Legislazione Dei Beni Culturali Riassunto Manuale Roccella PDF

Title Legislazione Dei Beni Culturali Riassunto Manuale Roccella
Course Legislazione dei beni culturali
Institution Università degli Studi di Milano
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Riassunto del manuale...


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Legislazione preparazione esame CAPITOLO I Le origini della tutela LA ROMA DEL RINASCIMENTO La tutela del patrimonio artistico affonda le sue radici nel Rinascimento. Uno dei provvedimenti più antichi è la bolla (comunicazione ufficiale della curia con sigillo papale) Cum almam nostram urbem emanata il 28 aprile 1462 da papa Pio II, la quale imponeva il divieto di distruggere o danneggiare gli antichi edifici pubblici o i loro resti esistenti nel soprassuolo di Roma anche se collocati in aree di proprietà privata, senza una licenza del romano pontefice (pena scomunica, confisca beni). Nel 1474 la bolla Cum provida di papa Sisto IV vietava di spogliare le chiese dei marmi e degli antichi ornamenti. L’interesse dei pontefici per la conservazione del patrimonio monumentale storico e artistico proseguì e si intensificò nel corso del XVII secolo, in questo modo si introdussero i primi fondamenti della legislazione di tutela: · ·

l’esportazione di beni artistici era assoggettata a una licenza, così come gli scavi archeologici. L’obbligo di denunciare i reperti e di trattenerli per il controllo delle pubbliche autorità.

Nel corso del 1700 lo Stato Pontificio rinnovò l’interesse alla protezione dei beni artistici anche perché essi alimentavano un ricco mercato antiquario che spogliava la città di Roma. Quindi dovevano essere protetti perché attiravano il turismo, che era una fonte di ricchezza e perché valevano a promuovere l’istruzione artistica, come annuncia nel suo esordio l’Editto del cardinale Annibale Albani del 21 ottobre 1726. L’interesse a proteggere i beni artistici fu ulteriormente confermato con successivi editti: · Editto del cardinale Alessandro Albani (1733) · Editto del cardinale Silvio Valenti Gonzaga (5 gennaio 1  750) Anche in altri Stati italiani preunitari furono emanate disposizioni di tutela dei Beni Culturali, che si collegavano alle vicende culturali del tempo Nel Regno di Napoli (scavi Ercolano e Pompei promossi da Carlo III di Borbone 1738 e 1748).  Dal 1750 la Villa Reale di Portici diventò quindi il Museum Herculanense; Inoltre, Carlo III nel 1755 pubblicò anche otto tomi con la documentazione degli Scavi. Nel 1764 fu pubblicata a Dresda l’opera di Johann Joachim Winckelmann, Storia dell’arte dell’antichità, con cui si dà una prima impostazione scientifica all’archeologia, superando il mero interesse antiquario.

