RIASSUNTO 2° modulo PDF

Title RIASSUNTO 2° modulo
Author Matteo Braglia
Course Sociologia del territorio
Institution Università di Bologna
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Summary

Riassunto del secondo modulo che riguarda lo studio del quartiere Villa Victoria...


Description

VILLA VICTORIA Povertà e capitale sociale in un quartiere di Boston Introduzione (di Marco Castrignanò e Gabriele Manella) Mario Luis Small è professore di sociologia alla University of Chicago. È originario di Panama e nel corso della sua carriera si avvicina alla Scuola Ecologia di Chicago. Cominciò a fare ricerca a Boston studiando i childcare centers e rilevando come questi rivelino spesso punti d'aiuto e di incontro tra famiglie povere con problemi simili, accrescendo quindi il loro capitale sociale. L'attenzione di Small riguardo il capitale sociale si incrocia così con la povertà urbana. Nello studio del rapporto tra povertà e capitale sociale, che costituisce l'oggetto della ricerca di Small, il territorio emerge come una variabile da esplorare ma anche come un imprescindibile chiave analitica. Riguardo questa ricerca è doveroso sottolineare gli elementi di continuità con la scuola ecologica di Chicago ma è fondamentale dar conto dell'originalità del lavoro di Mario Small e dei suoi approcci innovativi che gli hanno permesso di ridefinire il dibattito intorno ai temi di povertà, cultura, agency, organizzazione sociale e partecipazione. Combinando gli approcci ecologici con quelli culturali il lavoro di Small ha acquistato una notevole originalità. Sin da subito Small palesa chiare perplessità riguardo l'approccio standard, secondo il quale si presuppone che nei ghetti americani la povertà, l'assenza di capitale sociale e l'isolamento sociale siano elementi correlati. Secondo Small la relazione tra la povertà e il capitale sociale “non è automatica” ma condizionata da determinati fattori che possono essere sia a livello di quartiere che a livello individuale. Small definisce quindi una nuova prospettiva che non è universalistica né particolaristica, bensì condizionale. L'approccio condizionale non rinuncia alla ricerca di regolarità generalizzabili. ➢ Approccio universalista Si cerca il tipico quartiere povero assumendo che i suoi meccanismi possono essere testati sull'universo dei quartieri poveri ➢ Approccio particolarista Non si cerca un quartiere rappresentativo di tutti gli altri bensì “il quartiere” specifico che è differente da tutti gli altri contesti ➢ Approccio condizionalista Si ricerca un quartiere che “non è né un campione né l'universo ma un caso con condizioni specifiche. Le condizioni rilevate possono essere riscontrate anche in altri casi. La focalizzazione sulle condizioni che possono ripetersi altrove fa sì che gli studi condizionalisti siano per definizione dei resoconti incompleti di un particolare quartiere. Questi studi, piuttosto, cercano di essere il resoconto completo di una certa condizione Un ulteriore elemento che vale la pena sottolineare riguarda l'approccio “storicamente informato” che contraddistingue lo studio su Villa Victoria. Infatti, l'originalità del lavoro etnografico (studio delle interazioni sociali) di Small sta nella ricostruzione del presente alla luce degli elementi del passato. A dare senso a VV era la storia per come veniva vissuta dai suoi abitanti.

