Che cosa è il cinema? Andrè Bazin PDF

Title Che cosa è il cinema? Andrè Bazin
Author veronica servidio
Course SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE
Institution Università della Calabria
Pages 9
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Summary

Il libro raccoglie molti degli articoli e dei saggi che Bazin ha dedicato al cinema, mettendo a fuoco alcuni nodi che sono al centro della riflessione teorica. La prima parte del volume è dedicata al problema della rappresentazione, a spiegare il potere che ha il cinema di dare attraverso ombre e lu...


Description

Che cos' è il cinema?

• Andrè Bazin vide nel cinema il “linguaggio della realtà” e coniò la definizione di “realismo ontologico”. E’ vero -sostiene Bazin- che il film è costruito, progettato, sceneggiato, illuminato ecc…, ma ciò che si imprime sulla pellicola,“l’impronta digitale del mondo” che si deposita sull’emulsione della pellicola è, senza ombra di dubbio, realtà. Tramite il “complesso della mummia” Bazin afferma che il cinema soddisfa la necessità psicologica dell’uomo di “salvare l’essere mediante l’apparenza”, imbalsamando non solo porzioni di mondo (prerogativa già presente nella pittura e più tardi nella fotografia) ma anche il “tempo” in tutta la sua enigmatica e gravosa presenza . Queste considerazioni di Bazin consentiranno ad un grande regista, oltre che grande intellettuale italiano, come Pier Paolo Pasolini, di parlare per il cinema di “lingua scritta della realtà”. Fondatore insieme a Jacques Doniol-Valcroze dei "Cahiers DuCinéma" nel 1951, Bazin costituisce una delle figure principali della riflessione teorica sull’essenza della settima arte condotta nel secondo dopoguerra. Il cinema, secondo il teorico francese, partecipa al reale grazie ad un bisogno psicologico che aveva già portato gli antichi ad imbalsamare le apparenze degli esseri umani mediante il ricorso alla scultura e alla pittura, con l’obiettivo di non arrendersi all’ineluttabile scorrere del tempo e all’incombenza della morte. Ricorrendo alla psicanalisi, infatti, alle origini della nascita delle arti plastiche ci sarebbe il “complesso della mummia”,che spingerebbe gli uomini a conservare le fattezze di ciò che è destinato a scomparire. A questo riguardo, la scoperta della fotografia e del suo prolungamento, ovvero il cinema, contribuiscono a ravvivare l’illusione di sconfiggere la morte grazie ad una riproduzione meccanica oggettiva che, pur raffigurando il soggetto come altro da se, offre una registrazione integrale e prossima della realtà fenomenica. Da qui la sua convinzione che il realismo sia il principio di fondo a cui il cinema deve obbedire, conscio della sua inimitabile potenzialità che si esplicita nella pregnanza di quanto appare sullo schermo. Il destino del cinema è quello di sciogliersi nel mondo in una stretta connessione tra realtà e immagine. Non può quindi sorprendere che Bazin diventasse il mentore di quel gruppo di artisti decisi a segnare una frattura e proporre finalmente dei nuovi canoni interpretativi per una modifica radicale delle prassi condivise fino ad allora. All’interno del nucleo di indagine di Bazin vanno ricercati i veri e propri capisaldi della teoria cinematografica come l’elogio del piano-sequenza in cui il tempo della narrazione coincide con quello della realtà; emblematica scelta estetica che asseconda al meglio la vocazione a perseguire la comunione con la realtà stessa. Al contrario sono da considerare tabù quelle scelte che reprimono le peculiarità dell’arte filmica, tanto che Bazin formula la definizione di “montaggio proibito” per tutti quei casi in cui il trucco ottico falsificherebbe l’obiettività ottenuta dalla macchina da presa. Separare la belva minacciosa dall’uomo minacciato ricorrendo agli stacchi di montaggio vuol dire minare alla base la credibilità intrinseca del cinema. Ma vietata secondo Bazin è anche la rappresentazione di una situazione talmente esclusiva ed intima da non poter essere registrata. E’ il caso dell’amore che “si vive e non si rappresenta” e della morte, la cui riproduzione costituisce un’imperdonabile offesa di natura metafisica. Ma quando un operatore affronta il rischio tangibile della propria vita per catturare una realtà estrema, come nei documentari di guerra in cui l’occhio della cinepresa si mischia ai mirini dei fucili, il cinema, secondo Bazin, raggiunge uno dei suoi vertici più alti e sublimi.“L’immagine conta prima di tutto non per ciò che essa aggiunge alla realtà ma per ciò che ne rivela”. Questo il concetto basilare espresso da Bazin all’interno dei suoi interventi sui ‘Cahiers du Cinéma’ e nelle pagine della sua opera più famosa: “Che cos’è il cinema”. • 2. Realismo

