Riassunto Il Giorno. Cinquant\'anni di un quotidiano anticonformista a cura di Ada Gigli Marchetti PDF

Title Riassunto Il Giorno. Cinquant\'anni di un quotidiano anticonformista a cura di Ada Gigli Marchetti
Author Filippo Minonzio
Course Storia del giornalismo
Institution Università degli Studi di Milano
Pages 18
File Size 486.9 KB
File Type PDF
Total Views 128

Summary

Riassunti capitolo per capitolo. Molto ben fatti. Fedeli e discorsivi....


Description

Il giorno Cinquant’anni di un quotidiano anticonformista Ada Gigli Marchetti Franco Angeli s.r.l. Riassunti di Filippo Minonzio



Date importanti 27 settembre 1955 21 aprile 1956 1956 1959 1960 -1972 1972 - 1980 1997

Fondazione della Sel (Società editrice lombarda). Primo numero. Del Duca lascia. Passaggio di proprietà alla Sofid. Direzione Pietra. Direzione Afeltra. Nuova proprietà.

🂽Presentazione E’ negli anni della seconda legislatura repubblicana, mentre il televisore inizia la sua marcia trionfale, che irrompe sulla scena un nuovo quotidiano, le cui novità e unicità consistono nell’essere un giornale di opinione (progressista) e, al tempo stesso, popolare. Finanziato dall’Eni di Enrico Mattei e dall’editore Cino Del Duca, “Il Giorno” esce per la prima volta il 21 aprile 1956 sotto la direzione di Gaetano Baldacci, ex corrierista, con l’intento dichiarato di offrire “ai lettori il massimo di informazioni con il massimo di obiettività”. Riflette anche mali atavici della stampa italiana ma utilizza tecniche e formule inedite e moderne per il Paese. Vuole sorreggere un preciso progetto di innovazione e sviluppo della società e della politica, lavorando all’interno, nei primi anni di fronda, dello schieramento governativo fino ad allora dominante. Guarda attentamente ai modelli della stampa straniera, esce in due edizioni (mattina e sera), è preceduto da una campagna pubblicitaria grandiosa, a una grafica molto innovativa, le pagine, molto mosse dalle inserzioni delle immagini, sono divise in otto colonne e il titolo della prima può occuparle tutte. L’articolo di

fondo viene abolito e sostituito da una breve ed agile Situazione gli articoli sono stringati, il linguaggio è semplice. Ha un supplemento in rotocalco. La modernità dell’impianto grafico tuttavia non basta a spiegare la fortuna pressoché immediata del giornale, soprattutto tra i giovani: essa, infatti, è soprattutto il frutto del lavoro entusiasta di molti professionisti che sono andati via via costituendo un gruppo relazionale solidale e affiatato (Segre, Bocca, Brera, Gadda, Paolini, Soldati, Jacovitti e via discorrendo).

I - l’Italia degli anni Cinquanta Negli anni 50 si delineò una nuova fisionomia per il nostro paese, con la coalizione di governo centrista con a capo la Dc e le durissime tensioni tra i due contrapposti schieramenti politico ideologici. A distanza di cinque anni dalla Liberazione, risultavano sciolti sul quadrante interno i nodi politici più cruciali e il sistema economico aveva cominciato a marciare con le proprie gambe. Prima della fine degli anni ‘50 l’esperienza dei governi centristi veniva già esaurendosi; avanzava invece l’ipotesi dell’allargamento dell’area di maggioranza verso sinistra. Comincia il miracolo economico, si sceglie la politica “neoatlantista”, e gli italiani cominciano ad emigrare verso l’estero e le fabbriche del Nord. Emblema di questa ventata di benessere fu la diffusione del piccolo schermo. Questa fase è segnata da un intreccio ibrido tra la persistenza di antiche consuetudini e l’irruzione di mode e usanze, simbolo di una società in parte scettica e bigotta, in parte desiderosa di novità, attratta da tutto ciò che sapesse di moderno. Sul versante culturale crescevano o si affermavano nuove riviste (nel ’55 esordiva L’Espresso).

