riassunto Diritto Romano Costabile PDF

Title riassunto Diritto Romano Costabile
Author berna gullace
Course Giurisprudenza
Institution Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
Pages 35
File Size 759.2 KB
File Type PDF
Total Downloads 51
Total Views 130

Summary

alle origini della democrazia moderna e la tradizione romanistica nei sistemi di Civil law e di Common Law...


Description

DIRITTO ROMANO ATENE E ROMA Alle origini della democrazia moderna e la tradizione romanistica nei sistemi di Civil law e di Common law _______________

CAPITOLO I

Il problema dell’unità europea Nel 2004, la Convenzione Costituente Europea, costituita da 110 rappresentanti di tutti i Paesi che allora facevano parte dell’Unione, volle trasmettere un messaggio forte sulle cosiddette radici pagane, greco-romane, umanistiche ed illuministiche dell’Europa, affrontando unanime la battaglia politica e diplomatica, che finì col contrapporla alla Chiesa cattolica. In quel biennio 2003-2004, infatti, la Convenzione Costituente resistette alla pretesa della Chiesa Cattolica – appoggiata dall’Italia, dalla Polonia, dall’Irlanda e da Malta – che il cristianesimo fosse inserito nel Preambolo della Costituzione europea tra i valori storicamente fondanti l’identità democratica e fra i valori politici e morali condivisi dai popoli dell’Europa unita. In quel Preambolo erano invece nominati la civiltà greca e romana, l’umanesimo e l’illuminismo, ed esso si apriva emblematicamente con le parole che lo storico greco Tucidide attribuiva a Pericle per definire la democrazia ateniese. I Costituenti europei hanno osato escludere il nome Cristo, noto a tutti per quanto non da tutti condiviso, per aprire la carta costituzionale federale con il nome di uno sconosciuto, quale Pericle è, per la maggioranza dei cittadini dell’Unione Europea. ________________________

CAPITOLO II Dall’ Epitaphios di Pericle alla Concezione pagana della civitas tardo-antica 1. I principi della democrazia degli antichi e il “pensiero debole” dei moderni. Benché la parola democrazia sia di origine greca, il concetto contemporaneo che essa racchiude è profondamente diverso da quello che la connotò nel mondo in cui nacque, fra il VI e il V secolo a. C., come diverso è anche il valore che essa ebbe alla fine del Settecento, quando sarebbe rinata come un’Araba Fenice prima negli Stati Uniti d’America (1776) e poi in Francia (1789). 1

Nel VI secolo a.C., per la prima volta la democrazia si affermò ad Atene, la capitale dell’Attica, attraverso la violenza, intesa come potere ( kratos) del popolo ( demos) contro l’aristocrazia od oligarchia dominante. Più tardi, nel IV secolo a.C., gli aristocratici, ormai esautorati e nostalgici del bel tempo antico del loro perduto predominio, polemizzavano sul fatto che la democrazia attica fosse connotata come violenza, per cui essa applicava i principi di libertà non a tutti, ma solo a chi li riconosceva, escludendo pertanto con la forza gli aristoi. La stessa connotazione violenta segna la nascita di molte democrazie moderne, a partire dalle prime, quella nord-americana, con la Guerra d’Indipendenza contro la Gran Bretagna, e pochi anni dopo la Rivoluzione Francese, che sterminò in un bagno di sangue l’aristocrazia, l’alto clero cattolico e la stessa famiglia reale, che tutti opprimevano e affamavano il popolo e il Terzo Stato in nome di Dio e con la complicità della Chiesa. Tuttavia, nell’Ottocento, dopo la fine dell’impero napoleonico, che aveva diffuso in Europa le nuove idee di sovranità popolare nate in Francia, la Restaurazione conseguente al Congresso di Vienna arrestò per una quarantina d’anni la realizzazione politica dei nuovi ideali borghesi, ma infine non poté arrestare il sorgere dei nuovi Stati liberali dopo i moti del 1847-48. Nel Novecento, la nascita di una democrazia da un processo sommario si è avuta in Italia con la fucilazione di Mussolini, di Clara Petacci e dei gerarchi fascisti, poi esposti a testa in giù a Milano in piazzale Loreto il 28 aprile 1945. La cosiddetta Legge Scelba del 1952 (dal nome del Ministro degli Interni che la propose) prevede il reato di apologia del fascismo e di riorganizzazione del disciolto partito fascista. Si tratta di uno dei casi rarissimi – se non l’unico – in cui il concetto di democrazia forte ha avuto la meglio sul pensiero debole. Casi analoghi sono i divieti di ricostituzione del partito nazionalsocialista in Austria e Germania o il reato di apologia del franchismo in Spagna. 2. La democrazia attica da Solone a Pericle. Il primo legislatore di Atene, Solone, si prefisse, con un codice di leggi ( nòmoi) scritte, di moderare lo strapotere dell’aristocrazia, soprattutto col vietarne i peggiori eccessi, come l’esecuzione personale e la riduzione in schiavitù del debitore insolvente. Le sue leggi censitarie, che distinguevano i cittadini (politai) in base alla ricchezza, favorirono la formazione di un ceto di commercianti e armatori e di proletari, che si arricchì fornendo all’aristocrazia prodotti di lusso importati con i commerci trasmarini. Questo nuovo ceto mercantile appoggiò, nel 560 a.C., il colpo di Stato contro il governo aristocratico, ad opera del tiranno Pisistrato, il quale, grazie ad una politica estera espansionistica, favorì l’esportazione e l’importazione di merci via mare e assunse provvedimenti in favore dei ceti popolari disagiati, cui diede lavoro con un programma di opere pubbliche. Gli succedettero nella tirannide i figli Ippia ed Ipparco, ma quest’ultimo fu ucciso da Aristogitone in una congiura che coinvolse il suo amasio Armodio. Secondo una delle tradizioni giunteci, 2

