Riassunto aver cura di sé PDF

Title Riassunto aver cura di sé
Course Filosofia dell'educazione
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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AVER CURA DI SE’ (Luigina Mortari)

Il nostro essere è il divenire, quindi noi persone umane siamo mancanti d’essere: siamo solo una serie di possibilità. L’uomo deve fare i conti con la propria condizione ontologica di gettatezza (mito di Efesto) e di inconsistenza (Heidegger, Stein). Ci si trova chiamati alla responsabilità di dare forma al proprio essere possibile, di proteggere la nostra gettatezza.

Paradosso dell’esistenza: il tempo e il nulla ci rendono fragili, e allora che fare? L’uomo ha un compito che gli altri esseri viventi non hanno: deve dare forma al proprio tempo, ossia deve disegnare di senso i sentieri dell’esistere. Si tratta di imparare ad avere cura dell’esistenza, cioè di imparare l’arte di esistere (lavorare sul tempo per farne una composizione di senso). Questa è una responsabilità di tipo educativo ed autoeducativo: l’educazione infatti, pur non potendo insegnare direttamente l’arte di esistere, può guidare il soggetto ad apprendere i metodi che servono a cercare quel sapere (l’educazione deve avere cura che l’altro si prenda cura della sua anima). L’educazione guida il soggetto ad apprendere metodi e pratiche di ricerca ontogenetici (metodi che possono dare forma all’essere). Una di queste pratiche è la scrittura. Educare vuol dire aiutare l’altro ad acquisire le capacità necessarie ad attivare il processo di autoformazione. Imparare l’arte di esistere serve a non provare quell’angoscia terribile conseguente al sentire il proprio tempo consumarsi in un susseguirsi di attimi vuoti di senso.

La cura di sé trasforma il semplice vivere in esistere, e nell’uomo diviene un’opzione obbligata, la risposta ad un imperativo ontologico ed etico. Bisogna quindi imparare a tracciare fili di senso che tessano insieme gli attimi della vita. Solo così si accede ad una dimensione autentica del vivere. Bisogna ascoltarsi, perché la verità è qualcosa che riguarda la nostra esistenza. “Essere vuol dire fin da principio preoccuparsi d’essere” (Lévinas) Ogni persona deve dedicarsi a coltivare un centro interiore che possa servire a dirigere i propri movimenti e ad essere veramente liberi (cioè agire in base a decisioni ponderate e non sulla base di sollecitazioni esterne). Coltivare un centro interiore vuol dire avere una mente impiantata su se stessa, ma che sa dialogare (mente dialogica) e confrontarsi col mondo esterno. La nostra cultura contemporanea ha emarginato il concetto della cura di sé, perché l’ha interpretata come modo di essere individualista ed egoistico. In realtà è l’esatto opposto, come

ha spiegato Foucault, perché per trovare l’arte del vivere bisogna confrontarsi con gli altri, intensificare le relazioni sociali! La pratica della cura di sé è antica, la troviamo innanzitutto in Socrate (conosci te stesso) ma anche in altri autori antichi come Seneca. Avere cura di sé significa per Socrate avere cura della propria anima. Per fare questo bisogna mettere da parte la ricerca di onore, gloria e successo, per avere cura invece della saggezza, della verità e della virtù. In questo modo, la cura di sé si configura come un atto dal valore non solo personale, ma sociale e politico. Per avere cura dell’anima è necessario avere una direzione di senso, e questa direzione è la ricerca di ciò che è bene. Avere cura di sé implica il conoscere se stessi (e quindi la propria anima), senza la conoscenza di sé è impossibile esercitare la pratica della cura di sé! Conoscere se stessi significa avvicinarsi al nucleo più intimo della vita della propria mente e comprendere quali sono le forze che agiscono su di noi e le loro implicazioni sul nostro modo di essere. Avere cura di sé è essenziale anche per prepararsi alla vita pubblica, dice Socrate. Aver cura di sé serve a convivere bene con gli altri: solo se si impara ad avere cura del proprio spazio vitale ci si può occupare dello spazio condiviso, cioè del vivere con gli altri! La cura non è solo un atteggiamento, ma è anche una pratica! Si avvale di tecniche di trasformazione di sé, alcune già presenti nella cultura filosofica antica (per esempio le tecniche di meditazione o la disamina del vissuto della giornata). Aver cura di sé vuol dire lavorare sul proprio modo di essere, e quindi è una pratica spirituale. L’orizzonte cui si deve tendere è la verità dell’esistenza, che non è una verità scientifica ma è una verità che sa suggerire alla persona i comportamenti da tenere per realizzare la sua umanità. Quindi ogni uomo deve innanzitutto occuparsi di sé, del proprio “demone interiore” come dice Marco Aurelio, prima di volgere lo sguardo verso l’esterno. Conoscere se stessi serve a capire i propri desideri, le proprie debolezze e risorse interiori, ma soprattutto serve a identificare le qualità persistenti dell’io da quelle occasionali. Queste ultime sono superficiali ma purtroppo spesso condizionano le nostre azioni senza che noi ne siamo consapevoli, provocandoci sofferenze. Conoscersi serve a non autoingannarsi! Conoscere se stessi non vuol dire però avere completa sovranità su di sé: l’uomo è un essere fragile e vulnerabile, e non potrà mai governare in maniera totale la sua vita interiore. La verità dell’esistenza non è mai accessibile nella sua purezza!

