Codice dei beni culturali e del paesaggio PDF

Title Codice dei beni culturali e del paesaggio
Author Sofia Fagiolo
Course Legislazione dei beni culturali
Institution Sapienza - Università di Roma
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Riassunto del Codice dei beni culturali e del paesaggio del 22 gennaio 2004 , n. 42...


Description

CODICE DEI BENI CULTURALE E DEL PAESAGGIO, 22 gennaio 2004 n.42

I.

Inquadramento sistematico

Disciplina attuale Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (sulla base della legge delega 6 luglio 2002, n. 137 e pubblicato in G.U. 24 febbraio 2004, n. 45), è stato presentato dal ministro per i beni e le attività culturali Urbani come “il primo nella storia del nostro Stato”. È del 1902 la prima legge di tutela del patrimonio artistico dopo l’unità d’Italia, subito sostituita dalla legge Rosadi del 1909 e dal relativo regolamento di attuazione del 1913 (tuttora in vigore): tali leggi scaturiscono dalla lunga tradizione degli Stati preunitari, che vede i suoi albori nel Quattrocento e Cinquecento nello Stato della Chiesa e nel Granducato di Toscana e prosegue. ininterrottamente con provvedimenti sempre più specifici e puntuali fino all’unificazione di metà Ottocento4 . Nel ventennio tra le guerre mondiali vengono emanate le legge fondamentali Bottai n. 1089 e 1497 del 1939, che sono poi recepite insieme ad altre disposizioni nel Testo Unico dei beni culturali e ambientali n. 490 del 29 ottobre 1999 (G.U. 27 dicembre 1999, n. 302). Non si tratta quindi di un intervento su un settore privo di regolamentazione, ma del recepimento di una normativa ormai stabilizzata alla fine del XX secolo e suscettibile di ulteriori ritocchi e aggiornamenti, L’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 contiene invece una delega amplissima, ispirata a principi generalissimi e genericamente orientati ad una razionalizzazione degli interventi e degli strumenti del settore, quindi una disposizione con un oggetto straordinariamente aperto7. L’obiettivo è di una globale ridefinizione della disciplina legislativa di tutte le materie confluite nel Ministero per i beni e le attività culturali col decreto legislativo n. 368/ 98 (beni culturali e

ambientali; cinematografia; teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo; proprietà letteraria e diritto d’autore). l’art. 4, c. 16 della legge 12 luglio 2011, n. 10611 ha apportato una incisiva modifica alla disciplina, elevando per i beni immobili a 70 anni (anziché 50) il limite per poter essere dichiarati beni culturali insieme alla condizione che l’autore non sia più vivente. Tale disposizione appare del tutto incongrua e singolare in una disciplina ormai consolidata, basata sul riferimento all’autore deceduto (risalente alla Deliberazione di Ferdinando I di Toscana del 1602) e al limite temporale di 50 anni per cose mobili e immobili, stabilito ormai da un secolo nella prima legge unitaria del 1902.

Struttura del codice Il decreto legislativo n. 42/ 2004 è diviso in cinque parti, dedicate alle disposizioni generali, ai beni culturali, ai beni paesaggistici, alle sanzioni e alle disposizioni transitorie, abrogazioni ed entrata in vigore. La novità rispetto alle leggi precedenti è costituita dalla prima parte relativa alle Disposizioni generali, nove articoli che hanno, secondo la Relazione, “valenza generale e rilievo tali da caratterizzare l’intero. Il punto focale della disciplina, il cardine è rinvenuto nel fondamentale art. 9 della Costituzione, che proclama: “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, per cui “la nozione culturale, sociale e giuridica di patrimonio culturale della Nazione (patrimonio storico e artistico, in endiadi con il paesaggio) assurge al rango di principio unificatore e informatore del settore, nella sua interezza. Testo Unico 1999: si chiarisce subito che il patrimonio culturale nazionale è un genus, costituito da due species, i beni culturali in senso stretto e i beni paesaggistici, anche essi beni culturali rappresentati dai “paesaggi italiani, la cui profonda connotazione di culturalità, nella forte antropizzazione e stratificazione storica del nostro territorio, costituisce forse un unicum nell’esperienza europea e mondiale, tale da meritare tutto il rilievo e la protezione dovuti”.