l’uccisione di Ipparco e la cacciata di Ippia fu determinata da motivi privati e non dall’ispirazione alla libertà. Ma gli Ateniesi, comunque, presero a venerarne la memoria considerandoli Tirannicidi. Fu così che, con la cacciata del superstite figlio di Pisistrato (Ippia) ebbe fine la tirannide dei Pisistratidi. Atene si diede allora istituzioni democratiche ed un governo popolare, dal quale dipendevano le decisioni politiche cruciali: anzitutto l’ekklesìa o assemblea del popolo, costituita da tutti i cittadini ( politai) di sesso maschile maggiorenni, e la boulè o senato degli anziani. Ad esse si affiancavano vari tipi di tribunali popolari per l’amministrazione della giustizia. Atene inaugurò così un sistema di governo fondato su una democrazia diretta, nella quale la maggioranza della popolazione accedeva alle cariche pubbliche: quelle civili erano sorteggiate fra tutti gli aventi diritto, quelle militari – invece – erano elettive e iterabili. 3. L’ideale di liberta (eleutherìa) politica della Grecia e dell’Occidente e l’affermazione dell’identità ellenica in antitesi alla Persia. La prima e la seconda invasione persiana misero a dura prova la democrazia ateniese e la stessa indipendenza di tutte le poleis greche, fossero di regime aristocratico o democratico. Nel secondo decennio del V secolo, infatti, per ben due volte l’immenso impero persiano aveva tentato di assoggettare la piccola Grecia. Nel 490 a.C., Dario, il Re dei Re, nel 480 a.C. il figlio Serse avevano invaso la Grecia con Possenti eserciti per terra e per mare. Ma le maggiori poleis – Sparta ed Atene – accantonarono nell’occasione le rivalità di fronte al comune pericolo ed Atene pagò la decisione di resistere al nemico anche al prezzo di subirne la distruzione. In compenso, inflitta la sconfitta, per scongiurare un'ulter’ore invasione Atene si pose a capo di una Lega navale, che fu detta Lega delio-attica, perché ebbe nell’isola di Delos la sua sede federale. Ma in quella sede sempre più si affermava e infine si impose senza finzioni l’egemonia ateniese, al punto da costituire un impero di Atene fondato sul dominio dei mari. Sparta, tuttavia, non era rimasta a guardare ed aveva approfittato della crescente insofferenza del predominio attico nella lega, da parte delle altre città sempre più sottoposte al volere di Atene. Insofferenza accentuatasi quando il tesoro federale, costituito dai tributi degli alleati, venne spostato dalla comune sede di Delos alla capitale dell’Attica ed usato non solo per potenziarne la flotta, ma anche per ricostruire la città e la sua Acropoli, distrutte dai Persiani. Gli alleati di Atene si videro così ridotti allo stato di sudditi. Sparta era invece da sempre governata da un sistema rigidamente aristocratico ispirato ai principi del collettivismo e dell’egualitarismo oligarchico e ad uno stile di vita frugale. I maschi fin da bambini vivevano in comunità, addestrandosi duramente alla ginnastica e alla guerra. L’economia spartana era arcaica, ignorava l’uso della moneta e si basava sullo sfruttamento agricolo. Se la flotta spartana era di gran lunga inferiore a quella attica, l’esercito lacedemone era ritenuto imbattibile in terra e godeva fama di eroico valore: si diceva che l’oplita spartano tornasse in patria con il suo scudo o sopra il suo scudo, cioè trasportatovi da morto secondo l’usanza militare 3