"Ogni immagine è bella non perché sia bella in sé (...) ma perché è lo splendore del vero". Così Jean-Luc Godard a proposito, e certo non a caso, di Rossellini. I presupposti del discorso teorico sul realismo nel Cinema in fondo sono qui: l'immagine non è bella in quanto tale, non è autosufficiente, ma è bella in quanto costante rinvio a quell'esterno,a quel fuori, a quel mondo di cui diviene la "splendida" ripresa. Splendida appunto perché in questa riproduzione vi è insita la riscoperta, talvolta persino la sublimazione del vero. Per comprendere bene cosa significhi tutto ciò è necessario rifarsi all'antefatto del Cinema, ovvero alla fotografia. L'idea di "riproduzione fotografica" per molti studiosi di estetica e per Benedetto Croce avanti agli altri, avanti sia nelle convinzioni che nelle attitudini persuasive, fu infatti il primo serio ostacolo per poter definire "Arte" il Cinema. Cinema che appunto, per dirla in breve, si limiterebbe a copiare meccanicamente il reale e dunque mancherebbe di ogni funzione autenticamente creativa, che poi è o dovrebbe essere quella propria della produzione artistica. Tuttavia questo presunto limite del Cinema come "Arte", viene ribaltato e letto come specifico positivo da due dei più lucidi e significativi teorici del secondo dopoguerra: André Bazin e Sigfried Kracauer. Entrambi muovono i loro primi passi appunto da un esame della riproduzione fotografica, per seguire poi, nell'ambito del realismo, percorsi assolutamente distanti: da un lato quello che è stato definito il "realismo ontologico" di Bazin, altrove il "realismo fisico" di Kracauer. Per Bazin, uno dei fondatori dei "Chaiers du Cinéma" e padre riconosciuto della "nouvelle vague", i caratteri forti della fotografia sono proprio gli stessi che costituivano un impaccio ai teorici di impostazione crociana. Ovvero l'oggettività riproduttiva e l'assenza dell'uomo, dell'uomo come autore e interprete del reale, che di una tale oggettività è conseguenza diretta. "Tutte le arti - scrive appunto Bazin - sono fondate sulla presenza dell'uomo; solo nella fotografia ne godiamo l'assenza". Egli parla a questo proposito di "complesso della mummia": "una psicoanalisi delle arti plastiche - dice - potrebbe considerare la pratica dell'imbalsamazione come fatto fondamentale della loro genesi;all'origine della pittura e della scultura si troverebbe il complesso della mummia".In altre parole alla base delle arti figurative vi sarebbe l'idea di difendersi contro il tempo, che corrompe le cose e i corpi, e in parallelo il sogno di vincere la morte: "fissare artificialmente le apparenze carnali dell'essere - così ancora Bazin - vuol dire strapparlo dal flusso della durata: ricondurlo alla vita". Ne deriva un'ossessione riproduttiva che viene prima di ogni esigenza estetica: prima dell'esprimersi di un artista viene "il desiderio tutto psicologico di rimpiazzare il mondo esterno con il suo doppio (...), l'istinto di salvare l'essere mediante le apparenze". La fotografia, lasciando quindi libere le altre arti figurative di percorrere vie differenti, realizza questo "complesso della mummia" e, seguendo il discorso di André Bazin, non si può che affermare con lui che il Cinema porta a compimento questo processo interno alla Storia delle Arti, aggiungendo alla possibilità di riprodurre immagini anche quella di riprodurre il tempo. In questo senso il Cinema è legato ontologicamente alla realtà e dunque non si limita a riprodurre la realtà, ma nel riprodurla si fa realtà e, insieme, si fa ciò che si potrebbe definire una "realtà rituale",dotata dunque di un forte spessore simbolico e anagogico. Una realtà che si interroga sul proprio significato e perciò sul senso stesso di quel mondo che riproduce e replica e di cui si fa riflesso, frammento che sfugge alle leggi del tempo, a patto di indagare, proprio attraverso le apparenze, ciò che si cela oltre il mondo sensibile. Partendo da questi presupposti Bazin sente l'esigenza di stabilire delle regole formali che non contraddicano il carattere di realismo ontologico specifico del Cinema, insomma una sorta di etica cinematografica che renda possibile la realizzazione in atto della sua morale cinematografica e che, di fatto, si tramuta in stile, in forma esteriore. Da qui nasce il suo celebre"montaggio proibito" che coinvolge, fra l'altro, il campo e il controcampo, tipico dei "serial", ma inaccettabile per la totale mancanza di credibilità e di naturalezza. Fino a giungere poi all'idea della "oscenità metafisica", così la chiama,della rappresentazione della morte, non rappresentabile perché momento intimo e supremo