II - gli italiani imparano a leggere: il grande sviluppo dei quotidiani e periodici popolari Negli anni ’50 erano nati i grandi giornali come li intendiamo oggi, dal Corriere alla Stampa al Messaggero, e l’Italia si era avvicinata alle Nazioni moderne sia dal punto di vista economico sia da quello culturale, passando attraverso la nascita di un ceto medio, la costruzione di scuole e la realizzazione di un sistema educativo nazionale che aveva iniziato ad abbattere i tassi di analfabetismo nonostante un’economia e una cultura insostenibilmente arretrate. L’ente televisivo, nato con una ben definita funzione pubblica ed educativa, si adattò alle esigenze degli italiani avviando una trasmissione del titolo Non è mai troppo tardi (programma didattico in cui il maestro Manzi insegnava agli italiani a leggere - si stima che tale programma abbia aiutato un milione e mezzo di italiani a ottenere la licenza elementare). Il boom stava passando e l’Italia stava passando quella fase di spesa intermedia che avrebbe dovuto migliorare le condizioni alimentari, sanitarie e di istruzione. Nel rapporto degli italiani con la lettura, però, gli anni ’50 sono un momento importante: dal punto di vista giornalistico questo decennio è equiparabile ai favolosi anni Settanta dell’'800. Dopo la sbornia precedente che aveva trovato sbocco prima nella scelta tra repubblica e monarchia e poi tra Fronte popolare e Democrazia cristiana, la grande richiesta di informazione e di partecipazione prende altre strade. Chi si affaccia alla lettura, questa volta, è davvero la massa (nascono quindi i mass media). Si stava delineando la necessità di comunicare a una popolazione con scarse attitudini linguistiche, che non aveva la possibilità di dedicarsi alla lettura quotidianamente ma che aveva bisogno di capire cosa gli stesse accadendo attraverso un linguaggio non aulico, non politico, meno letterario: in una parola, più divulgativo. I quotidiani, quasi tutti controllati dall’alta borghesia industriale, sembravano non accorgersene. Oppure, semplicemente, non era di loro interesse, visto che in Italia, i giornali erano sempre stati imprese in perdita chiamata a supportare altri interessi. Rimasero, infatti, al palo e non si adeguarono alle richieste del pubblico. Meno ciechi, furono editori come Mondadori e Rizzoli, che cominciarono a cavalcare questa tendenza con i periodici; tra gli altri ebbero un eccezionale sviluppo i periodici cosiddetti femminili. Gli italiani stavano imparando a leggere. I giornali diventarono dei veri mass media e dovettero confrontarsi con il pubblico, cosa che non significava adeguarsi supinamente alla dittatura del lettore, bensì adeguarsi

alla domanda nei termini concessi dall’etica e dalla deontologia. Certamente non era ancora chiaro a molti che il lettore nuovo andava cercato nell’ex contadino urbanizzato o nell’operaio. Ma c’era ancora l’idea che la lettura fosse una prerogativa borghese. I quotidiani nazionali, quindi, non intercettarono questa grande novità e cominciarono a lamentarsi per una latente crisi; rimasero legati all’immobilismo che traspariva dal principe di tutti loro: il Corriere della Sera, diretto da Mario Missiroli, che lo governava con assoluto moderatismo. I giornali paludati si tenevano ben lontani dai modelli dei quotidiani del pomeriggio ispirati al successo di France Soir. Non era comunque il modello del quotidiano del pomeriggio che poteva essere raccolto dalla nuova Italia. Occorreva una formula più moderna attenta a fatti non prettamente di interesse politico, che utilizzasse un linguaggio semplice ma elegante, pulito, chiaro, battagliero senza retorica: un giornale dignitoso, semplice, impegnato e allo stesso tempo ludico, che parlasse in maniera semplice di temi alti e in maniera rigorosa di temi bassi. Il colpo d’ala riuscì a un inviato speciale del Corsera, Gaetano Baldacci e a un editore che conosceva bene l’universo della lettura popolare e che sentiva il bisogno di rientrare nella stampa italiana: Cino Del Duca, re del giornalismo rosa in Francia. Parleremo più avanti del ruolo di Mattei. Fu dal punto giornalistico la prima risposta ponderata e sensata alle esigenze del nuovo lettore di massa, anche perché partì con un piede giusto e coraggioso: non si rivolgeva a un pubblico di massa e femminile, abbassandosi semplicemente al suo livello; gli si rivolgeva cercando di innalzarlo al proprio. Pur passando tra non poche difficoltà – la perdita per strada di Del Duca e il licenziamento di Baldacci – il Giorno si stabilizzò sopra le 150k copie. Si cominciò, quindi, ad operare seriamente per separare le notizie dai commenti, per ridurre le aggettivazioni, per informare più che narrare, per aprire la strada all’invenzione linguistica. Tutto questo non era immune da critiche, soprattutto da parte dei grandi maestri sopravvissuti all’epoca nobile del giornalismo italiano. Era questo il prezzo da pagare perché un pubblico più ambio, di massa, potesse accedere all’informazione e, quindi, crescere. Non accorgersene significava chiudere fuori dalla porta quello che era e sarebbe stato il nuovo volto dell’Italia.

