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Title PDF Diritto Stefanelli
Author Francesco Bellarmino
Course Economia degli intermediari finanziari
Institution Università di Bologna
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DIRITTO DEGLI INTERMEDIARI FINANZIARI

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Il diritto degli intermediari finanziari è un diritto che in realtà consta dello studio di due corpora normativi fondamentali: il Testo Unico Bancario 358/93 e il Testo Unico Draghi dlg 58/98 sul mercato finanziario inteso in senso lato. Tradizionalmente il mercato finanziario è diviso in tre grossi macrosettori: Un mercato bancario sul quale opera un intermediario (soggetto specificatamente qualificato dal Testo Unico Bancario), la banca. Le banche sono delle società di diritto privato che svolgono un’attività che ha carattere d’impresa. A differenza di una società privata tradizionale, la banca è sottoposta ad una serie di vincoli regolamentari (regole di natura giuspubblicistica) emanati direttamente dallo Stato volti a disciplinare questa attività. Da ciò discende che la banca non può stare nel mercato bancario come vuole, e anzi, non tutti gli imprenditori bancari possono entrare nel mercato bancario. Il mercato bancario è declinato da un soggetto pubblico (al momento Banca d’Italia). Le banche per entrare nel mercato devono quindi passare il vaglio, l’esame, di un’autorità pubblica. Accanto a Banca d’Italia ci sono altre autorità pubbliche che controllano le banche: • il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR); • il Ministro dell’Economia; • l’autorità Antitrust agisce invece sulla disciplina delle imprese bancarie per verificare che queste ultime non mettano a repentaglio gli interessi dei consumatori (es. facendo un cartello, abusando di posizione dominante...); • e infine la BCE è l’autorità immanente (tira le fila di tutte le altre autorità). I prodotti che vengono scambiati all’interno del mercato bancario, e quindi ciò che la banca vende, sono i cosiddetti contratti bancari. Si tratta di contratti tramite i quali le banche raccolgono il risparmio (es: conto corrente di deposito) o contratti di erogazione (es: erogazione credito). L’impresa bancaria nel nostro ordinamento deve congiuntamente svolgere due tipi di attività (art. 10 e art. 11 del Testo Unico Bancario): deve raccogliere il denaro, e deve reimpiegare il denaro concedendo crediti a famiglie, imprese. Tra la raccolta del risparmio e l’erogazione del credito esiste un vincolo inscindibile, in mancanza del quale non c’è banca: vincolo che viene chiamato collegamento funzionale. I contratti bancari sono tipizzati all’interno del Testo Unico Bancario 385/93, più alcune disposizioni di massima del Codice Civile. Le autorità che controllano il mercato bancario sono chiamate autorità di vigilanza. La vigilanza è una funzione pubblica che il pubblico potere esercita al fine di monitorare in tempo reale e in modo molto penetrante l’attività erogata dalle banche. La funzione di controllo, a differenza di quella di vigilanza, pur essendo anch’essa esercitata da un pubblico potere, è diretta ad una verifica a tempo dell’attività della banca (controllo esercitato dopo sei mesi, un anno...); la vigilanza invece è un’attività esercitata giorno per giorno. Un mercato finanziario, ovvero quel settore di mercato disciplinato dal Testo Unico Draghi 58/98 (in cui operano determinati soggetti che offrono determinati servizi a determinate condizioni). I soggetti operanti in tale mercato sono gli intermediari; il primo intermediario finanziario è la banca. Il TUB del 93 ha concesso alla banca di essere due cose contemporaneamente: banca in senso tradizionale, e intermediario finanziario (uscire dal mercato bancario) concedendogli di offrire alla propria clientela un altro tipo di servizio: i contratti di investimento. A differenza delle Imprese di Investimento tradizionali le banche all’ingresso nel mercato finanziario possono contare sulla tradizionale funzione della raccolta del risparmio: i clienti già posseduti potrebbero essere quelli interessati ai nuovi servizi. Le banche hanno una rete