Riassunto Bin Pitruzzella - Le fonti del diritto pdf PDF

Title Riassunto Bin Pitruzzella - Le fonti del diritto pdf
Author Alberto Manzari
Course Diritto Costituzionale 
Institution Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale
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Riassunto Completo...


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LE FONTI DEL DIRITTO 1. LE FONTI DEL DIRITTO IN UN ORDINAMENTO COMPLESSO Per dire cosa sia il diritto si ricorre alla metafora delle fonti (del diritto), che sono tutti quei documenti o comportamenti accreditati della capacità inesauribile di produrre regole che possono essere fatte valere direttamente o indirettamente davanti ad un giudice. Nella nostra esperienza attuale sono tutte imputabili allo Stato, o ad enti da esso derivanti (Comunità europea, diritto internazionale, Regioni, enti locali), e generano norme giuridiche che concorrono a formare l’ordinamento giuridico. Per comodità il giurista attribuisce all’ordinamento le caratteristiche di coerenza (cioè la mancanza in esso di norme incompatibili), e completezza (cioè la presenza sempre e comunque di una norma o di quella con essa incompatibile). Pur non esistendo “in natura” ordinamenti con tali caratteristiche, l’esigenza di coerenza e completezza è tanto più richiesta proprio negli ordinamenti frastagliati, complessi, in continuo mutamento, come il nostro. Negli ordinamenti moderni, infatti, di fronte ad un contrasto tra norme o ad una lacuna giuridica, non è ammesso nè denegare giustizia col pretesto del silenzio, oscurità, insufficienza della legge (cd “non liquet”, il cui divieto è stabilito dal Codice napoleonico e quelli che ne sono derivati) nè rivolgersi al principe (legislatore) per chiedere un chiarimento o un’integrazione. In un ottica di divisione dei poteri, una volta terminato il “momento legislativo” ed emanato l’atto, questo si “estranea” dalle intenzioni soggettive dell’organo che l’ha prodotto per entrare a far parte dell’ordinamento giuridico con significato oggettivo (eterogenesi dei fini è la locuzione che esprime il mutamento di prospettiva per cui le intenzioni soggettive del legislatore cedono davanti alle finalità oggettive cui assolve la norma). Del resto, al legislatore, che non è altro che il conglomerato di corpi politici eterogenei, non possono essere attribuite qualità di completezza, razionalità, coerenza. Spetta ai soggetti dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto trarre dal materiale legislativo incoerente e spesso contraddittorio, la soluzione univoca al caso che si trovano di fronte, indagando sulla ratio delle disposizioni, cioè comprendendo come la norma si colloca oggettivamente nel sistema, a quale esigenza di normazione risponda (rimediando ad una possibile lacuna), o a quali esigenze di coerenza sistematica (rimediando ad una possibile contraddizione). E’ in questo modo che l’ordinamento viene ricondotto a sistema coerente e completo. 2. I CRITERI DI SOLUZIONE DELLE ANTINOMIE COME PRODOTTO CULTURALE La creazione di un sistema della fonti da parte dell’interprete è realizzata tramite l’impiego di una vasta gamma di strumenti consolidati da un’esperienza di secoli: sono i canoni dell’ermeneutica giuridica, ossia gli argomenti che vengono accreditati per ricavare dai testi normativi (disposizioni) il loro significato normativo, e quindi la regola da applicare al caso concreto (norma). Quando i testi normativi sono incoerenti, ossia producono norme tra loro incompatibili, si ricorre ad un complesso di argomenti predisposto alla soluzione delle antinomie, ossia alla scelta della norma la privilegiare nel caso specifico. Questi criteri sono frutto dell’incessante riflessione dei giuristi, e soprattutto della dottrina, attorno alle modalità con cui il sistema si costruisce. E’ un processo lento e costante, frutto di stratificazioni successive: • il criterio della specialità, che conduce a privilegiare nel contrasto la norma particolare rispetto a quella più generale, che viene derogata vedendo comprimersi il suo campo di operatività; • il criterio della competenza, che porta a risolvere il contrasto normativo decidendo quale sia l’atto o l’ordinamento competente a disciplinare la materia; questo non si presta a una definizione stringente in forma di regola risolutiva di antinomie per l’interprete, ma svolge funzioni essenzialmente esplicative (descrive com’è organizzato il sistema delle fonti); quando si cerca di 1

