Diritto Ecclesiastico - pdf finale PDF

Title Diritto Ecclesiastico - pdf finale
Author Edoardo Scrimieri
Course Giurisprudenza
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
Pages 51
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Perfette per la preparazione d’esame. Completa di tutti gli argomenti richiesti all’esame. Appunti delle lezioni del professore bettetini...


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DIRITTO ECCLESIASTICO I. INTRODUZIONE ALLA MATERIA

Il diritto ecclesiastico è quella parte del diritto dello Stato che dal punto di vista istituzionale regola i rapporti con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose, e che al tempo stesso garantisce il diritto di libertà religiosa; più correttamente potremmo dire che l’oggetto del diritto ecclesiastico è la libertà religiosa nei suoi profili istituzionali, collettivi e personali. La libertà religiosa istituzionale è il rapporto di totale libertà nella confessione religiosa all’interno dell’ordinamento giuridico italiano. La libertà religiosa collettiva è invece la libertà religiosa degli enti, tutelata dall’art. 20 della Costituzione. La libertà religiosa del singolo, a prescindere dall’incorporazione di questo in una confessione religiosa, in una organizzazione, di credere o di non credere senza alcuna distinzione, quindi ha come oggetto la libertà religiosa nei suoi profili istituzionali, collettivi e individuali. Il sistema di fonti del diritto ecclesiastico è alquanto articolato: si basa su fonti di diritto costituzionale, di diritto internazionale, di diritto concordatario, fonti unilaterali varate dallo Stato. Con fonti intendiamo fonti primarie, ma anche secondarie, leggi ordinarie, leggi costituzionali e anche autoregolamentate. La fonte principale è la Carta Costituzionale. La nostra Costituzione fa riferimento all’aspetto religioso in modo esplicito con ben quattro norme, mentre le altre sono implicitamente rivolte alla libertà religiosa. La libertà che è maggiormente garantita all’interno della nostra Carta Costituzionale è la libertà religiosa. Anche le altre libertà come quella di stampa, di associazione, di riunione sono tutelate ma solo da una o al massimo due norme all’interno della Carta Costituzionale. La libertà religiosa, come detto sopra, ha ben quattro norme che la tutelano. L’art 7, art. 8, art.19, art.20: l’art 7 Cost. tutela i rapporti tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica, l’art. 8 Cost. che riguarda la tutela del rapporto tra lo Stato e le altre confessioni religiose; questi articoli tutelano quindi la libertà istituzionale. L’art 19 Cost. tutela la libertà del singolo all’interno della nostra Carta Costituzionale e l’art. 20 Cost tutela la libertà collettiva, cioè quella degli enti. Accanto a queste, il fattore religioso emerge anche in altre norme costituzionali: pensiamo all’art.3 della Cost, il principio di uguaglianza, per cui la nostra Carta Costituzionale prevede che non vi deve essere una disparità di trattamento tra singoli anche in base al fattore religioso. Un’altra norma è l’art.119 della Cost., in cui si afferma che i rapporti tra Stato e Confessioni religiose sono di competenza del Governo, non di competenza di altri organismi. Parliamo dell’art. 7 della Costituzione, che è la prima norma: esso parte da una dichiarazione filosofica, cioè che “lo Stato e la Chiesa Cattolica sono ciascuno indipendenti e sovrani”; si tratta di una norma che è più dichiarativa che coercitiva. Si afferma un principio fondamentale che affonda le sue radici nella storia, il principio dualista, secondo cui lo Stato italiano riconosce una realtà storica in cui vi sono una pluralità di ordinamenti (principio già formulato da Santi Romano nel 1918 con il suo libro “l’Ordinamento Giuridico”). Ciascuno dei due ordinamenti è sovrano: ciò significa che non dipendono l’uno dall’altro, hanno un’autodeterminazione, il loro potere trova giustificazione nell’autorità medesima. Ciò non significa che non vi siano interferenze tra i due ordinamenti. Il diritto ecclesiastico si occupa anche di dirimere le controversie e le varie interferenze. Questo è un antico problema che in realtà risale circa a 2000 anni fa, ma come si è sviluppato il principio dualista nel corso della storia? Per comprenderlo è fondamentale capire come sia nata tale formula.