(ricordate in questa direzione "Nicks movie" di Wenders sulla malattia di Nicholas Ray? Bene, l'impostazione è baziniana osservante) e non rappresentabile perché in un Cinema che si fa realtà, la rappresentazione della morte è l'assurdità di morire due volte. La morte, egli dice, può essere solo raccontata, mai mostrata. Proprio come in una tragedia greca. • 3 Capitolo L'idea di fondo di Bazin, il suo punto d'arrivo, è dunque quello di un Cinema che, prima ancora di rappresentare la realtà, se ne fa partecipe, vi si intreccia al punto tale da confondervisi, da divenirne lo specchio identificatorio che ne esibisce l'assenza. In questa idea di Cinema-verità, vi è il desiderio di cogliere il senso intimo del reale, di svelare i suoi meccanismi. Vi è, appunto, quel "realismo ontologico" che finisce con l'andare molto oltre la semplice idea di"riproduzione meccanica del reale" da cui si è prese le mosse, giungendo all'idea di un Cinema-verità che nulla ha di documentaristico, ma che è tale perché svela o comunque indaga il senso dell'esistere. Montaggio proibito. Il cinema deve essere arte che sintetizza un profondo legame tra la realtà e l’immagine. La necessità di realismo comporta delle soluzioni estetiche e narrative molto forti e radicali: Bazin individua ad esempio nel piano-sequenza uno dei capisaldi della sua teoria cinematografica, in quanto nel piano-sequenza il tempo della narrazione coincide con quello della realtà. Al contrario vanno evitati quegli artifici estetici che possono minare il realismo della messa inscena cinematografica. Bazin formula la definizione di “montaggio proibito”, da applicarsi a tutti quei casi in cui il trucco ottico ha una funzione di falsificazione, facendo venir meno l’obiettività ottenuta dalla macchina da presa. Quando l’essenziale di un avvenimento dipende dalla presenza di due o più fattori, allora il montaggio è proibito. Quindi, separare la belva minacciosa dall’uomo ricorrendo agli stacchi di montaggio, per esempio, vuol dire minare la credibilità del cinema e far venir meno il principio di realismo : "Une Fée pas comme lesautres" di Jean Touran. Analizzando il film "Ballon rouge" di Albert Lamorisse, Bazin sostiene che in questo caso il film non deve niente al montaggio perché il pallone fa veramente i movimenti che gli vediamo fare. Si tratta di un trucco che non deve niente al cinema, l’illusione nasce nella realtà. Noi possiamo credere nella realtà degli avvenimenti pur sapendo che sono truccati. Il racconto ritrova la realtà se un’inquadratura riunisce gli elementi dispersi dal montaggio: generi a cui si applica questa legge sono film documentari (ma non didattici, il cui proposito non è la rappresentazione ma la spiegazione dell’evento), d’attualità (ricostruite), film di finzione. Esemplare è "Nanook of the north" di Flaherty,documentario appena romanzato che acquista senso solo attraverso la realtà integrata all’immaginario e il montaggio deve ubbidire agli aspetti della realtà; poi ci sono i film di puro racconto dove il montaggio è necessario. Certi tipi di azione, invece, rifiutano il montaggio, certe situazioni esistono solo se l’unità spaziale è messa in evidenza(specialmente comiche tra uomo e oggetti). Il teatro al cinema. I concetti espressi nella sorprendente teoria dell’immagine fotografica di André Bazin si trovano disseminati e implicati parzialmente o implicitamente in tutte le sue successive riflessioni sul cinema (decine di articoli e saggi prodotti tra il1945, anno di “Ontologia dell’immagine fotografica”, e il 1958) e costituiscono le fondamenta della sua visione dei rapporti tra cinema e realtà, nonché tra cinema e altre arti. In ultima analisi, sostiene Bazin in poche righe e arrivando subito al dunque, la storia dell’evoluzione delle arti plastiche deriva dal “complesso della mummia”, un espediente difensivo escogitato dall’uomo nei confronti del tempo e quindi dei limiti temporali della vita: l’uomo ha sempre cercato di riprodurre la realtà per rispondere a questo bisogno psicologico fondamentale. Ma non si tratta per il“padre spirituale” della Nouvelle Vague di un estetismo universale o di una tensione idealistica consapevole, bensì di un bisogno profondo di salvare gli scomparsi “da una seconda morte spirituale” o, anche in chiave meno antropocentrica, di creare “un universo ideale a immagine del reale e dotato di un destino temporale autonomo”.Da Niepce