L'autore richiama, nell'appendice metodologica, la verstehen weberiana ricordando come in questo tipo di ricerche “testa e cuore” sono entrambe necessarie e inscindibilmente legate. Alla fine della ricerca l'autore renderà noto il nome del quartiere, cosa che non tutti fanno nell'ambito di una ricerca territoriale. Così facendo avvicina la sua ricerca alla realtà. Prefazione (di Mario Luis Small) La prima cosa che mi ha colpito di VV è stato il “paesaggio”. File e file di case in cemento a tre piani, con grandi ingressi, maceteros (vasi con piccoli alberelli), tavoli e panchine ovunque. Nei 20 acri dell'housing complex , solo una torre superava i cinque piani. L'unicità di VV sembra valere anche per le sue relazioni sociali. È abitata quasi esclusivamente da portoricani. La sua costruzione non è il risultato di una decisione politica bensì di una lotta dal basso. VV non è gestita da un'anonima burocrazia ma da un gruppo di abitanti residenti ed ex abitanti che vengon affiancati da uno staff di professionisti dell'amministrazione. VV è un posto di partecipazione e un posto con poca violenza, dove le famiglie rimangono a vivere generazione dopo generazione e dove si svolge perfino un festival annuale dedicato all'arte e alla cultura americana che attira migliaia di persone, il Festival Betances. Per anni gli studiosi hanno concordato sul fatto che la concentrazione di povertà negli housing projects producesse mancanza di fiducia, alienazione, apatia e isolamento sociale. Insomma, la scomparsa di quello che i sociologi chiamano “capitale sociale”. William Wilson – The Truly Disadvantaged (1987) VV era un'occasione eccezionale per aprire la “scatola nera” del Neighborhood effect” e capire come la concentrazione di povertà in una zona influisca sul capitale sociale. Se comprendiamo in che modo gli abitanti mantengano il loro capitale sociale pur essendo in un quartiere povero, forse possiamo prevenire il deterioramento delle relazioni sociali in altri quartieri poveri. Alcuni abitanti, sebbene poveri, sono perfettamente integrati nella middle class mentre altri sono molto isolati. La Villa è una realtà eterogenea. Tuttavia, la vera questione spinosa non è perché la Villa sia così dinamica ed eterogenea, ma perché tante teorie portino ad aspettarsi qualcosa di diverso da ciò. Se l'obiettivo di Small fosse stato quello di dimostrare come la povertà della Villa producesse apatia non vi sarebbe stata difficoltà alcuna, in quanto egli conobbe molti abitanti senza alcun interesse a partecipare alla “comunità”. Quando però si tratta di spiegare perché diversi di loro NON siano apatici nonostante tutto, allora emerge che le teorie esistenti si basano su assunti poco chiari e forse infondati. Il risultato è un libro diverso dalle altre ricerche etnografiche sugli housing complex o sui quartieri poveri.

Capitolo 1 Si analizza la letteratura sulla povertà nel quartiere, alcune teorie generali, la questione della cultura e dell'agency (capacità di agire autonomamente esercitando la propria volontà e il proprio desiderio). Capitolo 2 Si riassume come l'housing complex sia sorto negli anni '70 nel South End di Boston. VV originariamente si chiamava Parcela 19 e venne designata come area soggetta a un piano di rinnovamento urbano. I portoricani della Parcela 19 riuscirono a organizzarsi evitando questa soluzione. Capitolo 3 Si analizza il livello di partecipazione del quartiere, con il suo apice a metà degli anni '80 e successivamente un declino inaspettato. Il livello di istruzione è cresciuto molto, così come la stabilità residenziale, mentre il livello di povertà è rimasto simile. Quindi, come mai la partecipazione a VV è calata? Capitolo 4 Si introducono due importanti questioni, il ruolo delle coorti e dello dell'immagine (frame) culturale. Small sostiene che i cambiamenti strutturali in un quartiere non producano necessariamente cambiamenti nella partecipazione. Più che altro, quest'ultima è il risultato di cambiamenti a livello di coorte. Per capire il perché le coorti mostrino livelli diversi di partecipazione, bisogna prendere in considerazione la loro concezione di quartiere: vi è chi considera VV un ghetto e chi la considera un luogo bellissimo. La percezione del quartiere produce così effetti differenti sulla partecipazione. Nei capitoli 3 e 4 Small introduce un tema che emerge raramente negli studi di comunità. Perfino nei periodi di forte partecipazione come gli anni '80, solo una piccola parte degli abitanti della Villa erano attivisti. Gli economisti chiamano questo il fenomeno 80/20. Capitolo 5 La Villa è piuttosto isolata dal resto del South End di Boston. Pur avendo attorno migliaia di persone della middle class, gli abitanti di Villa Victoria non hanno quasi alcun contatto con loro, il problema è capire perché. Capitolo 6 Si guarda alla relazione tra capitale sociale e presenza di risorse istituzionali e attività nel quartiere. Molti studiosi sono arrivati a pensare ai quartieri poveri come luoghi che, per definizione, sono privi di risorse istituzionali. Eppure, è chiaro che Villa Victoria sia un quartiere ricco di tali risorse. Capitolo 7 Si analizzano i legami sociali a livello individuale. Mentre alcuni abitanti della Villa sembrano isolati, altri sono in stretti rapporti con la middle class. Si guarda alla storia di vita di cinque abitanti e si mette in evidenza l'importanza dello status generazionale, dello status occupazione e dell'attaccamento al quartiere come variabili chiave per la possibilità di sviluppare legami fuori dal quartiere stesso Vi è quindi un conflitto tra legami locali e legami esterni che viene chiamato “labirinto di fedeltà” ( loyalties) Capitolo 8 Si conclude l'opera sistematizzando l'approccio che è stato seguito per aprire la scatola nera dell'effetto di quartiere. In particolare ci si sofferma sull'utilità della prospettiva “condizionale”.