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II. INTRODUZIONE STORICA ALLA MATERIA II.A. Le origini…

Quand’è che nel mondo occidentale si iniziò a pensare in termini dualistici e non più monistici? quand’è che nel mondo occidentale l’autorità civile iniziò a separarsi dall’autorità religiosa? Un governo monista include tutti i poteri in una unica persona, pensiamo all’imperatore romano, che è capo di entrambi i poteri, o il sovrano d’Inghilterra, che è anche capo della Chiesa: si tratta di Cesaropapismo. Il contrario del cesaropapismo è la Ierocrazia: ciò si verifica quando è l’autorità religiosa ad esercitare i poteri civili, ad es. l’antica autorità ebraica dei Farisei, o lo Stato Vaticano (anche se in realtà il potere non è di fatto esercitato dal Papa, ma dal Cardinale posto a capo della commissione del Vaticano). Il principio dualista fu introdotto dal Cristianesimo. L’episodio è riportato nei Vangeli sinottici, nel dialogo tra Cristo e i Farisei sul potere: nell’episodio gli ebrei si interrogano sul fatto di quanto sia lecito pagare le tasse all’imperatore di Roma, allora considerato come una divinità; temendo di tradire Dio non vogliono pagare le tasse, tradendo il principio monoteistico. Allora i Farisei e i Sallucei chiedono a Cristo se sia lecito pagare il tributo a Cesare; la risposta di Cristo è molto chiara: questi si fa portare una moneta, chiedendo di chi sia l’immagine sopra la moneta, e, ricevendo come risposta che è quella di Cesare, pronuncia le celebri parole: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Nel Vangelo, Cristo traccia una demarcazione molto chiara tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, in un certo senso afferma in modo chiaro che vige all’interno degli ordinamenti giuridici un ambito riservato alla Chiesa e un ambito riservato allo Stato, a Cesare. Naturalmente ci sono dei limiti: li evinciamo dal Nuovo Testamento, non dai Vangeli, ma dagli Atti degli Apostoli, che sono una narrazione storicamente fondata su ciò che avvenne dopo la morte e la resurrezione di Cristo, un sorta di continuazione dei Vangeli. Gli Apostoli vennero arrestati dall’autorità ebraica, perché predicavano il Vangelo, una realtà opposta; volevano lasciarli liberi a condizione che non predicassero più: la risposta di San Pietro è molto chiara, ed è un’interpretazione autentica del principio dualista, in quanto egli afferma che è più importante obbedire a Dio che agli uomini (“magis opote obbedire Deo quam omnibus”): “Voi potete lasciarci liberi ma noi non possiamo tacere ciò che abbiamo visto”, sono queste le parole di Pietro. Ciò vuol dire che vi è un autorità politica e una religiosa, ognuna delle quali ha un ambito specifico, ed entrambi hanno dei limiti, non sono poteri assoluti. Il cittadino ha l’obbligo di obbedire all’autorità politica ma ciò viene meno se è contraria all’autorità religiosa, cioè alle norme del diritto divino. Ecco perché San Pietro dice alle autorità che non può obbedire a quel comando di non predicare, in quanto contrario alle norme del diritto divino. Se teoricamente è così facile carpire il principio dualista non è facile applicarlo, perché è molta la tentazione di invadere i diversi poteri. Trova poi una sua difficile applicazione nel corso della storia; primo tra tutti, l’Impero Romano, che promosse le persecuzioni religiose: non è chiaro il motivo giuridico per cui i cristiani vennero perseguitati, il motivo apparentemente più chiaro è quello che i cristiani obbedivano all’imperatore, ma obbedivano fino a che l’atto di obbedienza non costituiva un atto di culto dell’imperatore stesso (un atto di idolatria); ciò comportava un reato per l’imperatore romano, secondo il quale vigeva il principio monistico, non venerare l’imperatore costituiva una crimine di lesa maestà e per questo dovevano essere puniti. Questo fu uno dei pochi strumenti dei romani per poter perseguitare i cristiani. L’imperatore non si cura della violazione del diritto divino altrui ma si sente leso nella sua persona per cui condanna questi alla persecuzione. Successivamente quando il cristianesimo diventa religione di stato, non con Costantino, con cui diviene religione lecita, ma bensì con Teodosio, l’imperatore vuole legiferare nel campo del diritto divino: ciò porta la Chiesa a reagire con il cosiddetto “principio gelasiano”, quello di Papa Gelasio, che in una lettera affermava che ci sono due autorità supreme nel mondo, lo Stato e la Chiesa: né l’imperatore deve intervenire nelle questioni spirituali, né la Chiesa deve intervenire in quelle temporali; l’imperatore deve inoltre soggiacere e non violare le norme del diritto divino. Dunque solo nel secolo V con il Papa Gelasio si afferma il principio dualista. La sua chiarezza, quasi didattica, ebbe tuttavia a sua volta difficoltà di applicazione e d’interpretazione: l’imperatore di fatto si intrometteva nelle realtà spirituali. Un es. si ebbe nel Medioevo, con la lotta per le investiture (chi aveva diritto di nominare i vescovi? Il Papa o l’imperatore?). Col Concordato di Worms (1122) si giunse ad un accordo, per cui la nomina dei vescovi spettava al romano pontefice, mentre il conferimento del potere civile spettava all’imperatore; il Papa comunque esercitava il suo potere di pressione nei confronti

