prenda l’esempio dell’espropriazione per pubblica utilità, situazione nella quale la PA può estinguere il diritto di proprietà di un privato per interessi pubblici strettamente necessari, il tutto nell’osservazione della legge e dei tempi e delle modalità (dunque fin quando il provvedimento non diviene esecutivo, il diritto di proprietà del privato continua ad esistere). Ciò non significa che il diritto del privato è sempre e comunque contrastante con il diritto della PA, infatti è stato introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’interesse legittimo, attraverso il quale il privato è legittimato a partecipare al processo non tanto per invocare la lesione di un suo diritto, piuttosto per cercare quantomeno di ridimensionare gli effetti dell’espropriazione e proteggere anche le sue esigenze.

Quanto ai riferimenti normativi, non è stato facile per il legislatore inserire la disciplina di questo particolare istituto. Troviamo tracce normative all’interno del d.lgs. 267/2000 contenente il caso di occupazione d’urgenza di immobili per la realizzazione di opere pubbliche, ma si sentì l’esigenza di introdurre un testo unico, che arrivò con il D.P.R 327/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazioni per pubblica utilità), rivisitato poi dalla legge 290/2003. Il testo unico abrogò centinaia di leggi e discipline sparse, lasciando in vita una sola fonte. Secondo il TU, oggetto dell’espropriazione possono essere: beni immobili e diritti relativi a tali beni; beni appartenenti al Demanio pubblico, previa sdemanializzazione; beni destinati al culto, previo accordo con le autorità competenti. L’art. 42 terzo comma, Costituzione Italiana e l’art. 834 del codice civile, stabiliscono che i beni di un privato possono essere espropriati per funzioni di pubblica utilità. L’espropriazione è sorretta da due principi, quello della legalità, secondo il quale la PA può espropriare beni di proprietà di un privato solo nei casi stabiliti dalla legge, e quello dell’indennizzo, secondo il quale il titolare espropriato deve vedersi versare una somma di denaro da parte dello Stato a titolo di indennizzo, che non sia di carattere meramente simbolico, bensì corrispondente al valore del bene espropriato. Anche la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali tutela il libero godimento dei beni. L’Italia è stata più volte condannata dalla Corte di Strasburgo circa la violazione di tale convenzione. Per quanto concerne i tipi di espropriazione, nel nostro ordinamento ne sono stati riconosciuti di tre tipi:  Espropriazione totale: si verifica quando un proprietario viene espropriato nella totalità del suo bene;  Espropriazione parziale: si corrisponde l’indennizzo solo per la parte espropriata;

 Occupazione temporanea: l’occupazione dell’immobile o del fondo sono temporanei e durano fin quando non è cessata l’attività della pubblica amministrazione. Il procedimento espropriativo è invece disciplinato dall’art. 8 del D.P.R. 327/2001. Il decreto di esproprio può essere emanato a condizione che l’opera da iniziare sia prevista nello strumento urbanistico generale, e sul bene da espropriare sia stato disposto il vincolo; che sia stata data la dichiarazione di pubblica utilità; infine che sia stato determinato l’indennizzo. Subentra una regolare fase istruttoria, ed al termine di questo la fase espropriativa, articolata in due momenti: deposito del piano particolareggiato di esecuzione da parte del soggetto espropriante, emanazione dell’ordinanza prefettizia che determina l’esecutività del piano e la somma da corrispondere a titolo di indennizzo. Tra diritto di proprietà del singolo e pubblica utilità, dunque, sembra prevalere proprio quest’ultima. D’altronde non c’è nulla da temere, l’indennizzo dovrebbe, in teoria, coprire l’intero valore del bene espropriato, anche se il denaro spesso non tiene conto anche del valore affettivo che può legare un bene al suo legittimo proprietario.