Disposizioni generali 1) Patrimonio culturale La Relazione considera il patrimonio culturale quale criterio identificativo della comunità, elemento costitutivo e rappresentativo dell’identità nazionale, così che l’art. 1, comma 1, rappresenta la pietra angolare di fondazione dell’intero impianto normativo. Si legge infatti: "La tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura”. Viene così sottolineata l’importanza del concetto unificatore di patrimonio culturale. L’espressione ‘patrimonio culturale’ risulta più ampia di quella usata dall’art. 9 cost. (patrimonio storico e artistico) e allude alla conservazione di un insieme complesso ma unitario, aggregato e consolidato nel tempo, che si eredita per trasmetterlo alle generazioni successive. l’art. 9 cost. (“ La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”) in una concezione dinamica della tutela, secondo cui i beni culturali non devono essere solo conservati passivamente, ma utilizzati come strumenti per promuovere lo sviluppo culturale. Per il Consiglio di Stato, “ il bene culturale viene protetto per ragioni non solo e non tanto estetiche quanto per ragioni storiche". Deve pertanto ritenersi abbandonata una concezione estetizzante (o estetico-idealistica) del bene culturale (come del bene paesaggisticoambientale), che era alla base della legge fondamentale del 1939, in favore dell’evoluzione della nozione che ne valorizza il significato di documento del tempo e dell’ambiente in cui è sorta. Il coordinamento dell’art. 9 con l’art. 33 cost. (che dispone “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” 21) conduce a ritenere che la funzione di promozione della cultura non impone necessariamente una politica culturale dello Stato, tale da condizionare la libertà dell’arte, ma al contrario un’azione dei pubblici poteri per fornire i presupposti per uno sviluppo libero della cultura, tramite incentivazioni finanziarie o di altra natura22. I due precetti costituzionali non configurano un’antitesi, ma indicano che deve essere trovato un punto di equilibrio tra pubblici poteri e cultura: le istituzioni pubbliche debbono fornire solo le condizioni e i presupposti per il libero sviluppo della “Lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione”: è importante il richiamo alla funzione di conservazione del patrimonio culturale da parte dello Stato e degli enti locali territoriali, che ne possiedono una parte

rilevante, nella prospettiva di favorire il godimento da parte della collettività e la valorizzazione. “Gli altri soggetti pubblici, nello svolgimento della loro attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro patrimonio culturale”, mentre “i privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono tenuti a garantirne la conservazione”. L’art. 2 dispone che “il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici”: i primi sono “le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”.

Una novità è invece la definizione di beni paesaggistici (ispirata ancora all’art. 148 del decreto legislativo n. 112/ 98) e cioè “gli immobili e le aree indicati nell’art. 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge”, per cui “la tutela e la valorizzazione del paesaggio salvaguardano i valori che esso esprime quali manifestazioni identitarie percepibili” (art. 131, comma 2).

2) Tutela e valorizzazione Si passa poi a definire nell’art. 3 la tutela, “consistente nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di una adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la protezione e conservazione per fini di pubblica fruizione. L’esercizio delle funzioni di tutela si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale”. Lo Stato e le Regioni esercitano le funzioni amministrative di tutela dei beni paesaggistici, “in modo che sia sempre assicurato un livello di governo unitario ed adeguato alle diverse finalità perseguite”; comunque al Ministero sono attribuiti le potestà di indirizzo e vigilanza e il potere sostitutivo in caso di perdurante inerzia o inadempienza (art. 5). L’art. 6 definisce la valorizzazione del patrimonio culturale, che consiste “nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Essa comprende anche la promozione e il sostegno degli interventi di

conservazione del patrimonio culturale. In riferimento al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici. Viene specificato che “la valorizzazione è attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze".

Secondo la Relazione, introducendo per la prima volta nella normativa sostanziale le nozioni di tutela e valorizzazione e superando i problemi originati dalla formulazione di tali concetti nel decreto legislativo n. 112/ 98, “la valorizzazione è stata intesa come miglioramento, incremento delle condizioni di conoscenza e conservazione del bene culturale, in funzione della massimizzazione della pubblica fruizione dello stesso. La valorizzazione si aggiunge alla tutela e attiene alla gestione efficiente ed efficace del bene culturale per migliorarne la fruizione”. Pur apprezzando il miglioramento rispetto alla normativa precedente (anche attraverso l’eliminazione del concetto di gestione35) si deve rilevare che il risultato non è ancora soddisfacente, in quanto l’intreccio dei concetti di protezione, conoscenza, conservazione non permette di fornire definizioni nette e rigorose e di risolvere le inevitabili ambiguità e interferenze.

