Giugni pdf - Riassunto Diritto Sindacale PDF

Title Giugni pdf - Riassunto Diritto Sindacale
Course DIRITTO DEL LAVORO
Institution Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
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Riassunto del libro diritto sindacale Giugni ,inserito nel programma d'esame di diritto del lavoro...


Description

DIRITTO SINDACALE, GIUGNI 2010 CAPITOLO PRIMO INTRODUZIONE - Definizione del diritto sindacale Il diritto sindacale è quella parte del diritto del lavoro contenente un insieme di norme, poste dallo Stato o dalle stesse organizzazioni di lavoratori ed imprenditori, che nelle economie di mercato disciplina il conflitto di interessi derivante dall’ineguale distribuzione del potere nei processi produttivi. Esso nasce insieme al movimento operario nel XIX secolo, quando la rivoluzione industriale da luogo ad una contrapposizione di interessi ben nota tra capitale e lavoro, ossia tra chi detiene i mezzi di produzione, e pertanto è legittimato ad organizzarli ed utilizzarli a propria discrezione (gli imprenditori), e chi, non detenendoli, mette la propria forza-lavoro al servizio di chi li detiene (i lavoratori). Per lungo tempi si è cercato un parallelismo tra il diritto autonomo dei gruppi professionali del Basso Medioevo ed il moderno diritto sindacale: tale paragone non può esistere, in quanto le corporazioni medievali rappresentavano delle coalizioni di soggetti (artigiani o mercanti) con gli stessi interessi, mentre nel diritto sindacale si vanno a contemperare interessi opposti e confliggenti. L’organizzazione sindacale nasce proprio, infatti, per contrastare lo strapotere degli imprenditori nei confronti dei lavoratori. Per “conflitto industriale” deve intendersi il conflitto tra capitale e lavoro, tipico dei sistemi produttivi moderni (non solo industriali). Esso è considerato come elemento della lotta di classe tra chi ha la proprietà dei mezzi di produzione e chi offre la propria forza-lavoro. In realtà il conflitto in questione non riguarda solo chi detiene la proprietà dei mezzi produttivi, ma soprattutto chi gestisce gli stessi, l’autorità che ha il vero potere sui mezzi (pensiamo ad una società in cui i dirigenti hanno un potere molto più ampio rispetto agli azionisti). Il diritto sindacale si inquadra proprio all’interno del conflitto industriale, apprestando la massima tutela a favore dei lavoratori in esso coinvolti. Diritto sindacale e relazioni industriali Il diritto sindacale analizza gli stessi temi trattati dalla disciplina delle c.d. “relazioni industriali”, sviluppatasi per lo più nei paesi anglosassoni, la quale ha ad oggetto l’insieme delle relazioni intercorrenti tra imprenditori, lavoratori e pubblici poteri, le quali conducono all’emanazione di norme dirette a regolare il sistema produttivo: quindi il sistema delle relazioni industriali prende in considerazione il contesto normativo (web of rules) dei rapporti tra interessi organizzati. L’effettività nel diritto sindacale Un aspetto fondamentale del diritto sindacale lo ritroviamo “nell’effettività” delle sue norme, che merita particolare attenzione. Il principio di effettività di una norma (e del diritto in genere) prevede che ad essa sia data concreta esecuzione, in tutte le sue parti, quindi tanto per la disciplina ivi contenuta, quanto per le sanzioni previste in caso di inottemperanza. Per il diritto sindacale la situazione è diversa. L’emanazione di una disciplina, che dovrebbe competere solo al potere legislativo come costituzionalmente previsto, si basa, molto spesso, su una mediazione politica che coinvolge anche le parti sociali (L.247/1997 preceduta da un protocollo sul Welfare, ossia da un accordo tra Governo e sindacati). Il diritto sindacale, infatti, per garantire l’osservanza spontanea delle norme ed evitare situazioni spiacevoli a livello sociale, si poggia proprio sul consenso sociale, garantendo così la propria effettività. Astensione legislativa e ruolo della dottrina Dopo l’abrogazione dell’ordinamento corporativo, in vigore dal 1926 sino al 1944, e dopo l’emanazione della Costituzione repubblicana nel 1948, il legislatore italiano è rimasto per lungo tempo muto in materia di rapporti sindacali e sordo ai bisogni dei lavoratori. Solo nel 1970, con la L.300 che ha introdotto lo Statuto dei lavoratori, si è avuta la prima disciplina sindacale. Dopo altri 20 anni, inoltre, con la L.146/1990 si è disciplinato lo sciopero nei servizi pubblici essenziali. Notiamo, quindi, come il silenzio normativo si sia protratto per lunghi periodi e come sia stato necessario molto spesso, ad opera della dottrina e della giurisprudenza, interpretare estensivamente le norme già esistenti in base a valutazioni di carattere generale e sociale: si è applicata, in sostanza, quella che molti definiscono come “politica del diritto”, attraverso la quale molti autori hanno potuto esprimere il proprio pensiero, non cadendo nell’ipocrita convinzione che il diritto dei giuristi sia neutrale.

