Riassunto Breve storia della globalizzazione in arte Meneguzzo PDF

Title Riassunto Breve storia della globalizzazione in arte Meneguzzo
Course Storia dell'arte contemporanea
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BREVE STORIA DELLA GLOBALIZZAZIONE IN ARTE – Marco Meneguzzo INTRODUZIONE Il sistema dell’arte occidentale si trova oggi a misurarsi con altri modelli di sviluppo solo in apparenza analoghi, ma invece portatori di grandi cambiamenti che potrebbero mettere in discussione lo stesso sistema occidentale e il suo statuto di modello unico a cui uniformarsi. I primi indizi sono emersi negli anni ‘80 quando l’arte è cominciata a diventare un business economico di una certa rilevanza in particolare fondamentale è stato il passaggio di capitale dell’arte da Parigi a New York negli anni 50 e l’affacciarsi dell’arte giapponese sul mercato mondiale più o meno negli stessi anni. Ciò nonostante, il cambiamento fondamentale si è innescato negli anni ‘80 e corrisponde alla globalizzazione in arte, cioè l’attenzione sempre più evidente del mercato per i paesi emergenti definiti con la sigla BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Per quanto riguarda il rapporto tra sistema dell’arte occidentale e nuove culture che lo modificano, un ruolo importante l’ha giocato la Cina. Un’altra osservazione è che il sistema dell’arte in via di globalizzazione e il sistema macroeconomico mondiale mostrano similitudini evidenti: i comportamenti, le attitudini e le scelte sembrano ripercorrere lo stesso percorso che il commercio e l’industria globalizzati hanno compiuto nei confronti di tutte le altre merci. È di fondamentale importanza valutare attentamente le prospettive future del sistema dell’arte globalizzato, che incidono non solo sulla diffusione dell’arte o sulla sua produzione quantitativa, ma sul concetto stesso di arte -> un cambiamento sostanziale del sistema dell’arte senz’altro non porterebbe alla morte dell’arte, ma alla fine dell’arte come concepita oggi. CAP. 1 – L’ARTE È UNA FACCENDA OCCIDENTALE? Quando si parla di arte contemporanea ci si riferisce a un modello che si è costruito in ambito europeo, poi passato anche negli Stati Uniti intorno alla metà del novecento. L’idea di arte ha una lunga storia, che va dai Greci ai giorni nostri > una storia in cui la centralità dell’individuo artista e l’idea di progresso del linguaggio artistico hanno innescato nei secoli quel meccanismo che ha portato l’arte occidentale a essere considerata arte tout court. L’estremizzazione di questo concetto nel novecento ha prodotto in Occidente un sistema di linguaggi senza precedenti, articolato e pronto ad inglobare ogni nuovo strumento espressivo e ogni nuova tecnologia. A questo si è aggiunta la forza del mercato e dello spirito borghese nel costruire una struttura analoga al sistema capitalistico del profitto e tutto ciò ha portato all’identificazione del mondo dell’arte con il modello occidentale. Le variazioni della leadership nel mondo dell’arte inizialmente erano tutte interne al mondo occidentale, oggi invece devono fare i conti con la globalizzazione del sistema. Qualche indizio di questo andamento lo si ritrova nel passaggio di capitale dell’arte da Parigi a New York negli anni ‘50 e nella comparsa sulla scena dell’arte del caso giapponese, primo esempio di una cultura extraoccidentale coinvolta in quel sistema. 1.1 IL CONCETTO TRADIZIONALE si è molto discusso sull’esistenza presso culture non occidentali di un concetto di arte come quello sviluppatosi negli ultimi due secoli in Occidente, dove la combinazione di norme linguistiche, convenzioni sociali e libertà individuale ha costituito il terreno adeguato per la crescita di un’idea di arte che è quella della nostra tradizione (e che è un lascito del pensiero greco). Uno sguardo meno eurocentrico ha ridimensionato questa posizione: anche in altre culture, come quella cinese, giapponese e indiana si può riconoscere la presenza dell’arte, una produzione che anche lì si differenzia da ogni altra produzione di manufatti e in cui la tecnica e il rispetto delle norme non sono gli unici criteri di giudizio. Tuttavia se il concetto di arte come prerogativa umana è riscontrabile universalmente presso tutte le culture e quindi non è conseguenza di uno sviluppo storico particolare (come affermato dal materialismo storico), il concetto di arte borghese e capitalista si è affermato solo in Occidente da poco più di due secoli e da lì si è diffuso in tutto il mondo. Su questa