CAPITOLO 1. In che modo la povertà influisce sul capitale sociale? 1.1. Gli effetti della povertà di quartiere William Wilson, così come Robert Sampson ipotizzano che vivere in un quartiere povero influisca negativamente sulle speranze di vita di una persona. Molti esperi sono sempre più convinti dell'importanza del neighborhood effect. Quindi questa ricerca si concentra su due questioni specifiche: ➢ La povertà interviene davvero sulle opportunità di vita? ➢ Come agisce l'effetto di quartiere sulle opportunità di vita? → Difficile rispondere È difficile capire se un certo fenomeno sociale sia effetto del livello di povertà del quartiere o magari di altri aspetti, come l'etnia o la variabili culturali degli abitanti. Per gran parte dei sociologi, demografi ed economisti che lavorano in questo campo, la ricerca etnografica dovrebbe utilizzare un caso specifico per scoprire com'è la vita quotidiana in un ghetto tipo. I risultati che emergono potrebbero poi essere testati su un campione più ampio. 1.2. Principali teorie di riferimento Molte questioni toccate da questo libro rimandano alle teorie sulla disorganizzazione e isolamento sociale, che fanno parte dell'illustre tradizione della Scuola di Chicago. •

Teoria della disorganizzazione sociale Sostiene che la povertà produca comunità socialmente poco organizzate. Si riteneva che i quartieri socialmente disorganizzati fossero luoghi dove vi erano maggiori probabilità di origine di movimenti criminali. Questa disorganizzazione sarebbe causata da elevata eterogeneità etnica, instabilità residenziale e alta povertà. La povertà quindi implicherebbe una riduzione del controllo sociale e della partecipazione. Questa teoria ha ricevuto numerose critiche in quanto molti sostengono che i quartieri poveri non siano disorganizzati, ma piuttosto caratterizzati da forme alternative di organizzazione (gli studi di Whyte e Gans sono tutti lavori importanti che mettono in discussione la tesi della disorganizzazione.



Teoria dell'isolamento sociale Sostiene che la povertà allontani le persone dal resto della società e dalla middle class. La base di questa teoria è lo studio di Wilson (1987) sulla trasformazione dei quartieri afroamericani. Nel passato questi quartieri erano segregati dal punto di vista razziale ma integrati sul piano delle classi sociali (neri poveri ♥ neri middle class). Dopo mutamenti economici e le vittorie del Civil Rights, la middle class abbandonò i centri della città, isolando i più poveri. Diversi studi hanno rilevato che vivere in un quartiere povero riduca la probabilità di avere amicizie e conoscenze nella middle class.