impiegarlo per risolvere antinomie si ricade per lo più nel criterio di gerarchia. Il criterio di competenza può servire quando si tratti di distinguere tra ordinamenti in cui sono applicabili diversi tipi di norme (i regolamenti parlamentari elaborano disposizioni applicabili solo nell’ordinamento delle Camere), o come guida di fronte al contrasto tra norme dell’ordinamento italiano e una della comunità europea; in questi casi la scelta di una norma comporta semplicemente la “non applicazione” dell’altra. • il criterio cronologico, per cui tra due norme contrastanti viene preferita la più recente alla più antica, la quale viene abrogata, ossia privata di efficacia ex nunc dal momento in cui entra in vigore il nuovo atto; l’abrogazione espressa (per espressa dichiarazione del legislatore contenuta in una norma, produce effetti erga omnes), mentre l’abrogazione tacita ed esplicita (riforma dell’intera materia) operano sul piano dell’interpretazione con effetti inter partes. Relativamente all’abrogazione implicita, la nuova legge può solo riformare parte della materia disciplinata dalla legge precedente, sicchè sta all’interprete valutare se la vecchia disciplina resti in vigore o sia stata abrogata senza la produzione di nuove norme. • il criterio gerarchico, per cui in caso di contrasto tra due norme si deve preferire quella che nella gerarchia occupa la posizione più elevata; la prevalenza della norma superiore su quella inferiore si esprime attraverso l’annullamento, che è l’effetto di una dichiarazione di illegittimità che un giudice pronuncia nei confronti di un atto, di una disposizione o di una norma, a seguito della quale questi perdono validità. L’atto invalido è un atto viziato che va rimosso ripristinando la legalità dell’ordinamento: l’annullamento ha perciò effetti erga omnes ed opera ex tunc, nel senso che non può più essere applicato ad alcun rapporto giuridico che sia ancora pendente (cioè sottoponibile ad un giudice), anche se sorto prima dell’annullamento. Prescrizione, decadenza, acquiescenza, rinuncia o il giudicato impediscono perciò all’annullamento di far sentire i suoi effetti sul rapporto. Si potrebbe obiettare che sono le norme positive a costruire il sistema giuridico, a partire dalla Preleggi, di cui l’art 12 disciplina le modalità di interpretazione e l’art 15 tratta dell’abrogazione. Ma non è così: relativamente ai 2 articoli le preleggi riproducono senza variazioni apprezzabili le analoghe disposizioni con cui esordiva il codice civile del 1985; nei lavori preparatori del nuovo Codice si era anche dubitato dell’opportunità di mantenere in vita tali disposizioni: - delle norme sull’interpretazione si era proposta la soppressione, perchè apparivano “più di danno che di utilità, dato che erano necessariamente incomplete e si ingerivano nel campo della dottrina più che in quello dell’interpretazione; - della norma sull’abrogazione si convenne di lasciarla in vigore solo perchè “non ha dato luogo ad alcun serio dubbio” e poteva comunque servire a chiarire che la consuetudine non può abrogare la legge. Il fatto è che il criterio cronologico era già da molto tempo consolidato nella cultura giuridica. Lo stesso codice del 1865 ne aveva ereditato la scrittura dai codici preunitari, sia pure con una significativa modificazione: ispirato ai principi del costituzionalismo liberale, si distacca dalla tradizione assolutistica proprio perchè riconosce espressamente l’autonomia interpretativa della dottrina (viene cancellato il rescriptum) e, allo stesso tempo, apre ufficialmente la strada all’abrogazione implicita, opera autonoma dell’interprete, che ha il compito di accertare l’abrogazione quando non sia manifestata espressamente. Il Codice del 1942 introduce la novità della gerarchia delle fonti (art 1), assente nel Progetto preliminare, la quale recepisce l’elaborazione della dottrina che aveva raggiunto la sua maturazione nella costruzione gradualistica di Kelsen e della scuola di Vienna. Il codice pone la gerarchia come strumento ordinatore delle relazioni tra legge e regolamento, e tra questi e la consuetudine. Assente è invece il livello costituzionale della gerarchia, essendo ormai sostanzialmente pretermesso dalle fonti del diritto lo Statuto del 1848. Ma l’impianto concettuale è ormai consolidato: entrando in vigore pochi anni dopo, la Costituzione trova nella gerarchia delle fonti un criterio ordinatore del sistema delle fonti, che le assegna la collocazione al vertice. 2