di sportelli che l’Impresa di Investimento non ha. L’altro grande soggetto del mercato finanziario sono appunto le Imprese di Investimento. Si tratta di soggetti di diritto privato (attività d’impresa) che vendono un particolare tipo di prodotto, il contratto di investimento. Il terzo intermediario operante nel mercato finanziario è la Società di Gestione del Risparmio (Sgr). La Sgr è una società di diritto privato che ha come fine quello di istituire e gestire il cosiddetto Fondo Comune di Investimento. La Sgr è presente anche nella versione societaria della Sicav (Società di Investimento a Capitale Variabile). Le Sgr gestiscono dei Fondi comuni di investimento, che sono un particolare prodotto finanziario, un particolare 1

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servizio di investimento che è nato in Italia molto tardi. Fa la sua comparsa in Italia verso la fine degli anni ’80 e propone al risparmiatore bancario la possibilità di investire i propri (anche piccoli) risparmi in un servizio che contrariamente al contratto bancario -che da luogo ad un piccolo tasso di interesse- prospettava tassi di interesse crescenti e comunque superiori a quelli bancari. Il servizio di investimento è però diverso dal servizio bancario, la banca è infatti tenuta alla restituzione del capitale. –> La banca quando agisce in senso tradizionale (art. 10 e 11 del TUB) è per legge vincolata a restituire i risparmi che i risparmiatori hanno consegnato sottoscrivendo il contratto: anche in caso di crisi della banca, questa è comunque costretta a restituire il denaro depositato; se invece la banca agisce all’interno del mercato finanziario, e quindi come intermediario finanziario in senso stretto, la banca restituisce al risparmiatore i soldi solo se la quotazione è stata positiva. La banca in questo caso agisce come la Società di investimento, che restituisce i soldi solo se la negoziazione è stata efficace. Il primo che si occupa nel nostro ordinamento giuridico della banca è Quintino Sella che nel 1875 per la prima volta cerca di rendere appetibile la banca per tutti i cittadini italiani che non conoscevano la banca e che mettevano i propri risparmi “sotto il materasso”. Propone ai piccoli risparmiatori italiani di depositare i loro risparmi presso una cassa postale, presente in ogni paese italiano. Le casse postali erano l’articolazione banca- posta tutt’ora esistente: la posta italiana che ha la massima diffusione sul territorio e raggiunge potenzialmente tutti i cittadini italiani offre al risparmiatore di guadagnare dal deposito. Al risparmiatore viene offerto un piccolo tasso di rendimento fisso (per il solo fatto che i soldi fossero depostati nella cassa viene riconosciuto un tasso), ed è importante che sia fisso, poichè il denaro viene sottratto a delle contrattazioni private tra soggetti e poichè il risparmiatore è così sicuro di percepire un piccolo rendimento. Questo piccolo rendimento garantisce anche la restituzione del capitale nel momento in cui il risparmiatore lo richieda (classica funzione della banca). La seconda intuizione di Quintino Sella è che tutto il denato così raccolto, venga convogliato verso un unico grande soggetto direttamente inerente con il fondo comune italiano al finanziamento delle piccole e medie imprese, la Cassa di depositi e Prestiti. La Cassa di Depositi e Prestiti è un ente pubblico dello Stato italiano che raccoglie tutti i fondi delle casse di risparmio postali, con i quali finanzia lo sviluppo di opere infrastrutturali del territorio italiano. Sella dunque raggiunge due obiettivi: riesce nel tentativo di far ricorrere al deposito ai risparmiatori, e offre fonti di finanziamenti di liquidità quotidiana alle casse dello Stato. Questo primo abbozzo di regolamentazione del credito e del risparmio si inserisce in un’organizzazione statale dove sono già presenti altre tipologie di banche. La prima tipologia di banca già ampiamente esistente all’epoca di Sella sono i Monti di credito su pegno, i cosiddetti Monti di pietà. Si tratta delle prime banche che vengono istituite dai francescani a Perugia che hanno come finalità non la speculazione ma l’erogazione