Riassunto Anatomia della malinconia - Robert Burton PDF

Title Riassunto Anatomia della malinconia - Robert Burton
Author Maria Chiara Turra
Course Storia della Filosofia
Institution Università di Bologna
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Summary

Riassunto completo con commento dell'opera di Burton "Anatomia della malinconia"...


Description

Anatomia della malinconia – Burton Democrito parla (L’utopia malinconia di Robert Burton) La maschera del malinconico Lo pseudonimo che usa Burton nell’opera è quello di Democritus junior, e quanto al libro deve il suo titolo all’attività del suo antenato eponimo: è un’anatomia, quindi un’apertura, dissezione, che mette a nudo nelle loro forme multiple tutti gli aspetti del male di cui soffrono varie figure che Burton espone. L’opera si annuncia come l’inventario e la confessione di una serie di dipendenze: dipendenza dell’autore nei confronti del suo antico predecessore, dipendenza del vecchio Democrito nei confronti dell’astro di Saturno al quale deve il suo genio e nel contempo la sua malinconia; ma nello stesso tempo si annuncia la possibilità di una liberazione: conoscere le cause della malinconia, consegnarle in un libro, significa aprire la strada all’atto terapeutico. L’autore quando vuole parlare in maniera più sorprendente parla con la voce degli altri: racconta se stesso attraverso i testi dei maestri, che manovra a suo uso personale. C’è qui, da un lato, l’attestazione di un sapere e, dall’altro, un’ammissione di insufficienza: cedere costantemente la parola a coloro che vengono considerati le massime autorità potrebbe essere la conseguenza del sentimento d’inferiorità, cioè di spersonalizzazione, di cui soffre la coscienza malinconica, alla quale sono necessari dei sostegni, degli appoggi esterni, dei garanti: essa si imbottisce di sostanze estranee per colmare il proprio vuoto. L’annullamento (al tempo stesso ridente e malinconico) dell’autore gli consente ogni libertà: la libertà di dire tutto e di negare tutto. Democrito è uno dei nomi che possono essere assegnati alla voce satirica, quando questa porta in sé al tempo stesso il riso e la scienza. Il progetto è quello di parlare della follia e delle sua cause in un grande libro. Il libro sulla follia del vecchio Democrito è andato perduto e il libro di Burton, senza pretendere di eguagliarlo, sogna di rimpiazzarlo: lo pseudonimo comporta per Burton l’obbligo di riscrivere l’opera scomparsa; il nome di Democrito per Burton si associa strettamente all’attività monografica, che tratta della follia, e che concerne l’intera condizione umana. Burton non pretende di restituire il libro perduto, ma lo riscrive a fronte di un nuovo presente, su nuove prove, in un altro linguaggio, e citando mille testimoni venuti dopo Democrito, ma si tratta sempre della stessa follia: il mondo non è diventato meno malinconico. Parlerà dunque di se stesso parlando della follia del mondo. Dopo l’introduzione in cui l’autore attira la benevolenza del lettore scusandosi per lo pseudonimo, lo stile, la negligenza, l’intrusione (perché non è medico ma ecclesiastico) in un dominio che non è il suo, il tema conduttore del testo è l’accusa della follia generale del mondo. Messa ampiamente in evidenza, la malinconia universale si lascia suddividere: si può parlare della malinconia degli Stati, delle famiglie, degli individui: ogni corpo, individuale o collettivo, può essere soggetto alla malattia, ed ogni corpo deve essere l’oggetto di un’appropriata terapia. Democrito e gli Abderitani Burton aggiunge un elemento di più alla filosofia del riso di cui Democrito è l’emblema, e l’elemento supplementare consiste nel ricordare che il riso e la solitudine contemplativa di Democrito sono stati il pretesto di una imputazione di follia da parte dei suoi concittadini: colui che rideva della follia del mondo è passato, agli occhi del volgo, per un malato; questo dato implica Democrito in un racconto che fa di lui l’eroe di un dramma intellettuale, che non costituisce più soltanto l’oggetto di un ritratto ma di una narrazione. Gli attori del ‘romanzo di Ippocrate’ sono gli Abderitani, Ippocrate, Democrito: in altri termini la società, il medico, il filosofo. Il ‘romanzo di Ippocrate’ comincia con una lettera in cui il senato e il popolo di Abdera supplicano Ippocrate di accorrere in quanto essi sono gravemente preoccupati perché Democrito, l’uomo più eminente della loro città, è diventato folle a causa della grande saggezza che lo possiede: gli Abderitani contavano su di lui e temono ormai che la loro città sia destinata all’abbandono, ripongono tutte le loro speranze nell’aiuto del medico. Successivamente, dal colloquio fra Ippocrate e Democrito, risulta che i cittadini di Abdera condividono il male fittizio del loro eminente concittadino: essi sono le vittime di una identificazione immaginaria, cosicché anch’essi sembrano aver bisogno di un trattamento. Gli Abderitani rivelano un disordine mentale che bisogna curare con urgenza e su questo punto l’opinione di Democrito e quella di Ippocrate concordano sul fatto che gli Abderitani sono nel delirio e che ciò che essi vedono e credono deve essere preso al contrario: vedono in Democrito un folle che si disinteressa degli affari della città. Ma di fatto Democrito è l’unico lungimirante, infatti egli ha rotto con le illusione e la verità gli è accessibile. A questo

