Riassunto CHE COS\'E\' LA Grammatica Valenziale PDF

Title Riassunto CHE COS\'E\' LA Grammatica Valenziale
Author Sara Ricci
Course Scienze della Formazione Primaria
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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Summary

Riassunto completo del libro "Che cos'è la grammatica valenziale?" C. De Santis ...


Description

CHE COS’E’ LA GRAMMATICA VALENZIALE? Cristiana De Santis Introduzione: ( r ) innovare la grammatica Questo libro vuole dare risposta a chi cerca una via per rinnovare l’insegnamento grammaticale nella scuola e guarda con curiosità ed interesse al modello valenziale o della verbo – dipendenza. Questo modello è considerato “miglior candidato a un’assunzione generalizzata dell’insegnamento.” Come è diviso questo libro? CAP. 1: storia della grammatica valenziale e sulle sue caratteristiche principali teorizzate da Lucien Tesnière e in quella dei suoi successori. Visione critica ed evolutiva del modello nel panorama linguistico contemporaneo. CAP. 2: definizione di frase basata sulla centralità del verbo. CAP. 3: criteri di individuazione degli argomenti del verbo. CAP. 4: classificazione dei verbi basata sul concetto di valenza. CAP. 5: espansioni e trasformazioni della frase nucleare. CAP. 6: bibliografia ragionata. Questo manuale non è un manuale esaustivo ma deve essere considerato una “bussola” per chi volesse avventurarsi in un territorio nuovo e stimolante in cui l’analisi della struttura della frase diventa pienamente “logica” e “visibile”. Cap. 1. Un po' di storia 1.1 Nascita del modello Il modello valenziale, che vede nel verbo il centro sintattico della frase, nasce nell’ambito dello strutturalismo europeo, in particolare francese, grazie a Lucien Tesnière. L’atto di nascita del modello può essere fissato con la data di pubblicazione di ELEMENTS DE SYNTAXE STRUCTURALE nel 1959. Tesnière aveva in realtà concepito il progetto già ad inizio degli anni 30 con l’ambizione di fondare una teoria generale della sintassi. Nel costruire il suo modello, Tesnière sfruttò la sua esperienza pedagogica: prima come insegnante di russo, poi come formatore di future maestre. 1.2 La centralità della sintassi Tesnière fa della sintassi il livello privilegiato del suo studio, rivendicandone l’anteriorità rispetto alla morfologia: la frase, non è vista come il risultato della combinazione di parole isolate disposte in sequenza ma come una struttura, cioè un insieme organizzato, al cui interno le parole sono connesse grazie a rapporti di dipendenza reciproca. La distinzione tra ordine lineare della frase e un ordine strutturale di tipo gerarchico è una delle intuizioni di Tesnière che sono all’origine delle teorie sintattiche moderne. Uno degli elementi di maggiore novità è l’idea della centralità del verbo nella costruzione della frase, espressa attraverso la metafora della “valenza” (BOX 1). Il concetto di valenza del verbo sostituisce e precisa quello di “reggenza” della grammatica tradizionale, permettendo di stabilire quali complementi siano effettivamente retti dal verbo, ovvero necessari per saturare la sua valenza e formare una frase. A Tesnière è attribuita anche la paternità della distinzione tra elementi obbligatori e facoltativi all’interno di una frase.