3) Beni culturali e patrimonio immateriale

L’art. 7-bis, introdotto nel 2008, se da una parte conferma i caratteri di tipicità e pluralità (corrispondenza ad una delle diverse categorie o dei tipi individuati dal legislatore, ad esempio negli artt. 10 e 11) e soprattutto materialità (il riferimento a qualcosa di materiale, percepibile come le ‘cose mobili o immobili’) del bene culturale, dall’altra adegua la disciplina culturale alle Convenzioni Unesco di Parigi del 2003 e 2005 in tema di patrimonio immateriale (usando purtroppo un linguaggio criptico e complesso). Il patrimonio culturale immateriale (o intangibile) è costituito dall’insieme della cultura tradizionale e popolare, relativa ad un popolo o un gruppo, riconosciuta come espressione della sua identità culturale e sociale in forme che si trasmettono oralmente o con l’esempio e l’imitazione: si fa perciò riferimento alla lingua, alla letteratura, alla musica, alle danze, ai giochi, alla mitologia, ai riti, ai costumi, all’artigianato, all’architettura e alle arti.

Per queste espressioni dal 1997 l’Unesco ha aperto (in simmetria con la Lista del patrimonio culturale e naturale dell’umanità del 1972) una Lista di capolavori del patrimonio culturale immateriale, in cui rientrano per l’Italia il teatro dei pupi siciliani, il canto ‘a tenore’ sardo, la dieta mediterranea. Adeguandosi alla normativa internazionale il legislatore stabilisce che “le espressioni di identità culturale collettiva.. sono assoggettabili alle disposizioni del Codice quando siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l’applicabilità dell’art. 10”. Quindi, per esempio, mentre la forma espressiva del teatro dei pupi è tutelata dall’Unesco nel suo aspetto immateriale, un teatrino con le scene e le marionette originali con cui si rappresentava l’opera può essere riconosciuto come bene culturale. La scelta del legislatore è stata però criticata in quanto errata sul piano tecnico-giuridico oltre che in controtendenza rispetto all’evoluzione degli ordinamenti stranieri e del diritto internazionale

4) Beni d'interesse religioso L’art. 9 dispone che “per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica o di altre confessioni religiose, il Ministero e, per quanto di competenza, le regioni provvedono, relativamente alle esigenze del culto, d’accordo con le rispettive autorità”; pur ribadendo l’integrale competenza dello Stato in materia, si considera il concorrente e legittimo interesse delle confessioni religiose per un aspetto fondamentale della loro identità e funzione. Nell’ambito del pluralismo religioso tutelato dalla Costituzione, si fa riferimento ai beni di interesse religioso (nozione ben più ampia delle ‘cose appartenenti ad enti ecclesiastici e destinate al culto’, previste dalla legge n. 1089/39).

II.

Beni culturali e regime giuridico

Beni culturali di appartenenza pubblica e privata Fondamentale per la comprensione della complessa materia delle categorie dei beni culturali è la distinzione tra beni di appartenenza pubblica e privata.Nel solco della tradizione, ma con un intento sistematico nuovo, vengono definiti beni culturali innanzitutto quelli di appartenenza pubblica (dello Stato, delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali, di ogni altro ente e istituto pubblico), e quelli di appartenenza privata.

1) Beni di appartenza pubblica Rientrano in questa categoria gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. Prima del 2004 vigeva una ‘presunzione generale di culturalità’ di tali cose in quanto l’appartenenza pubblica era sufficiente per sottoporli al regime dei beni culturali, a prescindere dall’effettiva sussistenza dell’interesse. Sono inoltre beni culturali di appartenenza pubblica - vera e propria, esclusi quelli delle persone giuridiche private senza scopo di lucro - le raccolte di musei, biblioteche, pinacoteche, gallerie, spazi espositivi pubblici; archivi e documenti pubblici; raccolte librarie delle biblioteche pubbliche (art. 10, comma 2): essi sono così qualificati ex lege, direttamente dalla legge.

