Recalcati, Che cosa resta del padre? PDF

Title Recalcati, Che cosa resta del padre?
Author Ilaria Neri
Course Letterature comparate
Institution Università di Bologna
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Riassunto completo del libro di Recalcati....


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COSA RESTA DEL PADRE? - Massimo Recalcati Parte prima. Unire il desiderio alla Legge Tramonto ed evaporazione del padre Il gesto di Ettore e il padre castrato. Cos’è un padre? Freud escogita la figura di Edipo per definire la funzione paterna: proibire al figlio l’accoppiamento incestuoso con la madre  equivalenza di Padre e Legge. Disfacimento ipermoderno di tale assioma; in realtà lo stesso Freud, ben prima della critica antiedipica degli anni Sessanta, annunciava l’epoca della dissoluzione del padre. Ambivalenza interna al concetto freudiano di padre  da una parte egli è egente della castrazione (introduce il limite al godimento incestuoso), dall’altra parte è colui che porta su di sé i segni della castrazione. Due scene per cogliere più da vicino tale ambivalenza: 1. Incontro di Ettore con il figlio e la moglie Andromaca prima dello scontro con Achille.

Ettore figura tragica, diviso tra il suo compito cittadino e il suo essere padre di famiglia. Gesto di sfilarsi l’elmo per farsi riconoscere dal figliolo  sollevamento che permette la dialettica del riconoscimento, umanizzazione della figura ideale del padre. L’orgoglio guerriero è comunque superiore al sentimento di padre  viene preservato il carattere ideale di guida etica.

2. Aneddoto biografico riguardante il padre di Freud. Jakob Freud, figura piccolo borghese senza grandi ideali e senza cultura, non è espressione del padre ideale (detenente lo scettro fallico del potere), è piuttosto l’immagine di un padre in difficoltà, indebolito. Immagine indelebile nella memoria del figlio: mentre il padre stava camminando sul marciapiede, un altro uomo che arrivava dalla parte opposta del marciapiede pretese arrogantemente di passare per primo, gettando il suo cappello nel fango. Il piccolo Sigmund chiese si aspettava istintivamente una reazione a quell’umiliazione, quando in realtà il padre si limitò a raccogliere il cappello dalla strada. Questo padre si mostra dunque “troppo umano”, un padre castrato, inerme. Nel primo caso la figura del padre oscilla tra il cittadino eroico e il padre che, in un eccesso di Ideale, si sfila l’elmo per farsi riconoscere come umano dal figlio; nel secondo caso il padre è solo oggetto di vergogna, poiché subisce un’offesa senza reagire in alcun modo. In gioco vi è una riduzione, un’evaporazione della figura paterna come Ideale: l’epoca della tragedia lascia il posto a quella della farsa. Anche il padre kafkiano ( Lettera al padre) rientra in quest’ultimo ciclo  egli esige dal figlio una coerenza di comportamenti che lui stesso non pratica affatto (da una parte il padre incarna una Legge severa e spietata che non permette la dialettica del riconoscimento da parte del figlio, dall’altra è colui capace di “soffrire in silenzio … scosso dal pianto”). L’incarnazione della Legge, la voce grossa paterna si riduce a puro sembiante, sotto il quale si nasconde il padre castrato. La nevrosi è un modo per far esistere il padre ideale proprio perché si è visto che ideale non lo è affatto, è un’ostinazione a voler credere al padre ideale nonostante il padre reale.

Fraintendimenti della funzione paterna. Quando Lacan introduce la figura del declino irreversibile del Padre, lo fa in due momenti topici della nostra storia: nel 1938 e nel 1969. Nel 1938 l’Europa è sul baratro della Seconda guerra mondiale e vede i totalitarismi al suo culmine (affermazione titanica dei padri folli che indeboliscono il padre occidentale). Il 1969 si trova a ridosso della contestazione giovanile del Sessantotto. Cosa accomuna queste due scene così abissalmente lontane (da una parte l’Imago paterna totemica e dall’altra la critica radicale alla società patriarcale)? Tesi generale: nell’affermazione del Padre-Führer e nella contestazione giovanile sessantottina si può ritrovare un fraintendimento fatale dell’autentica funzione simbolica del Padre.