Tesnière inoltre ricorre a innovativi schemi grafici in forma di albero rovesciato, simili agli stemma codicum e come questi vengono chiamati “stemmi”. BOX 1 Le metafore di Tesnière Le metafore sono spesso utilizzate nella lingua scientifica per la loro capacità di guidare alla formulazione di ipotesi nuove e agevolarne la trasmissione. Nella teoria di Tesnière troviamo numerose metafore, la più celebre è quella della “valenza”, utilizzata per definire il particolare tipo di rapporto di dipendenza attivato principalmente da un verbo all’interno di una frase. La valenza è la capacità di un verbo di entrare in combinazione con un certo numero ed un certo tipo di elementi linguistici e di legarsi a sé per formare una frase. Tesnière parla del verbo come di “un atomo dotato di uncini, che può esercitare la sua attrazione su un numero più o meno elevato di attanti”. Il termine “attante” rimanda ad un’altra rete di metafore usata da Tesnière, quella della frase come un “dramma in miniatura”: il verbo è visto come il canovaccio di un’azione teatrale, gli elementi che da esso dipendono sono visti come i partecipanti all’azione, chiamati perciò “attanti” (attori). Un’altra metafora è quella del “nucleo”, per indicare l’unità sintattica elementare, l’ossatura strutturale della frase. Ultima metafora è quella del “nodo”, descrive il rapporto gerarchico tra i costituenti della frase e tradotta in schemi a forma di albero rovesciato (BOX 3). BOX 2 I precursori di Tesnière L’idea della centralità del verbo è rintracciabile già in testi grammaticali antichi, sia orientali che occidentali. - Grammatico alessandrino Apollonio Discolo (II sec a. C.): concetto di reggenza del verbo e distinzione tra elementi obbligatori e facoltativi. - Grammatico romano Prisciano (VI sec d. C.): reggenza anche per nomi e aggettivi. - Grammatico medievale Pietro Elia (XII sec. d. C.): estenderà il concetto di reggenza anche al nominativo. - Niccolò Machiavelli (1500 ca): definiva il verbo “la catena e il nervo della lingua”. - Il logico Peirce (1800-1900): paragona la combinazione dei concetti con la combinazione degli elementi chimici. - Linguista tedesco Buhler (1930): parla di “affinità elettive” e rimanda, con il termine “lacune”, al concetto di valenza. 1.3 La frase come processo Il modello di Tesnière parte dalla frase vista come struttura al cui interno le parole non sono isolate ma collegate da rapporti di connessione. Senza questi rapporti non esisterebbe la frase. I rapporti di connessione sono gerarchici, vi sono cioè legami di dipendenza tra un elemento reggente e uno subordinato. Il verbo è considerato l’elemento che occupa il posto più alto della gerarchia perché è capace di reggere e legare a sé dei nomi per dare forma al “processo” della frase: il verbo infatti esprime un’azione, uno stato, un evento che costituiscono già il canovaccio della scena teatrale. La capacità del verbo di reggere i suoi attanti è chiamata VALENZA. Sulla base della valenza, Tesnière distingue quattro classi di verbi: - Un verbo come cadere richiede un attante (chi cade) e verrà detto monovalente (o “a un posto”);

-

Un verbo come picchiare richiede due attanti (chi picchia e chi viene picchiato) e verrà detto bivalente (o “a due posti”); - Un verbo come regalare richiede tre attanti (chi dà, ciò che viene dato e chi riceve) e verrà detto trivalente (o “a tre posti”); - Verbi senza attanti come piovere, si tratta di verbi avalenti o zerovalenti. Tesnière ammette la possibilità che un verbo compaia in classi diverse (es verbo “parlare” può essere monovalente “Alfredo parla” o trivalente “Alfredo parla di politica con Giulio”). Questa classificazione appare più fine rispetto a quella tradizionale dei verbi “transitivi”, “intransitivi” e “impersonali”. In una frase semplice possono aggiungersi altri elementi chiamati “circostanti”, sono incaricati di rappresentare le circostanze in cui l’azione di svolge (tempo, luogo, modo, causa..). La funzione di attante è riempita da un nome o da un’espressione equivalente, quella di circostante è riempita da avverbi o da espressioni con valore avverbiale. Gli attanti si distinguono tra loro grazie ad “indici”: in una lingua come il latino, funzionano come indici le marche morfologiche di caso (nominativo per il soggetto, accusativo per l’oggetto diretto, dativo per l’oggetto indiretto); nelle lingue senza casi grazie alla posizione nella struttura sintattica (soggetto prima del verbo, oggetto dopo il verbo) e alla presenza di preposizioni. Gli attanti sono sempre necessari, i circostanti non sono necessari. Prima di Tesnière l’analisi della frase era basta sulla dicotomia soggetto – predicato (grammatica tradizionale), in cui si dà primissimo ruolo al soggetto. Tesnière invece considera il soggetto un attante che dipende dal verbo al pari degli altri, che può mancare con alcuni verbi e può essere sottointeso in altri casi. Per rendere conto del funzionamento della frase complessa Tesnière introduce due concetti: - Giunzione: connessione di elementi della stessa natura; - Traslazione: cambiamento della natura di un elemento della frase. Il termine “traslazione” indica sia la TRASPOSIZIONE di una parola da una categoria grammaticale all’altra – da aggettivo a nome (caldo, il caldo) – sia lo sviluppo in frase, TRASFORMAZIONE, di un aggettivo (un film noioso  un film che fa annoiare), di un nome (amo il cinema  amo andare al cinema), di un avverbio (leggo dappertutto leggo dovunque io sia). Se la trasposizione mette in luce i rapporti che intercorrono tra morfologia e sintassi, la trasformazione introduce continuità tra sintassi della frase e sintassi del periodo. BOX 3 Gli stemmi di Tesnière Per visualizzare i rapporti gerarchici da cui dipende il significato della frase, Tesnière introduce grafici che si sviluppano in verticale in cui le parole sono disposte a seconda della posizione che occupano nella gerarchia della frase, formando raggruppamenti intermedi individuati dai nodi. Il verbo è considerato il nodo centrale della frase, cioè l’elemento che occupa il posto più alto della gerarchia. A partire dal nodo centrale, le connessioni si diramano verso il basso, dando luogo ad uno schema a forma di albero rovesciato chiamato “stemma”. parla