2) Beni di appartenenza privata Se di appartenenza privata, sono beni culturali - a condizione che sia intervenuta la dichiarazione dell’interesse culturale prevista dall’art. 13 - le cose mobili e immobili di interesse culturale particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, di interesse storico particolarmente importante; le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale; le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestono come complesso un eccezionale interesse.

Al comma 4 sono riportate le categorie, già note nelle leggi precedenti, cui si riconosce valore meramente esemplificativo e non tassativo (cose riguardanti la preistoria; cose di interesse numismatico; manoscritti, libri, stampe e incisioni; carte geografiche e spartiti musicali; fotografie, pellicole cinematografiche e audiovisivi con carattere di rarità e di pregio; ville, parchi e giardini con interesse storico e artistico). Ad esse sono state aggiunte nuove tipologie: al comma 4, l. g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico; l. h) i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico; l. i) le navi o i galleggianti aventi interesse storico, artistico o etnoantropologico; l. l) le architetture rurali

aventi interesse storico o etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale.

La novità riguarda soprattutto i beni di appartenenza pubblica, che sono qualificati in prima istanza, in via provvisoria, beni culturali e assoggettati a tutela fino al momento in cui sono sottoposti, d’ufficio o su istanza dell’ente proprietario, a verifica dell’interesse culturale (semplice): se non è accertato, non sono più beni culturali e, se immobili, non fanno più parte del demanio e possono essere alienati (art. 12). Le disposizioni si applicano anche se i soggetti proprietari mutano la loro natura giuridica (ad esempio, a causa della privatizzazione). Sono esclusi dalla verifica i beni appartenenti allo Stato, alle Regioni e agli altri enti territoriali, agli enti ed istituti pubblici, in cui l’interesse culturale è ritenuto sussistente ex lege, elencati nell’art. 10, comma 2 (raccolte di musei, pinacoteche, gallerie ed altri luoghi espositivi; archivi e documenti; raccolte librarie delle biblioteche, già contemplati dall’art. 822 c.c. tra i beni demaniali). Una posizione particolare spetta ai beni delle persone giuridiche private senza scopo di lucro, che sono equiparati a quelli di appartenenza pubblica se rivestono un semplice interesse storico, artistico, archeologico, etnoantropologico, mentre possono rientrare tra quelli di appartenenza privata nel caso di archivi, documenti e raccolte librarie ovvero cose mobili e immobili di interesse particolarmente importante riferite alla storia della cultura e testimonianza dell’identità e della storia delle istituzioni e collezioni o serie di oggetti di eccezionale interesse storico o artistico. Si è così osservato che “la distinzione di fondo basata sull’appartenenza dei beni sfuma quindi in contorni incerti, che sarebbe stato utile meglio precisare” 44, mentre viene ribadita la distinzione tra beni di appartenenza pubblica, di cui si deve verificare la sussistenza di un semplice interesse culturale, e di appartenenza privata, in cui si richiede un interesse di grado più elevato, ‘particolarmente importante’ o ‘eccezionale’, ovvero ‘carattere di rarità e di pregio’ per i beni previsti alle l. b), c), d), e) del comma 4.

L’ultimo comma dell’art. 10 riproduce il limite generale di rilevanza delle cose che possono rientrare tra i beni culturali, costituito dall’essere “opera di autore non più vivente o la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni, se mobili, o ad oltre settanta anni, se immobili”: viene però introdotta una significativa eccezione, riferita al commercio delle opere d’arte contemporanea richiamato.

La legge n. 106/ 2011 ha elevato da cinquanta a settanta anni il tempo necessario per le cose immobili con una disposizione estemporanea e singolare, (contenuta in un decreto sviluppo ‘blindato’, passato con la fiducia al governo), non preceduta da alcun dibattito o proposta, avulsa dal contesto del codice dei beni culturali e dalla tradizionale simmetria col limite delle cose mobili, ma giustificata solo dall’esigenza di “riconoscere la massima attuazione al Federalismo demaniale e semplificare i procedimenti amministrativi relativi ad interventi edilizi nei Comuni che adeguano gli strumenti urbanistici alle prescrizion...


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