NAPOLEONE E IL SACCHEGGIO DEL PATRIMONIO ARTISTICO ITALIANO Le campagne d’Italia di Napoleone (24/03/1796 – 17/10/1797) toccarono pesantemente il patrimonio artistico italiano, ammettendo la consuetudine dell’epoca lo jus predae. La Convenzione già dal 1794 aveva espresso un orientamento politico volto ad assicurare alla Francia le opere d'arte di altri paesi, infatti l'esercito repubblicano aveva saccheggiato il patrimonio dei Paesi Bassi. In occasione di tali campagne la Francia costituì una commissione ad hoc, in cui spiccava il matematico Gaspard Monge, che al seguito delle truppe napoleoniche organizzò la razzia di molte opere d’arte (tra cui l’Apollo del Belvedere, Il Laocoonte - museo pio-clementino; La Madonna di Foligno di Raffaello Sanzio). Il saccheggio fu in seguito legittimato giuridicamente con il trattato di Tolentino (17 febbraio 1797 – tra Napoleone e Pio VI) che sancì il diritto della Francia di trattenere cento opere a scelta. Le opere d'arte razziate da Napoleone furono trasportati a Parigi e per loro entrata c'è un fa le organizza te a una cerimonia di due giorni Le feste della Libertà. Il patrimonio artistico francese aveva sofferto per le distruzioni dei rivoluzionari, esso, però, si arricchì con le opere provenienti dall'Italia che andarono ad incrementare le collezioni del museo del Louvre. LE LETTRES à MIRANDA DI ANTOINE CHRYSOSTOME QUATREMÈRE DE QUINCY Il saccheggio di opere d’arte iniziato da Napoleone durante le campagne d’Italia fu osteggiato nella stessa Francia. Nel 1796 Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy, politico e architetto, pubblicava a Parigi in forma anonima un libretto di 74 pagine, che comprendeva 7 lettere indirizzate al generale napoleonico Miranda. In queste lettere Quatremère de Quincy poneva il fondamento ideologico di una parte importante non solo della legislazione italiana, ma anche di varie convenzioni internazionali sulla tutela dei beni culturali. Nella prima lettera si rifà all’Illuminismo per sostenere una repubblica generale delle arti e delle scienze con membri legati fra loro dall’amore e dalla ricerca del bello, interessati alla conservazione dell’intero patrimonio artistico. Una comunità culturale che sarebbe stata danneggiata dalle spoliazioni di opere d’arte dai luoghi originari. Nella seconda lettera considerava l’Italia un museo generale, un deposito completo di tutti gli oggetti propri allo studio delle arti. Nella terza lettera esaltava Winckelmann per il suo spirito di osservazione. Inoltre enuncia il principio che dividere è distruggere, oltre a sostenere il valore del contesto per le opere dell’ antichità. Nella quinta lettera insisteva su una concezione universale dell’arte e sul valore del complesso dei monumenti di antichità presenti a Roma. Nella settima lettera sosteneva che la vera maniera di arricchirsi in questo campo fosse quella di rendere piuttosto che prendere: troncare le collezioni equivaleva a disperdere i lumi.

Per quanto oggi l’opera di Quatremère appaia illuminante, essa non esercitò nessuna influenza sulle vicende del tempo. ANTONIO CANOVA A PARIGI NEL 1815 Antonio Canova svolse un importantissima azione diplomatica finalizzata al recupero delle opere d'arte sottratte dai francesi, in occasione delle Campagne d'Italia di Napoleone avvenute tra il 1796 e il 1797. Nel 1815, dopo la caduta definitiva di Napoleone, papa Pio VII (Gregorio Barnaba Chiaramonti) e il segretario di Stato, il cardinale Ercole Consalvi, conferirono ad Antonio Canova l’incarico di Ispettore generale delle belle arti e antichità, in Roma e in tutto lo Stato pontificio, con l’intento di recuperare le opere d’arte sottratte dai francesi. Il compito si presentava molto difficile perché il congresso di Vienna non aveva trattato il tema della restituzione delle opere d’arte razziate da Napoleone. Oltre alle resistenze politiche bisognava anche superare l’ostacolo giuridico costituito dal trattato di Tolentino (17 febbraio 1797 – tra Napoleone e Pio VI). Canova fece ristampare a Roma e a Parigi le Lettres à Miranda di Quatremère de Quincy nelle quali erano esposte le regioni che egli intendeva far valere. Tra gli argomenti in favore della restituzione delle opere d’arte, figurava anche l’idea della Repubblica delle arti, alla quale Canova fa riferimento dicendo che la Francia non dava prova di amore e protezione verso le arti trattenendo ingiustamente le opere d’arte altrui, con il parere contrario degli stessi artisti francesi. Egli concluse che tutto ciò che spetta alla cultura delle arti e delle scienze è da considerarsi sopra i diritti della guerra e della vittoria; e tutto ciò che serve all’istruzione locale o generale dei popoli è un oggetto sacro. Le particolari circostanze gli consentirono di recuperare solo parzialmente le opere trafugate, ma tra queste vi fu anche l’Apollo del Belvedere. IL CHIROGRAFO CHIARAMONTI E L’EDITTO DEL CARDINAL PACCA Le vicende dello Stato pontificio nel 1800 sono state decisive per lo sviluppo della moderna legislazione di tutela del patrimonio artistico. Nel 1802 il cardinale Giuseppe Doria Pamphilj emanò con un suo editto, un chirografo (un documento autografo) di papa Pio VII del 1° ottobre 1802, il cosiddetto chirografo Chiaramonti, redatto  dall’abate Carlo Fea, avvocato, Commissario  delle antichità di Roma e, prima ancora, curatore della seconda traduzione dell’opera di Winckelmann. Il chirografo Chiaramonti rinnovò il divieto di esportazione di opere d’arte, ma recò  varie altre disposizioni di protezione del patrimonio artistico romano, impoverito dalla razzia napoleonica, (estendendo le limitazioni alle facoltà proprietarie anche alla decorazione architettonica antica e in genere a tutti i resti archeologici, nonché alla decorazione, fissa e removibile (quadri), delle chiese).