parla

Alfredo

amico il

1.4 Una fortuna tardiva

mio

L’opera di Tesnière è rimasta a lungo ai margini della linguistica, a differenza di un’altra opera coeva “Syntactic Structures” del linguista statunitense Noam Chomsky. La teoria di Tesnière trovò applicazione soprattutto in Germania configurandosi presto come teoria grammaticale autonoma. Attraverso lo studioso Heinz Happ, per tramite del latinista italiano Germano Proverbio (1979), la teoria della valenza arriverà in Italia negli anni 70. 1.5 Gli sviluppi della teoria Gli studiosi che raccolgono e continuano la lezione di Tesnière indentificano alcuni punti critici della teoria. - Rilievo dato al soggetto: Tesnière lo considera un attante pari agli altri, la tradizione successiva vi darà invece un’importanza maggiore per due motivi: la sua capacità di determinare l’accordo del verbo, la sua posizione preminente all’interno della struttura sintattica. - Tipo e numero di elementi che sono fatti rientrare nella valenza del verbo. - Se per Tesnière il numero massimo degli attanti per le forme verbali semplici è tre, in seguito sarà discussa l’ipotesi dell’esistenza dei verbi di spostamento tetravalenti. - Verrà introdotta la differenza tra “attanti obbligatori” (che devono essere sintatticamente realizzati) e “attanti facoltativi” (che possono essere sottointesi); verrà precisata la distinzione tra “valenza logica” (struttura che prevede un certo numero di attanti retti dal verbo), “valenza semantica” (capacità del verbo di attribuire ruolo agli attanti) e “valenza morfosintattica” (tipo di attanti diretti o indiretti richiesti dal verbo e la loro valenza obbligatoria o facoltativa). - Un altro limite alla teoria di Tesnière, legato alla definizione del ruolo degli attanti, sarà superato dalle teorie successive in ambito generativista (BOX 5). - Altri sviluppi del concetto di valenza sono da ritrovarsi in senso cognitivista, che assimilano il concetto del “dramma” di Tesnière al concetto di “frame”: il verbo evocherebbe nella mente dell’emittente un certo scenario, una cornice concettuale. - Infine si cita il modello costruzionista, che vede nella costruzione l’elemento che motiverebbe il significato del verbo. Il modello che viene presentato in questo libro accoglie alcuni di questi sviluppi e ne introduce altri nuovi. Prima di descrivere il modello vi sarà un elenco di differenze terminologiche presenti negli studi italiani sulla valenza. - Gli “attanti” di Tesnière  “elementi nucleari” o “argomenti”. Salvi e Vanelli mantengono il termine “attanti”. - Alcuni testi usano per gli argomenti diversi dal soggetto il termine “complementi” o “complementi del verbo”; Schwarze chiama “complementi” anche le frasi che funzionano come argomento del verbo. - Per differenziare argomenti diversi dal soggetto: “oggetto diretto” e “oggetto indiretto”. - Per indicare gli insiemi degli argomenti richiesti dal verbo e le loro caratteristiche semantiche e sintattiche si parla di “struttura argomentale” o “quadro argomentale” ma anche di “schema di valenza” o “quadro funzionale”. - Il termine “predicato” è ancora usato ma è ridefinito per indicare l’insieme del verbo e degli argomenti diversi dal soggetto. - Quelli che Tesnière chiamava “circostanti” (elementi extranucleari), vengono chiamati “espansioni”, “aggiunti”.

