Riassunti Diritto Ecclesiastico Compendio Simone PDF

Title Riassunti Diritto Ecclesiastico Compendio Simone
Author Giulia Cafarelli
Course Diritto ecclesiastico
Institution Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
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Il diritto ecclesiastico: definizione, principi e fonti Definizione: Il diritto ecclesiastico è quella parte dell’ordinamento giuridico che ha per oggetto la disciplina del fenomeno religioso (TEDESCHI). Il diritto ecclesiastico in Italia si caratterizza quale ramo del diritto pubblico poiché contempla diritti soggettivi pubblici spettanti a persone fisiche o giuridiche che vivono nell’organizzazione statale. Le norme del diritto ecclesiastico non costituiscono un corpo organico, ma si trovano in tutti i settori nei quali si articola l’ordinamento giuridico, dal diritto internazionale al diritto, al diritto civile (disciplina degli enti ecclesiastici, matrimonio religioso), al diritto penale (tutela penale del sentimento religioso), al diritto del lavoro (rapporto di lavoro nelle organizzazioni di tendenza), al diritto amministrativo (edilizia di culto, beni culturali di interesse religioso). Fino all’Accordo del 18 febbraio 1984, il nostro ordinamento giuridico operava una netta distinzione tra la religione cattolica, considerata come religione dello Stato (art. 1 Trattato Lateranense) da un lato, ed i culti acattolici (cd. culti ammessi) dall’altro; di conseguenza, e relativamente al nostro ordinamento, secondo alcuni autori per diritto ecclesiastico doveva intendersi «quel complesso di norme che disciplinavano la vita della Chiesa cattolica entro l’ordinamento dello Stato» mentre il complesso delle norme statuali che regolavano (ed in effetti tuttora regolano) la vita dei culti differenti da quello cattolico rappresentava, invece, il «diritto dei culti acattolici». Venuto meno, con l’art. 1 del sopramenzionato Accordo, il principio della religione cattolica come sola religione dello Stato, non è più possibile parlare di una distinzione tra Chiesa cattoli e altre confessioni religiose, l’una e le altre tutte egualmente libere di fronte alla legge (art. 8 comma 1, Cost.). Differenze tra diritto canonico e diritto ecclesiastico Il diritto canonico studia i principali elementi che formano la struttura del diritto della Chiesa cattolica come ordinamento giuridico (l’organizzazione giuridica fondamentale del Popolo di Dio). Il diritto ecclesiastico considera la posizione di diversi ordinamenti civili nei confronti della dimensione religiosa e i principi cui questi ordinamenti si ispirano, particolarmente in rapporto con la religione cattolica. Esamina sotto un profilo formale le fonti statali di natura costituzionale o pattizia nonché le norme da esse derivate e il valore degli ordinamenti confessionali (particolarmente quello canonico) nei confronti del diritto civile. 1. I principi fondamentali del diritto ecclesiastico. Sono sostanzialmente i seguenti: a) libertà religiosa, sancita dall’art. 19 Cost.: ciascun individuo, non importa se cittadino, straniero od apolide, ha il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa. La libertà religiosa è garantita sia in forma individuale che collettiva e può concretizzarsi nel proselitismo e nell’esercizio in privato o in pubblico del culto. L’unico limite espresso riguarda le manifestazioni esteriori del culto, i riti, che non possono essere contrari al buon costume, ossia l’insieme dei precetti che impongono un determinato comportamento nella vita di relazione, la cui inosservanza comporta che risulti violato il pudore sessuale, la dignità sessuale e il sentimento morale dei giovani. La libertà religiosa trova, invece, un limite implicito nell’esigenza di garantire altri beni costituzionalmente rilevanti, come ad esempio la dignità umana, i diritti fondamentalietc. La libertà religiosa è ulteriormente tutelata dai divieti sanciti dall’art. 20 Cost., che vieta l’imposizione di limitazioni legislative o di speciali gravami fiscali agli enti per il solo fatto che essi abbiano carattere ecclesiastico o per il loro fine religioso. b) principio di laicità dello Stato: si tratta di un principio supremo dell’ordinamento che caratterizza la forma di Stato repubblicana. Il suo contenuto emerge dagli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione e implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni e al fenomeno religioso, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale (Corte costituzionale sentenza n. 203 del 1989). Il principio di laicità si coniuga strettamente con alcuni corollari: — la distinzione degli ordini, affermata dall’art. 7, comma 1 («Lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani») e dall’art. 8, comma 2 Cost. («Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano»). Lo Stato, inoltre, non può ricorrere a obbligazioni di carattere religioso per rafforzare l’efficacia dei suoi precetti. La Chiesa, a sua volta, non può pretendere di considerare le finalità dello Stato in modo strumentale rispetto alle proprie.