Il padre primigenio del totalitarismo. Lacan interpreta la stagione del totalitarismo come un tentativo di compensazione di uno sbriciolamento della figura paterna: caduta questa autorità, l’uomo-orfano occidentale ricerca figure autoritarie capaci di offrire stabilità e identità. L’appello delle masse al Padre folle e dispotico è un modo patologico per colmare la crisi sociale dell’Imago paterna  dove manca la funzione simbolica del Padre, può apparire la nostalgia per una Legge forte e assoluta (in questo senso la tentazione totalitaria, l’utopia tragica di una comunità che inghiotte le particolarità sono modi patologici di recuperare la forza ideale e titanica del Padre). L’essenza del totalitarismo è la riabilitazione inconscia del potere folle di un Padre primordiale che si confonde con quello cannibalico di una madre che divora i propri figli.

Il trionfo del discorso del capitalista. Lacan parla di “evaporazione del padre” all’indomani della contestazione del Sessantotto per definire il processo di perdita di autorità simbolica che investe una figura paterna bersaglio della critica antiedipica che muove i giovani ribelli contro il sistema patriarcale. Paradosso: tale critica coincide con l’affermazione del discorso capitalista, che toglie il terreno sotto i piedi a qualsiasi forma di Ideale (compreso quello paterno). Convergenza tra moto della contestazione e affermazione del discorso capitalista (discorso simile a quello di Pasolini)  la dissoluzione della funzione della Legge di castrazione simbolica, che aveva il compito di articolare il desiderio del soggetto, di “instradarlo”, porta quest’ultimo a ritrovarsi smarrito; l’astuzia del capitalismo sta nella capacità di sfruttare sistematicamente questo smarrimento: i sudditi diventano consumatori. Doppia credenza che anima il discorso capitalista: da una parte si crede che il soggetto sia libero, agitato solo dalla sua volontà di godimento, inebriato dalla sua avidità di consumo; dall’altra si pensa che l’oggetto che causa il desiderio possa confondersi con una semplice presenza, con Cose  l’abbaglio capitalista consiste nel far brillare illusoriamente l’oggetto non per rendere possibile la soddisfazione, ma per mostrare il carattere avido, impossibile da soddisfare della spinta a godere (impossibilità di trovare la Cosa assoluta del godimento). Questo inedito totalitarismo dell’oggetto si fonda su una peculiarità paradossale che consiste nel suo carattere bifido  da un lato il discorso capitalista si regge sulla fede idolatrica e feticistica dell’oggetto (fede nell’oggetto come rimedio al dolore di esistere; salvezza che è artefatta perché installa una forma di schiavitù del soggetto dal potere totalizzante dell’oggetto); dall’altro lato vi è la vacuità di fondo dell’oggetto, destinato a dissolversi in un’obsolescenza sempre più rapida. L’astuzia fondamentale del capitalismo sta nell’intrecciare la dimensione illusoria di salvezza dell’oggetto con la sua vacuità di fondo  ciò alimenta la macchina del godimento: il carattere vacuo dell’oggetto nutre l’insoddisfazione permanente del consumatore, che si ritrova in una continua circolarità (mania del capitalismo). Lacan -considerando la mania come “rigetto dell’inconscio”- definisce i due cardini sui quali si impernia il discorso capitalista con forclusione della castrazione e esclusione delle “cose dell’amore”. Il primo punto significa che la macchina del discorso capitalista non si regge sulla procedura simbolica della rimozione: essa rigetta il limite, la mancanza, il desiderio e la divisione del soggetto che la rimozione comporta. Ciò significa che il godimento deborda senza freni, non si aggancia al desiderio, sospinge verso la consumazione dissipativa della vita  di conseguenza, il carattere disumano del discorso capitalista non consiste solo nella riduzione delle facoltà umane a quelle animali, ma nel rigettare maniacalmente il soggetto dell’inconscio in quanto soggetto del desiderio forcludendo il principio della castrazione simbolica, che rende accessibile all’uomo la capacità di desiderare. Il secondo punto può essere riassunto con l’idea che tutta la clinica contemporanea possa essere concepita come una clinica dell’anti-amore, dove il soggetto preferisce rifiutare il desiderio dell’Altro, preferisce eleggere un oggetto inumano come partner (è il dramma silenzioso che accompagna il trionfo dell’oggetto). Dobbiamo notare come l’evaporazione del padre coincida con l’esclusione dell’amore  dove c’è trionfo della pulsione di morte non si dà infatti possibilità dell’amore. I due cardini spezzano l’alleanza tra Legge e desiderio che è compito della funzione paterna custodire e incarnare.