di piccoli prestiti a tassi assolutamente agevolati o pressochè nulli dietro presentazione di un piccolo pegno (strumento di lavoro per esempio). I Monti di pietà prosperano perché danno alla popolazione la possibilità di non accedere più al canale usurario. Il canale usurario è costituito da una rete di soggetti privati che prestano a tasso usurario (immensamente superiore ad un tasso concretamente restituibile da un normale soggetto) in modo da rendere pressoché impossibile la restituzione del credito obbligando il soggetto usurato a cedere la propria attività/i propri beni per soddisfare il prestito usurario. La piaga del prestito usurario, che ai nostri giorni è floridissima, viene calmierata da questi primi tentativi dei francescani perché il piccolo artigiano impegnando un proprio strumento riesce comunque ad avere una piccola somma di denaro, mantenendo al possibilità di riottenere l’oggetto a fronte della restituzione del credito. Il Monte di Pietà è il primo strumento che si pone in alternativa al prestito usurario e getta le premesse per poter immaginare un ordinamento economico in cui il piccolo risparmiatore venga aiutato, e non solo strozzato. Molto più tardi, verso la fine del ’800, nascono altre due tipologie di banche molto importanti presenti anche ai nostri giorni: le casse di risparmio e le banche popolari. Le casse di risparmio sono delle piccole banche, ovvero delle istituzioni creditizie, hanno una matrice cattolica, e vengono costituite sopratutto nelle grandi città per erogare credito a quella parte artigianale e per cercare di promuovere insieme alla crescita economica del piccolo artigiano anche la sua crescita sociale: la banca in questo caso è vista come uno strumento di inclusione all’interno della società. Stessa funzione, con matrice diversa, hanno le banche popolari. Le banche popolari sono anch’esse istituzioni creditizie che però non hanno matrice cattolica ma laica, presenti nelle città e con medesima funzione delle casse di risparmio. Nelle campagne invece si trovano le prime forme di casse rurali. Si tratta di istituzioni di diritto privato che si pongono come primario obiettivo quello di sviluppare la consapevolezza finanziaria e produttiva delle campagne, riconoscendo l’agricoltura come il primo strumento di sussistenza della popolazione italiana. Agli inizi del ’900 l’Italia è un paese povero, un paese di immigrazione nel quale l’analfabetismo tocca delle soglie del 98%, industrialmente arretrato. La prima riforma organica del settore bancario si ha nel 1927. I primi decreti sono ovviamente decreti regi e sono del 1926 e cercano di unificare tutto il panorama fino ad allora presente: Casse di risparmio postali, Casse di risparmio, Banche rurali, Banche popolari e Monti di pietà. Nel 1926 si è in pieno regime corporativo che si basa su una riconduzione al centro di tutte le funzioni ritenute fondamentali per la vita pubblica. La prima funzione svolta dai decreti del 26 è quella di ricostruire le diverse tipologie di impresa fino a quel

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momento presenti nel paese e di ricondurre sotto un’unica autorità, il Ministero dell’Economia (nel ’36 Ministro dell’Economia e Banca d’Italia). I decreti del ’26 legittimavano tutte le tipologie di impresa bancaria fino ad allora esistenti, ma ne sottoponevano l’ingresso nel mercato, la modalità con la quale stare nel mercato, e se e quando uscire dal mercato alla decisione del Ministero dell’Economia. Per la prima volta, nel 1926, alla funzionalizzazione del mercato bancario. (=Funzionalizzazione: lo Stato assume su di se, rende pubblici, alcuni momenti della vita di un’impresa, impresa, quella bancaria, che però nel ’26 è ancora privata). Lo statuto albertino era caratterizzato da una grande libertà d’impresa. Questo faro sulla libertà d’impresa viene meno per le banche nel Testo Unico del ’36 dove per la prima volta, in pieno ordinamento corporativo, si riconosce che le banche sono soggetti di diritto privato, ma impone di esercitare un pubblico servizio, ed per questo motivo assoggettato alle leggi di Banca d’Italia e soprattutto del Ministero dell’Economia, che