L’art 1 preleggi perde così la sua capacità di descrivere l’intera struttura gerarchica del sistema delle fonti, ma il criterio gerarchico trova nell’introduzione della Costituzione rigida il suo completamento. La Carta costituzionale si preoccupa esclusivamente di disciplinare i modi di produzione delle fonti primarie, definendola come categoria chiusa data dalla legge formale ed atti con forza di legge specificamente enumerati; istituisce poi la Corte costituzionale come giudice della conformità di esse con la Costituzione, e quindi dell’ordine gerarchico delle fonti. La disciplina dei regolamenti amministrativi e fonti subordinate viene lasciata alle fonti primarie, immediatamente sopra di essi nella gerarchia. 3. LA COSTITUZIONE COME FATTORE DI CRISI DEL SISTEMA DELLE FONTI 3.1. Riserva di legge e “specializzazione degli atti normativi” La gerarchia delle fonti è il presupposto implicito caratterizzante il sistema delle fonti, del quale contemporaneamente segna però anche la crisi. La gerarchia si regge infatti su 2 presupposti: • l’unicità dell’ordinamento giuridico statale (sistema unitario) • il perfetto parallelismo tra gerarchia degli atti, dei procedimenti di produzione normativa, gerarchia degli organi dotati di potere normativo. Il sistema gerarchico rispecchiato dall’art 1 preleggi è infatti un sistema monolitico, alla cui base sta l’idea della sovranità indivisa dello Stato ed il principio di esclusività, ossia l’esclusione dal territorio nazionale di ogni altra autorità dotata di potere normativo, sia essa esterna (autorità straniere, ordinamenti internazionali), sia interna (ordinamenti autonomi non sottoposti al diritto dello Stato). Lo Stato ha quindi il potere esclusivo di riconoscere le proprie fonti, potendo far valere norme di altri ordinamenti (di altri Stati, tra Stati, ordinamenti non statuali interni allo Stato) nel suo ordinamento interno solo se le sue disposizioni lo consentono tramite la tecnica del rinvio. L’ordinamento ha una struttura piramidale, il cui vertice è occupato dalla legge in memoria del mito ottocentesco della sovranità parlamentare. Questa relazione è interamente recepita nella nuova Costituzione, il cui regime parlamentare non può che condividere la dipendenza del Governo dal Parlamento e la prevalenza della procedura deliberativa parlamentare (connotata dalla solennità e pubblicità del dibattito) sulla procedura decisionale del Governo, che non gode delle stesse caratteristiche. Ma il rapporto gerarchico si esaurisce qui, perchè tutti gli altri presupposti della concezione piramidale dell’ordinamento giuridico vengono incrinati dalle stesse norme costituzionali. Viene anzitutto a rompersi l’unitarietà della legge, non più fonte normativa per eccellenza, espressione diretta della sovranità; ad essa vengono affiancati atti dotati della stessa forza (referendum abrogativo, decreto delegato, decreto legge, atti emanati dal Governo in caso di guerra), nel senso che sono posti sullo stesso piano gerarchico della legge formale, con cui competono secondo il criterio cronologico, ma con la quale concorrono limitatamente, grazie allo strumento della riserva di legge. La riserva di legge è lo strumento con cui la Costituzione regola il concorso delle fonti nella disciplina di una determinata materia, regolando l’esercizio della funzione legislativa. La sua funzione tradizionale è di tutelare, in materie particolarmente delicate, le prerogative parlamentari dall’invadenza di atti provenienti dall’esecutivo. Perciò impone che la disciplina di una determinata materia sia riservata totalmente (riserva assoluta) o almeno per le norme di principio (riserva relativa) alla legge ordinaria, escludendo o limitando la possibilità che la disciplina sia integrata da atti regolamentari del Governo. Per alcuni particolari argomenti, vige poi la riserva di legge formale, togliendo al Governo la possibilità di intervenire anche con un atto avente forza di legge. In certi casi, infine, la Costituzione introduce particolari riserve di legge che “specializzano” le fonti primarie. La “specializzazione delle leggi” prevede che: 3