Legge, desiderio e testimonianza paterna La dissociazione tra Legge e desiderio. Unire il desiderio alla Legge definisce a funzione simbolica della paternità. Affinché vi sia facoltà di desiderare, è necessario che vi sia Legge (della castrazione simbolica). “Tramonto dell’Imago paterna” e “evaporazione del padre” significano due versioni diverse della dissoluzione del nesso che unisce Legge e desiderio: mentre nel tempo dei totalitarismi questo nesso si dissolve col trionfo di una Legge folle che uccide il desiderio, nel tempo ipermoderno esso si dissolve dando luogo alla pseudoliberazione del desiderio dalla Legge.

Restaurare l’ordine del pater familias? Versione “teologica” della Legge, discendente direttamente da Dio  l’epoca delle società religiose che si fondavano su questo statuto della legge sono ormai sorpassate (aberrazioni teologico-moralistiche), anche se i detrattori della psicanalisi la accusano di recuperare surrettiziamente, attraverso l’enfatizzazione della funzione normativa del Padre edipico, proprio quel fondamento teologico della Legge (sarebbe quindi ancora la Legge autoritaria del pater familias, che prolungherebbe quella di Dio-Padre). Anziché trovare nella Legge il suo supporto, il desiderio risulterebbe ancora totalmente asservito alla Legge. Ciò che queste critiche non colgono è il significato profondo della Legge della castrazione come condizione strutturale del desiderio, che sorge sulla definizione di un impossibile (cioè il godimento incestuoso)  se non ci fosse distanza da questo godimento assoluto, dal godimento della Cosa materna, se non ci fosse interdizione, non si darebbe possibilità alcuna al desiderio. È ciò che viene sancito, prima che dal padre, dal funzionamento stesso del linguaggio e delle sue leggi  per poter parlare il bambino deve essere svezzato, cioè deve perdere una quota di godimento, deve essere staccato dall’oggetto primario (il seno) della sua passione orale (non può tenere ancora in bocca la Cosaseno e accedere alla funzione simbolica del linguaggio, l’una esclude necessariamente l’altra). La Legge non è solo interdizione ma è innanzitutto dono della facoltà del desiderio (doppia prospettiva di proibizione e di donazione).

La legge come taglio simbolico. Lacan ha sollevato il problema di una certa prossimità tra questa versione della Legge come interdizione e dono e la Legge biblica. Uno dei motivi di questa vicinanza riguarda la funzione simbolica della Legge. Il dodicesimo capitolo della Genesi introduce la voce di Dio come chiamata che distoglie Abramo dalla prossimità della sua famiglia (necessità del distacco): Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò.

Riflessione di Gad Lerner: in questa chiamata risuona “l’ambivalenza del sublime biblico”  “Vattene” si scrive Lech lechà, che però, suddiviso in sillabe, diventa Lech le-chà (= “Vai verso te stesso”). Convergenza dialettica tra un movimento di distacco e uno di ritrovamento (stessa dinamica che si ritrova nella figura dell’esodo o nel mito originario di Adamo e Eva). In questo senso il testo biblico fa derivare il linguaggio stesso da Dio  dove domina la Legge del linguaggio c’è separazione, c’è impossibilità di godere della Cosa, c’è vita umana. La parola del padre è trauma (benefico perché sconvolge la tendenza incestuosa dell’essere umano), assicura il rispetto verso l’impossibile, definisce un limite invalicabile. Questo divieto risuona come impossibilità di scavalcare l’esperienza del limite, non come frustrazione della conoscenza, ma come sua condizione. Non a caso il libro della Genesi abbonda di figure tracotanti, che rivendicano il potere di trascendere ogni limite (Eva, Caino, gli uomini della Torre di Babele…).