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— l’equidistanza ed imparzialità nei confronti di tutte le confessioni religiose. Tale principio si ricava dal riconoscimento dell’eguaglianza religiosa sancita dall’art. 8, comma 1 Cost. («Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge») e dal divieto di discriminazioni basate sulla religione contenuto nell’art. 3 Cost. Non sono, quindi, ammesse discriminazioni tra i culti che si basino su criteri di carattere quantitativo, ossia sulla maggiore diffusione di una determinata confessione religiosa, o su criteri di natura sociologica, ossia sulla maggiore ampiezza e intensità della reazione sociale ad eventuali violazioni dei diritti di una confessione rispetto ad altre; — la libertà di coscienza, che gode di una protezione costituzionale commisurata alla necessità che le libertà fondamentali e i diritti inviolabili della persona non risultino irragionevolmente compressi nelle loro possibilità di manifestazione e di svolgimento. In tale ambito l’insegnamento della religione cattolica, ad esempio, non è stato considerato dalla Corte costituzionale come causa di discriminazione né tanto meno in contrasto con il principio di laicità in quanto lo stato di non obbligo degli studenti che scelgono di non avvalersi di tale insegnamento esclude che si operino dei condizionamenti dall’esterno della coscienza sulla libertà di religione. La libertà di coscienza ha ricevuto riconoscimento e tutela anche a livello sovranazionale tanto dall’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quanto dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; c) principio pattizio: sia l’art. 7, comma 2 («I loro rapporti [fra Stato e Chiesa cattolica] sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale») che l’art. 8, comma 3 («I loro rapporti [delle confessioni religiose diverse dalla cattolica] con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze») affermano il principio per cui le materie che non appartengono all’ordine esclusivo di competenza dello Stato o delle confessioni religiose devono essere regolati in modo bilaterale. I rapporti fra Stato e Chiesa cattolica sono regolati dai Patti Lateranensi. Tali Patti possono essere modificati con legge ordinaria che recepisca gli accordi fra le parti, altrimenti è necessario un procedimento di revisione costituzionale. I Patti Lateranensi e le relative modificazioni sono stati costituzionalizzati, ma in ogni caso non possono violare i principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello Stato. A loro volta le intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica regolano i rapporti fra le stesse confessioni e lo Stato per gli aspetti che si ricollegano alla specificità delle singole confessioni o che richiedono deroghe al diritto comune. La legge, che può soltanto recepire o rifiutare l’intesa, ma non modificarne i contenuti, è una legge atipica e rinforzata, cioè non può essere modificata da legge ordinaria che non recepisca a sua volta una nuova intesa. Può, tuttavia, essere assoggettata al normale controllo di legittimità costituzionale. 3. Le fonti del diritto ecclesiastico. Fonti del diritto sono gli atti o fatti abilitati dall’ordinamento a produrre norme giuridiche. Anche per il diritto ecclesiastico vige la distinzione tra fonti di produzione e fonti di cognizione. Le prime sono gli atti e i fatti che pongono in essere le norme giuridiche; le seconde sono gli atti attraverso i quali si portano a conoscenza dei destinatari le norme prodotte. Ripartizione delle fonti di diritto ecclesiastico in: • Fonti dell’Unione europea: si occupano del fenomeno religioso attraverso il diritto convenzionale dei Trattati, il diritto non convenzionale costituito da regolamenti, direttive, decisioni e raccomandazioni. La Carta di Nizza all’art. 10 sancisce la libertà di religione e all’art. 21 vieta qualsiasi discriminazione fondata sulla religione. Il Parlamento europeo nel 2016 ha adottato una Risoluzione sul ruolo del dialogo interculturale, della diversità culturale e dell’istruzione al fine di promuovere i valori fondamentali dell’UE. • fonti internazionali In tale categoria rientrano, ad esempio, il Trattato di pace del 10-2-1947, il cui art. 15 è dedicato alla tutela delle minoranze religiose; la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU); il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. Tali convenzioni sono state recepite nel nostro ordinamento mediante leggi di esecuzione che assumono il rango di leggi atipiche o rinforzate. L’art. 117, comma 1 Cost., infatti, stabilisce che la potestà legislativa regionale e statale è esercitata nel rispetto degli obblighi internazionali. La CEDU riconosce il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. La libertà di religione può essere oggetto di restrizioni soltanto con misure stabilite per legge e necessarie, in una società democratica,