Esso confermò quanto scritto nella bolla Cum almam nostram urbem di Pio II (1462), attribuendo il rilascio della licenza di demolizione al cardinale camerlengo (e non al pontefice), previa visita dell’Ispettore delle belle arti e del Commissario delle antichità. Il chirografo (vietò la mutilazione di statue e la fusione di metalli antichi figurati); inoltre, richiamò la bolla Quam provida di Sisto IV (1474) per confermare il divieto di spogliare le chiese pubbliche di marmi e antichi ornamenti: solo il camerlengo, previa visita dell’Ispettore delle belle arti e del Commissario delle antichità, poteva autorizzare. La tecnica seguita consisteva sempre in un divieto relativo, ossia nella sottoposizione degli interventi dei proprietari a un previo provvedimento di permesso dell’autorità, rilasciabile in caso in cui l’intervento non costituisse danno per il patrimonio tutelato. Il chirografo istituì un vero e proprio apparato amministrativo di tutela, prevedendo degli Assessori, subordinati all’Ispettore delle belle arti e al Commissario delle antichità, ai quali era concesso un onorario fisso di venti scudi al mese. Le violazioni delle prescrizioni contenute nel chirografo erano sanzionate gravemente con pene pecuniarie e corporali ad arbitrio del camerlengo. Nello stato pontificio la disciplina contenuta nel chirografo Chiaramonti fu sviluppata dall’Editto del cardinale Bartolomeo Pacca (7 aprile 1820), il quale costituì il fondamento  della legislazione italiana. L'UNITÀ’ D’ITALIA E LE COLLEZIONI D’ARTE Dopo l’Unità d’Italia (17 marzo 1861) mancò  per molti decenni una legge di tutela del patrimonio artistico. Nel 1871, però, la Legge 286/1871 (28 giugno) dispose che continuassero ad avere vigore le leggi e i regolamenti speciali preunitari riguardanti la conservazione e gli oggetti d’arte (nello Stato pontificio il chirografo Chiaramonti del 1802 e l’Editto del cardinale Pacca del 1820). La Legge 286/1871 regolò anche le collezioni d’arte, per le quali vale la tesi di Quatremère de Quincy che “dividere è distruggere”. Le collezioni, infatti, hanno un valore culturale che trascende la somma dei singoli beni di cui sono composte. Il problema della tutela delle collezione d’arte si poneva in particolare per la città di Roma, dove si erano formate, oltre alle grandi raccolte papali, molte altre raccolte di antichità e arte per iniziativa di cardinali e nobili famiglie. L’integrità di alcune raccolte private di antichità e d'arte era stata tutelata nel tempo dagli stessi proprietari mediante il fedecommesso, istituto di diritto civile che consisteva nell’istituire una pluralità di eredi in successione tra loro, mediante testamento. Ogni erede aveva autonomia limitata perché aveva l’obbligo di trasmettere il bene fedecommissario a successivi eredi già designati dal testamento. (Es. di raccolte vincolate da fedecommesso: Borghese, Barberini, Albani, ecc.)