III - mattei e l’idea del “giorno” Enrico Mattei teneva, in tutti le sue case e i suoi uffici, una copia di una raccolta (Stampa e oro nero) fatta da lui di tutti gli articoli scritti contro lui e l’Eni dal giorno della fondazione. Perché? Perché sapeva che bisognava conoscere il nemico per combatterlo degnamente. E chi era questo nemico? Innanzi tutto, il capitale privato (invece l’Eni era un ente statale): i capi della finanza e dell’impresa che possedevano giornali ligi a propri interessi (Crespi-Corsera, Agnelli-Stampa ecc) e che li usavano contro di lui. Anche sul fronte della politica la situazione era in continuo movimento e non mancavano segni di ostilità. All’inizio del 1956 il fondatore dell’Eni aveva appena concluso con successo la battaglia contro le grandi compagnie straniere, le “sette sorelle”, per il diritto alla sopravvivenza e all’autonomia della sua impresa. Ma il 16/02 morì il Senatore suo amico e sostenitore Ezio Vanoni. Fu in quei giorni tristi - morì anche sua madre – che Mattei decise di rompere gli indugi e rimediare all’ossessione della stampa ostile, di muovere all’attacco. La mossa a sorpresa fu dare vita a un giornale, per contrastare il fronte privato. Mattei sapeva bene che non avrebbe potuto giustificare la nascita di un quotidiano finanziato dalle casse statali: non per il fatto in sé, ma poiché tutti sapevano che un suo giornale non si sarebbe mai accomodato in fila ad appoggiare la politica dei moderati. Mattei aveva in mente un progetto industriale, in opposizione con l’impresa privata che l’enorme maggioranza dei giornali tradizionali sosteneva da sempre, e un disegno politico volto a spostare lo schieramento dei partiti verso approdi più avanzati (il centrosinistra). Così Il Giorno nacque, il 21 aprile 1956, ufficialmente senza padre. Fino al 1959, quando la testata passò in proprietà alla Sofid - la società finanziaria dell’Eni – Mattei rimase nell’ombra o, quanto meno, continuò a escludere ogni rapporto col quotidiano. Ma anche se non poteva dichiararne la paternità, il presidente dell’Eni partecipò intensamente alla sua creazione: il suo desiderio di avere un suo giornale si aggiunse a quello di Del Duca di ripetere in Italia il successo avuto in Francia, e a quello di Baldacci di fare un giornale estroso, spregiudicato e battagliero. Una serie di incontri portò, il 27 settembre 1955, alla costituzione della Sel, la Società editrice lombarda e, sette mesi dopo, alla nascita del quotidiano. La ciurma imbarcata era di

grande qualità. Senza dichiarare la propria appartenenza né la propria identità, Il Giorno andò fin dall’inizio all’attacco. Riuscì subito a farsi notare e a rompere gli schemi. Suscitò moti di adesione o di riprovazione in tutti gli ambienti politici e pubblicistici. Fu il caso giornalistico più clamoroso del dopoguerra. Il Times disse che aveva rotto lo schema tradizionale imposto da cinquant’anni dal Corsera. Caratteristiche peculiari: titoli grandi; senza la “terza pagina”; grande uso di foto; colore; fumetti; giochi. Fece importanti inchieste e suscitò un’attenzione nuova verso i processi di decolonizzazione in corso, in particolare nei paesi nordafricani. La scomparsa tragica di Mattei in un m isterioso incidente aereo, nel 1962, ebbe delle ripercussioni serie. Nonostante a guidarlo ci fosse Italo Pietra, un suo vecchio amico e compagno di vita partigiana, i tempi non permettevano più lo spazio per un giornale così spregiudicato. Eppure, negli anni della contestazione, fu il giornale del primo movimento degli studenti. Fu il giornale della nuova Italia. Ma quell’idea non poteva sopravvivere da sola. Dal punto di vista tecnico le novità non apparivano più tali, poiché gli altri quotidiani stavano lentamente cominciando a rinnovarsi. Il Giorno diventava sempre più omogeneo alla stampa d’informazione. Era una circostanza che Mattei aveva largamente previsto e messo in bilancio.