sono i principali centri del potere pubblico per il mercato bancario. L’autorizzazione è un provvedimento amministrativo attraverso il quale si limita il diritto di libera intrapresa economica. L’autorizzazione è l’architrave di tutto il TUB e tutto il TUF. Da ciò discende che i due mercati, bancario e finanziario, nel nostro ordinamento giuridico, convergono in capo ad un’autorità pubblica, la quale disciplina attraverso propri provvedimenti l’entrata nel mercato, lo stare sul mercato, e l’uscita dal mercato, in modo diverso -ma con lo stesso obiettivo- della legislazione del ’26. Il provvedimento amministrativo è emanato dalle pubbliche amministrazioni e ha un contenuto imperativo, ovvero possono costituire, modificare o estinguere posizioni giuridiche del soggetto. L’atto amministrativo non ha carattere imperativo. Quella appena descritta è la parte generale entro la quale inserire le problematiche di ordine generale. Esaminiamo i primi articoli del TUB, che hanno come ispirazione una sollecitazione che proviene dalla Comunità Europea tesa ad aprire il mercato bancario italiano al principio di libera concorrenza. Il primo articolo del TUB 35/93 è, come tutti i primi articoli dei Testi Unici, dedicato alle cosiddette definizioni: il legislatore si preoccupa di fornire un’interpretazione autentica per ogni termine che viene impiegato all’interno del Testo Unico al duplice scopo di evitare ogni dubbio relativo a diverse intepretazioni, e di fornire agli utilizzatori un vademecum chiaro e preciso sugli istituti che vengono contemplati nel TUB e sulle regole contenute. In Italia coloro che conoscono l’esistenza del TUB sono, tranne alcune rare eccezioni, le banche, che sanno di dover rispondere alle regole del TUB (che disciplinano il loro ingresso, il loro stare e la loro eventuale uscita dal mercato). In realtà il TUB dovrebbe essere conosciuto da almeno altre due tipologie di soggetti: il risparmiatore, che avrebbe così gli strumenti per potersi tutelare, e le PMI, con riferimento alle norme contenute nel Testo Unico che si riferiscono alla micro impresa e alla piccola impresa. Dopo aver introdotto le regole definitorie il TUB passa ad un secondo corpus di norme, in particolare dall’art. 1 all’art. 4 e l’art. 9. Questo corpo di norme viene collocato subito dopo aver risolto la questione definitoria, e sono norme che definiscono l’allocazione dei poteri. Lo stato inteso come entità originaria titolare del potere pubblico attribuisce direttamente ad alcuni propri organi, ad altri enti pubblici, la potestà di dettare delle regole per le imprese bancarie (che ribadiamo essere soggetti privati). L’art. 2, 3 e 4 declinano i poteri pubblici di vigilanza sul mercato bancario, e il primo potere pubblico che esaminano è il potere attribuito ad un organo che ha una doppia natura. E’ organo politico e contemporanemente organo tecnico. Art. 2 del TUB Il comitato interministeriale per il credito e per il risparmio (Cicr). Il CICR viene quindi posto dal legislatore nella parte più alta del vertice gerarchico degli organi pubblici di regolazione del credito. Il primo organo regolatore del mercato del credito è dunque il CICR. Un Comitato Interministeriale vede la presenza all’interno di un unico organo di più ministri. Articolo 2 (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) 1. Il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio ha l’alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio. Esso delibera nelle materie attribuite alla sua competenza dal presente decreto legislativo o da altre leggi. Il CICR è composto dal Ministro dell’economia e delle finanze (1), che lo presiede, dal Ministro del commercio internazionale, dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, dal Ministro dello sviluppo economico, dal Ministro delle infrastrutture , dal Ministro dei trasporti e dal Ministro per le politiche comunitarie. Alle sedute partecipa il Governatore della Banca d’Italia.