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L’ordinamento intersindacale Abbiamo già detto che il sistema di relazioni industriali scaturisce dalle interazione tra imprenditori, organizzazioni dei lavoratori e pubblici poteri. Sotto il profilo giuridico-normativo possiamo affermare che le relazioni industriali sono rette da un ordinamento stabile, definito come ordinamento intersindacale, distinto dall’ordinamento statale. I due ordinamenti convivono all’interno del nostro sistema, regolando molto spesso le medesime materie: qualora confluiscano verso una stessa valutazione normativa, non si crea alcun problema, ma qualora differiscano tra loro la norma di un ordinamento sarà ineffettiva nell’altro e viceversa. Altre volte le valutazioni normative dei due ordinamenti, pur essendo diverse, non entrano in contrasto: prendiamo ad esempio il contratto collettivo, che per l’ordinamento statale è un semplice accordo tra le parti disciplinato dal codice civile, mentre per l’ordinamento intersindacale è un atto fondamentale che regola i rapporti tra imprenditori e sindacati. Altro esempio è quello degli accordi triangolari tra le parti sociali (sindacati ed imprenditori) ed il Governo, in forza dei quali quest’ultimo si impegna a disciplinare legislativamente una determinata materia oggetto dell’accordo. In realtà il Governo, secondo l’ordinamento statale, non può obbligare il Parlamento in nessun modo ad approvare una legge, ma all’interno dell’ordinamento intersindacale un simile accordo assume una rilevanza notevole. Il ruolo della giurisprudenza La giurisprudenza, così come la dottrina, ha contribuito notevolmente alla formazione del diritto sindacale, nonostante nel nostro sistema di civil law la decisione di un giudice, nell’espletamento delle proprie funzioni, non abbia autorità vincolante. La giurisprudenza, però, molto spesso, con la costanza del proprio indirizzo di pensiero, ha colmato le lacune legislative ed indirizzato lo stesso legislatore nell’emanazione di una disciplina. Basti pensare che il concetto di contratto collettivo, e la conseguente inderogabilità dello stesso, nasce proprio in ambito giurisprudenziale, così come altri concetti di notevole rilevanza. Il diritto comunitario Il diritto comunitario risulta, ancora oggi, indifferente rispetto al diritto sindacale: ne troviamo prova nel nuovo TFUE (trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) il quale, all’art.153, dopo aver riconosciuto il diritto alla rappresentanza ed alla difesa collettiva degli interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori, nega che rientrino all’interno della competenza comunitaria temi quali il diritto di sciopero, di serrata ed il diritto