Capire i meccanismi dell'organizzazione e isolamento sociale richiede una grande attenzione ai fattori della cultura e dell'agency

1.3. Povertà del quartiere e cultura Fino a tempi recenti, i sociologi strutturalisti erano riluttanti a prendere in esame gli effetti della cultura. Gli studiosi sono spesso sottratti allo studio della cultura, per timore di essere accusati di incolpare le vittime stesse per i problemi che vivono. A prescindere da ciò, molti sociologi che si occupavano di disorganizzazione sociale sembravano convinti che la cultura avesse un limitato potere esplicativo. Tuttavia questa prospettiva è cambiata e lo studio della cultura nell'ambito della povertà urbana ha raggiunto il suo apice alla fine degli anni '60. Sembra sempre più chiaro che chi si occupa di città (o in questo caso quartiere) dovrà riconsiderare la cultura in maniera molto seria, tenendo in considerazione due aspetti molto importanti: ➢ Definizione di cultura ✗

Norme e valori di un gruppo (che orientano le azioni)



Visione del mondo di un gruppo (spiegare la visione del mondo di una comunità fornisce un aspetto generale di essa)

➢ Relazione tra struttura e cultura Gran parte degli strutturalisti ritengono che le condizioni strutturali di un luogo siano la causa ultima di qualsiasi modello culturale. Un esempio importante è la “teoria della controcultura” (quando una minoranza sviluppa attitudini culturali che si oppongono a quelle dominanti). Lo studio di VV intende la relazione tra struttura e cultura in modo diverso e alternativo rispetto alla concezione strutturalista. Quindi una determinata cultura potrebbe derivare da condizioni strutturali. 1.4. Povertà e agency Agency = capacità di agire autonomamente, esercitando la propria volontà e il proprio desiderio. La questione dell'agency assume un'importanza particolare nei quartieri poveri. Essa rimanda a due dilemmi: •

Relazione tra “condizioni strutturali e impatto sulla povertà” con il fatto che le traiettorie di vita dei poveri che vivono in condizioni simili hanno esiti diversi Small dice che non si può continuare a ignorare che molti abitanti dei quartieri poveri fanno tutto il contrario di ciò che ci si aspetterebbe. Egli focalizza l'attenzione sulle risposte inaspettate di fronte a determinate condizioni strutturali.



Peso delle reti/scelte individuali Cosa differenzia una persona che partecipa attivamente alla vita di quartiere con chi non vi partecipa affatto? È utile pensare alla scelta in termini di motivazioni e chiedersi che cosa influisca su di esse. La Narrative Theory suggerisce che gli individui intendano la propria vita in termini di narrazioni, e che agiscano non tanto in modo razionale quanto in accordo con queste narrazioni.

1.5. L'approccio utilizzato da Small Prestando attenzione al ruolo della cultura e dell'agency, il modo migliore per comprendere come la povertà influisca sul capitale sociale e sulle opportunità di vita in generale è quello di adottare un approccio condizionale. La chiave di tale approccio è usare la variazione e non la comunanza come base di analisi. Nell'approccio standard si va alla ricerca di un quartiere più o meno rappresentativo di ciò che si vuole dimostrare. Small non intende confutare questo approccio standard, ma mostrare che da solo esso non basta a svelta molti meccanismi di quartiere importanti. Quindi, seguendo l'approccio condizionale, come punto di partenza NON sosteniamo che la povertà sia associata a un basso capitale sociale, ma piuttosto che i due fenomeni a volte sono associati e a volte no. A livello individuale, Small ipotizza che in ogni quartiere alcune persone abbiano un basso capitale sociale e altre il contrario. A livello di quartiere, Small ipotizza che due aree ugualmente povere avranno prevedibilmente livelli diversi di capitale sociale CAPITOLO 2. Villa Victoria e il South End di Boston 2.1. Tremont Street Ogni osservatore che passeggia per il South End lo guarderebbe con “lenti” diverse (frame). A VV colpiscono i passaggi pedonali in mattoni rossi, le brownhouses, le townhouses, i boricuas e i b-boys. Tremont Street è la strada più grande e trafficata che attraversa tutto il quartiere. Una qualsiasi persone lo potrebbe ritenere “il miglio più integrato d'America”. Addentrandosi nel South End, si trovano lunghe file di townhouses e brownhouses costruite nel XIX secolo. Alcuni degli edifici superavano i 5 piani sebbene fosse raro. Il South End è un luogo eterogeneo perché vi si possono trovare persone di tutti i tipi: giovani professionisti bianchi, anziani e adolescenti afro-americani, latinos, coppie gay, donne cinesi. Non è raro vedere, nei pomeriggi dei week-end estivi, tutto lo spettro dei gruppi etnici e culturali americani. Il South End ha la reputazione di un luogo aperto, dove la segregazione residenziale non appare. Chi studiasse le relazioni sociali dei portoricani a basso reddito in questa comunità non troverebbe abitanti “socialmente isolati”, bensì un gruppo di persone insolitamente “esposto”. Questi latinos poveri mostrerebbero una fitta rete di relazioni che trascende la classe, la razza e anche l'orientamento sessuale. La relazione trentennale tra South End e Villa Victoria è stata più conflittuale che pacifica. Per capire VV dobbiamo quindi sapere qualcosa della sua ricca storia.