ai fratelli Lumière, passando per Muybridge e molti altri pionieri, la storia delle origini della fotografia (e del cinema, sua evoluzione nell’ambito del tempo) sembra caratterizzata dalla fantasia e dall’operosità di “monomani”guidati da un’unica ossessione: la “rappresentazione totale e integrale della realtà”. Il desiderio di coloro che approcciarono per primi il paradosso delle immagini acheropoietiche (dal greco: fatte senza la mano dell'uomo) era tanto sensibilmente concreto, lo scopo ultimo così semplice ed evidente, che oltrepassava le stesse possibilità offerte dalle tecniche loro contemporanee: è normalissimo in effetti, prendendo in esame gli appunti, le memorie e gli stessi . • 4 Capitolo Apparecchi dei grandi precursori dell’Ottocento, imbattersi in visioni, sogni e speranze che prefigurano il cinema, l’arte del Novecento, ma un “cinema totale”, capace di ricreare ogni aspetto sensibile del reale, l’immagine a colori, il suono,il rilievo. Chi ci ha donato il cinema, “i fanatici, i maniaci, i pionieri disinteressati”, dice Bazin, è “gente posseduta dalla propria immaginazione”, dal mito di una riproduzione totale della realtà. E riferendosi all’introduzione del sonoro,delle pellicole pancromatiche, del colore negli anni ’30 e ’40 (ma approfittando anche dell’occasione per confutare le argomentazioni dei detrattori dell’innovazione tecnica nel cinema), Bazin afferma: “Tutti i perfezionamenti che assomma il cinema non possono dunque paradossalmente che avvicinarlo alle sue origini. Il cinema non è ancora stato inventato!” . L’interesse formidabile che l’umanità ha riservato alla fotografia trova dunque la principale motivazione nella sua relativa indipendenza dall’uomo (laddove per le altre arti la dipendenza è al contrario totale), nelle immagini della realtà che sono tali proprio grazie alla sua assenza. Nel 1839 Talbot, uno dei più importanti pionieri inglesi della fotografia, a proposito di uno dei suoi “disegni fotogenici” raffigurante la sua casa di campagna, scrive: “Ritengo che questo sia il primo esempio nella storia di una casa che abbia fatto il proprio ritratto”. A quasi due secoli di distanza,partecipiamo ancora a questa illusione (anche se le immagini digitali, le cosiddette immagini sintetiche e“foto realistiche”, stanno introducendo problemi del tutto nuovi). Bazin paragona il sogno di una riproduzione totale della realtà sensibile al mito di Icaro, quello di volare: “ha dovuto attendere il motore a scoppio...”.Rivolgendosi finalmente allo specifico fenomeno del cinema, Bazin arriva così a postulare una essenziale, naturale,ontologica predisposizione dell’arte (o tecnica) cinematografica nei confronti del realismo, da non intendersi come realismo a tutti i livelli ma certamente contraddistinto, come è stato osservato, da un carattere che sembra manifestarsi in tre ambiti: psicologico, tecnico e poetico. I primi due li abbiamo già incontrati: il realismo psicologico proviene da quel profondo bisogno umano cui Bazin si riferisce attraverso la metafora del “complesso della mummia”,bisogno assorbito dalle altre arti plastiche (da cui le libera da un lato, sconvolgendole dall’altro); il realismo tecnico riguarda l’appropriarsi dell’obiettivo e dell’obiettività riproduttiva dell’immagine fotografica, l’ontologia realistica della fotografia moltiplicata per “24 volte al secondo”. Il terzo, il carattere poetico del realismo cinematografico, l’aspetto più controverso (e motivo di interpretazioni affrettate) della teoria di Bazin, riguarda la valorizzazione dei bisogni psicologici a cui il cinema risponde e delle sue caratteristiche tecniche: il cinema raggiunge questo obiettivo facendosi rivelatore della realtà. Limitiamoci a ricordare la semplice ma efficace distinzione che Bazin propone tra “i registi che credono nell’immagine e quelli che credono nella realtà”, dove per immagine intende “tutto ciò che alla cosa rappresentata può aggiungere la sua rappresentazione sullo schermo”: è sui secondi che concentra l’attenzione, quelli per cui “l’immagine conta prima di tutto non per ciò che essa aggiunge alla realtà ma per ciò che ne rivela”. Ecco l ’ontologia del cinema di Bazin, una delle risposte al suo “Qu’est-ce que le cinéma?”. E’ questo il cuore della teoria baziniana, quello da cui prende vita la sua idea di “realismo