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dell’imperatore, attraverso lo strumento della scomunica, se l’Imperatore rompeva la sua comunione con la Chiesa Cattolica, perdeva ogni tipo di potere e di riconoscenza nei confronti del popolo. Per es., quando Enrico IV, imperatore, si recò a Canossa (“Umiliazione di Canossa”), era di certo pentito dei suoi peccati, ma aveva bisogno della revoca della scomunica per essere riconosciuto dai suoi sudditi. Non era privato dalla qualità di imperatore ma non poteva esercitare alcun potere sui sudditi. Altri es., possono essere le Decretali, che erano risposte che il Papa mandava a problemi pratici. Un caso si ebbe con Carlo V, “il Delfino” al regno di Francia: questi aveva avuto dei figli naturali e ci si chiedeva chi dovesse legittimare quest’ultimi al trono; il Delfino si rivolse allora al Papa Innocenzo III, con queste parole: “io mi rivolgo a te per sapere chi è l’autorità che possa legittimarla”. Il Papa, con una decretale, rispose che lui deteneva il potere spirituale e non temporale e che nulla poteva fare per intervenire nella questione (avrebbe potuto intervenire solo se il suo intervento era espressamente richiesto dall’autorità territoriale competente, o se c’era di mezzo la salvezza delle anime). In questo caso, da un lato entra in gioco un bene non spirituale, ma materiale, cioè la legittimazione di un figlio; dall’altro c’è un’autorità legittima che è l’imperatore. Vi è la chiara affermazione del principio dualista: all’imperatore spettava legittimare i figli, il pontefice affermava che lo avrebbe fatto solo se fosse mancato l’imperatore. Vi è un altro caso, risolto in maniera diversa da quella decretalistica: avvenne nei territori del pontefice, nel Lazio, ed era un caso di “restitutio in integrum” processuale (una revoca della sentenza ingiusta). Le sentenze passate in giudicato, non più modificabili, comportavano in alcuni casi la “capitis deminutio” (una pena accessoria), cioè una diminuzione o una perdita della libertà e delle capacità civili: è il caso di una persona condannata per infamia, per aver diffamato una persona dicendo che la coda del suo cavallo era più bella dei suoi capelli, ed ottenendo così una querela. Il giudice aveva accolto la richiesta di condanna e l’aveva condannato a pagare 10 “solidos” (qualche centinaio di euro), nonché la “capitis deminutio”; allora il condannato ricorse al pontefice, il quale emanò una Decretale in cui diceva che l’autorità competente tecnicamente era l’imperatore, ma poiché si trovavano nel Lazio, territorio di competenza pontificia, a decidere su questa controversia doveva essere il romano Pontefice; concesse dunque la “restituito in integrum”. Il pontefice si affermò come detentore del potere temporale solo entro i confini territoriali della Chiesa, ribadendo il principio dualista. Il pontefice non aveva rifiutato la sentenza precedente per il suo potere spirituale ma per quello temporale. Un altro caso lo troviamo poi con Federico II: siamo nel XIII secolo, e questo è l’esempio di come il potere temporale, in ambito medievale, incontrò dei limiti. Il IV Concilio Lateranense (1215) aveva stabilito una norma apparentemente civile, cioè che erano nulle tutte le norme civili che prevedevano il principio “mala fidei supervenies non nocet”, principio romanistico di larga applicazione nell’ambito dell’usucapione: per il diritto romano, perché l’usucapione sia effettivo si deve avere la buona fede iniziale ed un titolo d’acquisto valido; se successivamente all’inizio del decorrere del tempo ci si rende conto che quel titolo non era legittimo, la cosa non ha alcun rilievo. Per il diritto della Chiesa non è così. Il Concilio Lateranense IV affermava che le leggi civili che si fondano sul suddetto principio sono nulle, perché contrarie al diritto divino: e lo sono in quanto il peccato sorge proprio quando ci si rende conto che il bene non è proprio; fino a quando il bene non viene restituito, il peccato non è scontato. Per l’usucapione, dunque, è necessaria la buona fede per tutta la durata della detenzione del bene, e nel momento in cui viene meno la buona fede si interrompe la prescrizione per l’usucapione. Sebbene i rapporti tra Federico II e il papa non erano dei migliori, l’imperatore accolse questo principio, che ancora oggi si trova nel diritto tedesco e austriaco, mentre quello italiano, francese e spagnolo hanno ripreso il principio romanistico, per cui “mala fidei superveniens non nocet”.