IV - l’ENI e il giorno: vite parallele (1953-1972) Il Giorno e l’Eni sono due iniziative imprenditoriali che scaturirono in condizioni ambientali e da intuizioni abbastanza simili e che la loro parabola evolutiva fu sostanzialmente parallela. Ci fu un rapporto immediato di causa-effetto dovuto al fatto che l’Eni fosse il principale azionista del Giorno e cercò di farne il centro della propria strategia di comunicazione. Condussero alcune battaglie comuni ed ebbero nemici appartenenti agli stessi gruppi di opinioni e alle stesse concentrazioni di potere. Entrambi si presentarono come un’esperienza anticonformista e moderna in una realtà tradizionalista. Vissero un momento di crescita entusiasmante, in cui la realtà economica, culturale e politica del Paese appariva favorevole all’affermazione anche delle iniziative più avanzate. Un processo involutivo della situazione frustrò poi molte di queste speranze di riforma strutturale del Paese. Gli anni che videro le premesse alla nascita del Giorno (’53-‘56) furono un momento di grande trasformazione per l’Italia e un momento chiave per l’Eni che, nato nel 1953 sull’onda dei successi dell’Agip nel business del metano padano, iniziava a definire la propria strategia di grande compagnia petrolifera. L’Italia – e in particolare Milano e la Lombardia, centro propulsore del miracolo – viveva all’inizio degli anni ’50 un periodo di forte rinnovamento. Si stava verificando l’approdo verso una moderna società dei consumi di massa. L’idea di spodestare il Corriere con un giornale nuovo, più rispondente alle esigenze dell’Italia del “miracolo” fu il progetto che portò alla nascita del Giorno nel ’56. È difficile stabilire con precisione quali furono le tappe della genesi del quotidiano e, persino, a chi vada attribuita esattamente la paternità del progetto. I due principali filoni interpretativi dissentono sull’attribuzione a Baldacc i o a Mattei dell’idea originaria di un nuovo giornale. In anni successivi, i due protagonisti contribuirono a sostenere versioni che li facessero apparire più favorevolmente: Baldacci propugnava una versione dei fatti nella quale il “suo” giornale era stato proditoriamente acquisito dall’Eni per la volontà di Mattei di strumentalizzarlo ai propri fini; Mattei sosteneva di essere stato incoraggiato a questa impresa dai politici Dc Tambroni e Ferrari Aggradi e di essere stato poi lasciato solo quando la cattiva gestione economica di Baldacci aveva trasformato Il Giorno in un peso per l’Eni. La decisione dello Stato di assumere una partecipazione diretta in un giornale fu un elemento radicalmente nuovo nella politica di relazioni con la stampa dell’Eni, fino a quel momento limitata iniziative ordinarie. La posizione di forza ottenuta attraverso lo sfruttamento dei giacimenti di gas aveva permesso a Mattei di invocare il diritto di esclusiva sul gas padano per l’impresa di Stato. Il progetto di un monopolio statale aveva scatenato l’opposizione della stampa economica legata a Confindustria e dei giornali di riferimento delle destre, ma aveva sostanzialmente lasciato indifferenti i quotidiani maggiori. L’opposizione al progetto di creazione dell’Eni aveva suscitato un’opposizione agguerrita ma numericamente esigua e aveva potuto affrontare il proprio iter parlamentare senza sostanziali contestazioni. Gli anni che coincisero con la gestazione del Giorno e la direzione Baldacci furono per l’Eni un momento di forte entusiasmo realizzativo ma anche di profonda incertezza Da una parte c’era il successo, dall’altra tutte le opportunità che si presentarono in questo periodo avevano un forte grado di incertezza e di rischio. A