riservata ai caduti in combattimento. Ad Atene, invece, la democrazia consentiva ora di costituire e mantenere una potente flotta militare e commerciale, che rendeva quella polis superiore sul mare a qualunque altra.

4. La democrazia periclea e la testimonianza di Tucidide. La guerra fra Atene e Sparta, che fu poi detta del Peloponneso, trovò in Tucidide il suo storico: egli, al comando di una flotta ateniese all’inizio delle operazioni, era stato esiliato dai suoi concittadini e per questo, uscito dal conflitto, aveva avuto l’opportunità di interrogare combattenti e politici dell’una e dell’altra parte. Tucidide pose così teoricamente, con la sua opera sulla Guerra del Peloponneso (Historiai=indagini), il principio dell’obiettività e le basi del metodo critico: a lui si deve la prima concezione prammatica della storia, poi seguita da Polibio e più tardi ancora dagli storici romani, dalla quale restavano esclusi quei fatti pittoreschi, quelle leggende e quelle credenze popolari, quegli interventi della divinità che avevano intessuto le narrazioni storiche fino ad allora. Tucidide concentra l’analisi storica sui fatti politici. L’arte medica del suo tempo, che è passata sotto il nome convenzionale di Ippocrate, aveva distinto per la prima volta, l’aitìa (causa) dal syntomon (manifestazione). Tucidide traspose questo criterio all’indagine storica, individuando la differenza fra l’ aitìa recondita dell’agire politico, che è sempre l’interesse ( sympheron) e la sua dichiarazione giustificativa, la pròphasis, finalizzata a nascondere quell’interesse reale, perlopiù ritenuto inconfessabile all’opinione pubblica. Pertanto, come il medico non acquisterà una vera conoscenza della malattia se non saprà individuarne la causa, lasciandosi ingannare dall’apparenza (phainòmenon) del sintomo, la cui cura non guarirà il paziente, così lo storico non perverrà ad una vera comprensione dell’azione politica, se non saprà distinguerne la causa della rappresentazione strumentale che, a scopo perlopiù di giustificazione morale o di propaganda, ne viene normalmente esibita. Parallelamente, il relativismo ed il soggettivismo della Sofistica concorrevano a porre i fondamenti logici e filosofici della differenza tra l’essere e l’apparire. Per Protagora l’uomo costituisce la misura di tutte le cose: per i sofisti non esistono dunque principi etici assoluti né tantomeno metafisici ed i fondamenti morali della polis, il mondo tradizionale dei valori sociali, di una morale convenzionale e della stessa religione, furono posti in discussione dalla potenza sovvertitrice della logica. La convinzione che la Provvidenza ( Prònoia) di divinità benefiche soccorra gli uomini nella loro vita travagliata, fu così relegata fra le favole smentite dalla più banale osservazione della realtà. Tucidide inserì nella narrazione discorsi anche realmente pronunciati, e tuttavia non fedelmente trascritti, ma riprodotti secondo il ricordo, le notizie avutene, ed ogni modo ispirato al criterio di verosimiglianza. ⇒ TUCIDIDE, Epitaphios Logos di Pericle – testo a pag. 20 4