II.B. La Riforma Protestante… Quando il sistema di demarcazione tra potere temporale e potere spirituale, tra poteri di Stato e Chiesa comincia ad incrinarsi? Sembra che il passaggio avvenga con l’avvento dell’Età Moderna (inizio XVI sec.). È infatti con la Riforma Protestante che uno dei due capisaldi della cultura europea viene meno: con lo scisma infatti, non solo ci si rifiuta di sottostare all’autorità istituzionale del Pontefice, ma si finisce per ottenere una divisione anche sul piano dottrinale, dei contenuti. 3

In Germania e nei Paesi del Nord-Europa, con Lutero, Calvino e gli altri pastori protestanti, con il rifiuto dell’autorità pontificia iniziano ad avere rilievo più autorità locali, ciascuna facente capo a sé stessa, con delle rilevanti conseguenze soprattutto sul piano sacramentale. La Riforma si espande anche in Svizzera e, successivamente, in Inghilterra, dove ha uno sviluppo particolare: con Enrico VIII cade il principio dualista papa-re, affermandosi quello monista del sovrano capo della Chiesa (la vicenda avviene dopo il rifiuto, da parte del pontefice, di annullare il suo matrimonio, dopo il quale Enrico VIII con una serie di atti rifiutò l’autorità pontificia, comportando così il ritorno del “cesaropapismo”). Inizia con la Riforma la dipendenza della Chiesa Luterana dal potere politico. L’Europa è divisa a metà, fino a che la Pace di Westfalia non sancisce il principio del “Cuius Regio Eius Religio”, secondo cui la religione territoriale è quella del Re: viene così riconosciuto per la prima volta il diritto di emigrare (“ius migrationis”). Questa disgregazione si gioca anche e soprattutto sul piano politico, tanto che molti Stati finiranno per riconoscersi automi proprio in virtù del principio sopra citato. Altro elemento di frammentazione furono poi le Grandi Scoperte Geografiche (1942), che fece crescere l’egemonia di Stati come la Spagna e il Portogallo, i quali si proponevano come evangelizzatori dei popoli conquistati. La scoperta della stampa, ad opera di Gutemberg (1455), che permise alla Riforma di espandersi, coinvolgendo sempre più seguaci, basti pensare che fu proprio la Bibbia ad essere il primo volume stampato, per volere della Chiesa Protestante.