partire dal 1954 l’Eni si lanciò in operazioni impegnative sia per la portata degli investimenti che per il contenuto ideologico “di rottura”. Sul piano politico la posizione di Mattei era meno forte che in passato, soprattutto a causa della scomparsa dei due principali punti di riferimento a cui era legato e sui cui si era appoggiato: De Gasperi e Vanoni. Mattei si trovò quindi a dover svolgere in prima persona un intenso lavoro di “imprenditore politico”. Anche il rapporto coi mezzi d’informazione diventava di conseguenza più delicato: l’indifferenza dei grandi organi di stampa venne progressivamente meno con il crescere delle ambizioni dell’Eni e dell’entità delle sfide portate a poteri consolidati, mentre le forme di pressione utilizzate fino a quel momento sembravano insufficienti per sostenere il grande progetto di un’impresa di proprietà statale in grandi competere con successo con i privati. La grande necessità di Mattei di comunicare obiettivi e visione dell’azione dell’Eni è testimoniata anche da altre iniziative: il Servizio studi dell’Eni, l’Enciclopedia del petrolio e del gas naturale, Stampa e oro nero. È evidente come le due iniziative imprenditoriali, l’Eni e Il Giorno, non fossero legate solo da una specie di simbiosi utilitaristica (l’azienda necessitava di un giornale, e il giornale aveva bisogno di un finanziatore), ma anche da una visione comune della necessità di modernizzare il Paese rompendo alcuni degli schemi più tradizionalisti. Non a caso, sia la redazione del Giorno che il management dell’Eni avevano un’età anagrafica mediamente bassa e offrivano ai giovani concrete possibilità di carriera come ricompensa per un lavoro spesso molto duro e che richiedeva notevoli capacità. Svilupparono un forte spirito di corpo. Ma l’elemento sociale che rendeva più simili i progetti Eni e Giorno era la forte componente innovativa di un’operazione pensata “in grande”, anche al di là delle effettive disponibilità immediate di risorse: c’era un certo margine di sproporzione degli obiettivi rispetto alle risorse al momento possedute. Il presupposto per tradurre in atto tali propositi di “rottura” era la possibilità di accumulare e gestire nel modo più efficace e rapido forze sufficienti per resistere allo sforzo al quale l’impresa viene sottoposta per coprire obiettivi al di fuori della sua portata immediata. Il giornale era una creatura di Baldacci e ne rifletteva alcune convinzioni e tratti del carattere. Inoltre Baldacci, come Mattei con l’Eni o Mourinho con le sue squadre, si sentiva responsabile della propria creazione e aveva la tendenza a centralizzare su di sé tutte le relazioni con i referenti politici esterni, in modo da permettere ai propri collaboratori di lavorare in autonomia da condizionamenti esterni (così escludendoli però da tutta una serie di decisioni strategiche). La carenza di risorse manageriali in grado di gestire situazioni molto complesse e un personalismo estremizzato possono essere riconosciuti come due delle cause determinanti le prime difficoltà del Giorno e dell’Eni. Il giornale scontava il peso di offrire a tutta la nazione un giornale di altissima qualità, non riuscendo quindi a coprire i costi di produzione, e alcune scelte discutibili – probabilmente responsabilità di Baldacci – nella gestione della pubblicità, che risultava incredibilmente poco remunerativa. Il periodo di grande libertà creativa di cui godettero Il Giorno nei primi anni e l’Eni nella contemporanea fase di espansione deve molto al clima di indeterminatezza in cui entrambe le iniziative si mossero. L’Eni aveva un azionista di riferimento sostanzialmente debole e la vicinanza di posizioni tra Mattei, Fanfani e Gronchi assicurava un rapporto poco esigente col potere politico. E l’Eni era per Il Giorno un editore quasi assente – e occulto fino alla primavera del ’59 – col quale a volte si era d’accordo, mentre altre il giornale si sottraeva alle pressioni della proprietà. Le trasformazioni nel clima politico italiano dal ‘59 in poi e il deterioramento dei risultati economici delle due imprese portò progressivamente alla “normalizzazione”. Le pressioni che si esercitavano sull’Eni si riflessero sul giornale con inaudita forza, portando al clamoroso allontanamento di Baldacci nel gennaio 1960. L’episodio - come la questione della paternità del giornale - è stato ricos...


Similar Free PDFs