5. L’ellenismo a Roma e il conservatorismo catoniano. La civiltà della polis fu esportata fuori della Grecia dalle conquiste di Alessandro Magno, re ( basileus) di Macedonia, nel breve ma sconvolgente decennio del suo regno. Alessandro capì che i cosiddetti barbari; e anzitutto i Persiani, non erano affatto i popoli incivili che il pregiudizio greco amava rappresentare e che la pretesa di superiorità dei Greci si scontrava con la realtà di un impero, quello persiano da lui conquistato, che aveva saputo raggiungere un’unità politica, amministrativa, monetaria ed economica globale, sconosciuta al particolarismo delle poleis. Ne nacque un concetto di umanità ecumenico, che la Grecia classica non aveva conosciuto, e la civiltà greca, a contatto con le culture orientali, diede luogo ad una nuova cultura, chiamata ellenistica o alessandrina, che permeò di sé anche la Magna Grecia, dove prima gli Italici e poi i Romani stessi entrarono in contatto per la prima volta, già nel IV secolo a.C., con città italiote come Napoli e Taranto. L’influenza ellenistica sulla civiltà romana produsse nella tarda repubblica, nel III-II secolo a.C., la contrapposizione fra il conservatorismo di Catone il Censore, ispirato ai valori della frugalità contadina, non lontana dai costumi spartani, ed il filellenismo del raffinato Circolo degli Scipioni, aperti alla filosofia greca ed allo stile di vita urbano. A tal riguardo, Orazio scriverà nelle sue Epistulae: (trad. La Grecia vinta e fatta prigioniera conquistò il selvaggio vincitore ed introdusse le arti nel Lazio, che conosceva solo la coltivazione della terra). 6. Catone Uticense e l’ideale della libertas nell’ideologia imperiale. Un secolo e mezzo dopo, l’eredità del Censore fu raccolta dal suo discendente, Marco Porcio Catone detto poi l’Uticense che divenne simbolo della libertas repubblicana per avere stoicamente scelto il suicidio ad Utica nel 46 a.C., dopo essere stato sconfitto, piuttosto che accettare la clementia di Cesare dittatore, stimando che per un romano la libertà politica fosse un bene preferibile alla stessa vita. Il gesto di Catone Uticense rappresentò la sublimazione della concezione politica repubblicana della libertas e poneva Cesare di fronte alla necessità di affrontarla con armi adeguate. Rendendosi conto che le idee non possono combattersi soltanto con le armi, il dittatore avvertì l’esigenza di una risposta politica e ideologica al gesto di Catone, che rischiava di screditarne la vittoria. Così, quando Cicerone inviò a Cesare la sua opera Cato Minor, nella quale esaltava la virtus stoica dell’Uticense e la scelta eroica del suicidio, il dittatore gli rispose lodando il valore letterario dell’opera, ma incaricando il suo legato Aulo Irzio di rispondere con una serrata critica a Catone e alla coerenza dei suoi comportamenti. Il suicidio stoico di Catone non rispondeva al concetto filosofico di razionalità dell’epicureismo, filosofia che si estraniava dall’impegno politico e giustificava la rinuncia alla vita solo quando essa fosse divenuta indegna di essere vissuta per motivi più materiali. Perciò il dittatore stesso, seguace dell’epicureismo, scrisse l’Anticato, opera non pervenutaci, in cui 5