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idea di arte dalla forza pervasiva e che si è diffusa in tutto il mondo con l’accettazione globalizzata delle sue regole (culturali ed economiche) si gioca il rapporto tra Occidente ed Oriente. La caratteristica principale dell’arte come si è sviluppata in Occidente è il fattore “novità”, cioè l’idea che l’introduzione di elementi, forme e relazioni nuove all’interno dell’opera sia un valore positivo > la possibilità di introdurre nei codici espressivi prestabiliti elementi di novità è frutto della vocazione evolutiva della civiltà occidentale, sin dalle sue prime formulazioni classiche. La storia dell’arte occidentale è caratterizzata da cambiamenti di stile, tecnica, temi e concetti e quando questa attitudine si è misurata con il sistema produttivo capitalistico (dopo il periodo di conflitto delle avanguardie storiche) si è adattata perfettamente alle nuove esigenze produttive. Ciò che però ha dato un dinamismo straordinario al sistema dell’arte dall’inizio del novecento è stata l’accettazione del nuovo come valore principale del linguaggio artistico e nel mercato mondiale dell’arte questo è divenuto un valore assoluto. Quando si parla di arte contemporanea si intende un modello elaborato in Europa e negli Stati Uniti nel novecento, le cui regole si sono sviluppate quindi in quel contesto -> il sistema dell’arte si può definire come un sistema economico che ruota attorno a un prodotto, l’opera d’arte, la cui peculiarità sta nel possesso di una qualità molto più difficile da quantificare rispetto ad altri prodotti e dove la caratteristica della novità costituisce parte dei requisiti per il successo. Il sistema dell’arte comprende la produzione, diffusione e collocamento di un prodotto, appartenente ai cosiddetti beni di lusso, riconosciuto universalmente come espressione più alta di ogni cultura. La capacità di imporre un modello artistico diventa un elemento strategico per ciò che comporta l’interpretazione del mondo e lo stile di vita dei gruppi sociali che vi si avvicinano -> per questo motivo l’arte ha una valenza politica non indifferente. Un esempio significativo è stata la partecipazione statunitense alla biennale di Venezia del 1964, quando gli artisti americani proposero la Pop Art come nuova tendenza e la biennale ne sancì il trionfo immediato in tutto il mondo dell’arte. Il successo della Pop in quell’occasione viene attribuito alla collaborazione della C.I.A., che aveva messo a disposizione aerei per consentire l’arrivo in tempo delle grandi tele. Questo è un esempio di come una potenza egemone miri pensi ad imporre un’immagine di sé come nuova icona, non solo nella società civile, ma anche presso la cerchia degli intellettuali. L’economia e la politica decidono le sorti dell’arte, soprattutto se questa si fa interprete e portavoce dei loro stessi valori -> questa visione semplicistica è comunque quella diffusasi in Occidente presso sistemi dell’arte di paesi non troppo avanzati (come l’Italia negli anni ‘80-90) e nei paesi emergenti come la Cina o l’India dove il fattore economico derivato dal mercato rappresenta il movente di quasi tutti questi sistemi dell’arte. La questione che si pone riguardo alla globalizzazione in arte è se il sistema reggerà all’impatto di nuovi mercati, cioè se il sistema dell’arte occidentale possa costituire un modello valido per i nuovi sistemi o se i nuovi mercati modificheranno il sistema iniziale inventato e sviluppato in Occidente e il concetto stesso di arte. Un’altra ipotesi a lungo termine è che una globalizzazione sempre più accentuata potrebbe anche rendere autonomi i sistemi dei paesi emergenti e in futuro potrebbero valere nuovi valori artistici e nuovi modelli linguistici non più legati al concetto occidentale. 