punto per Democrito la derisione non è sufficiente, ma bisogna che si prolunghi attraverso la punizione; detestare gli uomini significherà allora trovarsi in accordo con la legge cosmica. Un riso anti-popolare Ciò a cui Democrito si rivolge non sono solamente gli abusi della civilizzazione, ma gli stessi usi e le regole della vita sociale: tutto ciò che l’uomo intraprende per assicurare la propria prosperità terrestre è frivolo e vano e quindi il riso solitario di Democrito è un riso offensivo e distruttore. Il riso di Democrito è anticomunicativo: se esso inquieta gli Abderitani è perché contrassegna il distacco e l’assenza; è segno di rottura della solidarietà, d’indifferenza beffarda nei riguardi del gruppo. Democrito ha optato per l’esistenza singolare, la vita politica, e soprattutto la democrazia, sono da lui tenute in scarsa stima. Burton non solo ripete gli argomenti sarcastici di Democrito, ma fa di lui il portavoce della sua stessa critica contro gli scandali del mondo contemporaneo: diatribe religiose, guerre, eccessi, arricchimenti scandalosi, abusi e ingiustizie di ogni tipo. L’antico Democrito è il testimone immaginato da Democrito junior per prendere atto della follia e della perversione universale: la maschera del filosofo antico gli permette di smascherare le turpitudini del mondo contemporaneo. È un riso sulle rovine dell’ordine naturale, sul rovesciamento dei valori, sulle false prosperità e le troppo reali sventure che accumulano sulla propria testa i fautori del male; paradossalmente, Burton fa di Democrito l’accusatore del tradimento, da parte dei cristiani, dell’ideale del cristianesimo. L’utopia Nella Lettera a Damageto nulla viene proposto per rimettere a posto il mondo e guarirlo, il male è infatti considerato irrimediabili e il riso attesta che la sola risorsa consiste nel prenderne atto e accettarlo; Burton di contro non si limita all’atto d’accusa ma chiede a questo mondo capovolto di essere rimesso a posto e qui comincia a prendere corpo la tentazione utopica. Il legame tra malinconia e utopia offre un aspetto relativo all’oggetto (lo Stato) e un aspetto che implica la personalità dell’utopista. Da una parte, il disordine, la violenza, l’usurpazione generale del potere o della ricchezza, le diatribe e processi che affliggono gli stati (e soprattutto l’Inghilterra) sono paragonati ad un disordine malinconico che turba il temperamento del corpo sociale. D’altra parte, Burton non ci permette di ignorare che la stessa percezione del disordine universale risulta da uno sguardo malinconico. L’utopia non sarà solamente un progetto destinato a cambiare la faccia del mondo, essa costituisce un’impresa auto-terapeutica. L’immaginazione utopica sceglie di rimettere in ordine il mondo che, provocando l’indignazione e il riso satirico, si era svelato ai nostri occhi come il regno del disordine. Gli abitanti attivi del paese utopico non avranno il tempo libero per divenire malinconici: quando smettono di lavorare conoscono solo, in momenti determinati, dei festeggiamenti. L’ordine utopico ristabilisce la signoria della ragione sugli elementi che la follia generale lasciava all’abbandono; ma questa signoria esige l’onnipresente vigilanza di una supervisione e la minaccia della pena capitale per chiunque infranga la legge del lavoro e lasci prevalere il dispendio fastoso sull’accumulazione laboriosa. L’utopia di Burton sembra proporsi lo scopo di eliminare la violenza attuale che procede di pari passo con il disordine, trasformandola, per mezzo della legge, in una violenza potenziale di cui lo stato ha il monopolio. L’utopia burtoniana si presenta come un fantasia poetica, non un progetto politico. L’utopia di Burton è una maniera di sviluppare pienamente le risorse della maschera democritea.