di associazione. Eppure l’integrazione economica al quale l’Unione è giunta non può prescindere da questi aspetti del diritto sindacale e tale concetto è stato ribadito anche dalla Corte di Giustizia, che sembra orientata verso un’integrazione della materia sindacale nelle competenze dell’Unione. Va aggiunto che con l’entrata recente di Paesi più poveri ed arretrati (anche per ciò che concerne i diritti dei lavoratori) all’interno dell’UE, è stato attuato un sistema di concorrenza al ribasso (dumping sociale), ossia una tendenza delle imprese ad utilizzare le condizioni del mercato del lavoro di questi Paesi per poter ridurre i costi ed aumentare i guadagni. E’, per ora, impossibile capire come la situazione si evolverà, ma è sicuro che diritto comunitario e diritto sindacale non potranno restare indifferenti ed indipendenti per molto tempo ancora. Le regole del conflitto ed il problema della loro stabilità All’interno del diritto sindacale, nel nostro Paese, non sono ben definite regole per l’individuazione dei soggetti legittimati alla trattativa, alla composizione delle controversie, alla proclamazione ed allo svolgimento degli scioperi. Prima della nascita di sindacati autonomi nel ventennio 70-90 del secolo scorso, la tre grandi Confederazioni sindacali (Cisl, Uil e Cgil) non sentivano l’esigenza di regole ben precise, in quanto un accordo, bene o male, lo si trovava nella maggior parte dei casi, anche con l’esclusione della Cgil. In un secondo momento, però, sono venute meno le ragioni di compattezza tra i lavoratori, essendo venuti meno i conflitti ideologici precedenti inerenti la lotta di classe. Si sono posti, dunque, 2 problemi: quello della rappresentanza, inerente il rapporto tra il sindacato ed il gruppo professionale di riferimento, e quello inerente i rapporti tra base e vertice, tra lavoratori e dirigenti dei sindacati, soprattutto in riferimento agli strumenti di democrazia rappresentativa (elezione dei dirigenti) e democrazia diretta (assemblee e referendum). Infatti mentre da un lato la Cisl ha sempre privilegiato la tutela dei propri iscritti, adoperando il sistema dell’elezione dei dirigenti, la Cgil ha sempre valorizzato strutture rappresentative elette da tutti all’interno di assemblee e referendum, coinvolgendo tutti i lavoratori, anche quelli non sindacalizzati. Il Protocollo del 23 luglio 1993 sembrava aver trovato una soluzione al suddetto problema, individuando i soggetti titolari dei poteri di rappresentanza e l’architettura della contrattazione collettiva. L’accordo quadro del 22 giugno 2009, invece, si è mosso nell’opposta direzione, allontanando la Cgil dalle regole della contrattazione collettiva e non vincolandola agli accordi.