1.2 IL PATTO ATLANTICO: DA PARIGI A NEW YORK Dal momento della nascita dell’arte moderna tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800, con il passaggio a un’epoca industriale dell’immagine (grazie alla fotografia e alle riviste) il centro della cultura artistica mondiale era Parigi. Il suo primato non era mai stato messo in crisi, tanto che quando la capitale dell’arte passerà a New York solo pochi europei si accorgeranno del cambiamento. I motivi di questo mancato riconoscimento vanno cercati nel senso di sicurezza dell’universalità e durata del sistema dell’arte europeo, concetto comprensibile alla luce di una visione dell’arte molto eurocentrica. Nei due decenni tra la prima e la seconda guerra mondiale Parigi era riconosciuta come la capitale unica e indiscussa dell’arte. Se in passato il primato poteva essere minacciato da città come Vienna e Monaco, nel primo dopoguerra Parigi non aveva rivali perché entrambe le città appartenevano alle culture che avevano perso la guerra e quindi i loro modelli non erano considerati attuabili. Inoltre l’affermarsi di ideologie totalitarie in Italia e in Germania aveva lasciato Parigi senza rivali e la città si configurava come la meta di ogni viaggio di formazione e conoscenza e come simbolo di libertà comportamentale. La libertà di espressione e di costumi aveva fatto della città il centro del mondo artistico, anche perché a partire dalla svolta impressionista erano state erette strutture operative e commerciali fondamentali per il nascente mercato dell’arte. Negli anni ‘20-30 erano molti i giovani americani che si riversavano a Parigi, ma se ciò denotava un maggior potere d’acquisto e una ricchezza crescente negli Stati Uniti non rappresentava un’insidia culturale. Dopo la prima guerra mondiale gli Stati Uniti erano diventati un soggetto politico, oltre che economico, di primaria importanza, ma la sfera della cultura sembrava ancora dominio esclusivamente europeo.

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Gli anni precedenti la seconda guerra mondiale videro Parigi accrescere ancora di più il suo ruolo di meta degli artisti, soprattutto di quegli artisti che non si sentivano liberi nei propri paesi d’origine causa dei totalitarismi. Alla vigilia della guerra a Parigi il surrealismo, l’ultima avanguardia storica, non avevano ancora esaurito la sua carica e costituiva la tendenza di riferimento della modernità. L’occupazione tedesca di Parigi e della Francia durante la seconda guerra mondiale portò come immediata conseguenza per l’arte la fuga di moltiartisti e il crollo delle relazioni internazionali del mercato dell’arte. Oltre il rallentamento nella produzione di opere e una stasi nelle compravendite del mercato artistico le conseguenze più profonde della guerra sull’arte furono quelle di una crisi ideale difficilmente superabile. Nonostante il desiderio di ricostruire e le oggettive difficoltà economiche, il conflitto aveva messo in crisi anche i modelli culturali vigenti, di cui Parigi era la massima espressione. La guerra e il dopoguerra costrinsero gli artisti a interrogarsi su un mondo che risultava totalmente cambiato nella sua essenza, mettendo in luce l’orrore di cui l’uomo di era dimostrato capace. Nel mondo dell’arte il mercato è sicuramente l’elemento più facilmente rinnovabile, perché il commercio si dirige dove ci sono i mezzi > risulta facile comprendere come il sistema dell’arte si sia trasferito nell’unico luogo in cui queste condizioni potevano manifestarsi: New York. I motivi di questo spostamento sono evidenti: gli Stati Uniti erano la più grande potenza mondiale, avevano vinto la guerra, erano tecnologicamente all’avanguardia, non avevano subito distruzioni sul loro suolo e si proclamavano difensori della libertà. L’arte e la cultura diventarono ben presto bandiere da sfruttare nel gioco politico: al blocco dell’Est che controllava ogni espressione artistica sino a promuovere un’arte di stato, gli Stati Uniti contrapponevano la massima libertà espressiva in campo artistico. Questa posizione di libertà dell’arte sarebbe stata però vanificata se negli Stati Uniti non ci fossero stati davvero le condizioni per una nuova spinta all’arte contemporanea < le