sosteneva l’inconciliabilità del suicidio stoico di Catone con quel cultus e quella humanitas (paideia in greco), in cui l’etica epicurea faceva consistere la sapienza, il valore della civiltà e la dolcezza della vita, unica scelta razionale per l’uomo rispetto all’irrazionalità delle barbarie e di una morte non necessaria. Tuttavia il tentativo, sia pur geniale, del dittatore di dipingere come bestiale e irrazionale la scelta catoniana, non ebbe successo. La superiorità morale di Catone fu sancita nei versi di Lucano, esponente del rango senatorio: (trad. La causa che uscì vincitrice fu gradita agli dei, ma la causa che fu vinta lo fu a Catone ). Lucano, che fu costretto al suicidio da Nerone, compì una vera e propria apoteosi di Catone, paragonato agli dei, dalla cui volontà dipende la vittoria in guerra, ma gli dei stessi, che tradirono la libertà dando la vittoria a Cesare, non attinsero alla grandezza morale di Catone. Oltre mille anni dopo, la Commedia di Dante attesterà ancora la straordinaria vitalità dell’ideale di Catone, che nel darsi la morte riscattò la grettezza con cui aveva difeso in vita gli interessi della sua classe. Dante lo elogia anche nel De Monarchia e nel Convito. Va sottolineato che nella Divina Commedia Catone, benché fosse stato pagano e suicida, fu collocato nel Purgatorio e non nell’Inferno. 7. L’ideale catoniano e la respublica restituta. I frugali costumi catoniani furono apprezzati dall’erede di quel Cesare che di Catone era stato antagonista: il giovane Ottaviano. Astutamente Augusto, dopo aver seguito vanamente la strada di Cesare nello scrivere contro Catone, non esitò ad invertire la rotta di 360 gradi e a farsi campione nel difenderne la memoria contro gli stessi adulatori della sua autocrazia. Macrobio, nei Saturnalia, scriveva: (trad. Non deve tralasciarsi la conversazione di Augusto, con cui rese onore a Catone). Augusto sosteneva che, se Catone fosse stato vivo, avrebbe approvato la restitutio reipublicae, la restaurazione della democrazia senatoria repubblicana, di cui Augusto si voleva far considerare auctor. A testimonianza del riconoscimento della grandezza di Catone, a Pompei, città sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., fu ritrovato un ritratto di Catone nell’atrio della casa di Popidius Secundus, un Augustianus, ossia un sacerdote del culto degli imperatori defunti. Anche un secolo dopo, Traiano, in memoria di Catone, fece coniare monete che commemoravano indifferentemente e contemporaneamente Cesare dictator perpetuus, Cicerone, Pompeo e Catone, del quale fu addirittura riprodotto il denario emesso in Africa nel 47-46 a.C. Ma è davvero sintomatico che Popidio Secondo, nell’abbinare la devozione a Catone con quella per i Cesari, sia stato antesignano di quel Titino Capitone, che fu procurator a patrimonio e ab epistulis ed infine praefectus vi gilum. Costui teneva in casa non solo il ritratto di Catone, ma anche quelli dei Cesaricidi Brudo e Cassio, suscitando l’ammirazione di Plinio il Giovane. 6

___________________________

CAPITOLO III

Il misticismo pagano e la sua influenza nella nascita del cristianesimo. Il capovolgimento dei valori morali e politici: autonomia ed eteronomia (Lex Dei e Sharìa) 1. Il misticismo orientale e augusteo e la sua influenza sul cristianesimo paolino. Il principato augusteo è instaurato non solo come un regime che, sotto le mentite spoglie della restitutio reipublicae, garantisce la pace e la democrazia per consensum totius Italiae dopo l’anarchia delle guerre civili, ma anche come Avvento del divino fanciullo, che la divina Provvidenza ha inviato per portare la pace e la salvezza ad un’umanità dolorosa e percorsa dall’attesa dell’intervento di entità superiori. Questo aspetto del misticismo augusteo e imperiale, pur indagato in passato, è oggi sostanzialmente dimenticato nella letteratura scientifica. Nel 48 a.C. Giulio Cesare era stato considerato in Oriente dio per Rivelazione divina e Salvatore di tutto il genere umano nonché Theòs anìketos (dio invitto). La musa di Virgilio nel 40 a.C. lasciava credere che fosse nato un divino fanciullo destinato a portare la pace nel mondo. Quale fosse sul momento l’allusione del poeta nello scrivere la IV Ecloga non è certo: forse si alludeva al figlio di Antonio e Cleopatra Alexandros Helios o al nascituro atteso da Ottaviano e Scribonia, che poi si rivelò essere una femmina, Giulia. Certo è invece che quella indeterminata allusione finì con l’essere riferita poco più tardi a qualcuno, cui Virgilio, sul momento, non aveva in realtà pensato, cioè allo stesso Augusto, e ancor più tardi – dopo l’affermazione del cristianesimo – a Cristo. Il divino fanciullo che stava per venire al mondo sarebbe stato ricolmo di vita celeste ed avrebbe visto la divinità essendone a sua volta visto, ed avrebbe governato dopo aver riportato la pace grazie al valore e alle virtù dei padri. L’attesa messianica, che Virgilio riproponeva nel 40 a.C., era quella 7

stessa che il mondo greco-asiano aveva vissuto otto anni prima per Cesare e che era rimasta delusa con la fine repentina della pace cesariana dopo le Idi di marzo. Ora invece la Pax Augusta appariva veramente universale e duratura: fu perciò celebrata non solo dall’ Ara Pacis Augustae, inaugurata a Roma per la vittoria in Spagna nel 9 a.C., ma anche in Oriente con l’annuncio della Buona Novella. Così, in quello stesso 9 a.C., i Vangeli del nuovo Salvatore del mondo, il Figlio ...


Similar Free PDFs