I fedecommessi costituivano, però, una limitazione alla circolazione dei beni, considerata contraria alle nuove esigenze di libertà dello sviluppo dei commerci, e furono per questo motivo aboliti nel regno d’Italia dal codice civile del 1865 che, nell’Art. 24 delle disposizioni transitorie per l’attuazione del codice, stabilì lo scioglimento, a partire dal 1° gennaio del 1866, dei fedecommessi ordinati secondo leggi anteriori. Dopo la conquista militare di Roma del 1870, il  codice civile del 1865 fu esteso anche alla provincia romana. La Legge 286/1871, però, stabilì che, nonostante lo scioglimento dei fedecommessi, fino a che non si fosse provveduto mediante legge speciale, le collezioni d’arte, rimanessero indivise e inalienabili fra i chiamati alla risoluzione del fedecommesso, loro eredi o aventi causa: la legge volle evitare la possibile dispersione delle collezioni, derivante dallo scioglimento dei fedecommessi e tutelò le collezioni d’arte stabilendo la loro indivisibilità, ma anche la loro inalienabilità. L’indivisibilità fu stabilita in modo pieno dalla Legge 286/1871, senza possibili eccezioni: non fu prevista la possibilità di un provvedimento di autorizzazione al loro smembramento. La disciplina speciale delle collezioni d’arte oggetto di disposizioni testamentarie fedecommissarie (legge 286/1871), fu corretta nel 1883, dalla Legge 1461/1883 (8 luglio) promossa dal Ministro della giustizia Giuseppe Zanardelli, al fine di rendere giuridicamente possibile la donazione allo Stato della galleria del principe Tommaso Corsini. La legge 1461/1883 confermò l’indivisibilità delle raccolte già gravate da fedecommesso, ma consentì la loro alienazione in favore dello Stato,  delle Province, dei Comuni, di istituti o altri enti morali laici nazionali, fondati o da fondarsi, con l’obbligo per questi enti di conservare e destinare in perpetuo a uso pubblico le dette collezioni. Le due leggi, Legge 286/1871 e Legge 1461/1883, per le collezioni d’arte oggetto di disposizioni testamentarie fedecommissarie, sono tuttora in vigore. TUTELA DELLA PROPRIETÀ’ E PROTEZIONE DEL PATRIMONIO Dopo le leggi sulle collezioni già oggetto di fedecommesso furono emanate diverse leggi speciali per la tutela di singoli monumenti di proprietà pubblica, ma per lungo tempo mancò una legge generale di protezione del patrimonio artistico italiano di proprietà privata. Ciò avvenne a causa della difficile mediazione tra interessi pubblici e protezione della proprietà privata. Il codice civile del 1865, all'Art. 436, stabiliva che “La proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalla legge e dai regolamenti”.

Sebbene l’articolo prevedesse che le leggi potessero limitare le facoltà di uso delle cose, l’ideologia delle forze politiche allora dominanti, propugnando la garanzia piena della proprietà, ostacolava l’introduzione di leggi limitative delle facoltà proprietarie per la proprietà privata delle cose d’arte. Questo scontro di interessi fu reso esplicito dal senatore Gioacchino Pepoli in un dibattito parlamentare del 1877 su un progetto di legge dedicato alla “Conservazione dei monumenti e degli oggetti d’arte e di antichità”: Pepoli sosteneva la necessità di preservare il diritto a disporre pienamente della proprietà ed era contro, dunque, le eventuali limitazioni alle facoltà proprietarie che le leggi speciali avrebbero potuto determinare. Per contro, nel 1909 il deputato Giovanni Rosadi nella relazione al progetto di legge che divenne la legge 364/1909, esprime una parte importante della disciplina di tutela dei beni culturali: essi esprimono aspetti della vita intellettuale dell’intera società e in virtù di questa loro caratteristica l’esercizio del diritto di proprietà deve essere di natura del tutto speciale. Solo all’inizio del XX sec. si affermò un interesse pubblico delle cose di antichità e d’arte, come espressione della civiltà del paese: queste cose, pur  rimanendo di proprietà privata, furono assoggettate a una tutela pubblica, con limitazione delle facoltà proprietarie. L’EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE DI TUTELA La prima legge generale di protezione del patrimonio artistico e archeologico fu la Legge 185/1902 (12 giugno), nota come legge Nasi (ministro della pubblica istruzione che la promosse). L’applicazione di questa legge era differita di un anno dalla sua entrata in vigore per la parte relativa all’esportazione e venne ulteriormente differita fino all’entrata in vigore della nuova legge fondamentale, la Legge  364/1909 (20 giugno), conosciuta come legge Rosadi (deputato relatore del disegno di legge alla Camera). A questa legge fece seguito il regolamento per la sua esecuzione emanato con il R.D. 363/1913. Essa rimase in vigore per circa trent’anni e fu abrogata (cioè hai perso efficacia per i nuovi rapporti giuridici ma valse per i rapporti giuridici nati prima della sua entrata in vigore) e sostituita dalla Legge 1089/1939 (1 giugno), rimasta in vigore per circa sessanta anni. Di questa legge non fu mai emanato il regolamento di esecuzione, quindi rimase in vigore, poichè applicabile, quello della Legge 364/1909 (emanato con il R.D. 363/1913). La disciplina degli archivi storicamente è stata distinta da quella di interesse storico e artistico ( anche se erano considerati beni culturali). Nel 1999 è stato emanato il D.  Lgs. 490/1999 testo  unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali: riunisce e coordina le disposizioni di legge allora vigenti in materia di beni culturali e ambientali; inoltre in esso: ·