* Il CICR è un organo collegiale di tipo tradizionale, composto da più organi monocratici, i singoli ministri, a cui l’ordinamento giuridico attribuisce funzioni rilevanti per la disciplina delle proprie materie. In posizione di presidenza all’interno dell’organo collegiale è posto il Ministro Dell’economia. Essere presidenti di un organo collegiale non è una funzione semplice, poichè tale carica prevede almeno due compiti molto importanti: il primo potere che devono legittimamente esercitare è la convocazione del collegio, sempre accompagnata dall’ODG. L’ODG è una questione delicata, perchè a seconda della sensibilità del presidente dell’organo collegiale determinate questioni possono essere inserite e poste in approvazione nel momento in cui il presidente stesso ritenga maturato all’interno dell’organo un determinato convincimento, o non inserisce nell’ODG una determinata materia allorché ritenga che necessiti di un maggiore dibattito all’interno del collegio sindacale. Non si tratta quindi di una funzione neutra, ma è rimessa alla sensibilità del presidente. In secondo luogo i presidenti di organi collegiali dirigono la discussione, ovvero devono

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possedere la sensibilità necessaria per riuscire a dare il tempo sufficiente a tutti coloro che hanno diritto di intervento affinché ognuno esprima le proprie opinioni, senza però far sì che questo diritto di intervento sia tale da impedire una discussione all’interno dell’organo collegiale, o che non degeneri oltre i compiti tipici dell’organo. Il CICR è composto esclusivamente da ministri “di serie A”, ovvero che hanno un portafoglio da spendere. La funzione che ad esso viene attribuita è del tutto particolare e giuridicamente inesistente: l’Alta vigilanza. Giuridicamente la funzione di vigilanza non è altro che la funzione di vigilanza: non esiste una vigilanza “alta” o una vigilanza “bassa”. Bisogna perciò procedere in via interpretativa per capire a cosa si fa riferimento parlando di una vigilanza “Alta”. La vigilanza è l’esercizio di un potere pubblico finalizzato al controllo dell’attività di un soggetto privato (o pubblico). L’attività di vigilanza è esercitata giornalmente. Alcuni giuristi si sono preoccupati di dare un contenuto a questa nuova definizione, e l’hanno identificata su un livello di vigilanza politica del mercato bancario. In questo modo si giungerebbe a risolvere la questione del ruolo di Banca d’Italia, a cui sarebbe attribuito un ruolo tecnico. In realtà a conforto di questa interpretazione va anche l’ultima riga dell’art. 2 (*). Posta la frase in questi termini parrebbe che il Governatore abbia diritto di audizione, quindi può partecipare come uditore ai lavori di deliberazione del CICR ma il Testo Unico non attribuisce al Governatore di Banca d’Italia alcun diritto di voto durante la formazione delle delibere del CICR. Quest’ultima riga del primo comma deve essere letta congiuntamente con l’ultima riga dell’ultimo comma. Articolo 2, 4. Il direttore generale del tesoro (4) svolge funzioni di segretario. Il CICR determina le norme concernenti la propria organizzazione e il proprio funzionamento. Per l’esercizio delle proprie funzioni il CICR si avvale della Banca d’Italia. L’articolo 2 introduce il cosiddetto istituto dell’avvalimento: è un istituto giuridico in virtù del quale un soggetto che appartiene alla pubblica amministrazione (quale è il comitato in questione) per l’esercizio delle proprie funzioni si avvale di un organo tecnico che ha delle competenze tecniche superiori alle proprie. Naturalmente questo significa esautorare l’organo che si avvale, a favore dell’organo tecnico. Questo è ciò che accade al Comitato Interministeriale, organo tecnico- politico in quanto formato da ministri, che sono politici ma anche tecnici, posti a capo di una branca dell’amministrazione. Questi vengono affiancati da un organo assolutamente tecnico (pochissimo politico): la ratio per cui il legislatore attribuisce un’Alta vigilanza al comitato che deve, per poter deliberare, affidarsi ad un altro organo tecnico, affidando al Comitato stesso la sola (e completa) responsabilità politica è che non sempre i ministri della Repubblica sono preparati tecnicamente, e non avrebbe le competenze giuste per poter deliberare,...


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