BOX 4 L’importanza di un modello Un modello rappresenta un’elaborazione astratta semplificata del suo oggetto caratterizzata da un campo di applicabilità definito. Un buon modello deve essere economico e potente: deve permettere di spiegare il maggior numero di fenomeni con pochi simboli e formule e di fare ipotesi e previsioni. Il modello valenziale in linguistica si basa sul principio per cui la frase è il risultato delle relazioni che il verbo stabilisce con i suoi argomenti, ovvero con gli elementi necessari per completarne la costruzione e il significato (formula F = V + argomenti). Si tratta di un modello che parte dalla frase semplice per arrivare da un lato alla considerazione delle single parole per il contributo alla costruzione della frase, dall’altro alla frase complessa vista come risultato della trasformazione, a più livelli, della frase semplice. Il modello valenziale mette in secondo piano il criterio contenutistico prevalente nella grammatica tradizionale.

BOX 5 Modello valenziale e modello generativista Il modello valenziale e quello generativista (Chomsky) hanno in comune vari concetti, come la preminenza accordata alla sintassi nell’analisi linguistica, la centralità del verbo, la distinzione tra elementi facoltativi e obbligatori, il concetto di trasformazione e l’utilizzo di diagrammi. Le due teorie presentano però anche molte differenze. Innanzitutto erano diversi gli obiettivi dei due linguisti: - Tesnière intendeva fornire a chi impara una lingua straniera modelli per costruire frasi corrette; - Chomsky voleva descriver la competenza di un parlante ideale in grado di valutare la correttezza delle frasi. Il generativismo mantiene il modello binario soggetto – predicato e introduce una distinzione più chiara tra funzioni sintattiche (soggetto, oggetto, ecc) e ruoli semantici (agente, paziente, ecc). I generativisti hanno esteso il termine di valenza adottando però il temrine di “argomento”. Il diagramma ad albero dei generativisti sono basati su ramificazioni con al vertice la frase non il verbo, ramificata in due “costituenti immediati”: il soggetto (sintagma nominale) e il predicato (sintagma verbale). Formula F = SN + SV Cap 2. Partire dalla frase 2.1 Frase ed enunciato Il modello valenziale mette al centro la frase. La frase è qualcosa che “dico”, dunque un’espressione linguistica pronunciata con un’unica emissione di voce e delimitata da pause. La frase ha una forma (struttura) data dalle relazioni di combinazioni tra le parole. Il significato delle frasi a differenza di quello delle parole, non si trova nei dizionari ma va ricostruito ogni volta analizzando la struttura, cioè la disposizione delle parole all’interno della frase. Ogni lingua è formata da un lessico (un insieme di parole) e da una grammatica (insieme di regole di formazione e di combinazione delle parole). Anche a livello della struttura, la frase deve rispondere a requisiti di completezza: una frase è una combinazione di parole costruita intorno ad un verbo di modo finito.