PRATICHE DI CURA NOETICA Le pratiche di autoindagine devono concentrarsi sui vissuti della mente, che sono sempre un tutt’uno di esperienze passate e esperienze del presente. Quindi i vissuti vanno sempre analizzati non come qualcosa di piatto e atemporale, ma come il risultato di più strati sovrapposti. Ogni azione di autoindagine è proprio per questo difficile e soggetta a limiti.

Una pratica indispensabile per conoscere i vissuti della mente è la riflessione. Riflettere vuol dire pensare i pensieri, prestare attenzione al pensiero mentre scorre. Si può riflettere sia su ricordi, pensieri o esperienze, sia sulla riflessione stessa, perché anche le riflessioni sono a loro volta dei vissuti. Riflettere non è facile, perché richiede sempre di cambiare la propria posizione rispetto al mondo: spostare lo sguardo dalle cose al proprio pensare. In più, sotto lo sguardo riflessivo la qualità dei vissuti mentali può uscirne modificata (ad esempio la gioia perde d’intensità). Per cogliere la qualità essenziale di un vissuto è necessario utilizzare la tecnica cognitiva della descrizione, cioè aderire al fenomeno mettendo in atto l’epochè (ci si libera delle conoscenze e dei desideri\passioni che solitamente riempiono la nostra mente). Gli atti riflessivi hanno maggiori potenzialità conoscitive quando si occupano dei vissuti presenti, che stanno accadendo nello stesso momento della riflessione. E’ importante sviluppare la capacità di autopresenza, cioè essere attenti (attenzione aperta e continuata) alla vita della mente proprio nel mentre del suo accadere. C’è un problema: nessuna tecnica cognitiva (neppure il descrivere fedelmente sostenuto dall’esercizio dell’epochè) consente una visione intera e pura della vita della mente, anche perché questa è un accadere ininterrotto. Di sé è possibile conoscere solo qualche strato, non il profondo, perché la vita della mente ha una sua insuperabile trascendenza. In più il processo di autoesame non finisce mai, accompagna l’uomo per tutta la sua esistenza. Quindi non si arriverà mai a conoscere sé stessi in toto, ma non per questo bisogna rinunciare alle pratiche di autoindagine. Semplicemente, bisogna avere consapevolezza critica dei limiti di queste pratiche. Riflettere vuol dire pensare i pensieri, ma non tutti i pensieri hanno la stessa importanza per la vita della mente: ci sono pensieri fondamentali e pensieri superficiali. E’ su quelli fondamentali che bisogna concentrarsi, cioè su quelli che giocano un ruolo importante nelle decisioni esistenziali. E’ poi importante riflettere sugli atti liberi che il soggetto compie, perché quelli indicano con chiarezza quale direzione esistenziale sta seguendo il soggetto. Infine, è importante identificare le idee che ci condizionano la mente e riflettere sugli atti sociali, cioè gli atti che manifestano una direzione verso un altro soggetto. (esempi: accogliere, perdonare ecc). Anche questi atti sono importanti per la conoscenza di sé, in quanto gli uomini sono esseri relazionali e il loro essere dipende anche da come si strutturano nelle dinamiche relazionali con gli altri. Bisogna imparare a pensarsi criticamente, cioè a scandagliare tutti i pensieri, anche quelli in apparenza più validi e pacifici, e ad analizzare la qualità delle proprie esperienze (per capire quali causano sofferenza e quali sono positive per il nostro esserci).

Una buona cura è una cura schietta, una cura che evita le distorsioni interpretative e la rimozione di determinati vissuti. La schiettezza è necessaria per evitare di cadere nella trappola degli autoinganni. La mente dunque è chiamata ad operare una sorveglianza metacognitiva. L’autoesame libero richiede coraggio, e il coraggio è una virtù. Non si può avere cura di sé senza esercitare le virtù (coraggio, umiltà, onestà con se stessi ecc..)

E’ importante poi meditare con continuità sulle massime avvertite come fonte di verità. La meditazione sulle massime serve per rendere vive nell’anima le idee, che così possono trasformare la qualità del nostro essere. Non basta sapersi, è necessario agire su di sé per modificarsi! Plasmare il proprio essere significa anche rinunciare a parti di sé per esplorare altri modi di essere: è quindi fondamentale che l’uomo non si dia importanza, altrimenti non può lavorare su di sé. Un esempio di pratica che modella il proprio essere è, come scrive Epitteto, la riflessione anticipatrice (“Fermati e rifletti!”), che indaga sulle possibili conseguenze di ogni decisione prima di decidersi per essa.