ontologico” del cinema, e deriva, come si è visto, da una riflessione sull’ontologia dell’immagine fotografica e dalla connessione tra questa e l’assenza dell’uomo. “Tutte le arti sono fondate sulla presenza dell’uomo; solo nella fotografia ne godiamo l’assenza.”Le conseguenze che l’introduzione della fotografia e del cinema provocano sul preesistente mondo dell’arte non possono che impressionare: la fotografia costringerà la pittura e la scultura ad una violenta serie di rivoluzioni poetiche di cui Picasso diverrà il simbolo più fortunato e celebrato; il cinema, che soffrirà per molto tempo di un complesso di inferiorità nei confronti del teatro (percepibile sia nella teoria che nella pratica cinematografica) e vivrà con esso una sorta di sfida estetica, finirà per sconvolgerlo e fornirgli motivazioni e idee per il suo rinnovamento. Tuttavia Bazin non si concentra sugli effetti che il cinema produce sull’arte drammatica più antica, ma piuttosto sul processo inverso che a partire dagli anni ’40, a suo avviso, si manifesta in maniera particolarmente significativa e innovativa: il cinema smette di nascondere, camuffare, minimizzare, evitare le sue relazioni e i suoi rapporti di dipendenza con il teatro cominciando a filmare ciò che il teatro è prima di ogni altra cosa, il teatro. Un fenomeno che ricorda le tautologie go dardiane (“il cinema è il cinema”) e che potrebbe tradursi con l’eccentrica definizione “il teatro è il teatro, anche al cinema”.Sarebbe tuttavia semplicistico e, ovviamente, del tutto ingenuo ridurre la riflessione di Bazin ad una battuta, che ha qui solo una funzione evocativa: i problemi della relazione tra teatro e cinema individuati dal teorico francese seguono un percorso molto ricco e articolato come cercheremo ora di descrivere. • 5 Capitolo In un saggio del 1951 Bazin si concentra sui rapporti tra teatro e cinema privilegiando la riflessione sul momento del passaggio da un sistema estetico, il teatro, all’altro, il cinema. Così facendo, parlando cioè di qualcosa che sta a cavallo tra teatro e cinema, che rischia di confondersi o restare un ibrido indefinito, che suscita timori di eresie artistiche inaccettabili e ingenue (il “cinema impuro”, che Bazin al contrario auspica), egli fornisce una serie di spunti per una riflessione lucidissima e profonda sull’uno e sull’altro. Il “drammatico” non è per Bazin una prerogativa esclusiva del teatro, esso esercita piuttosto una influenza immensa sulle altre arti e “il cinema è l’ultima delle arti che possa sfuggirgli”: la storia mostra quanto il cinema sia stato, per molti generi teatrali minori o abbandonati, una sorta di continuazione, se non addirittura il momento di massimo splendore (vale l’esempio che Bazin propone della farsa classica, riesumata e sviluppata da Buster Keaton, Laurel eHardy, Chaplin, il cinema comico degli anni ’10, ma anche quello della commedia americana anni ’20 e si potrebbe aggiungere il filo che lega l’evoluzione d...


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