Anatomia della malinconia Democrito junior al lettore Burton afferma che la sua opera riguardi l’uomo e l’umanità, e che l’argomento del suo discorso sia tutto ciò che gli uomini fanno. Ciò che dice di se stesso è che ha vissuto una vita silenziosa, sedentaria, solitaria, appartata per sé e per i suoi studi all’università, per imparare la sapienza completamente immerso per la maggior parte del tempo nei suoi studi. E sebbene sia per professione un ecclesiastico, egli nutriva un grande desiderio di avere un’infarinatura di tutto. Saturno fu il pianeta dominante del suo oroscopo e Marte quello che ha maggiormente influenzato la sia indole in perfetta congiunzione col suo ascendente. Burton si dice un semplice spettatore delle avventurose vicende degli uomini, ed in mezzo agli splendori e alle miserie del mondo egli continua la sua strada in completo isolamento: le irruenze eccessive degli uomini sono state spesso oggetto del suo riso e del suo malumore. Il motivo per cui Burton si nasconde sotto il nome di Democrito è quello di godere un po’ d’indipendenza e libertà di parola sotto sembianze sconosciute; oppure la ragione deve unicamente ricercarsi nel fatto che

l’argomento del suo libro era la malinconia e la follia: Democrito voleva scoprire la sede di questa malinconia, da dove venga e come si produca nel corpo umano, con lo scopo di poterla meglio curare in se stesso e con le sue opere e osservazioni insegnare agli altri a prevenirla ed evitarla. Democritus junior ha perciò l’audacia di imitarlo e di riesumare, continuare e finire il suo trattato, quasi come un sostituto di Democrito, poiché egli lo aveva lasciato incompiuto e ora è andato perso. Burton scrive sulla malinconia, adoperandosi per evitarla: non c’è causa maggiore di malinconia dell’ozio e nessun rimedio migliore dell’attività. Egli può dire qualcosa sull’argomento per esperienza. Afferma inoltre che nell’opera non si trovano novità rispetto a ciò che eccellenti dottori hanno scritto e pubblicato sull’argomento: ciò che si trova in quest’opera egli l’ha rubato ad altri; infatti Burton ha raccolto tale opera da vari scrittori e con ciò non ha fatto torto a nessun autore ma ha dato a ciascuno il suo: ha preso, non rubato. Il contenuto di quest’opera è di altri per la maggior parte e tuttavia è di Democritus junior: egli ha sistemato ciò che ha preso, solo il metodo è veramente suo. Afferma che probabilmente ha la capacità di aggiungere, cambiare e vedere più lontano dei suoi predecessori. La prima, la seconda e la terza edizione di questa antologia è andata inaspettatamente a ruba, letta avidamente, più per farvi delle critiche che apprezzamento, ma questa fu del resto anche la sorte di Democrito. Confessa, l’autore, che l’opera non è né come avrebbe voluto e né come avrebbe dovuto essere, e ciò che per lui è più grave è che non riconosce neppure molte delle cose che ha scritto dato il fatto che fosse più giovane e sciocco. L’obiezione maggiore che gli è stata mossa è che essendo un ecclesiastico si fosse occupato di medicina. Per giustificarsi Burton afferma che a quel tempo fosse sospinto sullo scoglio della malinconia e trascinato dai suoi studi ne ha scritto poiché si tratta di un argomento molto importante e ampio. La malinconia è una malattia dell’anima e perciò è di pertinenza tanto di un sacerdote quanto di un medico: un bravo sacerdote è, o dovrebbe essere, un bravo medico, un medico spirituale. Poiché si tratta di una malattia alquanto