La sfida a Dio. Incestuosità, violenza, delirio di autosufficienza, tracotanza antropocentrica definiscono nel testo biblico la forclusione della castrazione simbolica  la sfida a Dio è il loro comune denominatore. Dal punto di vista psicanalitico, questa sfida è la sfida alle leggi del

linguaggio, la cui attività sancisce una perdita originaria irreversibile all’origine dell’umanizzazione della vita: non si può avere tutto, non si può sapere tutto (non si può dominare il mistero della vita e della morte). È solamente attorno a questo vuoto di sapere che una trasmissione può avvenire; quel che resta del padre nel tempo della sua evaporazione è proprio ciò che custodisce questo vuoto (il padre testimonia l’impossibilità stessa del sapere).

Interdizione e donazione. Ripresa dell’Edipo freudiano, sintetizzato da Lacan nel Seminario V. Egli individua tre tempi fondamentali dell’Edipo: -

Tempo dell’illusione fallica  è il tempo di una seduzione reciproca: il bambino si pone come colui che colmerà la mancanza della madre, come un bambino-fallo, mentre la madre lo vorrà fagocitare, incorporandone l’esistenza, rendendola identica a se stessa. Questa illusione è profondamente incestuosa in quanto annulla la differenza tra i due, implica lo scavalcamento di un limite. Se il desiderio incestuoso e cannibalico della madre può venire raffigurato con le fauci spalancate di un coccodrillo, la spinta orale del bambino può essere rappresentata con l’immagine di un vampiro che parassita il corpo materno  la follia della madre-coccodrillo e del bambino-vampiro consiste nel divenire un corpo unico, senza separazione.

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Tempo dell’apparizione traumatica della parola del padre  benefica in quanto risveglia la coppia bambino-madre dal sonno incestuoso. Frattura dei corpi che lascia spazio al desiderio singolare di ciascuno. La parola del padre pronuncia due moniti distinti: “Non puoi divorare il tuo frutto” (rivolto alla madre) e “Non puoi ritornare da dove sei venuto” (rivolto al bambino)  l’avvento dell’interdizione paterna è traumatico perché spezza l’illusione della continuità tra Uno e l’Altro. Identità tra padre e concetto di sublimazione  solo attraverso la rottura della coppia incestuosa il soggetto può accedere alla realtà sociale e divenire capace di creazione. Quando si insiste sul carattere traumatico di questa separazione è per evidenziare che qualcosa in questo distacco viene irreversibilmente perduto e che il movimento del desiderio risponderà per certi versi a questa perdita manifestando una tendenza nostalgica. Tuttavia, la funzione paterna non può esaurirsi nell’esercizio dell’interdizione (se questo accadesse non vi sarebbe possibilità di trasmissione del desiderio  problema che ha condizionato il rapporto di Frank Kafka con suo padre: Hermann fallisce la dimensione del riconoscimento limitandosi a un’applicazione spietata della Legge). Per evitare il fallimento della trasmissione è necessario che l’interdizione si integri alla donazione.

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Tempo del padre-donatore  possibile alleanza tra il desiderio e la Legge: il padre donatore è il padre che compensa la rinuncia al godimento più immediato (incestuoso) con l’offerta di un’identificazione idealizzante, con la trasmissione del diritto di desiderare. Il desiderio senza Legge tende alla dissipazione, alla dispersione sregolata del godimento pulsionale; la Legge senza desiderio genera oppressione, svilimento della vita  in queste due vie si consuma quella che si può definire alterazione superegoica della funzione paterna (il Superio è il nome che la psicanalisi assegna alla discordanza patologica di desiderio e Legge).