condizioni che favorirono gli Stati Uniti, come si è detto, sono state dettate dalla terribile situazione socio politica europea, che va dall’ascesa del nazismo alla guerra civile in Spagna, dallo scoppio della seconda guerra mondiale allo stalinismo. In una situazione in cui lo stalinismo imponeva un’arte che fosse pura propaganda, il nazismo bollava “l’arte degenerata” e il fascismo italiano adottava una politica autarchica anche in campo culturale, l’unica possibilità per gli artisti era quella di emigrare l’elenco degli artisti che negli anni ‘30 si stabilirono negli Stati Uniti è lunghissimo e comprende ad esempio Walter Gropius, Marcel Breuer, van der Rohe, Josef Albers, Hans Hofmann, Matta, Yves Tanguy, Moholoy Nagy, Duchamp a Picabia. L’elenco in realtà comprende due tipi di artisti: - coloro che sono stati costretti ad emigrare, soprattutto artisti e architetti tedeschi - coloro che scelgono gli Stati Uniti ritenendo la sua cultura più aperta verso la loro ricerca, soprattutto artisti surrealisti o rivoluzionari del linguaggio (come Duchamp) -> sono proprio gli artisti di estrazione culturale francese a trovare negli Stati Uniti la migliore accoglienza grazie al rapporto privilegiato che gli intellettuali americani coltivavano con Parigi. Inoltre il surrealismo incarnava quell’idea di modernità e novità artistica che si accordava bene con la politica del New Deal La generazione americana che giungerà a maturità subito dopo la seconda guerra mondiale comincia la sua crescita alla fine degli anni ‘30, grazie al confronto diretto con gli artisti europei che spesso diventano insegnanti in scuole d’arte, grazie allo sviluppo di istituzioni museali per l’arte contemporanea e al diffondersi del collezionismo e delle gallerie private. Inoltre, negli anni ‘30-40 l’interesse per l’arte contemporanea negli Stati Uniti era cresciuto in modo rapido e massiccio, grazie a una mentalità non gravata dal peso della tradizione come in Europa. La classe dirigente americana, una volta raggiunta la ricchezza, cercava di acquistare dignità attraverso l’arte, ad esempio fondando musei; nel 1929 viene fondato il Moma, che solo pochi anni più tardi sotto la direzione di Barr realizza mostre sull’arte contemporanea, tanto importanti da influenzare le nuove generazioni di artisti americani. Oltre a questo, si sviluppa un collezionismo emulativo che rende solido il sistema del mercato e delle gallerie d’arte, tra cui una delle maggiori è Art of this Century di Peggy Guggenheim, che sarà molto rilevante per la crescita dei nuovi artisti. 1.3 INDIZI DI CAMBIAMENTO: IL CASO GIAPPONESE È passato come episodio marginale l’affacciarsi sulla scena dell’arte di artisti e movimenti giapponesi, sin dalla metà degli ’50 > il riferimento è al gruppo Gutai, fondato nel 1954 da Yoshihara e Shimamoto, ai quali si unirono poi altri artisti. Presente fin dal 1956 sulla scena europea e americana, aveva una doppia anima: una performativa le cui azioni avrebbero influenzato gli artisti americani che avrebbero dato vita agli happenings (performances), e l’altra pittorica legata all’Informale con la ricerca sul gesto e sul segno. La presenza del gruppo in Europa e America era la prima manifestazione di un’espressione artistica “altra” e al contempo coerente rispetto al mondo dell’arte contemporanea così come si stava strutturando dopo la guerra. La questione non

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riguardava soltanto l’arte, ma innanzitutto la politica e il modello di vita che il Giappone sembrava disposto ad accogliere, così come aveva accolto l’industrializzazione negli ultimi decenni dell’ottocento. La scoperta del Giappone come produttore di cultura compatibile con la cultura occidentale fa parte di una politica di democratizzazione del paese voluta dagli Stati Uniti anche in funzione antisovietica. Il coinvolgimento del Giappone assumeva l’aspetto di una svolta epocale, perché rappresentava la prima cultura “non bianca”, peraltro sconfitta solo pochi anni prima, con la quale gli Stati Uniti dialogavano. L’apripista culturale del Giappone in Occidente è stato il cinema con la vittoria del Leone d’oro nel 1951 alla mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del regista Kurosawa, che ricevette poi anche l’Oscar; accanto a lui negli anni ‘50 altri registi giapponesi hanno ricevuto premi e introdotto la cultura giapponese in Occidente. In questa rinascita l’arte ricopre un ruolo minore, se paragonato a quello del cinema; tuttavia quando Saburo Murakami, artista di Gutai, attraversa la carta tesa su 21 telai, realizzando una lacerazione simbolica dello spazio tradizionale della pittura, l’impatto sulle generazioni di artisti occidentali, soprattutto americani, è molto forte e questa volontà d’azione si ritroverà poco dopo negli happenings. Ad avere maggiori contatti con quella cultura è l’America e soprattutto gli artisti della costa californiana. Anche l’interesse per la calligrafia e gli ideogrammi giapponesi seducono molti artisti (es. Mark Tobey), così come la scoperta dello zen scatena l’imitazione di certi atteggiamenti orientali. Da quel momento il mondo dell’arte si è enormemente allargato e anche se, fino alla fine degli anni ’80, la cultura artistica giapponese è stata considerata un’appendice dei centri di produzione principali, la sua presenza ha costituito un importante precedente della globalizzazione e l’esempio di un’autonoma partecipazione a un sistema culturale non proprio, ma accettato e sfruttato. Quando l’arte giapponese, verso la fine degli anni ‘80, si è presentata sul mercato mondiale da posizioni economiche e politiche ben differenti da quelle di paese sconfitto, gli artisti giapponesi hanno saputo imporre una loro immagine contemporaneamente internazionale e molto “giapponese” attraverso personaggi che hanno fatto della rivisitazione di tradizionali manga una cifra immediatamente riconoscibile > artisti come Takashi Murakami hanno dato vita ad una produzione inconfondibile, essenza del Giappone postmoderno, capace di rinnegare le caratteristiche di raffinatezza compositiva ed eleganza formale che avevano rappresentato l’arte giapponese per secoli. Lo spostamento progressivo tra il 1960 e il 1990 dalla cultura elitaria uscita dalla seconda guerra mondiale alle icone di massa della società giapponese ha introdotto nella percezione dell’arte contemporanea un elemento autenticamente pop. La variante giapponese della Pop Art ha dimostrato di saper unificare cultura alta e di massa con una disinvoltura non presente persino negli Stati Uniti: mentre in Occidente il livellamento tra cultura alta e bassa aveva alla base un discorso ideologico mirante a ribaltare le divisioni classiste tradizionali tra i linguaggi, in Giappone - e ancora di più in Cina - il passaggio è avvenuto in maniera semplice e immediata con l’accettazione entusiastica di una nuova società. Il livellamento tra cultura alta e di massa non viene vissuto come un decadimento di valori della tradizione verso la postmodernità globalizzata, ma come un naturale passaggio temporale e come affermazione di un’identità culturale che si è evoluta. CAP.2 – GLI ANNI ’80 E IL TURNING POINT Gli anni ‘80 stabiliscono la svolta verso la globalizzazione, forse prima culturale che economica. La gara tra i modelli di sviluppo - quello occidentale capitalista e quello sovietico socialista - si conclude con la disfatta dell’Unione Sovietica e l’aprirsi di una nuova condizione per l’intero Occidente. Non si tratta più di contrapporre un sistema a un altro, ma di applicare un sistema unico all’intero pianeta e questo sistema è quello occidentale, democratico e capitalistico. L’Occidente pensa di aver vinto su tutti e che il proprio modello con i suoi linguaggi (compreso quello dell’arte) debbano essere diffusi ovunque; si diffonde così il linguaggio egemone dell’arte, quello nordamericano, e si incoraggiano tutte quelle espressioni artistiche che ne adottino i modelli, i modi e temi. 2.1 POLITICA PLANETARIA E CULTURA GLOBALE Gli anni ‘80 sono da ricordare per la caduta del muro di Berlino (1989) e il crollo dell’idea socialista e comunista del blocco sovietico, collasso ideologico accompagnato dal fallimento reale di quel modello di paese. Il collasso è avvenuto anche in virtù di un i...


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