II.C. L’orizzonte italiano…

Negli anni 1860-1 fu ufficializzata la formazione del Regno d’Italia, ma la sua completa unificazione si ebbe soltanto nel 1870, quando le truppe regie fecero Breccia a Porta Pia, ottenendo così la Presa di Roma, al tempo facente parte del “territorio di San Pietro” (“patrimonium beati Petri”, avuto con la Falsa Donazione di Costantino). La resa delle truppe pontifice fu però, di fatto, essenzialmente simbolico, in quanto il Papa evitò di reagire per evitare il bagno di sangue, ritirandosi a Castel Sant’Angelo e sancendo tacitamente la fine del proprio potere temporale. Non si giunse mai ad un vero e proprio trattato di pace fino al 1929, in quanto la Santa Sede non accettò mai l’annessione al Regno d’Italia, limitandosi a trattenere la sola Città del Vaticano. Quali furono le tappe principali? Abbiamo un passo precedente il 1870: infatti, nel 1865 era stato promulgato il primo Codice Civile, che prevedeva alcune norme di chiaro contrasto con quelle cattoliche, come l’obbligatorietà del matrimonio civile (prima l’ordinamento civile si limitava a prendere atto del matrimonio canonico). L’unico matrimonio a produrre effetti diventa quello di tipo civile, laico, di chiara posizione antiecclesiale. Vi si aggiungevano poi le cd. “leggi eversive”, con cui si mirava ad espropriare i beni della chiesa, ponendo limiti alla capacita di agire: la legge 1037/1855(rimasta in vigore fino al 1997) prevedeva infatti che gli acquisti degli enti ecclesiastici dovessero essere autorizzati dallo stato; gli unici esclusivi erano gli acquisti, a titolo oneroso, di beni mobili. Vi furono quindi numerosi enti ecclesiastici devoluti all’espropriazione al fine di coprire le spese comportate dalle recenti guerre di indipendenza. Nel 1871 fu emanata unilateralmente dallo Stato la Legge delle Guarentigie per regolare la situazione giuridica della Chiesa di Roma, che pero non la accettò mai in quanto non era stata coinvolta, ne prevedeva accordi internazionali per tutelare la Chiesa cattolica stessa. Per “guarentigie” si intendevano alcune garanzie: per es. la tutela del pontefice, il diritto di legazione attiva e passiva della santa sede (invio e ricevimento di ambasciatori), anche se tuttavia non le si riconosce sovranità sul territorio, ma un mero titolo di possesso di alcuni territori come Città del Vaticano e Castel Sant’Angelo. La Chiesa emanò un “non expedit”, un “non conviene”: non si deve avere rapporto giuridico con lo Stato italiano, e quindi i cattolici presenti sul territorio italiano non devono in alcun modo partecipare né attivamente né passivamente alla vita politica del Regno d’Italia (ad es. astenendosi dal voto, non condidandosi alle elezioni). Il diritto di voto a quel tempo era basato su criterio censuale, solo chi era maschio e chi raggiungeva un certo censo poteva votare.

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Quando tale principio del “Non Expedit”inizio a decadere? Molti i motivi che lo portarono a soccombere, come la impossibilità di essere rappresentati come classe, cosa che a lungo andare sarebbe stata dannosa per la chiesa; inoltre, riguardo le amministrazioni locali, i cattolici rischiavano di non poter più dare aiuto per i concreti problemi. Inoltre nel 1913 fu introdotto il suffragio universale maschile che scardinò tutti gli equilibri, soprattutto tra partiti anticattolici: il voto si era spostato da un centro abbastanza stabile ad una sinistra radicale e socialista; i liberali stessi, tradizionalmente anticattolici, cercavano l’alleanza coi cattolici. Due figure importanti furono: - il conte Gentiloni, che stipulò come rappresentante cattolico (con accettazione della Santa Sede) coi liberali, nel 1914, il patto Gentiloni, che prevedeva che i cattolici avrebbero potuto votare e avrebbero votato i candidati liberali che si impeganvano a perseguire alcuni punti specifici (sette punti di impegno politico: non introdurre il divorzio, istituire ora di religione a scuola, ecc...). Rimase tuttavia il Non Expedit, ma vi era una dispensa per i cattolici dal seguirla, in virtù proprio del patto appena illustrato. - con don Luigi Sturzo, siciliano, si iniziò a creare un movimento politico ( il “Partito Popolare”) di chiara ispirazione cattolica, ma che rimaneva aperto “a tutti gli uomini liberi e forti”, per citare le sue parole. Nel 1913 ciò permise al partito liberale di uscire dalle elezioni vittorioso, con la presenza in parlamento anche di qualche deputato cattolico. Durante la guerra si ebbe un riavvicinamento tra le due potenze; la Chiesa con Benedetto XV, sebbene co...


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