diffusa, che colpisce sia il corpo che l’anima, tale perciò da richiedere cura sia spirituali che fisiche, Burton non avrebbe potuto trovare un’impresa più adatta a cui dedicarsi, che interessa ogni sorta di uomini e richiede un medico completo. Un ecclesiastico e un medico insieme possono curare la malinconia in modo completo. La completezza dell’argomento dello scritto di Burton è la malinconia, la follia e i motivi seguenti che erano per lui fondamentali , ovvero la diffusione della malattia, la necessità della cura e l’utilità comune che deriverà a tutti gli uomini dalla sua conoscenza. La validità e la necessità di ciò che scrive Burton si evince per lui grazie una rapida indagine del mondo, nel quale si può facilmente vedere che l’intero mondo è matto, malinconico, istupidito: i regni e le province sono malinconiche, le città e le famiglie, tutti gli esseri vegetali, animali e razionali, di tutte le specie, età, condizioni; e tutti hanno bisogno della medicina. Stoltezza, malinconia, follia sono un’unica malattia, e delirio è la parola che le accomuna. Il comportamento umano è malato e se così non è, comunque lo diventa. Qualunque significato si dia alla malinconia, come indole o comportamento, come piacere o dolore, e in ogni modo la si definisca, malcontento, timore, dolore, follia, è sempre la stessa cosa. Tutte le azioni umane sono cosparse della nostra follia, tutta quanta la nostra vita non è che oggetto di riso: noi non siamo ragionevoli e saggi; e il mondo stesso, che dovrebbe essere saggio almeno a causa della sua antichità, è ogni giorno sempre più folle. La vita è dominata dal caso, non dalla saggezza. La follia, la malinconia, è una malattia congenita in ognuno di noi poiché noi stessi ci dedichiamo ad essa, e non è possibile nemmeno sradicarla facilmente tanto è salda e perché profonde sono le radici della follia. Alcuni sostengono che due sono i principali difetti del senno: l’errore e l’ignoranza, ai quali si riconducono tutti gli altri; per ignoranza non conosciamo ciò che è necessario, per errore conosciamo in modo errato: l’ignoranza è mancanza di qualche cosa, l’errore l’affermazione di una falsità. Il filosofo Eraclito, dopo una serie di riflessioni sulla vita degli uomini, si sentì le lacrime agli occhi e con un pianto ininterrotto lamentò la loro miseria, pazzia e stoltezza. Democrito, al contrario, scoppiò a ridere: tutta la vita degli uomini gli pareva tanto ridicola e si lasciò trasportare tanto dall’ironia che i cittadini di Abdera lo presero per matto e perciò mandarono ambasciatori al medico Ippocrate affinchè desse prova della sua abilità su di lui. La storia viene ampiamente raccontata da Ippocrate nella sua Epistola a Damageto. Ippocrate chiese a Democrito perché rideva ed egli gli rispose che il suo riso era dovuto dalle vanità e frivolezze del suo tempo, nel vedere uomini così lontani da ogni azione virtuosa andare in cerca dell’oro e non porre nessun limite alla propria ambizione: questi comportamenti rivelavano la loro intollerabile follia. Se gli uomini controllassero le proprie azioni con misura e prudenza non si dichiarerebbero stolti come fanno ora ed egli non avrebbe motivo di riso, ma essi per la loro scarsa intelligenza sono gonfi d’orgoglio in questa vita come se fossero immortali e semidei. Il problema è che gli uomini non conoscono se stessi: un uomo, fin dal momento della sua nascita, è miserabile, debole e malaticcio. E vedendo che gli uomini sono tanto