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alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Alcune pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno riguardato: — il proselitismo, in una vicenda relativa ad alcuni Testimoni di Geova che, in Grecia, erano stati condannati per il reato di proselitismo. In materia la Corte ha, comunque, distinto fra proselitismo lecito e proselitismo abusivo, che supera il limite della semplice volontà di testimoniare la personale adesione ad un credo; — la libertà di religione collegata alla libertà di associazione.— in tema di simboli religiosi, la Corte ha escluso che il divieto di indossare il velo islamico durante le attività universitarie, imposto per assicurare la pacica convivenza fra studenti di fedi diverse in un ordinamento democratico improntato al principio di laicità, costituisca violazione della libertà religiosa. fonti di provenienza unilaterale statale e regionale, Sono tutte le norme che lo Stato emana direttamente e automaticamente; si distinguono in: — fonti costituzionali, che enunciano principi generali che valgono da riferimento per tutta la susseguente produzione normativa; — fonti ordinarie generiche; — fonti ordinarie speciche. Tra le fonti costituzionali vi sono gli art. 2-3 che tutelano i diritti fondamentali e nei quali rientra la libertà confessionale, 7-8 tracciano il regime dei rapporti tra Stato e Chiesa, 19-20 libertà religiosa e divieto di discriminazioni fondate sul culto, 17, 18 e 21 libertà connesse alla religione quali quella di riunione, associazione e manifestazione del pensiero, art. 33 libertà di insegnamento anche religioso. Tra le fonti ordinarie generiche si segnalano gli articoli 629 c.c. (disposizioni a favore dell’anima), 831 c.c. (disposizioni relative ai beni ecclesiastici e agli edici di culto), Tra le fonti ordinarie speciche, che sono norme emanate per disciplinare specicamente la materia ecclesiastica, si possono citare ad esempio la «legge delle guarentigie» (L. 214/1871); la L. 25-6-1929, n. 1159 (e successivi RR.DD. 28-9-1929, n. 1763 e 28-2-1930, n. 289) regolatrice, in genere, della vita e dell’attività di tutte le confessioni acattoliche esistenti in Italia per le parti non regolate da intese. In tale categoria rientrano anche le leggi regionali che disciplinano materie attinenti al fenomeno religioso. fonti di provenienza unilaterale confessionale; Sono norme, come quelle di diritto canonico, promananti da ordinamenti giuridici religiosi che attengono a rapporti lasciati all’esclusiva regolamentazione dell’autorità religiosa, cui lo Stato riconosce eicacia nel proprio ordinamento mediante rinvio fonti di provenienza bilaterale statale e confessionale, rivestono esteriormente il carattere di atti unilaterali, poiché sono recepite in leggi dello Stato, ma trovano la loro fonte in accordi bilaterali; tra le più importanti possiamo citare la L. 27-5-1929 n. 810, con la quale è stata data esecuzione ai Patti Lateranensi; la L. 25-9-1985 n. 121, con la quale è stata data esecuzione al Nuovo Concordato; la L. 20-5-1985, n. 222, sulla disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici; varie leggi di attuazione delle intese stipulate con le confessioni acattoliche. Le leggi che danno esecuzione a tali obblighi, pertanto, non possono essere abrogate da altre leggi che non recepiscano modiche dei trattati internazionali e la loro illegittimità costituzionale può essere sanzionata dalla Corte costituzionale. Sentenze della Corte costituzionale.

CAPITOLO 2. I Patti Lateranensi ed il Nuovo Concordato 1. L’art. 7 della Costituzione ed i patti Lateranensi.