• vi sono materie coperte da riserva di legge rinforzata per procedimento, nel senso che possono essere regolate solo con un procedimento particolare (accordi concordatari, intese con culti acattolici ecc); la ratio di queste riserve è limitare il potere della maggioranza politica di regolare argomenti sensibili per le minoranze: senza il loro consenso la legge non può essere fatta. • vi sono materie (art 14.3, 16.1 Cost) disciplinate dalla legge ordinaria nel rispetto di specifiche limitazioni di contenuto (sono coperte da riserva di legge rinforzata per contenuto); la ratio di queste riserve è limitare il potere del legislatore, che può comprimere la sfera di libertà degli individui solo a condizione che le misure normative siano razionalmente giustificabili in relazione ai fini o criteri indicati dalla Costituzione stessa. • vi sono infine casi in cui la Costituzione modella determinate leggi in modo da staccarle al tipo a cui appartengono: sono leggi ordinarie formali dotate di forza diversa da quella normale (leggi atipiche); il caso più emblematico è la legge di approvazione del bilancio di previsione che ha forza attiva nulla (ex art 81.3 Cost non può stabilire nuovi tributi e spese, per evitare che la tipologia e il quantum dei prelievi fiscali o prestazioni pubbliche siano occultati dal Governo nelle pieghe di un documento complesso suscettibile di sfuggire al controllo del Parlamento), e relativamente alla forza passiva, ha efficacia temporale limitata all’anno a cui si riferisce, nel corso del quale possono essere apportate modifiche necessarie previste da apposite leggi, ma non è possibile abrogarla in toto con legge successiva o referendum. Questa specializzazione legislativa incrina il sistema delle fonti che la dottrina aveva costruito attorno al criterio gerarchico e cronologico, poichè non è più interamente vero che tutte le fonti primarie concorrono tra loro, governate solo dal criterio cronologico: - la riserva di legge formale si oppone al fatto che tutte le leggi formali possano essere abrogate da atti aventi forza di legge; - inoltre la riserva di legge rinforzata si oppone al fatto che tutte le leggi formali siano abrogabili e sostituibili da qualsiasi altra legge formale; vi sono leggi particolari, approvate con procedimenti aggravati (leggi rinforzate) a cui la Costituzione attribuisce una particolare competenza, che è esclusiva sia nel senso che solo esse possono regolare quel particolare oggetto, sia nel senso che solo quel particolare oggetto può essere da esse disciplinato. La Costituzione va anche oltre, istituendo una riserva a favore dei regolamenti parlamentari, impenetrabile in entrambi i sensi da parte di qualsiasi atto legislativo, e con competenza limitata quasi fisicamente dai muri perimetrali delle assemblee elettive. Un caso analogo è introdotto dagli Statuti delle Regioni speciali, che prevedono per la propria attuazione un decreto legislativo predisposto da una commissione paritetica e emanato dal Governo (riserva ai decreti di attuazione degli statuti speciali), senza che le Camere ne prendano visione. Anche in questi casi ci si trova di fronte ad atti primari e garantiti dalla Costituzione, ma che non sono definibili come “aventi forza di legge”, in quanto sono privi di vis abrogativa, nè possono essere dalla legge abrogati. 