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CAPITOLO SECONDO – LA LIBERTA’ SINDACALE Principio costituzionale della libertà sindacale L’art.39 della nostra carta costituzionale sancisce che l’organizzazione sindacale è libera, contrariamente a ciò che era previsto all’interno del sistema corporativo fascista, il quale prevedeva che gli interessi collettivi fossero tutelati dallo Stato e che la partecipazione dei soggetti interessati non fosse libera. Il diritto di organizzarsi liberamente si manifesta sia sotto un profilo pubblico, inibendo allo Stato di compiere atti lesivi della libertà del lavoratore, sia sotto un profilo privato, evitando che i datori di lavoro possano limitare la libertà sindacale. In merito a quest’ultimo fine, tra l’altro, è stato emanato lo Statuto dei lavoratori, per consolidare il diritto di cui all’art.39 della Costituzione. Libertà di organizzazione sindacale Abbiamo detto che la libertà di organizzazione sindacale è sancita dall’art.39 della Costituzione. La più generale libertà di associazione, invece, è tutelata all’interno dell’art.18 Cost, ma quest’ultima risulta vincolata, e pertanto non illimitata, nel caso in cui persegua fini vietati dalla legge penale. La libertà sindacale è priva, invece, di vincoli di qualsivoglia genere, in quanto la sua stessa previsione costituzionale ne legittima l’esercizio. Inoltre va sottolineata la differenza tra i due termini: organizzazione ed associazione. Se il legislatore ha utilizzato la parola “organizzazione” in merito all’attività sindacale, vuol dire che essa può essere esercitata sia in forma associativa, sia in altre forme (es. consigli di fabbrica). Oggetto del riconoscimento costituzionale è quindi l’organizzazione sindacale, con essa intendendosi non solo l’attività svolta in forma collettiva e coinvolgente una pluralità di soggetti organizzati, ma anche la stessa attività che a ciò conduce (è l’esempio di un soggetto singolo che promuove la costituzione di un’organizzazione sindacale). La normativa comunitaria Nonostante la Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000, riconosca la libertà sindacale come una “semplice” libertà di associazione senza conferirgli il peso specifico che nel nostro ordinamento le viene attribuito dall’art.39 della Costituzione, e nonostante il TFUE, all’art.153, escluda la libertà sindacale dalla competenza comunitaria, sia la previsione di un Comitato economico e sociale con funzioni consultive rispetto alle Istituzioni UE, sia il riconoscimento del ruolo della contrattazione collettiva previsto in molte norme dello stesso TFUE, ci fanno capire come sia inevitabile che il diritto sindacale assume una valenza comunitaria e venga disciplinato anche in ambito UE. Il principio di sussidiarietà, uno dei principi cardini in materia di competenza dell’Unione e degli Stati membri e previ sto dall’art.5 TUE, prevede che l’Unione, nei settori di competenza concorrente, debba intervenire solo qualora ravvisi che un intervento sulla stessa materia dei singoli Stati membri sia insufficiente. Se, come abbiamo detto, il TFUE esclude tale competenza, vuol dire che l’Unione ritiene che il livello qualitativo della disciplina sindacale dei singoli Stati sia sufficiente. Ma gli ordinamenti dei singoli Stati membri hanno validità ed efficacia solo all’interno dei territori degli stessi ed hanno, comunque, un effetto indiretto anche sull’assetto comunitario, dovendo l’Unione rispettare i diritti fondamentali comuni alla tradizione giuridica dei singoli Paesi: in poche parole il principio di sussidiarietà è stata applicato in maniera errata ed il principio di rispetto delle tradizioni giuridiche non è stato rispettato. Il diritto sindacale è riconosciuto, all’interno di tutti gli Stati, come diritto fondamentale, e pertanto un tale peso specifico dovrebbe assumere anche a livello comunitario. La libertà sindacale nelle convenzioni internazionali Anche il diritto internazionale si è spesso occupato della materia del lavoro, in particolare della libertà sindacale e del diritto di sciopero. Rilevanti a riguardo sono le Convenzioni dell’OIL (Organizzazione Internazionale del lavoro, nata nel primo dopoguerra e consolidatasi nel secondo in ambito ONU), in particolare la n.87 e la n.98, a cui l’Italia ha dato attuazione tramite la L.367/1958: la prima d i esse prevede una tutela della libertà sindacale nei confronti dello Stato, sia per ciò che concerne le organizzazioni dei lavoratori, sia per quelle dei datori di lavoro, su cui il potere statale non può esercitare alcuna pressione; la seconda, invece, ha previsto una tutela della libertà sindacale dei lavoratori nei confronti dei datori di lavoro, che non possono porre in essere condotte antisindacali. Altri documenti di valenza internazionale sono stati emanati in materia, sia a livello internazionale, sia europeo (Carta sociale europea) ed hanno riconosciuto, ancora una volta la libertà sindacale, l’importanza della contrattazione collettiva ed il diritto allo sciopero come massima forma di autotutela. Il divieto di atti discriminatori La normativa legislativa interna che più di tutte tutela la libertà sindacale è sicuramente rappresentata dalla L.300/1970, contenente lo Statuto dei lavoratori, il cui titolo II è dedicato, appunto , alla libertà sindacale.