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I rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica sono regolati dall’art. 7 Cost. disposizione che si compone di due commi: — il primo comma, sancisce che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani; — il secondo comma, sancisce che i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi la modifica dei quali, se non concordata dalle parti, richiede il procedimento di revisione costituzionale. Il primo comma dell’art. 7 enuncia il riconoscimento della Chiesa cattolica come ordinamento autonomo ed originario: ciò significa che il diritto canonico, che comprende le norme prodotte dall’ordinamento ecclesiastico, è frutto di un ordinamento sovrano e quindi ha valore in sé e non in virtù di un riconoscimento statale. Il secondo comma dell’art. 7 ha la funzione di garantire la Chiesa cattolica da un’eventuale arbitraria decisione dello Stato di regolare unilateralmente i propri rapporti con la Chiesa stessa. La legge che ha recepito i Patti Lateranensi, cioè gli accordi stipulati tra Stato e Chiesa l’11 febbraio 1929, è pertanto una legge rinforzata in quanto può essere modificata o abrogata da leggi ordinarie soltanto se precedute da un accordo fra Stato e Chiesa, altrimenti deve essere assoggettata al procedimento di revisione costituzionale. Storicamente i Patti Lateranensi rappresentarono la risoluzione di tutti i motivi di attrito tra lo Stato Italiano e la Chiesa cattolica sorti in seguito alla presa di Roma nel 1870 e comunemente noti come questione romana. Infatti, dopo la presa di Roma da parte del Regno d’Italia i rapporti con la Chiesa furono unilateralmente regolati con la del 1871 cd. «legge delle guarentigie». Tale legge che formalmente si preoccupava di garantire rendite, immunità e privilegi al Sommo Pontefice, non fu mai accettata dalla Chiesa essendo una legge interna dello Stato Italiano, non presentava garanzie di stabilità potendo essere, in qualsiasi momento, abrogata da un’altra legge ordinaria dello Stato; questa preoccupazione fu superata, appunto, con la stipula dei Patti Lateranensi, che si qualificavano come un accordo bilaterale tra ordinamenti sovrani. I Patti Lateranensi constavano di tre distinti documenti: — il Trattato, che risolveva la questione dello stato territoriale della Chiesa riconoscendo la sovranità del Pontefice sullo Stato della Città del Vaticano, esteso su di un territorio di 0,44 kmq all’interno della città di Roma (il più piccolo Stato del mondo); — il Concordato , che regolava i rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia; — la Convenzione finanziaria. I punti qualificanti dei Patti del 1929 possono così sintetizzarsi: — riconoscimento della religione cattolica quale religione di Stato (art. 1 del Trattato); — una serie di privilegi per gli ecclesiastici (artt. 3, 4, 7 del Concordato); — preventiva approvazione dello Stato per le nomine dei Vescovi e dei Parroci, e giuramento di fedeltà allo Stato italiano dei Vescovi (artt. 19-23 del Concordato); — riconoscimento, da parte dello Stato, dei provvedimenti emanati dall’autorità ecclesiastica in materia spirituale e disciplinare contro ecclesiastici (art. 5 del Concordato correlato con l’art. 23 del Trattato); — particolare regime di favore, finanziario e fiscale, per gli enti ecclesiastici (art. 29 comma 3 del Concordato); — intervento finanziario a favore del clero, la cd. congrua (art. 30 del Concordato); — riconoscimento degli effetti civili del matrimonio religioso e riserva ai tribunali ecclesiastici delle cause relative (art. 34 del Concordato); — insegnamento della dottrina cristiana in tutte le scuole pubbliche, eccettuate le università, considerato «fondamento e coronamento» dell’istruzione pubblica (art. 36 del Concordato). 2. Il Nuovo Concordato. Il Concordato del 1929, si è rivelato con il tempo un accordo superato, sia perché la posizione di privilegio concessa alla Chiesa contrastava con i valori di eguaglianza espressi dalla nuova Costituzione, sia perché esso non era più consono alla visione ecclesiologica emersa dopo il Concilio Vaticano II. Pertanto, dopo laboriose trattative, è stato sostituito da un nuovo accordo tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede, stipulato il 18 febbraio 1984 ed entrato in vigore il 4 giugno 1985 , comunemente denominato nuovo Concordato. Tale accordo viene formalmente definito «di modifica» del precedente Concordato, ma costituisce in realtà uno strumento radicalmente nuovo. Peraltro, l’art. 13, comma 1 del nuovo Concordato precisa anche che le disposizioni del Concordato del 1929 non riprodotte nel nuovo testo sono abrogate. Rispetto al nuovo Concordato si è posto il problema se questo sia coperto dalla stessa garanzia prevista per il precedente accordo dall’art. 7 Cost., e cioè il procedimento aggravato per la modifica unilaterale. Sul punto si deve ritenere che il principio pattizio debba comunque essere rispettato, per cui il nuovo Concordato non potrà essere modificato con legge ordinaria dello Stato non preceduta da accordo con la Chiesa. Il nuovo Concordato consta di tre elementi:

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— il Preambolo, in cui si fa riferimento alle trasformazioni della società italiana a partire dalla Costituzione repubblicana ed all’importanza del Concilio Vaticano II nella vita della Chiesa cattolica per motivare la revisione dei Patti Lateranensi; — il testo vero e proprio, in 14 articoli; — il Protocollo addizionale con scopo di assicurare, con opportune chiarificazioni, la migliore applicazione dei Patti Lateranensi e delle modifiche convenute e di evitare difficoltà interpretative. I principi del Nuovo Concordato. La struttura del nuovo Concordato è radicalmente diversa da quella precedente; ha una struttura di appena 14 articoli voltiad enunciare i principi ai quali tale re...


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