3.2. Il pluricentrismo interno e le fonti delle autonomie L’invenzione delle Regioni è stata stimolata dal desiderio dei costituenti di istituire un livello di Governo locale, dotato di autonomia di indirizzo politico, che potesse rafforzare il sistema di divisione dei poteri. Per garantire l’autonomia politica dei nuovi enti occorreva consentire loro (contrariamente a quanto avveniva per gli enti tradizionali) di derogare alla legge parlamentare, espressione della maggioranza democratica, e quindi dotarle di un potere normativo che operasse sul suo stesso livello gerarchico, in concorrenza con questa. Il fenomeno della frantumazione della legge e moltiplicazione delle fonti primarie appare estremamente vistoso: non si tratta più di specializzare la legge del parlamento, istituire nicchie di competenza riservate ad atti diversi dalla legge formale e regolare il concorso di questa con gli atti aventi forza di legge (comunque emanati dal governo che gode di fiducia parlamentare); siamo 4

ormai di fronte ad una serie di legislatori totalmente indipendenti e potenzialmente divergenti, se non conflittuali, col parlamento nazionale. La ricostruzione del sistema delle fonti appare tanto più necessaria, in quanto il problema di regolare le relazioni tra legislatore locale e nazionale resta interamente affidato al sistema dei rapporti giuridici che intercorrono tra fonte primaria e fonti regionali. La Costituzione del 1948 prevedeva per le regioni ordinarie una competenza legislativa concorrente con quella dello Stato; la concorrenza è regolata dalla distinzione tra principi e dettaglio, ma non è chiaro come questa distinzione operi; si potrebbe pensare che operi nel senso di un rapporto di gerarchia strutturale (come il decreto legislativo è legato ai principi della legge delega), o che esso implichi una netta separazione delle competenze (la legge regionale che viola i principi è illegittima, come la legge statale che introduca norme di dettaglio). La teoria, che assume il compito di individuare i criteri con cui l’interprete mette a sistema le fonti, si inceppa per due difficoltà insormontabili: • non esiste criterio logico nè pratico che consenta di distinguere “principio” da “dettaglio” • la prevalenza della legge statale di principio non è dotata di strumenti procedurali che la facciano operare (lo Stato può impugnare davanti alla Corte la legge emanata dalla Regione in contrasto con la precedente legge statale, ma se dispone una riforma e il legislatore non vi si adegua, non dispone di strumenti per imporre l’astratta prevalenza). Il criterio della competenza, che la dottrina aveva elaborato proprio per risolvere il problema di sistemare le fonti in un ordinamento con più centri di legislazione ordinaria, si limita a spiegare com’è organizzato il sistema delle fonti, descrivendo la complessità del reale (svolge funzioni esplicative), ma non la risolve; sottolinea il fatto che non è possibile ordinare il sistema semplicemente ricorrendo al criterio gerarchico, ma non individua un criterio normativo col cui impiego sia possibile riportare il reale a sistema (non è un criterio prescrittivo, che fornisce all’interprete una regola per risolvere antinomie). Per prassi, legittimata dalla Corte Costituzionale, la realtà si è evoluta imponendo un rapporto tra legge statale e regionale diverso da quello coerente col criterio di competenza: la legge statale si occupa dell’intera disciplina della materia considerata (dettaglio compreso) al fine di poter - come spiega la Corte - abrogare la precedente legislazione regionale contrastante; spetterà alla Regione in seguito, se lo vorrà, emanare proprie leggi di dettaglio (soggette al controllo del Governo) che a loro volta sostituiranno le norme statali contrastanti. E’ insomma il criterio cronologico l’asse attorno al quale il sistema si ricompone, il che non esclude che entrino in gioco anche rapporti di gerarchia strutturale tra norma statale di principio e norma regionale di dettaglio. La riforma costituzionale del 2001 ha modificato l’impianto dei rapporti tra Stato, Regioni ed autonomie locali, complicando ulteriormente il sistema delle fonti: • il nodo relativo al rapporto tra legge statale e regionale rispetto alle materie di competenza concorrente rimane irrisolto • il tentativo di contrapporre un elenco di materie esclusive dello Stato all’attribuzione residuale alle Regi...


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