Alla base di tutto il lavoro di cura di sé sta una pre-scelta, quella che Epitteto chiama proairesis, cioè la decisione di ricercare ciò che fa bene, ciò da cui può germogliare una vita buona. Questa scelta etica di fondo che l’uomo fa richiede un continuo esercizio e deve essere continuamente rinnovata. Una volta fatta questa scelta, l’uomo deve ricercare le questioni essenziali, irrinunciabili per dare direzione al proprio esserci. Se non lo fa, rischia di scivolare nel disordine del pensare e del sentire. Ma come fare per identificare un proprio ordine di valori dei modi di essere? Maria Zambrano suggerisce il metodo dello stare in cammino, dello stare in continua ricerca ponendosi domande di senso (in che cosa consiste il bene? Come conseguirlo?). La continua ricerca deve essere umile, e accettare l’inevitabile parzialità e provvisorietà di ogni risposta trovata. E’ importantissimo agire sulle zone di vulnerabilità della propria mente, per esempio sulla tendenza a coltivare illusioni o a lasciarsi paralizzare da paure infondate. Queste vulnerabilità fanno sentire l’uomo prigioniero, immobilizzano la sua spinta ad esistere. Aver cura di sé vuol dire stare nella realtà, non lasciandosi distrarre dall’immaginazione che spesso lavora per far fuggire la mente umana dall’evidenza del reale, che è un’evidenza di precarietà e inconsistenza, e quindi dolorosa. La cura di sé implica un’etica della condivisione. Non si può praticare la cura di sé in isolamento, bisogna invece interrogarsi interrogando gli altri, alimentando un confronto, dialogando per provocare riflessioni profonde.Ecco perché sarebbe fondamentale trovare un maestro che sia competente nell’arte della cura di sé.

La vita della mente non è fatta solo di pensieri, ma anche di sentimenti, che sono coessenziali alla vita cognitiva. L’essere umano è sempre in uno stato emotivo, ed ogni atto del pensiero è toccato dai sentimenti. I sentimenti sono fluidi, hanno una consistenza leggera e non sempre sono avvertiti dalla coscienza, ma hanno un forte potere sul nostro modo di essere, condizionano le nostre scelte esistenziali. Proprio per questo è necessario comprendere correttamente i fenomeni emozionali. Non si riesce a ricercare il senso della vita senza una partecipazione del cuore. I sentimenti danno vita, muovono il mondo (Dante dice “l’amor che move il sole e l’altre stelle”). Per penetrare la realtà serve un pensiero con emozioni. Il primo filosofo a sottolineare il contributo fondamentale degli affetti è stato Aristotele, secondo cui per comprendere l’esperienza in modo pieno ci vuole la sensibilità emotiva.

Eppure, ci sono dei sentimenti negativi che influenzano in modo erroneo l’azione, consumano le nostre energie e ci pressano l’anima. Allora è importante impegnarsi nell’autoindagine riflettendo sulla qualità essenziale delle nostre emozioni. I vissuti emozionali hanno una dimensione cognitiva che permette di indagarli e comprenderli, almeno secondo la tesi neostoica ripresa da Nussbaum. I sentimenti sono fondati su valori, esprimono i valori della persona e quindi la loro intensità dipende dalla posizione occupata dal valore corrispondente nella gerarchia assiologia della persona. Più il valore è importante per la persona, più profondo sarà il sentimento. Dunque il sentire non è irrazionale! Quindi in un’ottica di cura di sé è fondamentale lavorare sulla gerarchia dei propri valori e identificare i sentimenti ad essa relativi, con la consapevolezza che modificando le valutazioni che formuliamo può modificarsi anche il nostro vissuto emozionale. All’interno dei vissuti emozionali possiamo distinguere un sentire positivo e un sentire negativo. Il primo è un sentire che fa bene all’anima consentendo di stare con piacere nelle relazioni, il secondo ostacola la possibilità di una buona relazione con se stessi e con gli altri. L’autocomprensione affettiva è necessaria soprattutto quando si tratta di sentimenti negativi, che quindi producono dolore. La riflessione infatti serve e ridurre la potenza della sofferenza, a capire cosa nutre i sentimenti negativi e come evitarli. E’ importante individuare il possibile potere performativo delle emozioni sul proprio modo di essere. Può accadere che l’esperienza di riflessione intensifichi i vissuti di sofferenza: eppure, è essenziale comunque, perché serve a maturare un posizionamento consapevole di fronte alla vita emozionale. Per conoscere i sentimenti occorre osservarli passivamente girando loro intorno, accogliendo il fenomeno così come si offre allo sguardo. I sentimenti cambiano continuamente, quindi vanno osservati nel loro divenire, nel loro essere flusso di onde emozionali. Questo vuol dire che comprendere un vissuto emotivo velocemente è impresa ardua! Ci vuole tempo! Altra pratica da attuare è cercare di individuare quali vissuti cognitivi ed emotivi consumano la nostra forza vitale (la forza vitale è necessaria per comprendere i vissuti e per sentire dentro di sé i sentimenti essenziali al vivere: fiducia e speranza). Bisogna poi analizzare il sentire che nutriamo nei confronti degli altri, il cosiddetto sentire relazionale, che serve anche a capire quali sentimenti che noi attribuiamo agli altri sono in realtà solo proiezioni di noi stessi....


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