2.2. La nascita del South End Fino a metà dell'800, molto dell'attuale South End era una vasta palude di acqua salata. Geograficamente staccata e limitata, Boston non aveva bisogno di ulteriore spazio per prosperare. XVII secolo → Prevalenza WASP ( White Anglo-Saxon Protestant) XIX secolo → Rapidi mutamenti economici e demografici (ondate di irlandesi e poi di italiani) La popolazione cresceva e così si cominciò con una grande bonifica delle paludi, rendendo disponibili appezzamenti di terreno per la costruzione di complessi per la middle class. Il nuovo South End e le sue eleganti case a schiera corrispondevano a un luogo di forte attrattiva per i ricchi americani che volevano andarsene dall'affollatissima città. Il successo fu effimero: il prezzo della terra venne inizialmente fissato a valori altissimi (in modo da assicurare una popolazione altolocata) e ciò lasciò numerosi acri di terra inutilizzati. L'amministrazione locale decise così di destinare l'area anche alla working class attraverso una deflazione dei prezzi. Il risultato fu un completo deterioramento del prestigioso South End. Il valore immobiliare crollò anche per altre ragioni: ➢ Panico finanziario del 1873 ➢ Sviluppo di Back Bay (quartiere a nord del South End) Back Bay divenne il nuovo quartiere per ricchi e il South End venne presto abbandonato. 2.3. Un paradiso per gli immigrati Dal 1900, una nuova generazione si insediò nel South end: immigrati, lavoratori poveri, single che lavoravano nelle fabbriche o nella ferrovia. Le townhouses vennero divise, trasformate in piccoli appartamenti in affitto o camere ammobiliate. Il costo delle case nel South End divenne il più basso di tutta la città e la popolazione dell'area si moltiplicò. Intorno al 1900 v'erano 37.000 persone che vivevano in case in affitto nelle strade tra Tremont Street e Washington Street. Con la popolazione, cresceva anche il numero di ristoranti, lavanderie, sartorie, drogherie e centinaia di altre attività. Il XX secolo è per il South End un periodo in cui arrivano numerosissimi migranti dall'Europa e dal medio oriente. Successivamente i portoricani (1950). La composizione etnico-ecologica del quartiere ricordava gli elementi di segmentazione ordinata (ridotti al minimo i contatti tra i diversi gruppi etnici). Sebbene non vi fosse molti contatti i diversi gruppi etnici erano integrati e convivevano pacificamente.

– I primi migranti dalle campagne portoricane, che arrivarono negli anni '50, si insediarono intorno a West Newton Street. Essi venivano assunti da aziende agricole del New England. Dagli anni '50 in poi centinaia di loro si spostarono in appartamenti del South End. Una volta arrivati a Boston da Porto Rico essi trovavano lavoro in fretta (spesso temporaneo e in nero) oppure mettevano in piedi piccole attività. Il South End acquistò la fama di un luogo dove si poteva trovare alloggio a buon mercato e nel centro di una delle città industriali più attive degli Stati Uniti. Ernesto, alla fine degli anni '50, spendeva 60 dollari al mese per affittare un appartamento con tre camere. Nella comunità portoricana vigeva inoltre un basso livello di istruzione: su 261 famiglie, solo l'11% degli uomini e delle donne aveva più di dieci anni di studi. Inoltre erano tutti molto poveri, una bassa percentuale di persone lavorava e il lavoro era tutt'altro che stabile, bensì ...


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