volubili, stupidi, sregolati perché Democrito non dovrebbe ridere di coloro ai quali la follia sembra saggezza? Democrito la pensava in questo modo ai suoi tempi e questo era il buon motivo del suo riso. Burton afferma che ora Democrito avrebbe un motivo ancora migliore per ridere in quanto la vita odierna è molto più ridicola della sua o di quella dei suoi predecessori: un solo Democrito non basterebbe per ridere di questi tempi, ora si avrebbe bisogno di un Democrito per ridere di Democrito. Infatti ora il mondo intero recita la parte dello stolto. Il mondo cambia ogni giorno, cambiano le lingue, le abitudini, leggi, costumi, comportamenti, ma non cambiano i vizi, le malattie, i sintomi della follia e della stoltezza, questi sono sempre gli stessi. Burton constata che al suo tempo nessuno si cura dei danni che provoca pur di potersi arricchire e continuerà ad alimentare guerre e massacri, finchè tutto il mondo sarà consumato da esse. Per il vantaggio di singoli uomini le leggi divine e umane sono calpestate, è solo la spada che decide ogni cosa. ciò che è iniziato nella follia, è continuato nel crimine e finisce in sofferenza. Burton afferma che i peggiori criminali, assassini, sconsiderati, crudeli sono chiamati comunemente animi coraggiosi e generosi, capitani eroici e degni, soldati valorosi: uomini di armi prodi e famosi sono in verità posseduti da un’insensata convinzione di falso onore. Il vizio, quando ha successo, viene chiamato virtù. Gli uomini generalmente si derubano l’un l’altro, o ingannano o sono ingannati: l’unico sistema è sbranare gli altri o essere fatti a pezzi, la rovina di uno serve da trampolino per un altro. Così ci si comporta generalmente. E il mondo è un grande caos, un teatro dell’ipocrisia, una guerra dove si deve combattere che lo si voglia o no, e vincere o essere sconfitto; dove ognuno sta per proprio conto, per i suoi scopi privati. Tutti quanti sono ipocriti e ambigui. Ciò che si deve maggiormente lamentare è che gli uomini sono matti e non lo ammetteranno, né cercheranno alcuna cura perché pochi vedono le proprie malattie e tutti sono ad esse attaccati. E quando tutti sono pazzi, dove tutti sono afflitti, chi può distinguere un pazzo? Quella degli uomini, afferma Burton, è un’amabile pazzia, così piacevole che l’uomo non può liberarsene: egli riconosce il suo errore ma non cercherà di allontanarsene. Burton è d’accordo con Democrito e sostiene l’opinione che gli uomini siano degni di essere derisi. Burton espone le ragioni per cui considera ch gli uomini siano tutti matti. La prima argomentazione è che gli uomini si ingannino a grande misura perché pensano troppo bene di sé: noi abbiamo una grande opinione di noi stessi ed è questa una prova sicura di grande follia. La seconda argomentazione di Burton è che gli uomini sono stolti per le loro trasgressioni, e tutti i trasgressori devono essere stolti: se nessuno è onesto, nessuno saggio, allora tutti sono stolti. Una terza argomentazione può essere derivata dalla precedente, in quanto tutti gli uomini sono trascinati da passioni e turbamenti, generalmente odiano quelle virtù che dovrebbero amare e amano i vizi che dovrebbero odiano: quindi più che malinconici essi sono completamente pazzi. Burton ammette che esiste una follia che sia possibile accettare, una santa pazzia, e la definisce una passione inerente alla natura stessa di Dio ma intrinseca agli uomini buoni. Come nei corpi umani ci sono varie alterazioni determinate dai diversi umori, nello stesso modo ci sono molte malattie nella collettività che si comportano in modo diverso a seconda dei vari disordini. Se si vede un popolo civile, obbediente a Dio e ai principi, giudizioso, pacifico e quieto, fiorente, che vive in pace, unità e concordia, dove si vive bene e felicemente, allora quel Paese è esente dalla malinconia. Le malattie più frequenti di una società sono quelle che derivano da noi stessi, come quando la religione e il servizio di Dio vengono trascurati, innovati o alterati, quando non c’è timore di Dio, non si obbedisce al principe, o quando l’ateismo e altri simili empietà sono perpetrate liberamente, così che il paese non può prosperare. Qual è il principe tale è il popolo: i loro esempi sono seguiti e i vizi imitati. Quando la gente è sempre riottosa e litigiosa, quando ci sono molte discordie, molte leggi, molti processi, molti avvocati e medici, è sintomo manifesto di uno stato di disordine, malinconico. Quello che oggi è legge non lo è più domani, quello che è giusto secondo un uomo è sbagliato per un altro; in conclusione, Burton afferma, non c’è tra gli uomini che discussione e confusione e ci si scaglia l’uno contro l’altro. In breve B...


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