Costituzione di una servitù pubblica su un suolo privato e configurazione dei limiti al diritto di proprietà per il perseguimento dell’interesse pubblico Al fine di individuare il contenuto di una servitù pubblica su suolo privato, non può darsi rilevanza prevalente alle prescrizioni contenute nello strumento urbanistico in relazione alle aree aventi destinazione omogenea rispetto alle finalità pubbliche cui la servitù è preordinata, atteso che nella specie non si tratta di definire il regime urbanistico del suolo, ma piuttosto di individuare i limiti posti al diritto di proprietà per il perseguimento dell’interesse pubblico in ragione del quale la servitù è stata imposta. In tale prospettiva, assume rilievo decisivo la volontà delle parti quale risultante dal titolo costitutivo della servitù, che al tempo stesso costituisce la fonte e segna il limite del sacrificio ammissibile del diritto dominicale. Pertanto, non è consentito al Comune, in favore del quale sia stata costituita una servitù di uso pubblico su suolo privato condominiale, di autorizzarne l’uso in via esclusiva in favore di altro soggetto privato prescindendo dal necessario consenso dei proprietari del suolo (1) La sentenza dichiarativa del sopravvenuto difetto di interesse alla decisione nel merito della causa può essere pronunciata soltanto al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto nuova, che comunque muta radicalmente la situazione esistente al momento della proposizione del ricorso e che sia tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza nel merito per aver fatto venir meno per il ricorrente ovvero per l’appellante, qualsiasi residua utilità della pronuncia sulla domanda azionata, foss’anche soltanto strumentale o morale (2) (Cons. Stato, Sez. II, 12 maggio 2020, n. 2999 ). (1) L’art. 825 c. c., rubricato nei “Diritti demaniali su beni altrui “, reca la disciplina in chiave unitaria dei princìpi informatori dell’istituto delle c. d. “servitù di uso pubblico“, correntemente definite quali “diritti di uso pubblico” – in quanto sussumibili nel più ampio

novero dei diritti reali pubblici di godimento costituiti su immobili di proprietà privata – concettualmente distinti tra le c. d. servitù prediali pubbliche ed i diritti (scilicet, servitù) di uso pubblico. Le servitù prediali pubbliche configurano particolari diritti reali – spettanti alla P. A. e gravanti su beni di proprietà privata in quanto “costituiti per l’utilità di alcuno dei beni” che integrano il demanio pubblico (art. 822 s.) ovvero che risultano soggetti al medesimo regime giuridico (art. 825, periodo III) – piuttosto che diritti ovvero servitù di uso pubblico, costituiti in capo ad un Ente pubblico “per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi“, benché in assenza di un rapporto funzionale tra le res (art. 825, ultimo periodo). La costituzione di un diritto di uso pubblico su un bene di proprietà privata – quali le c. d. strade vicinali di cui all’All. F, artt. 1, 9, 18, 19, 20, 51, 84 del R. D. n. 2248/1865 ed al D. Lgt. n. 1146/1918 – ammette, pertanto, una determinata collettività alla parziale utilizzazione della res, che, peraltro, permane nella proprietà del soggetto privato, sebbene nel contempo destinata al perseguimento dello stesso pubblico interesse, in guisa conforme all’art. 42 Cost. e quale obbligo riveniente dall’ordinamento giuridico ed integrante lo “statuto della proprietà privata” (art. 832 ss. c. c.). L’Ente pubblico, dunque, risulta titolare di un mero diritto reale parziario su un bene privato, sul quale può esercitare unicamente le facoltà rese necessarie per garantirne ed assicurarne l’uso pubblico da parte della collettività e per la cui tutela risulta esperibile, in sede di giurisdizione ordinaria ed in ragione del rinvio operato dall’art. 825 c. c. all’art. 823 c. c., l’intera gamma dei mezzi ordinari contemplati nell’ordinamento giuridico per la difesa del diritto di servitù e del possesso. D’altronde, l’Ente pubblico violerebbe il diritto di proprietà del privato, del pari funzionalizzato, quante volte disponesse a favore di un singolo il godimento in via esclusiva del bene di cui non risulti integralmente titolare, ma in ordine al quale eserciti unicamente un diritto parziario finalizzato al perseguimento del pubblico interesse in ragione del diritto demaniale ovvero della servitù di uso pubblico (“nemo plus iuris in alium transferre potest, quam ipse habet“, D. 50.17.54 – Ulpianus, liber XLVI, Ad edictum). L’ammissibilità dell’uso eccezionale da parte di un terzo di un bene asservito all’uso pubblico – che la giurisprudenza consolidata identificato anche con un’occupazione soltanto temporanea della res da part...


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