è rifusa anche la disciplina degli archivi posta dal D.P.R. 1409/1963.

·

è compresa la disciplina di protezione del paesaggio in precedenza oggetto di una legge distinta (bellezze naturali e beni ambientali)

Il testo unico ha disposto che rimanesse in vigore il regolamento di esecuzione della Legge 364/1909 (emanato con il R.D. 363/1913), in quanto applicabile. Nel 2004 è stato emanato il d.  lgs. 42/2004 (22 gennaio) Codice dei beni culturali e del paesaggio (Codice), entrato in vigore il 1° maggio 2004, che ha abrogato il testo unico e ha subito numerose modifiche correttive e integrative (2006,  2008 e  da ultimo con la legge 124/2017 del 4 agosto). Il Codice ha disposto che il R.D. 363/1913 e il R.D. 1163/1911 sugli archivi di Stato rimanessero in vigore, in quanto applicabili, fino all'emanazione dei decreti e dei regolamenti previsti dallo stesso codice. Dopo il codice non sono stati ancora emanati regolamenti di esecuzione sostitutivi: questo è un evidente segno della continuità della disciplina normativa. Il Codice rappresenta la fonte normativa di base di disciplina dei beni culturali, ma è contornato da una ricca legislazione speciale. Inoltre, quando si riferisce al Ministero  (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), indica soltanto il ramo dell’amministrazione statale, non gli specifici organi, la cui competenza si ricava invece dal regolamento di organizzazione del Ministero.

CAPITOLO II La tutela internazionale ed europea

LA TUTELA INTERNAZIONALE La tutela del patrimonio culturale non riguarda solo i singoli stati, ma è anche oggetto di accordi internazionali stipulati dagli Stati o promossi dall’attività di organizzazioni internazionali come, per esempio, l’UNESCO. Essa fu istituita nel 1946 e ha sede a Parigi. E’ un'agenzia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che si propone di favorire gli scambi culturali internazionali, di diffondere la cultura e lo sviluppo del sapere e delle scienze, con la finalità di mantenere la pace, garantire il rispetto della giustizia, della libertà e, in generale, dei diritti umani. LA CONVENZIONE PER LA PROTEZIONE DEI BC NEI CONFLITTI ARMATI (Convenzione dell’Aja 1954) Una delle prime convenzioni internazionali promosse dall'Unesco fu la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato firmata all'Aja il 14 maggio 1954. Per la prima volta entrò nel lessico giuridico italiano l'espressione “beni culturali” perché fino a prima di questo momento si parlava di “cose di interesse artistico e storico”, come si evince anche dalla legge 1089/1939.

La convenzione riprende l'ideale tanto caro a Quatremère de Quincy di una Repubblica delle arti e delle scienze, infatti, il preambolo, sostiene che i danni ai beni culturali, appartenenti a qualsiasi popolo, costituiscono un danno al patrimonio culturale dell'umanità intera: è necessario quindi assicurare a questo patrimonio culturale dell’umanità una protezione internazionale. L'ART. 1 dà una definizione di beni culturali, i quali sono inquadrati in tre  categorie: i beni mobili o immobili che presentano una grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli; gli edifici destinati a conservare o a esporre i beni culturali mobili, nonché i rifugi destinati a ricoverare tali beni in caso di conflitto armato; i centri monumentali. L'ART. 2 spiega che la protezione dei beni culturali, ai fini della convenzione, comporta la loro salvaguardia e il loro rispetto. L’ART. 4 è dedicato ...


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