Tra i tipi di parole che possono entrare a formare una frase, il verbo di forma finita è l’elemento che non può mancare: il verbo è la parte del discorso che ha le caratteristiche semantiche e sintattiche necessarie per funzionare come perno della frase. Esempi CATERINA DORME è una frase CATERINA A LETTO, CATERINA DORMIGLIONA, IL SONNO DI CATERINA non sono frasi  si tratta di “frasi nominali”, cioè un tipo di espressioni linguistiche apparentemente incomplete che riescono comunque a funzionare come messaggio “enunciati”: combinazione di parole di cui è possibile cogliere il significato complessivo a patto di ricorrere al contesto. Mentre la frase ha un significato stabile, l’enunciato è portatore di un messaggio vincolato al testo o alla situazione comunicativa. La frase è una sorta di modello dell’enunciato: ci dice come dovrebbe essere il messaggio dal punto di vista della forma per poter veicolare un significato stabile anche se isolato dal testo o da un discorso preciso. LA GRAMMATICA VALENZIALE LAVORA SULLE FRASI MODELLO. 2.2 La struttura della frase La frase si presenta a prima vista come una sequenza di parole, l’ordine delle parole è importante. La parole si raggruppano tra di loro secondo regole specifiche per formare le frasi: in italiano l’articolo precede il nome, e si accorda con esso per genere e numero, articolo e nome dunque formano un gruppo tenuto insieme dalla regola grammaticale dell’accordo. L’analisi della struttura della frase si basa sul riconoscimento di raggruppamenti di questo tipo, chiamati anche “sintagmi” o gruppi sintattici. Anche i gruppi di parole di combinano tra di loro sulla base di regole che riguardano la forma e la posizione del gruppo in relazione alla funzione che è chiamato a ricoprire all’interno della frase. Esempio LA BAMBINA RINCORRE IL CANE. IL CANE RINCORRE LA BAMBINA. Sono entrambe frasi coerenti ma ci fanno riflettere sul fatto che il significato della frase è di natura complessa: non è dato dalla somma del significato delle parole ma dipende dal modo in cui i nomi sono connessi al verbo, dall’ordine in cui si dispongono e dalle funzioni che il verbo assegna a ciascuno di essi. Il riconoscimento dei gruppi di parole è un criterio importantissimo perché è grazie ad ess che interpretiamo correttamente una frase. La capacità di raggruppare parole fa parte della competenza linguistica spontanea, capacità di “lettura funzionale” di tipo espressivo: no solo decifrazione di segni ma anche comprensione del significato del testo. 2.3 Nomi e verbi I nomi: indicano oggetti individuali o classi di oggetti, sono le parole più numerose all’interno di una lingua e quelle che si fissano per prima nel processo di acquisizione. Rispetto al verbo, il nome ha una morfologia meno complessa: ogni nome ha un genere e un numero. Per riconoscere con sicurezza un nome possiamo guardare alla forma (tipo di desinenza) o alla sintassi. Il significato da solo spesso non basta: ci sono nomi che, come i verbi, possono indicare azioni o eventi. I verbi: hanno una vocazione relazionale, si usano per mettere in relazione i nomi, coinvolgendoli in azioni ed eventi o attribuendo loro qualità. Il verbo in italiano ha una morfologia complessa, con paradigmi che possono comprendere più di 100 forme diverse. Il verbo è la parte del discorso morfologicamente più complessa e semanticamente più ricca, ma al tempo stesso più importante nell’architettura della frase.

2.4 Il nucleo della frase VALENZA: proprietà del verbo di attrarre a sé un certo numero di nomi per completare il proprio significato. La frase strutturalmente completa è il risultato delle relazioni che il verbo stabilisce con questi nomi che nel loro insieme sono chiamati “argomenti del verbo”. Tutti gli elementi che si legano strettamente al verbo hanno funzione di argomenti ma il loro rapporto con il verbo può variare. La relazione grammaticale che lega il verbo e il suo soggetto è l’accordo, quella tra il verbo e i suoi oggetti è la reggenza. Il verbo si accorda a monte con l’argomento soggetto e regge a valle gli oggetti. Il verbo, insieme ai suoi argomenti, forma l’ossatura della frase, chiamata “nucleo”. A questa struttura possono aggiungersi altri elementi facoltativi. La prima operazione da fare quando si lavora sulle frasi è imparare a riconoscere gli argomenti, cioè gli elementi sufficienti per formare un nucleo di una frase. 2.5 Funzioni sintattiche e ruoli semantici Funzioni sintattiche principali: soggetto e oggetto. Quella del soggetto è la posizione principale, riservata al protagonista dell’azione o comunque all’elemento cui si riferisce l’evento descritto dal verbo. Il soggetto ha una forma fissa che non dipende dal verbo, anzi è proprio il soggetto a condizionare la forma del verbo, imponendogli l’accordo. Il ruolo semantico corrispondente alla ...


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