La testimonianza del desiderio. Due soluzioni psicanalitiche riguardo il problema di ciò che resta del padre nell’epoca della sua evaporazione: 1. Ritorno nostalgico al Padre edipico come garante della Legge  riabilitazione del Nome-

del-Padre come significante che garantisce l’unità e la tenuta dell’insieme dei significanti.

2. Esaltazione del cinismo materialistico della pulsione  decostruzione del mito del Padre

edipico e della sua funzione ideale; constata che il significante del Nome-del-padre si è svuotato di senso e che questo svuotamento può non essere affatto una perdita ma un

guadagno (senza tale centro di gravità il soggetto può sperimentare con più libertà le risorse della pulsione e della sua volontà di godimento). In L’uomo senza inconscio Recalcati accenna a una terza via egualmente distante dal recupero nostalgico del Nome-del-Padre e dall’elogio cinico della pulsione  via dove quel che resta del padre tende a incarnarsi in una testimonianza singolare retta solo sull’atto, altrettanto singolare, di chi la produce e totalmente sganciata dalla funzione trascendentale del Nome-del-Padre (testimonianza di come si possano tenere uniti Legge e desiderio). Come avviene una trasmissione riuscita del desiderio? Il padre del terzo tempo dell’Edipo non è affatto un padre normativo, è un padre che sa incarnare la passione del desiderio (e proprio perché la sa incarnare può anche trasmetterla). La testimonianza è ciò che buca necessariamente ogni esemplarità e ogni universalità, essa è assolutamente singolare ed è dissociata radicalmente dall’Ideale. Il padre che si pone come testimone esemplare è ancora una volta il padre terribile della psicosi, la versione paranoica dell’autorità paterna. Nell’epoca dell’evaporazione del padre evapora anche il riferimento al padre come fattore di genere: per questa Lacan teorizzava che “qualunque cosa” può svolgere la funzione paterna (che però sappia rispondere al problema insoluto e insolubile del desiderio). In questo senso, la testimonianza è innanzitutto testimonianza non di cosa è in essenza il desiderio, ma di cosa può essere un’esistenza di desiderio. La funzione del padre è una funzione che custodisce il vuoto, il non sapere, non con un’intenzione nichilistica, ma come condizione della trasmissione del desiderio.

Il legame familiare nell’epoca dell’evaporazione del padre Le metamorfosi della famiglia. Se la famiglia come istituzione culturale è soggetta alla storia e alle sue trasformazioni, la sua funzione educativa però non viene meno perché è al legame familiare che sono destinate l’accoglienza della vita e la sua umanizzazione. La famiglia è l’atto simbolico dell’interdizione dell’incesto. Perché vi sia legame familiare non è sufficiente la presenza biologica di un’ereditarietà genetica (non è lo spermatozoo che definisce un padre); il legame familiare non deriva dal sangue, ma da un atto simbolico che assume tutte le conseguenze di un evento simbolico come quello di una nascita.

L’umanizzazione della vita. La dimensione del riconoscimento della vita come vita umana resta cruciale nella fondazione del legame familiare  Lacan definisce l’amore umano come “amore del nome” (l’amore non può prescindere dalla dialettica del riconoscimento dell’Altro come umano, portatore di un nome proprio); l’amore non è mai amore generico, indistinto, ma è sempre amore di una vita particolare, riconosciuta nei suoi dettagli più intimi. Per Pierre Bruno il nome proprio indica “all’interno della cosa-neonato” ciò che resiste alla riduzione della vita a una rappresentazione universale. Nella trasmissione di questo amore possiamo individuare una prima funzione fondamentale della famiglia: sono necessari un’alleanza simbolica, una casa, un sentimento di identità perché vi sia iscrizione simbolica della vita nel desiderio dell’Altro.

Appartenenza ed erranza. Il desiderio di appartenenza è ciò che caratterizza l’essere umano in quanto tale, ma allo stesso tempo esso è accompagnato dall’esigenza altrettanto forte di erranza (due poli della soggettività umana). Da questo punto di vista il legame familiare non è solo ciò che rende possibile l’esperienza dell’appartenenza, ma dovrebbe esse...


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