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Lo Statuto, in linee generali, persegue 3 obiettivi: 

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Tutela della libertà e della dignità del lavoratore all’interno dell’impresa: dato il potere di gestione e direzione del datore di lavoro, era necessario tutelare il prestatore di lavoro nel caso di atti lesivi dei valori suddetti (si pensi alla polizia privata nelle fabbriche, alle perquisizioni personali ecc); Vietare i comportamenti dell’imprenditore lesivi della libertà sindacale dei lavoratori sul posto di lavoro; Prevedere una legislazione di sostegno che promuova l’attività sindacale.

Per ognuno dei 3 obiettivi suddetti sono previste norme distinte, che analizzate nel complesso tendono a rafforzare i 3 obiettivi contemporaneamente. Della tutela della libertà e dignità del lavoratore si parlerà in seguito. Analizziamo ora il titolo II dello Statuto, dedicato appunto alla libertà sindacale. L’art.14 tutela il diritto di “costituire e aderire ad associazioni sindacali, nonché di svolgere attività sindacale sul luogo di lavoro”: si ribadisce, in pratica, quanto detto in precedenza in merito all’art.39 della Costituzione, rafforzando l’effettività della norma. L’art.15 dello Statuto riproduce ed integra la Convenzione 98 OIL, prevedendo la nullità di qualsiasi atto discriminatorio, posto in essere dal datore di lavoro, che vincoli l’assunzione del lavoratore alla partecipazione o meno ad associazioni sindacali e prevedendo sanzioni penali per l’imprenditore che ponga in essere un tal comportamento. Sempre l’art.15 prevede la nullità anche di atti discriminatori volti a licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero: in tal caso non sono previste sanzioni penali, ma solo civili e possiamo notare come la dicitura “recargli altrimenti pregiudizio” ricomprenda, negli atti discriminatori, uno svariato numero di comportamenti del datore di lavoro, senza neanche la necessità di tipicizzarli tramite un’elencazione. L’art.16 vieta, poi, i “trattamenti economici discriminatori”, che si configurano nel caso in cui un datore di lavoro, per la mancata partecipazione del lavoratore ad uno sciopero o per la mancata adesione ad un’associazione sindacale o per l’adesione ad un’associazione sindacale specifica affine all’impresa, premi in un certo senso il lavoratore con un compenso in denaro o di altro tipo valutabile in termini economici (es. giorni di ferie). In tal caso il giudice, su domanda dei lavoratori lesi da tali trattamenti a favore di altri ed accertati i fatti, può stabilire che il datore versi al Fondo pensioni INPS una somma pari ai trattamenti economici discriminatori di un anno. Inoltre gli artt.15 e 16 si applicano, in base anche a recenti modifiche legislative, a discriminazioni di tipo sessuale, politico, religioso, di razza o lingua, basate anche su motivi di handicap, di età, di orientamento sessuale o convinzioni personali. Non esiste, tuttavia, un apparato sanzionatorio unico, benché fosse stata disposta una delega al Governo in tal senso dalla L.246/2005. Sindacati di comodo L’art.17 dello Statuto vieta la costituzione dei c.d. sindacati gialli o di comodo, ossia di sindacati costituiti e sostenuti dai datori di lavoro o dalle loro associazioni. Ovviamente i comportamenti che possono far desumere un sostegno di tal genere non sono tipicizzati, ma devono manifestare uno stato di asservimento del sindacato al volere dei datori di lavoro (o loro associazioni). Ovviamente bisogna prestare attenzione al fatto che l’asservimento non si manifesta con la semplice dialettica delle relazione industriali, benché essa possa comportare l’accettazione di rivendicazioni del datore di lavoro. Tra l’altro l’intervento di un giudice sulla questione non comporta lo scioglimento del sindacato giallo, ma semplicemente il divieto per il datore di lavoro di continuare con la propria azione di sostegno, comunque si sia concretizzata. Libertà sindacale negativa All’interno dello Statuto nessuna norma, fatta eccezione per l’art.15 lettera “a”, sembra tutelare il diritto del lavoratore a NON associarsi, cioè a non aderire ad alcun sindacato. Solo l’articolo suddetto precisa che siano vietati, e pertanto nulli, gli atti del datore di lavoro volti a subordinare l’occupazione del lavoratore alla partecipazione o meno ad un sindacato. Tuttavia, sulla base di questa previsione, sembra essere implicito anche negli articoli precedenti e successivi al 15 che il lavoratore non possa essere discriminato per la mancata partecipazione ai sindacati. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, inoltre, ha avuto modo di pronunciarsi riguardo ad un caso dapprima tipico all’interno del Regno Unito, ossia sulla necessaria iscrizione ai sindacati per poter proseguire o instaurare un rapporto di lavoro: la Corte ha previsto che una tale pratica violi la Convenzione sui diritti dell’uomo del 1950.

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L’organizzazione sindacale ...


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